Albania

  • Il fallimento voluto ed attuato di una riforma

    Quando la legge non può far valere i propri diritti, rendete almeno

    legittimo che la legge non impedisca di infliggere i torti.

    William Shakespeare; da “Re Giovanni”

    La riforma del sistema della giustizia in Albania, ad oggi, risulterebbe essere una delle più negoziate, discusse e contestate. Ma purtroppo, fatti realmente accaduti alla mano, risulterebbe essere un fallimento voluto e programmato come strategia d’azione per essere, in seguito, anche attuato. Sono tanti, ma veramente tanti tutti quei fatti accaduti, evidenziati e noti pubblicamente che dimostrerebbero e testimonierebbero questa affermazione. L’autore di queste righe, a più riprese, ha trattato l’argomento durante questi anni, cercando di informare sempre il nostro lettore in modo oggettivo, riferendosi soltanto ai fatti pubblicamente noti ed accertati.

    Che il sistema di giustizia in Albania avesse bisogno di essere riformato nessuno l’ha messo mai in dubbio. Che il sistema subisse delle ingerenze politiche, ignorando consapevolmente la sua indipendenza, anche questo era un dato di fatto. Che il sistema fosse considerato corrotto e che la giustizia venisse data in funzione del “miglior offerente”, si sapeva bene. Soprattutto da coloro che perdevano ingiustamente e clamorosamente cause soltanto perché l’altra parte poteva pagare o perché era politicamente raccomandata. Che il sistema avesse “contribuito” che le proprietà dei cittadini, soprattutto quelle costituite prima dell’avvento della dittatura comunista nel 1944 e poi, dopo il crollo della dittatura, ereditate dai veri proprietari, attualmente risultino “alienate”, anche questo è un dato di fatto. Lo sanno bene adesso tanti proprietari che vengono considerati, sarcasticamente e ingiustamente, come “ex proprietari” e che non riescono ad appropriarsi delle loro proprietà. Ma adesso, sempre dati e fatti accaduti alla mano, risulterebbe anche che il sistema della giustizia sia pericolosamente e politicamente controllato da una sola persona. E cioè dal primo ministro e/o da chi per lui. Il che è proprio l’opposto contrario degli obiettivi strategici posti e che dovevano essere raggiunti con la Riforma del sistema di giustizia in Albania, uno dei quali prevedeva la reale e garantita indipendenza del sistema dagli altri poteri istituzionali. L’altro prevedeva la fine dell’impunità dei politici corrotti e colpevoli, i quali costituiscono, purtroppo, una combriccola molto numerosa in Albania.

    Il funzionamento di uno Stato democratico, o che mira a diventare tale, si basa sulla separazione dei poteri. E per poteri si intendono il potere legislativo, quello esecutivo ed il potere giuridico. In più, tutti i tre poteri devono essere indipendenti l’uno dall’altro. E proprio l’indipendenza tra i tre poteri garantisce il buon funzionamento di uno Stato democratico, impedendo ingerenze ed abusi di potere, nonché fenomeni di corruzione. La necessità della divisione dei poteri in uno Stato era già prevista da Aristotele e Platone nell’antica Grecia circa 2300 anni fa. Un principio quello della divisione dei poteri che è stato trattato anche nei secoli scorsi da vari filosofi, tra i quali anche Locke e poi Montesquieu. A quest’ultimo si attribuisce la formulazione dell’attuale teoria della divisione dei poteri. Per Montesquieu era indispensabile la separazione dei tre poteri, rendendoli indipendenti l’uno dall’altro, in modo da evitare l’assolutismo e salvaguardare la libertà dei cittadini. Lui era convinto che “… chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti”, Ragion per cui, secondo Montesquieu, in modo che “… non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere” (Spirito delle leggi; 1748). E per garantire che tutto ciò funzioni, in tutti gli Stati democratici, o che mirano a diventare tali, vengono prese tutte le necessarie misure legali che garantiscono il funzionamento del principio “Check and balance – Controllo e bilanciamento [reciproco]”. Un principio questo che prevede il funzionamento di strutture e meccanismi, basati sulla legge, per mantenere e garantire sempre l’equilibrio tra i tre poteri che operano in uno Stato.

    Ovviamente quando si parla di un sistema di giustizia, si fa riferimento all’insieme delle strutture necessarie che lo compongono e a tutto l’organico che fa funzionare quelle strutture. In Albania era diventato indispensabile l’avvio di una seria e ben concepita riforma radicale del sistema della giustizia. Da anni se ne parlava e finalmente, a fine del 2014, si diede inizio alla riforma. Adesso però, a fatti accaduti e compiuti alla mano, risulterebbe che quella riforma è stata voluta e attuata non per riformare e mettere finalmente ordine sul sistema, ma per far controllare quel sistema dal potere esecutivo. Le cattive lingue però ne parlarono già da allora. E il tempo adesso sta dando loro ragione. In Albania il potere esecutivo controllava pienamente il potere legislativo, soprattutto dal febbraio del 2019, quando i deputati dell’opposizione scelsero di consegnare i loro mandati parlamentari. Attualmente però controlla anche il potere giudiziario. Ed essendo ormai, purtroppo, una realtà facilmente verificabile che il potere esecutivo in Albania, dal 2013, viene identificato nella persona del primo ministro, allora risulterebbe che lui controlla tutti e tre i poteri che, secondo Montesquieu garantiscono il funzionamento di uno Stato democratico. Da sottolineare però che quando Montesquieu formulava la sua teoria della separazione dei poteri non esistevano i media come un quarto potere, come ormai vengono definiti. Sempre dati e fatti accaduti ed ufficialmente denunciati alla mano, da anni ormai il primo ministro albanese controlla personalmente, o tramite persone a lui legate, anche i media. Una preoccupante e pericolosa realtà questa che si sta evidenziando e si sta aggravando in Albania, giorno dopo giorno! Tutto il resto è semplicemente e vistosamente un disperato tentativo propagandistico per nascondere questa realtà vissuta e sofferta quotidianamente dalla maggior parte dei cittadini albanesi.

    Tornando al fallimento voluto ed attuato della riforma del sistema di giustizia, diventa doveroso evidenziare anche il ruolo che hanno avuto in tutto ciò i “rappresentanti internazionali”. Anche di questo l’autore di queste righe ha scritto spesso ed ha informato sempre il nostro lettore. Come sopracitato, uno degli obiettivi della riforma era la reale e garantita indipendenza del sistema dagli altri poteri istituzionali. L’altro prevedeva la fine dell’impunità dei politici corrotti e colpevoli. Proprio di quei politici che uno dei “rappresentanti internazionali” chiamava i “Pesci grandi”. Ma purtroppo la Riforma ha fallito, anche sotto gli occhi dei “rappresentanti internazionali”, in tutti e due suoi basilari obiettivi. Non solo, ma addirittura ormai non si parla più dell’indipendenza del sistema di giustizia dagli altri poteri. “Stranamente”, da qualche tempo ormai, sia il primo ministro albanese e i suoi rappresentanti che i “rappresentanti internazionali” parlano soltanto e semplicemente della lotta contro la corruzione! Niente più “indipendenza del sistema”! E niente più “politici corrotti e colpevoli”! Un “diabolico” cambiamento di strategia di comunicazione pubblica le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Tranne che del primo ministro e dei “rappresentanti internazionali”, che parlano di successi raggiunti dalla “Riforma”!

    Chi scrive queste righe, anche questa volta, avrebbe avuto bisogno di molto più spazio per evidenziare e analizzare quanto è accaduto e sta accadendo con la “Riforma” di giustizia in Albania. Promette però di riprendere e trattare di nuovo questo argomento molto importante; il fallimento voluto ed attuato di una riforma. Nel frattempo suggerisce a tutti gli autori della “Riforma” e ai “rappresentanti internazionali” quanto scriveva Shakespeare nel suo Re Giovanni. E cioè che quando la legge non può far valere i propri diritti, rendete almeno legittimo che la legge non impedisca di infliggere i torti.

  • Realtà nascoste con l’inganno da falsari di parola

    Il linguaggio politico è concepito in modo da far sembrare vere le bugie.

    George Orwell

    La corruzione continua ad essere una piaga cancrenosa ed infestante per l’umanità. E come tale, con i suoi due intrinsechi aspetti, la tentazione di corrompere e l’accondiscendenza ad essere corrotti, purtroppo accompagna la società umana dalla notte dei tempi. La corruzione è un male che divora il sano tessuto sociale e il denaro pubblico. Quantità enormi di denaro pubblico che finiscono nelle tasche dei pochi, a scapito dei tanti. La corruzione deve essere combattuta sia dalle solide istituzioni dello Stato di diritto, a livello nazionale, che da quelle specializzate internazionali, a livello più ampio. Ma la corruzione non si può combattere con successo, senza una sensibilizzazione ed una consapevole partecipazione degli stessi cittadini. La corruzione ha rappresentato e continua a rappresentare un serio problema da affrontare anche per l’Unione europea. Ragion per cui, nel 1999, il Consiglio d’Europa decise di costituire una struttura specializzata, ormai nota come GRECO (Group of States against Corruption – Gruppo di Stati contro la Corruzione). L’obiettivo di questa struttura è il miglioramento delle capacità degli Stati membri del Consiglio d’Europa, che hanno aderito all’iniziativa, di combattere la corruzione secondo gli standard anti-corruzione dello stesso Consiglio. Attualmente al GRECO hanno aderito 48 Stati europei e gli Stati Uniti d’America. Anche l’Albania è uno degli Stati membri.

