Albania

  • Giustizia ingiusta

    Tra il crimine e l’innocenza non c’è che lo
    spessore di un foglio di carta timbrata.

    Anatole France; da “Crainquebille”

    “La maestosità della giustizia risiede tutta intera in ogni sentenza resa dal giudice in nome del popolo sovrano”. Così inizia “Crainquebille” di Anatole France. Un lungo racconto che attrae il lettore con la sua semplicità nel raccontare la vita quotidianamente vissuta e lo porta per le vie del quartiere parigino di Montmartre del XIX secolo. Proprio per quelle vie dove ogni giorno passava anche Jérôme Crainquebille. Essendo un venditore ambulante di ortaggi, da più di mezzo secolo lui spingeva la sua carretta dalla mattina alla sera per le vie di Montmartre, ripetendo sempre la stessa frase: “cavoli, rape, carote”. Tutti lo conoscevano e lui conosceva tutti. Le massaie compravano da lui quello che ad esse serviva per cucinare, mentre lui guadagnava quello che gli serviva per vivere. E tutto questo a Crainquebille sembrava conforme alla natura delle cose.

    Però un giorno, mentre scendeva per Rue Montmartre, madame Bayard, la ciabattina, uscì dalla sua bottega perché voleva comprare dei porri. Cercando di fare un prezzo comodo per se stessa, cominciò a mercanteggiare. Poi, dopo aver concordato sul prezzo, prese i porri, ma non avendo con se i soldi, andò a prenderli. Il che causò il blocco del traffico. Ragion per cui l’agente 64 chiese a Crainquebille di circolare. Cosa che lui faceva regolarmente da più di cinquant’anni; circolare dalla mattina alla sera. Con il passare del tempo aveva imparato ad ubbidire ai rappresentanti dell’ordine pubblico. Perciò quell’ordine gli sembrò normale. Era ben disposto a ubbidire all’agente 64, perché era abituato ad ubbidire alle autorità. Ma anche lui aveva però la sua buona ragione di non muoversi; attendeva i suoi soldi per i porri. E questo era un un suo diritto al quale Crainquebille non poteva rinunciare. Si trovò a decidere e scegliere tra un suo dovere e un suo diritto. E scelse il diritto di avere i suoi soldi, trascurando il suo dovere di spingere la sua carretta e non ostacolare il traffico a Rue Montmartre. Nel frattempo però la carretta di Crainquebile, ferma in mezzo alla strada, aveva intralciato il passaggio di diversi carri e altri mezzi di trasporto. Si sentivano urla e ingiurie da tutte le parti. Di fronte ad una situazione del genere all’agente 64, uomo di poche parole ma deciso nel fare il suo dovere, non rimaneva altro che agire. Tirò fuori il taccuino delle multe e si prestò a scrivere. Al che Crainquebille, con delle frasi e dei gesti disperati ma non di rivolta, cercava di spiegare all’agente 64 che attendeva i suoi soldi. L’agente però capì tutto male, credendosi insultato. E siccome per lui ogni insulto, qualunque esso fosse, prendeva nel suo cervello la forma di uno degli insulti più usati e offensivi in quel periodo dai parigini contro gli agenti, e cioè “Mort aux vaches – morte alle vacche!”, non gli rimase altra scelta. Sentendosi profondamente offeso come rappresentante delle autorità, l’agente 64 arrestò Crainquebille e lo portò al commissariato per oltraggio ad un agente della forza pubblica. Cominciò allora per Crainquebille la prima esperienza diretta con la giustizia. E quella giustizia lo dichiarò colpevole senza colpa, semplicemente perché il giudice non poteva non credere all’agente 64. Per il giudice non valse niente la testimonianza di un medico, ufficiale della Legione d’Onore, presente all’arresto, che dichiarò dietro giuramento, che Crainquebille non aveva insultato l’agente 64. Ma in quel tempo, come scrive Anatole France, “in Francia i sapienti erano dei sospetti”.

    Dopo aver scontato la pena Crainquebille, uscito di prigione, riprese a spingere la sua carretta per le vie di Montmartre. Ma trovò tutto cambiato. Le massaie non compravano più niente da lui. Il che causò a Crainquebille tanta sofferenza e disperazione. Fino al punto di voler tornare di nuovo in prigione, perché almeno lì poteva mangiare e dormire al coperto. E siccome sapeva il trucco, perché non approfittare? Bastava trovare un agente e dirli in faccia “Mort aux vaches”. E così fece. Ma purtroppo per lui, il primo agente trovato per strada, dopo aver sentito pronunciargli in faccia “Mort aux vaches”, consigliò semplicemente a Crainquebille di continuare a camminare. E come scrive Anatole France alla fine del suo racconto, “Crainquebille, la testa bassa e con le braccia a ciondoloni, s’addentrò nell’ombra sotto la pioggia.”.

    “Crainquebille” è un racconto, il cui contenuto dovrebbe servire da lezione e far riflettere tante persone, anche in Albania, su come non dovrebbe funzionare la giustizia. Soprattutto in Albania, dove la realtà con la giustizia è ben diversa e tutt’altro che normale. In Albania attualmente, prove e fatti alla mano, il sistema della giustizia risulta essere controllato dal potere politico, essendo, allo stesso tempo, radicalmente corrotto. Purtroppo attualmente in Albania ci sono tanti poveri “Crainquebille” che non trovano giustizia e vengono condannati per fatti non commessi e/o per delle accuse del tutto infondate. Tra quei tanti, ci sono anche venditori di ortaggi negli angoli delle strade di Tirana e altrove che cercando di guadagnare per sopravvivere, vengono maltrattati pubblicamente dai poliziotti e spesso finiscono anche in prigione. Proprio come accadeva a Crainquebille. Sono gli stessi poliziotti che però non osano agire contro i criminali e spesso collaborano con loro. Anche questo è un fatto ben noto ormai in Albania. Perché i criminali adesso si sentono potenti e se ne strafottono altamente sia della polizia, che dei giudici. Perché quello che importa adesso in Albania, le uniche cose che importano, sono il potere e il denaro. Con il potere, quello politico per primo, e con il denaro si fa e si controlla tutto. Anche la polizia di Stato e il sistema della giustizia.

    Il nostro lettore è stato informato continuamente, durante questi anni, della grave situazione in cui versa il sistema della giustizia in Albania. Compreso anche il diabolicamente premeditato fallimento della Riforma della giustizia. La crisi profonda e il voluto fallimento di quella Riforma lo ha ultimamente documentato e denunciato anche il presidente della Repubblica, la più alta istituzione dello Stato. Anche se quello Stato attualmente è pericolosamente controllato dal primo ministro, il quale sta cercando di rimuovere dall’incarico lo stesso presidente della Repubblica, per diventare poi, un monarca onnipotente con tutte le allarmanti conseguenze. Tutto ciò in seguito ad una strategia per non far funzionare, tra l’altro, da ormai quasi due anni, la Corte Costituzionale e la Corte Suprema. Tutto ciò dopo che tutte le procure ubbidiscono umilmente e vergognosamente agli ordini politici partiti da molto in alto. E tutto ciò con il continuo consenso e il dichiarato supporto dei soliti “rappresentanti internazionali”. I quali, però, avranno sulla coscienza, se ne hanno una, le loro malefatte in Albania a scapito degli albanesi. Ma, secondo le cattive lingue, loro avranno comunque tanti milioni per i servizi resi. E le cattive lingue spesso non parlano a vanvera.