    E proprio il 13 ottobre scorso a Tirana si è svolta la Conferenza ad alto livello “Il rafforzamento dell’integrazione e la lotta contro la corruzione”. In quella conferenza il segretario esecutivo del GRECO ha presentato i risultati del Rapporto per l’Albania, resi pubblici ufficialmente alcuni giorni prima. Da notare che il precedente Rapporto sull’Albania è stato pubblicato sei anni fa. L’alto rappresentante del GRECO ha ringraziato tutte le autorità albanesi per l’organizzazione di quella importante conferenza. Poi, continuando il suo intervento, ha ribadito che “I rapporti del GRECO non sono delle percezioni; noi non elenchiamo i paesi. Noi evidenziamo in maniera oggettiva le misure prese o non prese dai paesi, attuate o non attuate per prevenire o lottare contro la corruzione’. Garantendo anche che i rapporti ufficiali del GRECO “…sono rapporti di fatto e non teorici”. In seguito l’alto rappresentante ha ringraziato le autorità albanesi, primo ministro in testa perché, dopo il rapporto di sei anni fa  “…9 delle 10 ultime raccomandazioni del GRECO per l’Albania, riguardanti la prevenzione della corruzione dei parlamentari, giudici e procuratori, sono state attuate integralmente”. Ed ha sottolineato convinto che “… Infatti, questo è un ottimo risultato e non è per merito del GRECO o del Consiglio d’Europa, oppure di qualche altra istituzione internazionale”. Non potevano, ovviamente, mancare tutti i ringraziamenti per le autorità albanesi che “…devono essere fiere e avere [tutto] il merito di questo progresso”. E mentre stava finendo il suo intervento, l’alto rappresentante del GRECO ha fatto un riferimento ad un rapporto mandato ultimamente dall’Albania a MONEYVAL (Comitato di esperti per la valutazione delle misure contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo; una struttura del Consiglio d’Europa). E qui arriva il bello! Sì, perché se si fa riferimento all’ultimo rapporto MONEYVAL sull’Albania, ma anche agli altri precedenti, risulta ben altro. Chi ha letto e conosce i contenuti di quei rapporti, e tenendo presente anche quanto ha detto il segretario esecutivo del GRECO (altra struttura sempre del Consiglio d’Europa) il 13 ottobre scorso a Tirana durante la sopracitata conferenza, potrebbe pensare perfino ad un lapsus freudiano di quest’ultimo. Sì, perché nel rapporto del MONEYVAL per il 2018 sull’Albania si evidenziava che “…la corruzione rappresenta grandi pericoli per il riciclaggio del denaro [sporco] in Albania”. In quel rapporto si sottolineava anche il diretto legame tra il potere politico in Albania e le attività della criminalità organizzata. Legami e collaborazioni che spesso generano “ingenti quantità di introiti criminali”. E poi il rapporto constatava ed evidenziava una realtà allarmante, che sta generando preoccupanti e pericolose conseguenza in Albania. E cioè che la legge in Albania non è uguale per tutti. Perché secondo MONEYVAL “…l’attuazione della legge, ad oggi, ha avuto una limitata attenzione per combattere la corruzione legata al riciclaggio del denaro [sporco]…”. Questo e altro ancora era evidenziato nel Rapporto ufficiale per il 2018 del MONEYVAL sull’Albania. Ma, purtroppo, da allora le cose non sono migliorate, ma addirittura sono peggiorate. L’Albania risulta essere l’unico paese europeo, insieme con l’Islanda, classificato nel cosiddetto “Elenco grigio” per il riciclaggio del denaro sporco. I paesi di quell’“elenco grigio” sono continuamente monitorati da parte di FATF (Financial Action Task Force) e di MONEYVAL. Proprio nell’ultimo Rapporto ufficiale per il 2019, presentato il 21 febbraio scorso, l’Albania è stata purtroppo declassata, riferendosi agli anni precedenti, e messa nella “Elenco grigio”. Nel rapporto si sottolineava che “…l’Albania rimarrà sorvegliata e sotto un allargato monitoraggio”! Il significato del fatto di essere un “paese sorvegliato” si capisce chiaramente dalle normative che regolano il funzionamento dello stesso MONEYVAL. Secondo quelle normative “… Gli Stati si possono mettere sotto sorveglianza allargata nel caso in cui si identificano delle serie incompatibilità con gli standard”.  Standard che sono quelli stabiliti proprio dalle istituzioni dell’Unione europea! Di tutto ciò e ben altro ancora, l’autore di queste righe ha informato il nostro lettore a tempo debito (Abusi e corruzione anche in tempi di pandemia; 4 maggio 2020).

    Durante la sopracitata conferenza tenuta a Tirana il 13 ottobre scorso, in seguito all’intervento elogiativo dell’alto rappresentante del GRECO, ha parlato, con frasi non meno entusiastiche, anche l’ambasciatrice statunitense a Tirana. Riferendosi all’impegno e ai successi del governo albanese nella lotta contro la corruzione, lei ha detto che “…l’Albania ha cominciato questo percorso e la riforma della giustizia ha cominciato a mostrare i risultati”. Poi, convinta, ha dichiarato che “….Se l’Albania continua su questa strada, potrà diventare un modello per le riforme del buon governo” (Sic!). Mentre, per finire in bellezza, il primo ministro ha scoperto chi erano e chi sono i veri responsabili e colpevoli della corruzione in Albania. Sì, proprio così. Secondo lui “La testa della corruzione in Albania non sono i politici”. Per il primo ministro albanese la testa della corruzione è stata ed è “… la corporazione dei giudici e dei procuratori che hanno usato il castigo della giustizia per dei conti che non hanno a che fare con i conti dello Stato”! Cercando così, rendendosi anche ridicolo oltre che incredibile, di assolvere i veri e i principali colpevoli della diffusa corruzione in Albania. E cioè i politici, lui compreso.

    Chi scrive queste righe, suo malgrado si deve fermare qui, nonostante avrebbe avuto molte altre cose da scrivere e analizzare. Ma ricorda a tutti quei falsari di parola, che hanno cercato di nascondere con l’inganno la vera realtà albanese durante la sopracitata conferenza del 13 ottobre scorso a Tirana, quanto ha scritto Dante nel canto XXX dell’Inferno. Proprio in quel canto il sommo poeta racconta dei falsari, di tutti i falsari, “I falsari di parola”, che soffrivano e penavano nella decima bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno. Perché coloro che hanno parlato durante quella conferenza a Tirana, il 13 ottobre scorso, hanno concepito e usato il linguaggio politico in modo tale da far sembrare vere le bugie. Nascondendo però con l’inganno la vera realtà vissuta e sofferta quotidianamente dai cittadini albanesi.

  • In quale istituzione dell’Unione europea credere?

    Le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non
    solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche di quello dello statista. 

    Hannah Arendt; da “Tra passato e futuro”

    Era il 23 febbraio scorso. Da tre giorni a Bari si stava svolgendo l’Incontro di riflessione e spiritualità “Mediterraneo, frontiera di pace”. Quella domenica del 23 febbraio a Bari è arrivato anche Papa Francesco. Dopo la cerimonia ufficiale d’accoglienza, Papa Francesco si è trasferito alla Basilica di San Nicola dove ha incontrato tutti i vescovi rappresentanti delle diverse Chiese del Mediterraneo, partecipanti all’Incontro. Poi, durante il suo intervento, Papa Francesco ha ribadito l’importanza della pace nell’area del Mediterraneo. Secondo il Pontefice, l’importanza di quell’area “…non è diminuita in seguito alle dinamiche determinate dalla globalizzazione, al contrario, quest’ultima ha accentuato il ruolo del Mediterraneo quale crocevia di interessi e vicende significative dal punto di vista sociale, politico, religioso ed economico”. Ma per Papa Francesco, come lo ha ribadito in ogni occasione, l’ipocrisia in generale, e quella delle persone che hanno delle responsabilità statali e istituzionali, rappresenta un male le cui conseguenze stanno causando tante sofferenze in ogni parte del mondo. Anche durante il suo sopracitato intervento, il Santo Padre ha parlato di quell’ipocrisia, considerandola come “il grave peccato di ipocrisia”. Proprio quell’ipocrisia manifestata ed evidenziata purtroppo spesso, come ha ribadito il Papa “…nei convegni internazionali, nelle riunioni, tanti Paesi parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi che sono in guerra. Questo si chiama la grande ipocrisia”.

    Anche quanto sta accadendo da alcuni anni a questa parte in Albania rappresenta una chiara dimostrazione della grande ipocrisia di cui parla Papa Francesco. Si tratta non di vendita di armi, perché l’Albania non è un paese in guerra. Ma l’Albania, paese che si affaccia sul Mare nostrum, si trova nei Balcani, dove si stanno affrontando diversi grandi interessi delle grandi potenze. Poi, da alcuni anni, l’Albania, secondo i rapporti ufficiali delle istituzioni internazionali specializzate, risulta essere un paese crocevia di vari traffici illeciti di stupefacenti, di armi ed altro. Sempre secondo i rapporti ufficiali delle strutture internazionali specializzate, l’Albania risulta essere, in questi ultimi anni, uno dei paesi dove si stanno riciclando i denari sporchi della criminalità locale e quella internazionale. Dati e fatti realmente accaduti alla mano, risulta che in Albania ormai il potere si sta paurosamente concentrando nelle mani di una sola persona: del primo ministro. Proprio com’è successo con il “suo carissimo amico” Erdogan in Turchia e con il suo simile, Lukashenko, in Bielorussia. In Albania, sempre dati e fatti accaduti alla mano, da alcuni anni ormai, si è restaurata una nuova e sui generis dittatura, gestita da una pericolosa alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi clan occulti internazionali. Un’alleanza quella nella quale non si sa bene [pubblicamente] chi comanda chi e cosa. Nel caso della Turchia e della Bielorussia, giustamente, si sta pubblicamente parlando e stanno reagendo con delle ufficiali prese di posizione sia le cancellerie che le istituzioni dell’Unione europea. Mentre nel caso dell’Albania non se ne parla, o si parla poco e soltanto quando si conclude qualche operazione delle polizie di altri paesi contro i traffici illeciti. Nessuno però parla, come nel caso della Turchia e della Bielorussia, della restaurata dittatura in Albania e delle sue preoccupanti conseguenze, non solo per gli albanesi, ma anche per i paesi confinanti. L’Italia e la Grecia ne sanno ormai qualcosa. Anche questi “strani” atteggiamenti delle cancellerie e delle istituzioni dell’Unione europea, soprattutto della Commissione, rappresentano un’ulteriore dimostrazione di quell’ipocrisia di cui parla preoccupato Papa Francesco.