    Chi scrive queste righe valuta che la situazione in Albania sta diventando sempre più grave e critica. Egli lo ripete da tempo ormai, ma soprattutto durante gli ultimi mesi. Credendo di conoscere le cause, egli è altresì convinto che senza sradicare definitivamente anche la giustizia ingiusta in Albania le cose andranno di male in peggio. Perché, come scriveva Anatole France riferendosi alla giustizia giusta, “Quando cresce un potere illegittimo, essa non ha che riconoscerlo per poi renderlo legittimo”. E se no, spetta soltanto agli albanesi decidere cosa fare.

     

  • Le solite bugie in attesa dell’ennesima delusione

    Ai disonesti non è permesso stare nella città di Dio.
    E’ scritto nella Bibbia: “Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori,
    gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna.”

    Libro dell’Apocalisse; 22:15

    Giovedì scorso il Bundestag tedesco, riunito in una seduta speciale, ha votato una Risoluzione sul futuro percorso europeo per l’Albania e la Macedonia del Nord. Un percorso che per l’Albania diventa sempre più difficile, mentre per la Macedonia il parere è ben diverso e positivo, nonostante abbia cominciato il suo percorso europeo dopo l’Albania.

    Nel giugno 2003 nel vertice di Salonicco si discuteva e si decideva sulla prospettiva europea per i paesi dei Balcani occidentali. Esattamente tre anni dopo l’Albania ha firmato l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con l’Unione europea. Accordo che è entrato in vigore nell’aprile 2009, dopo che l’Albania ha ufficialmente presentato la sua richiesta per diventare parte integrante dell’Unione. Nel novembre 2010 la Commissione europea pubblicava la sua Opinione positiva su quella richiesta e ufficializzava dodici priorità che l’Albania doveva adempiere prima dell’avvio dei negoziati di adesione. Una prima conferma dei progressi fatti in quel periodo nel percorso europeo del paese è stata la decisione delle Istituzioni dell’Unione europea per il riconoscimento, ai cittadini albanesi, del diritto di viaggiare senza visti d’ingresso in tutti i paesi europei, come previsto dall’Accordo di Schengen. Dopo un ostinato e ingiustificato “condizionamento” del percorso europeo per alcuni anni, da parte dell’opposizione, allora capeggiata dall’attuale primo ministro, finalmente nel giugno 2014 il Consiglio europeo riconosceva all’Albania lo status del paese candidato per l’adesione all’Unione europea. Erano passati circa otto mesi da quando il primo ministro attuale aveva giurato come nuovo capo del governo. Da allora in poi però, e purtroppo, il percorso europeo è diventato sempre più in salita per l’Albania, nonostante l’opposizione non abbia fatto le stesse o simili “manovre di condizionamento” come in passato. Nel maggio 2018, durante il vertice di Sofia tra l’Unione europea e i paesi dei Balcani occidentali, è stata confermata la prospettiva europea per la regione. In quel vertice sono state determinate anche una serie di azioni concrete per rafforzare la collaborazione, soprattutto nell’ambito della sicurezza e della legalità.

    Un anno fa, il 26 giugno 2018, durante la riunione a Lussemburgo del Consiglio dell’Unione europea, i ministri degli Affari esteri non hanno confermato la proposta della Commissione europea per aprire i negoziati con l’Albania senza condizioni. Anzi, essi hanno aumentato le condizioni poste all’Albania. Da cinque che erano prima, sono diventate sette. La condizione riguardante la riforma della giustizia aveva ben sette richieste, ognuna delle quali era una condiziona a parte. Perciò realmente erano tredici le condizioni poste all’Albania, prima dell’apertura dei negoziati! Una testimonianza significativa di come non solo non c’era stato progresso ma, anzi,che la situazione si stava deteriorando. E si trattava di condizioni legate alla corruzione, la criminalità organizzata, il traffico illecito dei stupefacenti ecc. Quella decisione del 26 giugno dei ministri degli Affari esteri è stata adottata, senza essere discussa, dal Consiglio europeo del 28 – 29 giugno 2018 a Bruxelles.

    Trovandosi in grosse difficoltà, perché prima aveva assicurato l’apertura senza condizioni dei negoziati da paese candidato all’adesione dell’Unione europea, il primo ministro ha cercato, come sempre, di mentire e di ingannare. A lui e alla sua propaganda governativa hanno fatto eco, come sempre, i media controllati e i soliti “rappresentanti internazionali”. Il 26 giugno 2018, subito dopo la decisione presa sull’Albania da parte del Consiglio dell’Unione europea, il primo ministro albanese ha cantato vittoria dichiarando fandonie. Poi, il 29 giugno 2018 il primo ministro ha, addirittura, messo in scena un pagliacciata, conferendo a quattro ambasciatori albanesi, quelli in Belgio, in Olanda, in Francia e in Germania, la medaglia di “Gratitudine del primo ministro”. E non a caso ha decorato quegli ambasciatori. Perché a Bruxelles ci sono le Istituzioni dell’Unione europea. Ma anche perché la Francia, l’Olanda e la Germania erano tutt’altro che convinte all’apertura dei negoziati. E lo hanno dimostrato in seguito, non cambiando opinione neanche attualmente. I fatti accaduti da allora in poi hanno clamorosamente smentito le dichiarazioni pubbliche del primo ministro. Ragion per cui anche quelle decorazioni si ricordano adesso come una vera e propria buffonata. Durante quei giorni del giungo 2018 e in seguito il primo ministro ha semplicemente, volutamente e spudoratamente mentito all’opinione pubblica, come suo solito. Lo conferma la sua seguente dichiarazione, riferendosi alla decisione del Consiglio europeo del giugno 2018. “Dopo 72 ore tra le onde interiori all’Unione europea, l’Albania è riuscita ad avere la data per entrare nel porto dell”Unione europea. I risultati delle nostre riforme hanno fatto sì che anche i più scettici riconoscessero il merito dell’Albania…”! Data che, ad ora, non è stata mai assegnata all’Albania. La prossima sfida sarà la riunione del Consiglio europeo del 17 e 18 ottobre di quest’anno. I segnali però sono tutt’altro che rassicuranti. Anzi!

    Tutto ciò è accaduto da giugno 2018 in poi. Ma di nuovo i segnali per l’apertura dei negoziati tra l’Albania e l’Unione europea sono tutt’altro che ottimistici. Lo conferma senza mezzi termini, almeno fino ad ora, la Risoluzione del Bundestag tedesco per l’Albania approvata il 27 settembre scorso. In quella Risoluzione è stata messa chiaramente in evidenza l’esistenza di una grave crisi politica e istituzionale nel paese causata dai preoccupanti problemi legati a corruzione,criminalità e giustizia. La Risoluzione obbliga la cancelliera Merkel a tenere presente, durante il prossimo vertice del Consiglio europeo del 17-18 ottobre, non più sette, ma ben nove condizioni sine qua non prima di consentire l’apertura dei negoziati. Le nuove nove condizioni sono divise in due gruppi. Soltanto dopo l’adempimento delle prime due si potrebbe aprire la prima conferenza ufficiale per l’adesione tra l’Albania e l’Unone europea. Mentre la seconda conferenza non si potrà aprire senza l’adempimento delle rimanenti sette condizioni. Il che significa rimandare tutto di nuovo e per chissà quanto. Le cattive lingue dicono addirittura che al primo ministro non interessa per niente l’apertura dei negoziati, anzi! Chissà perché ha considerato la Risoluzione del Bundestag una “buona notizia”?! Nel frattempo, essendo l’apertura dei negoziati una decisione da prendersi all’unanimità dal Consiglio europeo, basterebbe un solo voto negativo per spostare tutto. E sembrerebbe che lo potrebbe fare l’Olanda. Lo ha confermato nei giorni scorsi il ministro degli esteri olandese, per il quale, riferendosi all’Albania “non c’è nessuna indicazione che qualcosa sia cambiato”. Per non dimenticare poi la refrattaria Francia e qualche altro paese dell’Unione. Chissà che bugie dirà il 18 ottobre prossimo il primo ministro albanese?

    Chi scrive queste righe è da tempo convinto che l’apertura dei negoziati per l’Albania come paese candidato all’adesione nell’Unione europea significa semplicemente aver adempito tutte le condizioni prima di aprire le negoziazioni. Non il contrario. Né più e né meno! Mentre il primo ministro, mentendo e ingannando, sta cercando di vendere come successo l’ennesimo clamoroso fallimento e l’ennesima delusione. Per lui non ci sarà mai posto nella città di Dio, come è stato scritto nella Bibbia.

     

  • Cronaca di un verdetto preannunciato

    Le leggi sono ragnatele che le mosche grosse sfondano,
    mentre le piccole ci restano impigliate

    Honoré De Balzac

    Sì, era proprio la cronaca di un verdetto preannunciato quello della Corte per i Reati Gravi, letto la sera tardi del 19 settembre scorso. Verdetto che riguardava l’ex ministro dell’Interno albanese (2013 – 2017). Proprio quello che nel 2015 era stato accusato, per primo, da un funzionario della Polizia di Stato, ormai in asilo e sotto protezione in un paese europeo, perché perseguitato per quella ragione. Proprio quell’ex ministro che è stato accusato in seguito e con altri fatti concreti dall’opposizione e dai media non controllati, per la cannabizzazione dell’Albania e per il suo diretto coinvolgimento con un noto gruppo criminale che coltivava e trafficava la cannabis. Proprio quell’ex ministro però, per il quale, dopo aver, finalmente, “rassegnato le sue dimissioni” l’11 marzo 2017, l’attuale primo ministro dichiarava che lui “era il nostro campione che ha trasformato la Polizia [di Stato] da quella che era, all’istituzione più credibile”. Quanto è successo da allora in poi, dati e fatti alla mano, dimostra però l’esatto contrario sulla credibilità della Polizia di Stato e sulle falsità delle dichiarazioni del primo ministro.

    I veri grattacapi dell’ex ministro dell’Interno cominciarono il 17 ottobre 2017, quando in Italia sono stati arrestati i membri di un ben strutturato gruppo criminale che trafficava stupefacenti dall’Albania in Italia. Tra gli arrestati c’era anche il capo del gruppo e parente dell’ex ministro. Proprio uno di quelli che aveva denunciato nel 2015 il funzionario della Polizia di Stato, ormai in asilo, dopo essere stato perseguitato in Albania. Il 18 ottobre 2017 la Procura per i Reati Gravi aveva chiesto ufficialmente al Parlamento di avviare le procedure per permettere l’arresto dell’ex ministro, in quel periodo deputato. Da quel momento in poi, la maggioranza governativa, per motivi politici e ben altri ancora, tramite i suoi rappresentanti nelle apposite commissioni parlamentari, ha cercato di ritardare il processo per la revoca dell’immunità parlamentare all’ex ministro. Alla fin fine e grazie a tutto il necessario appoggio istituzionale e altro, per l’ex ministro non c’è stato nessun arresto. Lui ha seguito il processo giudiziario da cittadino libero. L’ex ministro, all’inizio, è apparso veramente abbattuto nelle sue uscite pubbliche. “Io verrò arrestato, io sto andando in prigione. Il Parlamento è stato radunato a votare per decidere se andrò in prigione o no”. Così dichiarava lui il 19 ottobre 2017, durante una trasmissione televisiva in prima serata e dopo che anche il primo ministro aveva fatto chiaramente capire, con una sua dichiarazione su Facebook, che aveva abbandonato il suo prediletto e “ministro campione”. Soltanto all’inizio però, perché dopo qualche giorno l’ex ministro ha cambiato completamente atteggiamento. La sua nuova strategia si basava sulle minacce tramite chiari messaggi in codice. Cosa che ha continuato a fare anche in seguito. Lo ha fatto anche prima della sopracitata seduta del 19 settembre scorso della Corte per i Reati Gravi e continua a farlo in questi giorni. Perché non si sa mai e tutto può ancora succedere. Sono dei messaggi che, tenendo presente quanto è accaduto in Albania durante questi ultimi anni, si indirizzerebbero al primo ministro e ad alcuni ex colleghi e/o alti rappresentanti della maggioranza governativa. Usando proprio delle frasi offensive, dette dal primo ministro in altre precedenti occasioni, nonché allusioni ai “fratelli” coinvolti in affari di droga. In Albania tutti sanno a quali fratelli l’ex ministro fa riferimento. Ed essendo stato titolare per quasi quattro anni del ministero dell’Interno, l’ex ministro potrebbe avere documenti, registrazioni e filmati che potrebbero coinvolgere veramente anche dei fratelli delle persone ai massimi livelli dell’attuale gerarchia politica in Albania. Lì, dove tutti sanno che se l’ex ministro dell’Interno ha fatto quello per il quale è stato pubblicamente accusato, mai e poi mai poteva farlo senza il beneplacito del primo ministro. Anzi, in Albania tutti sono convinti che l’ex ministro ha semplicemente eseguito degli ordini ben precisi, seguendo una ben dettagliata strategia. Strategia basata sulla connivenza del potere politico con la criminalità organizzata per permettere al primo il mantenimento e il consolidamento del potere politico e all’altra ingenti guadagni miliardari. Si valuta che soltanto nel 2016 gli introiti dal traffico illecito della cannabis siano stati di circa un terzo del prodotto interno lordo dell’Albania! E si tratta soltanto di una valutazione approssimativa.