    E proprio il 6 ottobre scorso, la Commissione europea ha ufficialmente presentato il Rapporto di progresso per il 2020 sull’Albania. Un’altra ed ulteriore espressione della sua ripetuta “ipocrisia istituzionale”. Lo ha fatto dal 2016 in poi. E in una maniera clamorosa e del tutto fuori della realtà vissuta e sofferta in Albania. Se fosse stato per le “garanzie” date dalla Commissione europea ed espresse ufficialmente nei suoi Rapporti di progresso, l’Albania adesso sarebbe in una fase avanzata del suo percorso europeo. Ovviamente non per merito, non per gli “entusiastici progressi, in più di 95% degli acquis communautaire”, ma bensì per “altre ragioni”. Due anni dopo, nel 2018, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza era sicura e anche molto contenta che “L’Albania aveva avuto [finalmente] quello che meritava”. Non solo, ma lei lo considerava come “…un momento storico sia per l’Albania che per l’Unione europea” (Sic!). Chissà però perché sarebbe stato un “momento storico per l’Unione europea”?! Mentre il primo ministro albanese era molto emozionato perché era proprio grazie a lui e al suo governo che l’Albania aveva ormai “…una nuova statura nell’arena internazionale”.  E siccome si trattava di un “momento storico”, il primo ministro albanese, per l’occasione, ha distribuito delle medaglie di riconoscimento a quattro ambasciatori che avevano contribuito che tutto ciò accadesse! Ma quelle buffonate del primo ministro, come al solito, si sono subito discreditate. Con lo stesso “ottimismo” la Commissione europea però, ha continuato a presentare una “realtà virtuale” nel caso dell’Albania. Una realtà che contrasta palesemente con quella vera, vissuta e sofferta quotidianamente dai cittadini albanesi. Una realtà, della quale erano però a conoscenza e consapevoli i capi di Stato e di governo dei paesi membri dell’Unione europea, nell’ambito del Consiglio europeo, i quali hanno continuamente negato l’apertura dei negoziati all’Albania.

    Nel sopracitato Rapporto di progresso della Commissione europea sull’Albania per il 2020, si evidenziavano, come sempre, dei “progressi”. Affermazioni ufficiali, che in Albania fanno ridere anche i polli! Ma fanno anche indignare molte persone consapevoli ed oneste. Tutti quei cittadini responsabili, che non possono essere ingannati e manipolati dal primo ministro e dai soliti “rappresentanti internazionali”. Sono pochi in Albania quelli che possono ancora credere che la riforma del sistema della giustizia sia stata un successo. Mentre, riferendosi proprio a quella “Riforma”, il sopracitato Rapporto evidenzia che “…l’attuazione di una [simile] rappresentativa e completa riforma della giustizia è continuata senza sosta, risultando con un buon progresso”! La vera e vissuta realtà quotidiana dimostra e testimonia ben altro. Sono pochi in Albania quelli che, riferendosi alla diffusa corruzione, possono ancora credere che “…le autorità albanesi […] hanno esaudito la condizione [posta per l’apertura] della prima Conferenza intergovernativa”! Sono pochi in Albania quelli che possono ancora credere che ‘…l’Albania ha fatto un buon progresso nel rafforzamento della lotta contro la criminalità organizzata”! Mentre in Albania è convinzione diffusa che la criminalità determina le decisioni istituzionalmente prese. Queste sono soltanto alcune delle affermazioni del tutto non realistiche pubblicate nel sopracitato Rapporto.

    Chi scrive queste righe, come spesso accade, avrebbe tanti altri argomenti da trattare, dei quali da tempo e a più riprese ha informato il nostro lettore. Argomenti riguardanti le falsità che da alcuni anni si scrivono nei Rapporti ufficiali della Commissione europea sull’Albania. Egli però pensa di chiudere questo articolo con quanto ha detto Papa Francesco il 12 aprile scorso, durante il suo Messaggio Pasquale. E cioè che “… Oggi l’Unione europea ha di fronte a sé una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro, ma quello del mondo intero”. Nel frattempo l’autore di queste righe si chiede però: in quale istituzione dell’Unione europea credere?

  • Un inganno tira l’altro

    L’umanità è una mandria di esseri che devono essere
    governati con la frode, l’inganno, e con lo spettacolo.

    Edmund Burke

    Fallacia alia aliam trudit. Ossia un inganno tira l’altro. Erano convinti già moltissimi secoli fa, e non solo coloro che in quel tempo parlavano in latino. Saggia convinzione, dovuta alle tante esperienze di vita. Esperienze che, purtroppo, si verificano e si ripetono ogni giorno, in tutte le parti del mondo, causando però molte delusioni, sofferenze e spesso anche conflitti. Sia a livello individuale, che di gruppo. Tutti coloro che ingannano si presentano sotto varie vesti: dal misero imbroglione di strada, che truffa per poco per i bisogni quotidiani, fino a colui che truffa per dei milioni. Da quelli che imbrogliano per vizio e fino a coloro che hanno delle responsabilità conferite dal popolo, tramite il voto, ma che però, truffano proprio il popolo.

    Un tema, quello dell’inganno e delle truffe, trattato anche in tanti racconti, romanzi e sceneggiati. Sono emblematiche, per esempio, le scene del famoso film Totò truffa 62 del regista Camillo Mastrocinque. Si tratta di un capolavoro di Totò e della sua solita “spalla”, socio in inganni, Nino Taranto. Totò si presenta come Cavaliere Ufficiale Antonio Trevi, proprietario, da molte generazioni, della Fontana di Trevi a Roma. Mentre Nino Taranto, invece, si presenta, quanto serve, come il ragionier Gerolamo Scamorza, rappresentante di una casa cinematografica, che deve girare un film proprio alla Fontana di Trevi. Nel sopracitato film loro due cercavano di vendere, con l’inganno, la Fontana di Trevi! Si, proprio la Fontana di Trevi, uno dei più noti e famosi monumenti non solo di Roma ma anche dell’Italia. Avevano trovato anche la vittima dell’inganno, che era Decio Cavallo. Proprio lui, un oriundo, un facoltoso italio-americano che, come lui stesso diceva: ”…ho lasciato l’America definitivamente e mi voglio stabilire in Italia, ma vado alla ricerca di un buon bisiniss”. Per convincere il compratore, al quale, guida turistica alla mano, risultava che la Fontana era dello scultore Bernini, Totò spiega che era proprio un suo bisnonno che “fece venire apposta uno scultore dalla Svizzera”. E visto che l’italo-americano, il quale voleva fare “bisiniss”, leggeva il nome di Bernini, Totò, senza batter ciglio, lo assicura: “Appunto, siccome veniva da Berna, era piccoletto, lo chiamavano il Bernini”.

    Gli inganni e l’umorismo di Totò nel film Totò truffa 62 fanno ridere, ma sono, comunque, una buona lezione. Totò truffa un benestante e ingenuo italo-americano che voleva fare “bisiniss”. Ma ci sono anche quelli che mettono consapevolmente in atto dei brogli e delle manipolazioni elettorali, per appropriarsi del potere politico e poi farne uso ed abuso. La tentazione di avere anche quello che non ti spetta, violando l’espressione della volontà del popolo, purtroppo non è un raro fenomeno, in varie parti del mondo. Ma in tutti i paesi democratici, o che mirano a diventare tali, per rendere impossibile e contrastare questo fenomeno, ci sono le leggi e tutte le apposite strutture che garantiscono o, almeno, dovrebbero garantire il voto libero dei cittadini. Cosa che purtroppo, non accade in tutti i paesi. Un esempio ormai pubblicamente noto e molto significativo è quello che è successo il 5 agosto scorso in Bielorussia. In seguito ad una farsa elettorale, con tanti brogli e manipolazioni, Lukashenko ha vinto un altro immeritato mandato che non rappresentava l’espressione della volontà del popolo. Ma la volontà del popolo sovrano, purtroppo, potrebbe essere trascurata, condizionata e/o addirittura negata anche nei paesi con delle democrazie funzionanti. Figuriamoci poi in altri paesi come l’Albania, con delle serie e continue problematiche elettorali, soprattutto in questi ultimi anni. Problematiche evidenziate sia dai rapporti ufficiali delle istituzioni internazionali, specializzate proprio per le gare elettorali, sia da diversi noti media internazionali, che hanno pubblicato anche delle registrazioni audio.

    L’autore di queste righe condivide in pieno quanto scriveva Cristiana Muscardini, circa tre mesi fa, in un suo articolo. E cioè che “Una democrazia è tale solo quando i cittadini hanno il diritto di esprimere liberamente e consapevolmente le proprie scelte.” (Una democrazia è tale solo quando i cittadini hanno il diritto di esprimere liberamente e consapevolmente le proprie scelte; 1 luglio 2020). Ma quanto è accaduto con le elezioni in Albania, soprattutto dal 2015 ad oggi, rappresenta una consapevole strategia messa in atto, per alterare, condizionare e/o manipolare l’espressione, tramite il voto, della volontà dei cittadini. Quanto scriveva Cristiana Muscardini nel sopracitato articolo, rispecchia fedelmente anche quello che sta accadendo in Albania in questi ultimi mesi con la Riforma elettorale. L’Albania è però un paese che sta proseguendo il suo lungo, difficile, tortuoso e sempre più in salita percorso europeo. Perciò deve adempiere le condizioni poste da alcuni anni e riconfermate anche in questi ultimi mesi, sia da singoli paesi membri dell’Unione europea, che dal Consiglio e dal Parlamento europeo. Una delle condizioni sine qua non è quella dell’approvazione e l’attuazione, nelle prossime elezioni, della Riforma elettorale. Ed era proprio questa condizione del Consiglio europeo che ha “costretto” i partiti politici a firmare un accordo il 14 gennaio 2020, sia per costituire un “Consiglio politico” che per prendere e rispettare determinati impegni. Poi, dopo gli interventi “poco diplomatici” di alcuni ambasciatori in Albania, il 5 giugno scorso è stato firmato unanimemente un Accordo che doveva garantire l’approvazione della Riforma elettorale. Ma subito dopo, il primo ministro e il suo rappresentante al “Consiglio politico” hanno calpestato l’accordo del 5 giugno votando in Parlamento dei cambiamenti unilaterali dell’accordo e spesso, anche in palese violazione della Costituzione. Da sottolineare, però, che da più di tre anni in Albania la Corte Costituzionale non funziona più. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò, a tempo debito, sia lo scorso giugno che la scorsa settimana. Nel frattempo, il primo ministro, da incallito imbroglione e spudorato bugiardo qual è, ha cambiato diverse volte le “carte in tavola” per avere, finalmente, un Codice elettorale, parte basilare e obiettivo finale della Riforma elettorale, come lui vuole, intenzionato com’è di vincere le elezioni, costi quel che costi. E proprio oggi, lunedì 5 ottobre, il Parlamento, con tutta probabilità, voterà alcuni altri cambiamenti del già modificato Codice elettorale. Si sanciranno così, di fatto e realmente, sia le liste chiuse che l’impedimento delle coalizioni pre-elettorali dei partiti, nonostante le “acrobazie verbali”, gli inganni e le continue bugie pubbliche del primo ministro e di altri. Così facendo, lui sta dimostrando sia la sua decisa volontà che tutto il suo incontrollato, incontrollabile e pericoloso potere istituzionale a fare della Riforma elettorale un prodotto a suo servizio. Impedendo così ai cittadini di esercitare il loro diritto di voto libero e manipolando il risultato finale. Come Lukashenko in Bielorussia.