    In seguito ai primi messaggi in codice dell’ex ministro, che si pensa siano stati direttamente indirizzati al primo ministro, quest’ultimo ha cambiato completamente atteggiamento nei suoi confronti. Ha cominciato ad attaccare a spada tratta, come suo solito, i media e i procuratori che si stavano occupando del caso. Procuratori i quali, nella sopracitata richiesta ufficiale indirizzata al Parlamento, chiedendo l’avvio delle procedure per l’arresto dell’ex ministro, erano convinti che lui fosse coinvolto, appoggiasse e facilitasse le attività del sopracitato gruppo criminale. Riferendosi ai procuratori del caso, ai quagli all’inizio chiedeva soltanto di fare giustizia fino in fondo, dopo i messaggi in codice dell’ex ministro, il primo ministro ha cambiato radicalmente opinione. Lui si “meravigliava” e si chiedeva “…dove è stato trovato questo zelo sconoscituo da una Procura per i Reati Gravi, che non ha mosso un dito da quando è stata costituita….?”.

    Da allora in poi tante cose sono cambiate radicalmente, anche per “salvare” l’ex ministro. Perché salvando lui il primo ministro salva tante altre cose e, secondo le cattive lingue, salva anche se stesso. E tutto ciò in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore e nell’ambito dell’ormai pubblicamente fallita “Riforma di Giustizia”. Così, violando quanto stabilisce la Costituzione, è stato votato in Parlamento, o meglio dire nominato, il nuovo procuratore generale provvisorio, termine quello inventato appositamente, perché non esisteva da nessuna parte. Poi, in seguito, è stato nominato il capo della Procura per i Reati Gravi. Tutti e due delle persone ubbidienti agli ordini politici del primo ministro, come i tanti fatti ormai accaduti lo dimostrerebbero. Tra i primi atti ufficiali dei nuovi nominati ci sono state le rimozioni dal caso del ministro dell’Interno, di tutti i procuratori. I nuovi incaricati per più di un anno e mezzo, guarda caso, non sono riusciti a portare alla Corte per i Reati Gravi delle prove per sostenere l’accusa formulata dai loro colleghi, precedentemente rimossi dall’incarico. E le prove, secondo chi se ne intende, sono state tante e convincenti. Tutto per arrivare ad un preannunciato verdetto. Quello letto la sera tardi del 19 settembre scorso. Verdetto che ha condannato l’ex ministro soltanto per “abuso d’ufficio”. A causa del rito abbreviato la condanna è stata ridotta a 3 anni e 4 mesi di affidamento in prova al servizio sociale e il divieto di svolgere funzioni pubbliche. Sono state respinte “per mancanza di prove” le accuse di “traffico di sostanze stupefacenti” e “associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga”!

    Chi scrive queste righe è convinto che il processo a carico dell’ex ministro dell’Interno rappresenta un’ulteriore testimonianza del totale fallimento della Riforma della giustizia e del pieno controllo del sistema e dello Stato da parte del potere politico. Purtroppo con il preannunciato verdetto del 19 settembre scorso si è verificato in Albania quanto scriveva Balzac circa due secoli fa. E cioè che le leggi sono ragnatele che le mosche grosse sfondano, mentre le piccole ci restano impigliate.

     

    23 settembre 2019

  • Stato o banda di ladri

    Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati,

    se non delle grandi bande di ladri?

    Sant’Agostino

    Lo Stato è una forma di organizzazione politica di una collettività sociale, tenendo presente anche che per politica, dall’antichità, si considerava l’insieme degli argomenti di discussione, di interesse e di trattazione che concernevano la vita pubblica di una determinata comunità. Comunità che vivevano in territori ristretti. Le città-Stato, ben note nella Grecia antica, rappresentano una forma primaria di organizzazione dello Stato che troviamo fino al medioevo, sia in alcune popolazioni europee e mediterranee, che nelle civiltà precolombiane oltreoceano.

    Lo Stato viene definito come un’entità giuridica e politica, risultante dall’organizzazione della vita di un popolo su un territorio sul quale esso esercita la propria sovranità. In uno Stato perciò, perché esso possa essere considerato tale, dovrebbero coesistere e funzionare contemporaneamente un ordinamento politico e un ordinamento giuridico, come l’insieme delle norme giuridiche che regolano la vita dei cittadini all’interno del territorio.

    La Rivoluzione francese, iniziata con la ribellione di Parigi del 14 luglio 1789, culminata, lo stesso giorno, con l’assalto e la presa della Bastiglia, prigione e simbolo del dispotismo, diede vita anche alla costituzione degli Stati democratici, che hanno come basi intrinseche i concetti fondamentali dello Stato di diritto. I primi elementi dello Stato di diritto si trovano nell’antichità. Per poi arrivare agli sviluppi in Inghilterra nel XIII secolo, sia con l’approvazione della Magna Carta Libertatum, nel 15 giugno 1215, che garantiva alcuni diritti per i sudditi del re Giovanni, sia con l’imposizione di alcune regole, che rappresentavano una significativa novità: per la prima volta i depositari del potere legislativo erano insieme, sia il re che il Parlamento. In seguito, definizione ancora attuale,  con Stato di diritto si intende uno Stato determinato e vincolato dai diritti sanciti nella sua Costituzione. Perciò l’esistenza e il buon funzionamento di uno Stato di diritto presuppongono, tra l’altro, anche la separazione dei poteri e l’esistenza di una Corte Costituzionale che possa controllare e garantire che i poteri rimangano separati e che non interferiscano l’uno con altri. In uno Stato di diritto si devono garantire tutti: i diritti umani, i diritti politici e l’uguaglianza giuridica.

    Cosa che, purtroppo, non sta succedendo ultimamente in Albania. Dopo la caduta della dittatura comunista nel 1991 e durante un lungo e travagliato periodo di transizione, si sta cercando di costituire uno Stato di diritto. L’Albania continua anche il suo percorso di democratizzazione, essendo però un paese con una democrazia ibrida o fragile, a seconda delle valutazioni fatte dalle istituzioni internazionali specializzate. Per varie ragioni, sia legate agli sviluppi interni che a quelli internazionali, il percorso democratico del paese sta subendo continui colpi. Si sta cercando che più che una società e un paese democratico l’Albania diventi un paese che possa garantire una certa stabilità interna e regionale. A scapito della democrazia però. Una scelta e una decisione delle cancellerie e delle istituzioni europee le cui ripercussioni stanno aggravando la situazione interna del paese. Perché da quella “scelta strategica” per la stabilità a scapito della democrazia, colui che ne approfitta e gode è il primo ministro. E, tramite lui, che ormai si trova con le mani libere, ne approfittano anche certe congregazioni occulte e la ben presente e pericolosa criminalità organizzata. Una diretta conseguenza della scelta di “chiudere un occhio e tollerare” in cambio della “garanzia di stabilità” è anche lo sgretolamento e l’annientamento dello Stato in Albania. Perché, purtroppo, in Albania lo Stato non funziona più. È stato catturato e preso in ostaggio. Una grave e pericolosa realtà questa che ormai non riesce a coprirla neanche il primo ministro e la sua potente e ben organizzata propaganda governativa. Da qualche tempo a questa parte il primo ministro non si vanta più, come faceva regolarmente prima, che “sta costituendo lo Stato”. Perché egli ormai lo sa che lo Stato è lui e ne gode. Come ne godeva Luigi XIV quando, sfidando il Parlamento, nell’aprile 1655, proclamava “L’État, c’est moi – lo Stato sono io!”

    Tra le tante prove eloquenti della realtà albanese è anche il contenuto del Rapporto finale per le votazioni moniste del 30 giugno scorso, presentato ufficialmente a Tirana il 5 settembre scorso dall’ODIHR (Office for Democratic Institutions and Human Rights), che è un importante ufficio, parte integrante dell’OSCE. I suoi rappresentanti hanno osservato e seguito tutte le fasi delle sopracitate votazioni moniste. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito e a più riprese della farsa di quelle votazioni moniste, nonché di tutte le palesi violazioni della Costituzione e delle leggi in vigore in Albania, mentre la Corte Costituzionale non funziona da quasi due anni.

    Il sopracitato Rapporto sulle votazioni moniste del 30 giugno 2019 in Albania rappresenta un’inequivocabile testimonianza della presa in ostaggio e del totale controllo dello Stato. Nelle 36 pagine del Rapporto si evidenziano tantissimi fatti che dimostrano la cattura dello Stato da parte del potere politico. Il che in Albania significa controllo diretto e personale da parte del primo ministro, da chi per lui e/o per conto di chiunque altro da parte sua. Sono tante e diverse le violazioni evidenziate dai rappresentanti e dagli osservatori dell’OSCE/ODIHR. Si riferiscono sia al processo stesso delle votazioni, sia alle istituzioni che, per legge, dovevano gestire tutto il processo.

    Ma tra le tante conferme dirette e/o indirette della cattura dello Stato, evidenziate nel Rapporto, una merita particolare attenzione. Perché si riferisce al Presidente della Repubblica che aveva firmato due decreti riguardo alla data delle elezioni amministrative. Con il primo annullava il 30 giugno, mentre con il secondo decretava il 13 ottobre 2019 come nuova data per le elezioni. Ebbene, nessuno dei decreti del presidente della Repubblica è stato preso in considerazione, anche se la Costituzione e le leggi obbligavano tutti a farlo. Il Rapporto evidenzia tutto ciò e lo considera come violazione. Non solo ma considera come grave violazione anche il fatto che il secondo decreto non è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, come prevede e obbliga la legge! Nel Rapporto dell’ODIHR si evidenzia che “Il Decreto del presidente della Repubblica per fissare il 13 ottobre come giorno per le elezioni amministrative non è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica d’Albania, anche se la pubblicazione di questo atto del presidente della Repubblica è obbligatorio per legge”! Ed è soltanto una delle tante, tantissime violazioni evidenziate dal Rapporto.

    Chi scrive queste righe è convinto dell’urgenza di salvare lo Stato in Albania. Proprio quello Stato che è stato preso in ostaggio e annientato nelle sue funzioni. Perché l’annientamento dello Stato rappresenta un gravissimo allarme e una situazione di massima pericolosità per le sorti del Paese e della nazione. Perché ormai in Albania si sta restaurando una nuova dittatura con tutte le inevitabili e drammatiche conseguenze. La memoria storica dal 1945 fino al 1990 insegna tutto a tutti. Gli albanesi si devono rendere conto, prima possibile, di questo imminente pericolo e devono agire decisi. L’insegnamento di Sant’Agostino, che se non è rispettata la giustizia lo Stato diventa una grande banda di ladri, deve servire a tutti loro da lezione. Domani sarà troppo tardi!

  • Indispensabile cambiamento, ma come e da chi

    Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.

    Giuseppe Tomasi di Lampedusa; “Il gattopardo”

    Così disse Tancredi allo zio, il principe Fabrizio Salina, che ancora non aveva deciso quello che si doveva fare, mentre Garibaldi e i suoi stavano avanzando sul territorio dell’isola. Quanto accadeva in Sicilia nel 1860 è stato maestosamente raccontato da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo famoso romanzo “Il gattopardo”. Era un periodo di grandi trasformazioni in tutto il paese. Si stava andando verso l’Unità d’Italia, lasciando dietro il passato legato ai Borboni. Era il tempo in cui Garibaldi, partito dalla Sardegna all’inizio di maggio del 1860 con la sua spedizione dei Mille, era già sbarcato a Marsala, in Sicilia, e stava conquistando l’isola.Tancredi, un giovane avvenente, chiaro nelle sue idee e aspettative, aveva deciso di unirsi al movimento di Garibaldi, convinto dell’inevitabilità della caduta dei Borboni e dei sicuri vantaggi che le nuove classi emergenti avrebbero avuto appoggiando i nuovi venuti. Le cose stavano cambiando e a questi cambiamenti si dovevano adattare anche i nobili siciliani. Compreso il principe Fabrizio Salina.

    Dopo quasi un secolo e mezzo anche l’Albania ha vitale bisogno di un indispensabile, vero e duraturo cambiamento. Ma la domanda che viene naturale è: chi lo farà questo cambiamento in Albania? Di certo non lo possono fare quelli che governano adesso, i figli e i nipoti dei dirigenti della dittatura comunista. Non lo possono fare neanche gli arrivisti e i “parvenu” che si aggrappano al potere politico a tutti i costi e senza moralità alcuna. Non lo possono fare i castrati rappresentanti della società civile a servizio del potere politico, che traggono ingenti finanziamenti e altri vantaggi per gli ordinati servizi resi. E neanche altri “attivisti” che si spacciano come contrari alle ingiustizie di ogni genere. Quelli che l’unica capacità che hanno è quella di “annusare l’evento propizio” e di essere presenti, inghiottendo i microfoni e urlando a squarciagola per “rendersi visibili ed importanti” e alzare il prezzo. L’indispensabile cambiamento in Albania non lo possono fare neanche certi rappresentanti non convincenti dell’attuale opposizione politica, i quali, da alcuni anni a questa parte, hanno costantemente dimostrato di non essere in grado di suscitare la fiducia dei cittadini, causando, invece, la delusione, l’indifferenza, l’apatia e tanto altro. Perché le promesse fatte e mai mantenute portano a tutto ciò. No! Nessuno di loro lo può fare. Perché il vero cambiamento in Albania potrebbe venire soltanto da persone responsabili, oneste e con integrità.