    Chi scrive queste righe è convinto che il primo ministro albanese sta abusando di tutto il suo potere istituzionale per fare un Codice elettorale a suo piacimento e interesse. Allo stesso tempo lui sta cercando di ingannare l’opinione pubblica per poi truffare di nuovo gli albanesi nelle prossime elezioni politiche del 25 aprile 2021. Chi scrive queste righe considera vitale per l’Albania l’importanza di un processo elettorale libero e democratico. Soprattutto adesso che è stata restaurata una nuova dittatura sui generis, come espressione dell’alleanza del potere politico con la criminalità organizzata e certi clan occulti. All’autore di queste righe Totò sembra innocuo come truffatore di fronte al primo ministro albanese e ad altri rappresentanti politici. E per impedire che in Albania un inganno tiri l’altro e che gli albanesi diventino una mandria che deve essere governata con la frode, l’inganno e con lo spettacolo essi stessi devono reagire.

  • Inquietanti dimostrazioni dittatoriali

    I dittatori forse sono liberi perché rendono schiavo il popolo.
    Charlie Chaplin; dal film “Il grande dittatore”

    La televisione pubblica tedesca ARD, circa una decina di giorni fa, in base ad un’analisi fatta, evidenziava la necessità di superare una “crisi interna” dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione europea). Una crisi causata dall’incapacità di nominare il nuovo segretario generale, visto che il mandato dell’uscente scadeva a metà del luglio scorso. Una simile situazione sta mettendo l’OSCE in difficoltà perché non può svolgere normalmente i propri obblighi statutari. Tra l’altro, nell’analisi della televisione tedesca, si evidenziava anche la diretta responsabilità del presidente di turno dell’OSCE, che quest’anno è il primo ministro albanese. Fatto che potrebbe aumentare i disagi, se non si interviene subito e con delle decisioni prese dalle diplomazie degli altri paesi membri. Perché “…in più l’Albania, che ha meno contatti e influenza diplomatica che altri paesi […] avrà questo incarico fino a fine anno”. La sopracitata analisi, riferendosi poi alla crisi in Bielorussia, causata subito dopo la rielezione di Lukashenko, evidenziava l’incapacità del presidente di turno dell’OSCE di intervenire per risolvere la crisi. Perché, il presidente di turno, e cioè il primo ministro albanese, “… non poteva frenare, oppure trovare una soluzione della crisi, perché non aveva i legami e le influenze tra i paesi membri dell’OSCE”. Anzi, Lukashenko “…lo ha ignorato, negandogli la visita” proposta ufficialmente proprio da lui, dal primo ministro albanese, nella veste di presidente di turno dell’OSCE. E non poteva essere diversamente. L’autore di queste righe ha informato di tutto ciò il nostro lettore tre settimane fa (Un bue che dovrebbe dire cornuto ad un altro bue; 7 settembre 2020).

    Nel frattempo però, il primo ministro albanese rifiuta in Albania la richiesta dell’opposizione per coinvolgere i rappresentanti dell’OSCE a redigere tutte le necessarie correzioni sulla Riforma elettorale, accordata il 5 giugno scorso dai partiti politici. Un accordo, quello, salutato anche dai massimi rappresentanti dell’Unione europea e di alcune importanti cancellerie europee e quella statunitense. Un accordo, quello, firmato da tutti, ma poi, subito dopo, ignorato dalla maggioranza governativa, che ha votato in Parlamento degli emendamenti cambiando così quanto accordato precedentemente. Emendamenti che adesso il primo ministro e i suoi rappresentanti stanno cercando di rappezzare di nuovo. Cosa che è tutt’altro che difficile per lui che, da più di un anno ormai, controlla indisturbato tutti i deputati eunuchi del parlamento. Tutto ciò mentre, da più di tre anni, in Albania la Corte Costituzionale non funziona più. Perciò il primo ministro può agire indisturbato per finalizzare i suoi obiettivi. Il primo tra i quali adesso è la vittoria nelle prossime elezioni politiche, fissate per il 25 aprile 2021. E tutto ciò anche sotto gli occhi dei rappresentanti internazionali. Proprio quelli che hanno infranto tutte le regole sancite dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, mentre “costringevano” non diplomaticamente le parti, “ospitate” nella residenza dell’ambasciatrice statunitense, a firmare l’Accordo sulla Riforma elettorale del 5 giugno scorso. Adesso però, proprio loro, i “soliti rappresentanti internazionali”, stanno, chissà dove, a guardare, come sempre, con “occhi chiusi e orecchie tappate”. Proprio loro adesso fanno finta di niente e non reagiscono contro queste inquietanti dimostrazioni dittatoriali del primo ministro albanese. Anche di tutto ciò l’autore di queste righe ha informato a tempo debito il nostro lettore. Esprimendo, allo stesso tempo, anche le sue perplessità e i suoi dubbi, sia sulla bontà dell’accordo, che sulla serietà e l’impegno del primo ministro e dei suoi a rispettare quell’accordo. Egli scriveva allora “…Quanto è accaduto in Albania durante la scorsa settimana non poteva non far ricordare all’autore di queste righe proprio la fiaba della Montagna che partorisce un topolino. Quanto è accaduto la scorsa settimana in Albania era, purtroppo, la cronaca prevista e preannunciata di una farsa, di una commedia messa grossolanamente in scena”. (Dittatura sostenuta anche dai ‘rappresentanti internazionali’….;8 giugno 2020). Sempre in riferimento al sopracitato accordo, una settimana dopo egli scriveva: “… Quanto sta accadendo con la Riforma elettorale in queste ultime settimane, all’autore di queste righe ricorda quello che Tancredi diceva allo zio, principe di Salina (Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa). “… Zio, se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”! L’approccio alla Riforma elettorale e tutto quello che è successo fino alla firma dell’Accordo non è stato quello dovuto, anzi! I rappresentanti politici al Consiglio Politico e soprattutto i soliti “rappresentanti internazionali” hanno trattato i negoziati come si fa di solito in commercio, o in altre occasioni simili. Hanno cercato ed ottenuto che le parti “concedessero” qualcosa in cambio di altro. E invece, con la Riforma elettorale, nelle condizioni particolari in cui si trova l’Albania, quell’approccio è stato sbagliato già in partenza” (Dannosa ipocrisia in azione, come un ‘déjà vu’…; 15 giugno 2020).

    In Bielorussia continuano, dal 5 agosto scorso, le massicce e motivate proteste dei cittadini contro Lukashenko, il suo regime dittatoriale e le manipolazione elettorali. Tra lui e il primo ministro albanese sono tante le somiglianze. Somigliano nel modo con il quale esercitano il potere conferito di fronte alle elezioni. Somigliano nel modo in cui si comportano e reprimono le proteste dei cittadini che chiedono il rispetto dei loro sacrosanti diritti. Somigliano, soprattutto, nella loro determinazione ad aggrapparsi al potere, costi quel che costi, usando tutti i noti e duri modi che caratterizzano le dittature. Anche il primo ministro Albanese, come Lukashenko, sta cercano un nuovo mandato. Non importa come e non importa con quale prezzo. Ma mentre in Bielorussia continuano le proteste contro Lukashenko, in Albania non si protesta da più di un anno. Questo grazie anche al comportamento dei dirigenti dell’opposizione, i quali si sono dimenticati delle diverse “linee rosse” pubblicamente dichiarate con tanto di giuramenti e poi “stranamente dimenticate” e/o ignorate. Il che ha permesso al primo ministro di agire indisturbato ed attuare il suo progetto per “rimanere al potere fino al 2029”! E lui farà tutto il possibile perché ciò possa accadere. Almeno vincere le prossime elezioni che gli permetteranno il tanto ambito terzo mandato. Da sottolineare che il primo ministro albanese, nel suo disperato tentativo di vincere quel mandato, non ha niente da perdere. Mentre da guadagnare ne ha e come! Ragion per cui lui non guarderà in faccia a nessuno, proprio a nessuno. Non risparmiando neanche i suoi “fedelissimi, carichi di peccati”. Farà tutto ciò e ben altro purché lui possa realizzare il suo vitale obiettivo: vincere il terzo mandato per salvare tutto, ma proprio tutto quello che ha a che fare con lui stesso! Quanto sta accadendo in questi ultimi giorni con la “Riforma elettorale” e altro ancora, rappresenta il preludio di quello che il primo ministro albanese e i suoi “consiglieri” stanno preparando per le prossime elezioni del 25 aprile 2021. Seguendo anche l’esempio di Lukashenko in Bielorussia.

    Chi scrive queste righe è convinto e non smetterà di ripetere quello che ci insegna la storia. E cioè che in nessun paese una dittatura possa essere sconfitta con il “voto libero”! Perché in nessuna dittatura non si riesce a votare liberamente. La storia ci insegna che le dittature, da che mondo è mondo, si rovesciano solo e soltanto con le rivolte popolari! Compresa anche la dittatura ormai restaurata e funzionante in Albania. Poi, in seguito, l’ordine delle cose si stabilisce con il voto libero, onesto e democratico. Spetta però ai cittadini reagire determinati e consapevoli che i dittatori sono tali e agiscono liberamente, solo perché rendono schiavo il popolo.