    Chiunque conosca la storia e la realtà albanese, leggendo “Il gattopardo” trova, inevitabilmente, delle similitudini caratteriali tra i siciliani e gli albanesi. Nel bene e nel male. Dovuto al loro passato, sia quello sotto l’impero ottomano durato cinque secoli, che quello sotto la dittatura comunista, gli albanesi non hanno sviluppato la loro coscienza civile e la loro sensibilità riguardo ai propri diritti e doveri di liberi cittadini. Perciò anche adesso non riescono a rendersi conto e non reagiscono per i loro diritti calpestati e/o negati. Ovviamente non tutti gli albanesi sono indifferenti e apatici riguardo alle loro sorti. Ma non sono pochi neanche gli altri che, per vari motivi, non riescono a ragionare e/o reagire. Forse la mentalità ereditata di obbedire e servire il “potente di turno”, invece di reagire da persone libere, fa la sua parte. E finché gli albanesi non conosceranno i propri diritti, partendo da quelli innati, come il diritto della vita e della libertà, essi non riusciranno mai neanche ad essere e agire da persone libere. E perciò, continueranno a subire.

    Come accadeva nella Sicilia raccontata da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, dove i siciliani, subendo diverse occupazioni e domini, erano diventati indifferenti, adattandosi alla situazione, senza agire. Era convinto di tutto ciò il principe Fabrizio Salina. Era convinto che i siciliani non potevano cambiare perché, secondo lui, i siciliani si erano adattati agli invasori. Il che aveva annientato la loro voglia di fare e di agire, procurando soltanto indifferenza, apatia e ozio. E quella convinzione il principe gliela disse a modo suo, pacatamente ma chiaramente, anche al rappresentante della corona Sabauda, venuto appositamente per proporgli di essere senatore del Regno. Proposta che il principe rifiutò con garbo, perché era convinto che quello che stava accadendo non era altro che la ripetizione di quanto era accaduto nell’isola più volte nel corso della sua storia. Senza cambiare niente e nessuno.

    Come niente realmente sta cambiando in Albania. Perché ormai l’Albania si trova di nuovo sotto una nuova dittatura. Una dittatura che si nasconde dietro una subdola e ingannevole parvenza di democrazia. Il che la rende alquanto pericolosa, anche perché si basa sulla connivenza del potere politico con la criminalità organizzata e con alcuni clan occulti di una certa oligarchia.

    In Albania ormai, dopo quasi trent’anni dalla caduta dell’atroce regime comunista, si stanno distruggendo e stanno cadendo, uno dopo l’altro, i pilastri della democrazia. Quei pilastri dei quali parlavano ed insistevano tanto Platone e Aristotele già più di duemila anni fa. Pilastri che aveva ben definito quasi tre secoli fa Montesquieu, il quale era convinto dell’imperativo “Il potere arresti il potere”. E si riferiva ai tre poteri, i veri pilastri della democrazia: il potere legislativo, quello esecutivo e il potere giudiziario. In Albania ormai sono caduti due dei pilastri. Dopo che il primo ministro, fatti alla mano, ha messo sotto controllo il Parlamento, cioè il potere legislativo, facendolo diventare un suo notaio, adesso lui controlla anche quello giudiziario. Soltanto quanto sta accadendo durante questi ultimi mesi prova senza ambiguità alcuna che il primo ministro controlla personalmente tutte le procure, partendo dalla Procura Generale e la Procura per i Crimini Gravi. Perciò la Riforma della Giustizia, che doveva cambiare sostanzialmente e significativamente il sistema, rappresenta ormai un eloquente ed inequivocabile esempio di come hanno volutamente ed intenzionalmente cambiato tutto per non cambiare niente.

    Chi scrive queste righe ricorda quanto diceva il principe Fabrizio Salina, personaggio principale de “Il gattopardo”. E cioè che “Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra”. Il simbolismo è molto significativo e vale non solo per la Sicilia e i siciliani nel periodo dell’Unità d’Italia. Chi scrive queste righe pensa che la convinzione del principe Fabrizio “Il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di “fare”. […] Il sonno è ciò che i siciliani vogliono”, possa servire, nei nostri giorni e per altre popolazioni, come cosa da non fare assolutamente. Guai ad un popolo che non fa niente e dorme! Ammonimento che vale anche e soprattutto per gli albanesi, costretti di rivivere un nuovo periodo di dittatura. Chi scrive queste righe è convinto che quanto diceva Tancredi allo zio, il principe Fabrizio Salina, debba essere un chiaro messaggio che devono tenere presente tutti gli albanesi responsabili e consapevoli. Adesso e nei giorni a venire. E cioè che bisogna impedire, costi quel che costi, a tutti quei farabutti politici che stanno cercando di fare lo stesso: cambiare tutto per non cambiare niente.

  • Che fatica essere credibili

    Si potrebbe concludere che più un bugiardo ha successo, più gente riesce a convincere,
    più è probabile che finirà anche lui per credere alle proprie bugie.

    Hannah Arendt

    Nonostante il caldo del mese appena passato, tante cose sono successe in due paesi vicini, divisi dal mare Adriatico. Nonostante le differenze nello sviluppo economico, democratico e nelle tradizione storiche e culturali in quei due paesi, una cosa però le accomuna: l’irresponsabilità di una certa classe politica che si aggrappa al potere, costi quel che costi, per rimanere a galla.