  • Mare nostrum

    L’uomo troppo compiacente che accorda tutto
    per tutto avere, é ruinato dalla propria facilità.

    Confucio

    La ben nota denominazione Mare Nostrum è stata coniata ed usata già dagli antichi romani per indicare il mare Mediterraneo. Un mare sul quale si affacciano molti paesi e si incrociano molti interessi, soprattutto economici. E quando si tratta di interessi economici e di contenziosi tra paesi sono sempre presenti anche degli attriti di vario genere. Quanto sta accadendo in questi ultimi mesi ne è un’eloquente testimonianza.

    A fine luglio scorso sono ricominciati di nuovo gli attriti tra la Grecia e la Turchia dovuti a delle reciproche rivendicazioni su determinate aree marine intorno a delle isole sul Mediterraneo. Aree che sia la Grecia che la Turchia pretendono di essere parte integrante delle proprie zone economiche esclusive. Dopo che la Turchia ha avviato l’esplorazione in mare per delle risorse di gas naturale è stata immediata la reazione ufficiale da parte della Grecia. Da sottolineare che il diritto della sovranità in questi casi viene definito dalla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite del 1982 sulla legge dei mari (UNCLOS), nota anche come la Convenzione di Montego Bay. Convenzione che ancora non è stata riconosciuta dalla Turchia però. Sono state tante e dure le dichiarazioni delle massime autorità dei due paesi. Ma vista l’evoluzione della situazione non sono mancate neanche le dichiarazioni delle massime autorità delle cancellerie europee e quella statunitense. E finalmente sembra che ci sia un svolta positiva. Il presidente turco, dopo aver fatto il “duro” fino a pochi giorni fa, la sera di sabato scorso ha fatto un passo indietro. Lui ha dichiarato che la Turchia cercherà di risolvere il contenzioso con la Grecia “con saggezza e in maniera civile”. Finalmente lui ha rinunciato alle maniere dure e all’uso della forza, come dichiarava convinto dal luglio scorso e fino a pochi giorni fa. Dando così, secondo il presidente turco “…più spazio alla diplomazia, per risolvere i problemi con il dialogo, con il quale tutti ne escono vincitori”.

    Il 5 agosto scorso la Turchia, però, ha firmato con la Libia un accordo per delimitare le proprie zone economiche esclusive. Accordo che urta ed è incompatibile con quanto prevede l’accordo, tuttora in vigore, tra la Grecia e la Turchia. Ma anche la Grecia, nel frattempo, il 6 agosto scorso, ha firmato un simile accordo con l’Egitto, che delinea le rispettive zone economiche esclusive. Secondo fonti diplomatiche, quest’ultimo accordo mira a contenere proprio le ambizioni della Turchia in quelle aree del Mediterraneo. Un altro accordo che riguarda le zone economiche esclusive tra i paesi del Mediterraneo è stato firmato tra l’Italia e la Grecia il 9 giugno scorso. Un accordo che è stato considerato come “storico” in Grecia, forse anche perché si stavano già preparando ad affrontare quanto è poi successo soltanto circa un mese dopo con la Turchia. Come parte integrante del sopracitato accordo tra la Grecia e l’Italia c’è anche una clausola secondo la quale si prevede la possibilità di continuare la linea del confine marino sia verso il nord che verso il sud “con altri Stati vicini”. E, tutto sommato, si tratterebbe dell’Albania a nord e della Libia e Malta a sud.

    Durante queste ultime settimane si sono riattivate anche le rivendicazioni della Grecia sulla delimitazione del confine marino con l’Albania. Un contenzioso che continua da una decina d’anni e che, guarda caso, è stato riaperto proprio adesso, in questo periodo carico di attriti e di accordi per le zone economiche esclusive e la delimitazione dei confini marini tra diversi paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

    Il 26 agosto scorso il primo ministro greco ha dichiarato, durante una seduta del Parlamento, che il suo governo presenterà un disegno di legge che poi, approvato dal parlamento, permetterebbe l’allargamento del confine marino occidentale della Grecia nel mare Ionio da 6 a 12 miglia marine. Il che significherebbe la riduzione, in egual misura, del confine marino dell’Albania, dove sono state immediate e forti le reazioni. Anche perché si tratta di un argomento che ha generato non pochi attriti tra le forze politiche in Albania, soprattutto in quest’ultimo decennio.

    Il confine marino tra la Grecia e l’Albania è stato definito dalle grandi potenze con il Protocollo di Firenze del 27 gennaio 1925. Poi, in seguito, il 30 luglio 1926 a Parigi, la Conferenza degli Ambasciatori delle grandi potenze ha sancito definitivamente tutti i confini tra l’Albania e la Grecia. Quella presa dalla Conferenza degli Ambasciatori, era ed è tuttora una decisione obbligatoria per i due paesi. Anche perché adesso, sia la Grecia che l’Albania sono paesi che hanno ufficialmente riconosciuto la sopracitata Convenzione di Montego Bay del 1982 sui mari. Da sottolineare che tra la Grecia e l’Albania il 27 aprile 2009 è stato firmato un Accordo per la “Delimitazione delle loro rispettive zone della piattaforma continentale sottomarina e delle altre zone marine, che a loro appartengono in base al diritto internazionale”. Accordo quello che è stato fortemente contrastato allora dall’opposizione capeggiata dall’attuale primo ministro albanese. La questione finì poi alla Corte Costituzionale, la quale, il 15 aprile 2010, decretò l’anticostituzionalità dell’Accordo e proclamò la sua nullità. Chi scrive queste righe, durante l’autunno del 2018, ha trattato l’argomento in diversi articoli, tra i quagli anche Perfidie e mercanteggiamenti balcanici; 22 ottobre 2018 e Accordi peccaminosi; 29 ottobre 2018.

    Tornando agli ultimi sviluppi, e in seguito alle dichiarazioni del primo ministro della Grecia il 26 agosto scorso in Parlamento, ha reagito anche il primo ministro albanese. Quest’ultimo ha considerato come “molto corretta” la dichiarazione del suo omologo. Mentre le forti reazioni in Albania il primo ministro albanese le considerava come mosse “dall’ignoranza” e usate “come argomento di tradimento del nostro governo”. Perché, secondo lui, la Grecia sta “esercitando un diritto” che deriva dalla Convenzione di Montego Bay del 1982. Negando “stranamente” però, anche il diritto della parte lesa, e cioè l’Albania, di opporsi. Il che non è per niente vero, Convenzione di Montego Bay alla mano. Come al solito, una sua “interpretazione creativa” quella del primo ministro albanese. Poi in seguito lui stesso ha fatto dietro front e ha parlato di negoziati tra le parti e anche, addirittura, di portare il caso presso un tribunale internazionale. Impensabile fino a pochi giorni fa! Chissà perché?! E chissà se è per puro caso che ciò accade proprio dopo una “cena tra amici” con il presidente turco, alcuni giorni fa. Ma nel frattempo anche quest’ultimo ha cambiato l’atteggiamento nei confronti del contenzioso con la Grecia!

    Chi scrive queste righe avrebbe molti altri argomenti da analizzare, in modo che il nostro lettore possa comprendere meglio quanto sta accadendo in queste settimane tra diversi paesi del Mare Nostrum, soprattutto tra la Grecia e l’Albania. Ricorda però che durante un forum internazionale ad Atene, il 16 settembre scorso, la ministra firmataria del sopracitato Accordo del 27 aprile 2009 tra la Grecia e l’Albania, che è anche la sorella dell’attuale primo ministro greco, ha accusato direttamente il primo ministro albanese, anche lui presente, di essere stato “convinto” nel 2009 proprio da Erdogan, a portare il caso alla Corte Costituzionale, per poi annullarlo. Chi scrive queste righe pensa che, come scriveva Confucio, l’uomo troppo compiacente, che accorda tutto per tutto avere, è ruinato dalla propria facilità. Primo ministro albanese compreso.

  • Chi approfitta e chi perde cosa da un accordo?

    Chi approfitta e chi perde cosa da un accordo?
    Quando si dice che si è d’accordo su qualcosa in linea di principio,
    significa che non si ha la minima intenzione di metterla in pratica.

    Otto von Bismarck

    Il 4 settembre scorso, nell’ufficio ovale del presidente degli Stati Uniti d’America a Washington D.C., ha avuto luogo un incontro tra i massimi rappresentanti della Serbia e del Kosovo. Erano presenti l’anfitrione, presidente Trump, il presidente della Serbia e il primo ministro del Kosovo. Erano presenti anche le tre delegazioni rispettive. Un vertice a tre, rimandato però per due volte. Inizialmente era stato previsto per il 27 giugno scorso. Ma prima della partenza per Washington la delegazione del Kosovo ha annunciato che non poteva partecipare più al previsto vertice. La mancata partenza era dovuta al rilascio, il 24 giungo 2020, di un comunicato dell’Ufficio del Procuratore Speciale per il Kosovo. Con quel comunicato si rendeva noto che il Procuratore Speciale aveva presentato dieci capi d’accusa presso le Camere Speciali del Kosovo contro il presidente della Repubblica del Kosovo. Proprio lui che doveva dirigere la delegazione. Poi, in seguito, il vertice a tre a Washington è stato previsto per il 2 settembre scorso. Ma anche quella volta è stato rimandato, per poi essere stato realizzato finalmente, due giorni dopo, il 4 settembre. La persona incaricata dal presidente statunitense per organizzare l’incontro e per preparare il contenuto del previsto accordo aveva, dall’inizio, ribadito che si trattava di un accordo con obiettivi economici. Mentre per quelli politici le delegazioni della Serbia e del Kosovo dovevano negoziare con i rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea.