    In Italia si è aperta una crisi governativa. Accadeva l’8 agosto scorso. Al presidente del Consiglio è stato chiesto dal suo vice e ministro dell’Interno di “prendere atto che non c’è più la maggioranza”. Convinto, quest’ultimo, che era arrivato il momento di “restituire rapidamente la parola agli elettori”. Lui è stato duro anche con gli alleati di governo. Tutto quello che è successo in seguito ha dimostrato però che la decisione del ministro dell’Interno risulterebbe essere stata fatalmente sbagliata per lui. Nei giorni seguenti l’8 agosto, si era capito che si stava andando non verso nuove e anticipate elezioni, ma verso una nuova alleanza, escludendo però il ministro dell’Interno. Rendendosi conto di questo fatto, lui ha teso di nuovo la mano al suo alleato di governo, proponendogli, secondo quest’ultimo, addirittura di essere il presidente del nuovo governo. Tutto ciò ha costretto il ministro dell’Interno ad affrontare una strana e alquanto bizzarra situazione di debolezza politica e di “ritardato ripensamento”. Ma invano, perché i dadi erano già stati tratti. E non a suo favore, anzi! Chiare evidenze sono state rese pubbliche anche durante la seduta straordinaria del Senato il 20 agosto scorso. In quell’occasione il presidente del Consiglio ha annunciato le sue dimissioni, aprendo così l’attesa crisi governativa. Durante il suo lungo discorso in Senato, egli non ha risparmiato dure critiche al suo vice e ministro dell’Interno. Rivolgendosi a lui ha detto: “promuovendo questa crisi di governo ti sei assunto una grande responsabilità di fronte al paese: hai annunciato questa crisi chiedendo pieni poteri…”. Il presidente della Repubblica, rispettando ed eseguendo i suoi doveri e diritti costituzionali, dopo le consultazioni con i rappresentanti delle istituzioni e dei partiti parlamentari, il 29 agosto scorso ha sciolto la riserva. Egli ha dato di nuovo l’incarico al dimissionario presidente del Consiglio di formare il nuovo governo. Un governo basato su un’altra alleanza, anch’essa insolita e strana, visto quanto è accaduto pubblicamente da più di un anno a questa parte. Non solo, ma tutti e due sono dei partiti che hanno regolarmente e significativamente perso in tutte le competizioni elettorali, dal marzo 2018 in poi. Compresa anche quella delle elezioni per il Parlamento europeo, a fine maggio scorso. Tutto il resto è e sarà cronaca di questi giorni. Ma quanto è accaduto in Italia durante lo scorso mese caldo d’agosto, in seguito alla crisi governativa, ha anche e purtroppo palesemente dimostrato fino a quanto e dove si potrebbe arrivare grazie ai “giochi di palazzo”, l’immoralità e l’irresponsabilità politica.

    Nel frattempo, durante il mese caldo d’agosto, in Albania ha continuato a consumarsi la grave crisi politica, istituzionale e sociale iniziata lo scorso febbraio. Crisi che si sta aggravando ogni giorno che passa e che ha come principale responsabile il primo ministro, sia istituzionalmente che personalmente. Crisi che non si potrebbe risolversi neanche con le “acrobazie verbali” del primo ministro per “togliere il marcio” di dosso e buttarlo altrove, non importa a chi. Un suo usuale comportamento, una sua viscerale insistenza quella di non riconoscere e di non assumere le sue responsabilità, passandole agli altri, è una sua costanza caratteriale e una scelta ben nota da anni. Durante questo ultimo mese ne ha dato però ulteriori, irrisori e miseri esempi.

    Che da anni il primo ministro albanese seguisse una ben precisa e dettagliata strategia per prima accedere al potere e poi mantenerlo a tutti i costi, si è capito senza alcun dubbio e pubblicamente. Si è capito anche che quella strategia, elaborata negli ambienti occulti, soprattutto oltreoceano, prevede il coinvolgimento della criminalità organizzata, degli oligarchi, dei media e, da più di un anno, anche del sistema della giustizia. In tutto ciò ormai, dati e fatti alla mano, risulterebbe una strategia che ha raggiunto egregiamente i propri obiettivi. Durante gli ultimi mesi ci sono state ulteriori prove a conferma di tutto ciò.

    Il nostro lettore è ormai ben informato della farsa anticostituzionale delle votazioni moniste del 30 giugno scorso. Ma nonostante ciò, il primo ministro ha insistito e ha proseguito nella sua folle corsa anticostituzionale e in palese violazione delle leggi in vigore in Albania, per accaparrare anche la gestione di tutta l’amministrazione locale. Lo ha fatto spudoratamente e con la sua solita arroganza istituzionale e personale. Lo ha fatto, anche se l’astensionismo durante le votazioni moniste del 30 giugno scorso ha superato mediamente l’80%, con punte di più del 90%!

    Durante questi mesi caldi d’estate altri scandali si sono verificati in Albania. Alcuni appositamente fatti accadere per deviare l’attenzione dell’opinione pubblica dalla grave crisi e le sue vere cause, altri sfuggendo al controllo di chi di dovere. Il nostro lettore sarà informato a tempo debito di tutto ciò.

    Ma durante questi mesi caldi d’estate, e rimanendo in tema delle votazioni moniste, anche i dirigenti dell’opposizione albanese non hanno smentito se stessi. Prima del 30 giugno avevano promesso pubblicamente di non permettere, anche con la forza, che accadesse quella farsa elettorale anticostituzionale. Poi, alcuni giorni prima, hanno cambiato strategia. Una loro scelta. Forse anche giusta, visti determinati “comportamenti internazionali”. Ma anche’essi, recidivi nel promettere e mai mantenere le loro promesse, hanno di nuovo deluso. Non solo, ma hanno proseguito con il loro “vizio”. Dopo il 30 giugno i dirigenti dell’opposizione hanno promesso che non avrebbero permesso ai nuovi sindaci di entrare negli uffici. Di nuovo delle promesse clamorosamente deluse! È proprio un vizio il loro: promettono e poi fanno finta di niente. Come se non fossero stati loro stessi ad aver pronunciato quelle parole e aver fatto appelli di “ribellione” e di “lotta intransigente contro il male”! E come se niente fosse, dopo che il primo ministro ormai controlla anche tutta l’amministrazione locale, i dirigenti dell’opposizione hanno promesso che a settembre sarà (veramente?) la fine del male. Rimane tutto da vedere, ma con molta, tanta e ben giustificata riserva.

    Proprio un anno fa il nostro lettore ha potuto leggere l’articolo dell’autore di queste righe “Ormai è già settembre” (Patto Sociale n. 322). Non a caso il titolo, perché i massimi rappresentanti dell’opposizione avevano allora promesso azioni decise per mettere ordine e ripristinare l’ordine democratico in Albania, partendo dal governo. Ma niente è accaduto in seguito. Chissà perché!

    Chi scrive queste righe testimonia che quanto sopracitato è accaduto realmente in Albania durante questa calda estate. Egli è convinto che, purtroppo, quello che sta accadendo in Albania non stupisce più. Anche perché per i politici è una grande fatica essere credibili. Ma quello che sta accadendo in Albania dovrebbe preoccupare sempre di più. E non solo gli albanesi.

  • Palcoscenico salvato

    Io considero il mondo per quello che è: un palcoscenico dove ognuno deve recitare la sua parte.