    Nel frattempo i massimi rappresentanti dell’Unione europea non hanno visto di buon occhio lo spostamento a Washington dei negoziati tra la Serbia ed il Kosovo. Ragion per cui, subito dopo il fallimento del vertice a tre del 27 giugno 2020, il presidente francese ha proposto un vertice in videoconferenza. Il 12 luglio scorso da Parigi, lui e la cancelliera tedesca hanno dialogato con il presidente serbo, il primo ministro kosovaro e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza. Un dialogo considerato positivo dagli organizzatori. Per l’occasione il rappresentante dell’Unione europea per il dialogo tra la Serbia ed il Kosovo ha espresso la sua soddisfazione perché, secondo lui, finalmente il dialogo tra la Serbia ed il Kosovo, con la diretta mediazione degli alti rappresentanti dell’Unione europea per la normalizzazione dei rapporti, “è ritornato, dopo 20 mesi, nella giusta via”.

    Dopo il sopracitato vertice in videoconferenza le parti hanno ribadito le loro richieste. Il primo ministro del Kosovo ha annunciato le sue cinque. La più importante delle quali era che l’Accordo integrale della Pace tra il Kosovo e la Serbia “doveva portare ad un riconoscimento reciproco” tra i due paesi. Perché per il momento la Serbia considera il Kosovo come una sua regione, parte integrante del suo territorio. Invece il presidente della Serbia, riferendosi al contenuto sostanziale delle richieste del Kosovo, ha dichairato che “… se quello è il perno di tutto ciò che essi [la delegazione del Kosovo] vogliono discutere, allora tutto diventa completamente insensato”.

    Il processo di mediazione di un accordo tra la Serbia ed il Kosovo è cominciato a Rambouillet, in Francia, nel lontano febbraio del 1999. Il testo con il contenuto dell’accordo presentato alle parti, che prevedeva un’autonomia sostanziale per il Kosovo, nonché le modalità della presenza dei rappresentanti internazionali, civili e militari ecc., era preparato dagli esperti della NATO (l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord). Dopo tanti, continui e difficili negoziati non si è raggiunto però un accordo. Il 18 marzo 1999 le delegazioni del Kosovo, degli Stati Uniti d’America e del Regno Unito hanno firmato quello che viene riconosciuto come l’Accordo di Rambouillet. Mentre le delegazioni della Serbia e della Russia hanno rifiutato di farlo. Ragion per cui, in seguito, la NATO ha deciso l’intervento militare con bombardamenti aerei contro la Serbia. Il resto è ormai storia nota.

    Negli anni dopo quell’intervento militare, i negoziati tra i due paesi hanno continuato, sempre con le stesse e insuperabili difficoltà. Nel novembre 2005 ha avuto inizio quello che diventerà il processo per l’indipendenza del Kosovo, nell’ambito di quella che è stata riconosciuta come la Conferenza di Vienna. Dopo una serie di incontri tra le parti, il 2 febbraio 2007 il rappresentante internazionale ha presentato le sue proposte per portare ad un accordo. Quel rappresentante era un noto diplomatico e politico finlandese. Egli è stato presidente della Finlandia dal 1994 al 2000 e anche sottosegretario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Per il suo continuo e apprezzato impegno per la pace nel mondo, a lui, Martti Ahtisaari, è stato assegnato il premio Nobel per la pace 2008. La Serbia, come sempre, ha rifiutato il riconoscimento del Kosovo come Stato indipendente. Mentre il Kosovo, con il deciso sostegno di tutti i paesi del G7 e di molti altri in seguito, ha dichiarato la sua indipendenza il 17 febbraio 2008.

    Un terzo processo di dialoghi tra la Serbia ed il Kosovo, per raggiungere un accordo di pace, è ricominciato nel 2011, con la mediazione dei massimi rappresentanti dell’Unione europea. Si tratta di un processo che continua tutto’ora e che, come sopracitato, è ricominciato il 12 luglio scorso, dopo venti mesi di pausa. Si tratta, però, di un processo che ha avuto degli alti e bassi e che ha rischiato di portare non solo ad un fallimento, ma anche a degli accordi che potevano mettere a repentaglio la sicurezza e la stabilità nei Balcani. Perché, come è stato reso pubblico durante gli ultimi anni, si poteva arrivare, con un consenso non solo dei massimi rappresentanti della Serbia e del Kosovo, ma anche dell’attuale primo ministro albanese, ad un pericoloso processo della ridistribuzione di determinati territori confinanti, a vantaggio della Serbia. Un simile progetto ha visto come un attivo promotore anche l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza dal 2014 al 2019. Durante questo periodo tra la Serbia e il Kosovo sono stati raggiunti degli accordi particolari, che mai sono stati però attuati in seguito. Ragion per cui, la mediazione dell’Unione europea è stata considerata come un fallimento da molti analisti e opinionisti internazionali.

    Una situazione quella che ha fatto “scendere in campo” gli Stati Uniti d’America. Ovviamente ci sono anche dei motivi non pubblicamente dichiarati che hanno portato ad una simile decisione. Motivi che, secondo gli analisti, hanno a che fare con l’aumento della presenza russa e cinese nei Balcani. Ma anche motivi che avrebbero a che fare, forse, anche con la campagna in corso per le elezioni presidenziali del prossimo novembre. Sui reali motivi e sui primi e attesi risultati del vertice del 4 settembre scorso a Washington D.C., tra i massimi rappresentanti della Serbia e del Kosovo, alla presenza del presidente statunitense, le opinioni sono diverse e spesso anche ben differenti. Comunque sia, la discesa in campo degli Stati Uniti darà un nuovo impulso dei negoziati e della soluzione finale del problema spinoso tra la Serbia e il Kosovo. Come è stato anche nel 1999 e poi, nel 2007 – 2008. Il primo risultato, comunque, è stato la ripresa dei negoziati con la mediazione dell’Unione europea. Tutto rimane, però, da vedere.

    Chi scrive queste righe pensa che quando si tratta di un accordo non ci sono mai né vincitori e né vinti. Altrimenti non si tratterebbe di un accordo, ma bensì di un diktat. Egli auspica che quanto scriveva Bismark, su un accordo in linea di principio, non sia vero sempre. Perché se no, ci si chiederebbe chi approfitta e chi perde cosa dall’accordo del 4 settembre scorso a Washington?

  • Un bue che dovrebbe dire cornuto ad un altro bue

    Quando si ferma un dittatore, ci sono sempre dei rischi.
    Ma ci sono rischi maggiori nel non fermarlo.

    Margaret Thatcher

    Il bue che dice cornuto all’asino è un modo di dire, molto diffuso in Italia e, in altre forme lessicali, anche in altri paesi del mondo. Un modo di dire che rispecchia, come sempre accade, la saggezza popolare che ci viene tramandata da secoli. Un modo di dire che addita tutti coloro che vedono i difetti degli altri, senza essere mai consapevoli dei propri. Oppure, peggio ancora, fingendo di non capirli. Una sua versione la troviamo anche nelle Sacre Scritture. Secondo l’evangelista Luca, Gesù chiede ai suoi discepoli: “Può forse un cieco guidare un altro cieco?”. E poi prosegue: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non t’accorgi della trave che è nel tuo?” (Vangelo secondo Luca; 6/39-41).

    Durante il mese d’agosto appena passato sono accadute molte cose nel mondo. Alcune hanno, giustamente, attirato l’attenzione delle cancellerie e delle istituzioni internazionali, nonché quella dell’opinione pubblica. Non poteva passare inosservato neanche quanto è accaduto in Bielorussia durante e dopo le elezioni presidenziali del 9 agosto scorso. Elezioni svolte in un clima di dura repressione contro l’opposizione messa in atto dalle strutture dello Stato. Ha vinto di nuovo, con l’80.23 %, Aleksander Lukashenko, in potere dal luglio del 1994. Dal 9 agosto in poi i cittadini stanno protestando contro le manipolazioni e i brogli elettorali, affrontandosi con la violenza delle forze di polizia e di altre strutture repressive specializzate. Proteste che sono continuate anche durante la scorsa settimana. Quanto è accaduto e sta accadendo in Bielorussia rappresenta una seria preoccupazione per tutti. Perché una dittatura, ovunque essa sia costituita, rappresenta sempre una seria preoccupazione non solo per chi ne soffre direttamente le conseguenze.

    Tutte le cancellerie occidentali hanno fortemente condannato la farsa elettorale in Bielorussia. Così come hanno fatto anche le più importanti istituzioni internazionali. Comprese quelle dell’Unione europea e l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione europea). Sono state molte e unanimi le dichiarazioni pubbliche dei capi di Stato e di governo, subito dopo le elezioni e in seguito. Tutti hanno condannato la farsa elettorale del 9 agosto scorso, l’uso sproporzionato e ingiustificato della violenza conto i manifestanti e gli arresti di migliaia di essi. E’ stato chiesto anche il diretto coinvolgimento dell’OSCE in una missione di verifica di tutte le [presunte] avvenute manipolazioni e irregolarità prima, durante e dopo le elezioni del 9 agosto. Ma anche sulle atroci repressioni messe in atto contro i manifestanti, da parte delle forze di polizia e delle truppe speciali. Quelli sono anche degli obiettivi statutari dell’OSCE. Ragion per cui, il 28 agosto scorso, è stata tenuta a Vienna una seduta speciale del Consiglio permanente dell’OSCE. Seduta convocata dal presidente di turno dell’OSCE che, guarda caso, quest’anno è proprio il primo ministro albanese, essendo anche ministro degli esteri.

    E qui comincia il bello! Perché proprio lui con le elezioni libere, oneste e democratiche ha un rapporto “speciale”, come il diavolo lo ha con l’acqua santa! Un fatto questo, ormai verificato e evidenziato a più riprese, dal 2013 ad oggi, da diversi rapporti internazionali. Compreso anche l’ultimo in ordine di tempo. E cioè il Rapporto finale dell’OSCE stessa sulle elezioni [votazioni moniste] per l’amministrazione pubblica del 30 giugno 2019 in Albania. Il nostro lettore è stato informato sulle clamorose manipolazioni e le palesi violazioni prima, durante e dopo quelle elezioni (Riflessioni dopo le votazioni moniste, 1 luglio 2019; Votazioni moniste come farsa, 8 luglio 2019). Violazioni sia delle procedure e di quanto prevede la legislazione elettorale in vigore, ma anche della Costituzione stessa. In un paese però, come è l’Albania, dove da più di tre anni ormai la Corte Costituzionale [volutamente] non funziona più!

    Durante la sopracitata seduta del Consiglio permanente dell’OSCE è stato concordato sulla necessità di inviare una missione in Bielorussia, in seguito a quanto è successo e sta succedendo dal 9 agosto in poi. E’ stato unanimemente sottolineato però che quella missione avrà luogo soltanto dopo l’approvazione ufficiale da parte delle autorità bielorusse. Autorizzazione che, ad oggi, non è stata rilasciata. Non solo, ma il presidente Lukashenko ha fatto sapere, a più riprese, che niente di tutto ciò potrà accadere. Lo ha fatto sapere, anche senza parlare, quando si è fatto vedere con un fucile in mano e con un giubbotto antiproiettile sul corpo.

    Sono tante le somiglianze del presidente bielorusso con il primo ministro albanese. E non solo quelle che hanno a che fare con le elezioni. Loro somigliano molto nel modo in cui affrontano le proteste dei cittadini, che scendono in piazza per chiedere ed ottenere il rispetto dei propri sacrosanti diritti. Loro somigliano nel modo in cui reprimono quelle proteste. Compresi anche i tanti denunciati e spesso anche documentati casi di torture e maltrattamenti nei confronti dei manifestanti arrestati. Loro somigliano nel vistoso calo della loro presunta e pretesa “popolarità”, in seguito ai tanti scandali, ai tanti abusi con il potere, ai tanti fallimenti economici e tanto altro. Ma loro somigliano, in questi giorni, anche nella loro determinata intenzione di aggrapparsi al potere, non importa come. Lo sta dimostrando in questi giorni il presidente bielorusso, non solo con le sue dichiarazione, ma anche con degli atti concreti. Così come lo sta facendo anche il primo ministro albanese. Quest’ultimo, visto il diffuso malcontento popolare sempre in crescita, ha tolto la maschera e sta facendo di tutto per avere un terzo mandato. Ha addirittura stracciato e calpestato, nell’arco di meno di due mesi, anche l’accordo raggiunto il 5 giugno scorso sulla riforma elettorale. Il primo ministro albanese, in grosse e vistose difficoltà, ha chiesto alcuni giorni fa ai “suoi fedelissimi” di darsi da fare per avere i voti, costi quel che costi e con tutti i modi. La criminalità organizzata è a sua disposizione, com’è stata anche durante le precedenti elezioni. Anche perché, così facendo, la criminalità organizzata difende i suoi investimenti miliardari. Tutto ciò perché l’unico modo che garantisce a lui “l’incolumità” dopo tanti, continui e innumerevoli scandali e abusi, potrebbe essere soltanto un’altra la vittoria elettorale.

    Riferendosi alla presidenza di turno dell’OSCE esercitata quest’anno dall’Albania, l’autore di queste righe esprimeva, tra l’altro, nel gennaio di quest’anno, la sua convinzione che “Il governo albanese e i suoi rappresentanti ufficiali non sono in grado e perciò non possono garantire l’osservanza e l’adempimento di tutti gli obiettivi istituzionali dell’OSCE. Una simile situazione imbarazzante si poteva e si doveva evitare.” (Una presidenza del tutto inappropriate; 20 gennaio 2020). Chi scrive queste righe è convinto che le dittature e i dittatori si somigliano. Similia cum similibus comparantur. E comparando, si trovano tante cose in comune tra il presidente bielorusso e il primo ministro albanese. Chi scrive queste righe non sa se ci sarà un incontro tra Lukashenko e una rappresentanza guidata dal primo ministro albanese, nella veste del presidente di turno dell’OSCE. Ma nel caso un incontro del genere avvenisse il primo ministro albanese si troverebbe nelle condizioni del bue che dovrebbe dire cornuto ad un altro bue, suo simile. L’autore di queste righe è convinto però che sia per i cittadini bielorussi che per quegli albanesi valgono sempre le parole di Margaret Thatcher. E cioè che “Quando si ferma un dittatore, ci sono sempre dei rischi. Ma ci sono rischi maggiori nel non fermarlo”. Spetta ai cittadini di fare la loro scelta e agire di conseguenza.

  • Bugie, arroganza e manipolazioni

    Gli uomini possono essere manipolati in tutti i modi.

    George Orwell; da “1984”

    1984 e La fattoria degli animali sono i due capolavori di George Orwell dai quali ci si impara sempre. Il romanzo 1984, scritto nel 1948 e pubblicato un anno dopo, ambientato a Londra in un futuro prossimo, nel 1984, risulta essere uno dei libri tra i più letti in tutto il mondo. Il titolo stesso è una semplice permutazione delle due ultime cifre dell’anno 1948. Scrivendo quel libro, l’autore voleva diffondere un chiaro e perentorio messaggio tra i suoi lettori. Lui stesso aveva dichiarato che aveva scritto 1984 “…per cambiare il parere degli altri sul tipo di società, per la quale essi devono combattere”. E gli “altri” erano, sono e saranno sempre tutti coloro che, leggendo il libro, potessero/possano riflettere, valutare, e agire di conseguenza. Un obiettivo quello posto da Orwell, che sembra abbia superato tutte le sue aspettative, visto il grandissimo numero di lettori che hanno letto e riletto il libro, riflettendo, valutando e agendo di conseguenza. Anche l’autore di queste righe è uno tra quegli “altri”. Egli è fermamente convinto che bisogna combattere, sempre più numerosi e determinati, per non permettere mai che funzioni il modello “Oceania”, ovunque si possa presentare un simile ed eventuale pericolo. Un modello quello, descritto nei minimi dettagli e maestosamente da George Orwell.

    Oceania era una delle tre grandi nazioni in cui era diviso il mondo nel 1984. Tutto era accaduto dopo una terza guerra mondiale, una guerra nucleare, avvenuta negli anni ’50 del secolo scorso. Le tre grandi nazioni, diventate delle dittature, erano in un continuo conflitto tra di loro. In Oceania tutto veniva controllato e gestito dal “Grande Fratello” (Big Brother), il capo indiscusso dell’unico Partito, che nessuno aveva mai visto però. Un personaggio occulto, inventato da George Orwell per rappresentare il “Potere assoluto”. Un “Grande Fratello” che, tramite le manipolazioni programmate e meticolosamente attuate del cervello umano ed una spietata repressione, aveva annullato la coscienza dell’individuo e quella collettiva in Oceania. Il “Grande Fratello” che è, come concetto e come effetti prodotti, molto attuale e pericoloso in tutto il mondo, vista la diffusione mediatica, l’uso sproporzionato e, purtroppo, con delle ben evidenziate conseguenze negative. Anche per questo dobbiamo tanto alla lungimiranza di Orvell.

    Un altro chiaro messaggio che egli ci ha trasmesso è che bisogna combattere, sempre più numerosi e determinati, per non permettere mai che la cultura sia annientata dal “Potere assoluto”. Per non permettere mai che tutto ciò possa aiutare anche quella che Orwell chiamava la “Neolingua” (Newspeak). E cioè una “lingua” con un ridottissimo numero di parole attive, per ridurre, perciò, al massimo la capacità di espressione e di pensiero, individuale e/o collettivo. Una “lingua” che tende a soffocare la lingua vivente, fino a farla scomparire. Ragion per cui bisogna salvare la lingua dalla “corruzione della parola”, come scriveva Orwell.

    Bisogna combattere, sempre più numerosi e determinati, anche per non permettere mai che chiunque, un “Grande Fratello” o chicchessia, possa manipolare mentalmente il genere umano, fino al punto di attivare quello che Orwell chiamava il “Bipensiero” (Doublethink ). E cioè “la capacità di sostenere simultaneamente due opinioni in palese contraddizione tra loro e di accettarle entrambe come esatte”. Una ragione in più perché bisogna combattere, sempre più numerosi e determinati, per non permettere mai che possa funzionare quella diabolica distorsione e manipolazione mentale, ideata, programmata e attuata dal “Potere assoluto”, ovunque e in qualsiasi tempo. Per non permettere mai, come scriveva Orwell, che si possa “usare un inganno cosciente e, nello stesso tempo, mantenere una fermezza di proposito che dimostri una totale onestà: spacciare deliberate menzogne e credervi”.

    Bisogna combattere, sempre più numerosi e determinati, anche per non permettere mai più che nessun “Grande Fratello”, ovunque e in qualsiasi tempo, possa annientare tutto il passato, tutta la storia, in modo che tutto cominci con il “Potere assoluto”. Come è stato maestosamente descritto da George Orwell nel suo 1984. E cioè per non permettere mai che in qualsiasi paese ci si possa arrivare fino al punto che “La menzogna diventa verità e passa alla storia”. E che “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”, come scriveva Orwell. Per non permettere mai che si possano considerare normali delle contraddizioni come “La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù” e “L’ignoranza è forza”!

    Bisogna combattere, sempre più numerosi e determinati, anche per non permettere mai più che un “Grande Fratello”, rappresentante di qualsiasi “Potere assoluto”, possa controllare tutto e tutti con dei mezzi della tecnologia di telecomunicazione e altri potenti e diffusissimi mezzi tecnologici delle ultime generazioni. Come accadeva in Oceania, dove tramite i teleschermi, installati in ogni ambiente, non solo venivano trasmessi gli “ordini del Partito”, ma anche si controllava, in qualsiasi momento, la vita privata delle singole persone.

    Bisogna combattere, sempre più numerosi e determinati, anche per non permettere mai più che delle strutture paramilitari possano agire nel nome e per conto del  “Potere assoluto”. Come accadeva in Oceania, dove una polizia politica, la “Psicopolizia” (Thought Police), interveniva in ogni situazione sospetta e non tollerata dal “Partito”. Una struttura quella della “Psicopolizia”, parte integrante del “Ministero dell’Amore” (Miniluv), che con metodi crudeli “convinceva” tutti i “dissidenti”, oppure gli faceva tacere per sempre.

    Tutti questi sono dei chiari e molto significativi messaggi che ci ha trasmesso George Orwell con il suo ben noto romanzo 1984. Messaggi che sono attuali in ogni parte del mondo, ovunque si possa verificare la costituzione di un regime totalitario, di una dittatura. Albania compresa. Sì, perché attualmente in Albania è stata restaurata una nuova dittatura, controllata e gestita dalla criminalità organizzata e da certi raggruppamenti occulti locali ed internazionali. Una dittatura che ha nel primo ministro il “rappresentante ufficiale”. Una dittatura che sta cercando di usare una facciata di “pluralismo politico”, per ingannare soprattutto le istituzioni internazionali e/o le cancellerie occidentali. Perché ormai è incurante di quello che ne pensano i cittadini albanesi.

    Chi scrive queste righe è convinto che in Albania il “Potere assoluto” sta usando metodi simili a quelli usati nell’Oceania del 1984. Si sta facendo di tutto, in modo che la Storia cominci con l’attuale primo ministro. Si sta cercando di cancellare e, possibilmente, annientare le tradizioni e la cultura. Si sta cercando, in modo programmato, di “rinnovare” il sistema dell’istruzione. Il risultato è significativo. Soltanto negli ultimi anni è aumentato paurosamente il numero degli analfabeti funzionali tra i giovani. Sono di pubblico dominio l’ipocrisia forzata e, la sfacciataggine dei funzionari dell’amministrazione pubblica, che si contraddicono mentalmente. Espressioni “albanesi” del “Bipensiero” e della “Neolingua” orwelliana. Chi scrive queste righe è convinto che il vigliacco abbattimento dell’edificio del Teatro Nazionale ne è un’eloquente ed inconfutabile testimonianza della dittatura in azione. Delle strutture simili alla “Psicopolizia” di Orwell hanno dimostrato il 17 maggio scorso, notte tempo e in pieno periodo di chiusura per la pandemia, tutto il potere del regime. Spetta solo ai cittadini albanesi reagire determinati e sempre più numerosi per evitare il peggio. Ricordando anche quanto ha scritto George Orwell nel suo 1984. Tutto debba servire come monito e chiaro messaggio per gli albanesi rivoltosi.

  • Arrampicarsi sugli specchi

    Vorrei voler, Signor, quel ch’io non voglio.

    Michelangelo Buonarroti; da “Rime; sonetto 87”

    Così comincia il sonetto 87 delle Rime, scritto da Michelangelo Buonarroti, il grande artista del Rinascimento, che era anche un poeta. Un sonetto che esprime i dilemmi e le debolezze, compreso anche “ogni spietato orgoglio”, che tormentano l’animo umano. Rivolgendosi al Signore il poeta confessa che “I’ t’amo con la lingua, e poi mi doglio c’amor non giunge al cor”. Egli, consapevole di tutto ciò, ha bisogno della grazia divina “che scacci ogni spietato orgoglio”. Bramoso della luce del Signore, il poeta esprime un desiderio e una preghiera: “Squarcia ’l vel tu, Signor, rompi quel muro che con la sua durezza ne ritarda il sol della tuo luce, al mondo spenta!”.

    Dilemmi e contraddizioni che tormentano tutti durante la vita, per vari motivi. Sia le persone semplici che quelle che hanno ed esercitano potere. Anzi, soprattutto questi ultimi. Perché con il potere che hanno e con le loro decisioni potrebbero fare anche del male. E quel male, per vari motivi, lo possono fare consapevolmente. Oppure perché costretti. Ma se costretti, poi ne soffrirebbero dai tormenti, incapaci di reagire. Ragion per cui chiedono al Signore: “Vorrei voler, Signor, quel ch’io non voglio”. Proprio così; vorrebbero volere quello che non vogliono. O che non hanno voluto! Esprimendo anche il loro pentimento per quello che hanno fatto.

    Purtroppo in Albania coloro che attualmente hanno ed esercitano potere decisionale non solo non si pentono, ma continuano disperatamente determinati a fare del male. Anzi, a passare di male in peggio. Il primo ministro albanese è uno tra quelli. Ormai si sta comportando sempre più confusamente e sta agendo in preda alla disperazione, ma sempre più isolato e abbandonato. Ormai sembra che lo stiano abbandonando anche coloro che fino a poche settimane fa lo appoggiavano pubblicamente. Compresi anche i soliti “rappresentanti internazionali”. Ma questo non vuol dire che i danni e le dirette conseguenze del suo operato sarebbero meno preoccupanti. Anzi, i danni causati dalla disperazione e dal panico di coloro che hanno ed esercitano il potere possono essere ben peggiori. La storia sempre ci insegna. Disperato com’è dagli innumerevoli e continui fallimenti, dalla grave ed allarmante realtà nella quale si trova il paese, dai clamorosi scandali che lo coinvolgerebbero, direttamente e/o indirettamente, e forse anche dai “prezzi” che dovrebbe pagare alla criminalità organizzata e ai clan occulti per i “servizi resi”, il primo ministro albanese si sta discreditando pubblicamente sempre di più, ogni giorno che passa. Tra l’altro, e suo malgrado, adesso lui sta pagando anche il conto per tutte le bugie, gli inganni e le promesse fatte e mai mantenute. Adesso, tra l’altro e ogni giorno che passa, si sta pubblicamente demolendo e discreditando tutta la falsità del suo operato. Operato basato consapevolmente, come scelta strategica, sull’immagine e non sulla sostanza, sulla facciata, sulle messinscena, sui “successi virtuali”. Ormai sono di dominio pubblico tutte le sue innumerevoli contraddizioni con quanto ne ha dichiarato precedentemente. Ormai sono di dominio pubblico le sue innumerevoli e quotidiane bugie e inganni. Ormai stanno venendo a galla tutte le sue manipolazioni. Lui che, ad oggi, è stato sostenuto fortemente in tutto ciò anche da una potente e ben pagata propaganda, che passa spesso anche i confini del paese, adesso è in difficoltà.

    Adesso il primo ministro può usufruire delle sue bugie, dei suoi inganni, della sua disperazione e del “mondo di mezzo”. Lo sta dimostrando anche in questi giorni con l’accordo sulla Riforma elettorale, firmato il 5 giungo scorso dai rappresentanti della maggioranza e dell’opposizione nel Consiglio Politico. Il nostro lettore è stato informato subito e per due settimane consecutive, di quell’accordo e delle sue conseguenze. Accordo che, vista la realtà vissuta in Albania, dove adesso una nuova e pericolosa dittatura è operativa e funzionante, potrebbe permettere al primo ministro un terzo mandato. L’autore di queste righe è stato e rimane convinto che il contenuto di quell’accordo non garantisce elezioni democratiche, libere ed oneste. Proprio quelle elezioni, di cui hanno adesso un vitale bisogno l’Albania e gli albanesi. L’accordo sulla Riforma elettorale non è tale però. Quell’accordo, e soprattutto il modo come è stato raggiunto, ha ricordato all’autore di queste righe la montagna che, dopo tanto chiasso, partorisce un topolino, espresso maestosamente dalla fiaba di Esopo (Dittatura sostenuta anche dai ‘rappresentanti internazionali’…;8 giugno 2020). Riferendosi a tutti coloro che hanno contribuito alla firma di quell’accordo, compresi i soliti “rappresentanti internazionali”, l’autore di queste righe scriveva: “Tutti, però, hanno fatto e stanno facendo finta che l’Albania sia un paese dove quella Riforma consoliderebbe ulteriormente la democrazia (Sic!). Invece ciò che, in realtà, potrebbe consolidare la Riforma elettorale sarebbe la nuova dittatura restaurata ormai in Albania, permettendo un terzo mandato all’attuale primo ministro!”. E poi proseguiva: “…invece, con la Riforma elettorale, nelle condizioni particolari in cui si trova l’Albania, quell’approccio è stato sbagliato già in partenza. Perciò anche il prodotto finale non poteva essere quello dovuto e necessario per il paese. Nel caso dell’Accordo sulla Riforma elettorale, tenendo presente la drammatica situazione, causata, controllata e gestita da una nuova e pericolosa dittatura, negoziare, o meglio mercanteggiare, come è stato fatto, significherebbe semplicemente ignorare la sostanza e trattare dei dettagli tecnici!” (Dannosa ipocrisia in azione, come un déjà vu; 15 giugno 2020).

    Il primo ministro albanese però, cercando a tutti i costi di vincere un terzo mandato e noncurante di tutto il resto e di tutte le conseguenze, adesso sta ignorando anche quanto è stato sancito dal sopracitato accordo. La scorsa settimana ha pubblicamente proposto e chiesto dei cambiamenti alla Costituzione per permettere poi una sua “vittoria a tavolino”. Un obiettivo quello, alla base del quale è la sua sopravvivenza politica e non solo, che viola però palesemente quanto previsto dalla stessa Costituzione. Tutto ciò, mentre la Corte Costituzionale, da circa tre anni ormai, non è più funzionante. Un blocco programmato e attuato volutamente e con cura, che ha permesso al primo ministro di controllare personalmente, e/o da chi per lui, tutto il sistema della giustizia. E guarda caso, la scorsa settimana, mentre il primo ministro presentava i suoi cambiamenti della Costituzione, “inaspettatamente” hanno dato le loro dimissioni tre candidati giudici per le vacanze nella Corte Costituzionale. Il che bloccherebbe ulteriormente, almeno per altri sei mesi, la funzionalità della Corte stessa. Il che permetterebbe al primo ministro di andare avanti, non ostacolato, nella sua folle e disperata corsa verso un terzo mandato. Una realtà, questa degli ultimi giorni, che sta evolvendo di ora in ora. Il nostro lettore sarà sempre informato sugli ulteriori ed inevitabili sviluppi.

    Chi scrive queste righe è convinto che il primo ministro albanese, nella sua folle e disperata corsa verso un terzo mandato, è capace di tutto. Lui adesso si sta arrampicando sugli specchi. Chi scrive queste righe è stato sempre convinto che il primo ministro avrebbe ignorato anche le “tecnicalità” sancite dall’Accordo del 5 giungo scorso. Il primo ministro però non si pente di tutto quello che ha fatto. E perciò non chiederà mai: “Vorrei voler, Signor, quel ch’io non voglio”. Forse però chiederà al Diavolo di aiutarlo a realizzare il suo desiderio: ”Vorrei voler quel ch’io voglio! E lo voglio avere, costi quel che costi!”. Chissà però se il Diavolo lo aiuterà?! Anche perché lui non rispetta i patti. Nemmeno quelli con un primo ministro.

Pulsante per tornare all'inizio