    William Shakespeare; “Il mercante di Venezia”

    Per la prima volta dopo più di un anno, da quando cioè, in seguito ad un abusivo ordine governativo, il Teatro Nazionale è stato chiuso, sabato scorso è ripresa l’attività artistica. Sul palcoscenico di una sala pulita e messa in ordine poco prima che iniziasse lo spettacolo dai cittadini che ogni sera si radunano sulla piazzetta del Teatro è salito un attore che ha recitato un monodramma. La scelta non è stata casuale, visto il suo contenuto molto attuale e significativo. È stata una sfida diretta al primo ministro. Una sfida alla sua arroganza, istituzionale e personale, nonché al suo operato peccaminoso. Una sfida diretta a lui che, da tanti anni, ha fatto di tutto per demolire quell’edificio con la scusa di essere impraticabile perché pericolante e non adatto a spettacoli teatrali, perché non soddisfaceva i parametri tecnici richiesti. Sabato scorso si è dimostrato, tra l’altro, che quella sala rimane tuttora una delle migliori in Albania, anche per la sua acustica, nonostante le continue bugie denigratorie del primo ministro, dei suoi sottomessi e della frenetica propaganda governativa. E nonostante lo avessero volutamente trascurato come edificio, in modo che degradasse con il tempo per poi giustificare la demolizione. Quanto è accaduto sabato scorso, 27 luglio, in quella sala, ha dimostrato il contrario. La sala riempita di spettatori, molti dei quali anche in piedi, è stata la migliore risposta all’occulto e abusivo progetto personale di lunga data del primo ministro per distruggere quell’edificio e poi costruire delle torri in cemento armato nel pieno centro di Tirana. I cittadini hanno finalmente capito tutto e sono veramente indignati. Ragion per cui prima che iniziasse la recitazione di sabato scorso sul palcoscenico del Teatro Nazionale tutti gli spettatori in coro hanno cominciato a gridare “Teatro, Teatro” e “Abbasso la dittatura!”.Tutto ciò dopo che per tutto mercoledì scorso, fino a sera tardi, i cittadini e gli artisti non hanno permesso il compimento di un atto vergognoso e pericoloso, cominciato lo stesso giorno, di prima mattina. Atto che dovevano portare a compimento le ingenti forze speciali della polizia di Stato che avevano circondato l’area intorno al Teatro Nazionale. Come se si trattasse di un allarme di elevato pericolo derivante da attacchi terroristici. Invece no. Hanno circondato l’area, ben intenzionati ad agevolare lo svuotamento dell’edificio del Teatro Nazionale. Per poi portare finalmente al compimento il diabolico, corruttivo e scandalistico progetto del primo ministro. Proprio quel progetto ideato vent’anni fa, quando lui era ministro della cultura. Da allora quel progetto è diventato una sua idea fissa ma mai realizzata, grazie soprattutto alle diverse proteste e le contestazioni degli artisti e dei cittadini agli inizi degli anni 2000. Ma da allora le ragioni che hanno sempre spinto il primo ministro a voler realizzare quell’osceno delitto urbanistico sono aumentate. Ed è aumentato enormemente anche il suo potere decisionale. Perché ormai lui controlla quasi tutto, diventando così un autocrate che sta portando l’Albania verso un nuovo regime. Una nuova dittatura gestita da lui, in stretta alleanza con la criminalità organizzata e con certi poteri occulti. Ormai ci sono molto fondate e convincenti ragioni per credere che il progetto di demolire il Teatro Nazionale e poi costruire, al suo posto, dei grattacieli in pienissimo centro della capitale, non è prima di tutto una scelta architettonica. È bensì una scelta che permetterebbe il riciclaggio del denaro sporco. Si tratterebbe di miliardi di euro, provenienti dai traffici illeciti delle droghe e altre attività criminali e di corruzione.

    All’inizio di giugno dell’anno scorso, per portare a compimento il progetto, in Parlamento è stata approvata una legge speciale, solo con i voti della maggioranza governativa. Proprio quella legge che doveva permettere l’attuazione del sopracitato progetto abusivo, clientelistico e corruttivo del primo ministro. Una legge in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore, ma che non poteva essere contestata più presso la Corte Costituzionale, semplicemente perché quella Corte non funzionava più. E non per caso, come è stato dimostrato chiaramente da circa due anni ormai, in tante altre occasioni. Una legge che non è stata mai decretata dal presidente della Repubblica e che viola anche le normative europee, essendo l’Albania un paese che ha firmato l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l’Unione europea. Ma per garantire la riuscita di quella diabolica impresa e scavalcare i tanti palesi e insormontabili ostacoli legali, hanno trovato la soluzione tramite la legge speciale. Proprio di quel tipo di leggi che, come prevede la Costituzione, si adoperano soltanto in casi eccezionali, come conflitti armati, invasioni e altre determinate e previste emergenze. Mentre fare una legge speciale per la demolizione del Teatro Nazionale e passare tutta l’area ad un privato prescelto dal primo ministro, per poi costruire dei grattacieli, era tutt’altro che un caso eccezionale e/o un’emergenza! Era però chiaramente una legge che permetteva di prendere due piccioni con una fava. Prima si garantiva il riciclaggio di enormi quantità di denaro sporco da investire in edilizia e poi si garantivano, a lungo andare, “puliti” guadagni, altrettanto enormi, dai ricavati delle attività svolte in quegli edifici. Intanto la misera scusa del primo ministro e dei suoi ubbidienti sostenitori pubblici riguardo la mancanza dei fondi pubblici per finanziare la ricostruzione dell’edificio del Teatro Nazionale fa ridere anche i polli in Albania. Di tutto ciò il lettore è stato informato a tempo debito e a più riprese, dal giugno 2018 in poi (Patto Sociale n. 316, 361 ecc,). Durante questi ultimi giorni anche i media internazionali stanno rapportando con professionalità su quanto sta accadendo. Nel frattempo però, nessuno dei soliti “rappresentanti internazionali” in Albania si è reso conto di tutto ciò. Sono gli stessi che, in simili casi gravi, non vedono, non sentono e non capiscono niente. Chissà perché?! Intanto, il 24 luglio scorso, i rappresentanti dell’Alleanza per la difesa del Teatro hanno scritto una lettera al Parlamento europeo, informando su quanto stava accadendo quel mercoledì. Con quella lettera si chiedeva urgentemente, a chi di dovere, “l’appoggio politico, istituzionale, morale ed umano” affinché “questo progetto culturicida del governo albanese venisse fermato prima che fosse tardi’.

    Il 17 giugno scorso, trattando quanto stava succedendo da un anno con la protesta in difesa del Teatro Nazionale, l’autore di queste righe scriveva che in tutto ciò si doveva tanto alle anime nobili dei semplici cittadini e di alcuni artisti e registi. Dopo mercoledì della scorsa settimana ancora di più. Egli continua ad essere convinto anche che quanto accade ogni sera sulla piazzetta del Teatro è la metafora di quello che accade realmente e quotidianamente in Albania.

    Chi scrive queste righe esprime la sua profonda soddisfazione perché, per l’ennesima volta e grazie alla resistenza consapevole dei cittadini e di quegli artisti che non hanno venduto l’anima e la dignità umana e professionale, il palcoscenico del Teatro Nazionale è stato di nuovo salvato. Ed è convinto che, come scriveva Shakespeare, il mondo continuerà ad essere considerato come un palcoscenico, dove ognuno deve recitare la sua parte. Ognuno, senza eccezione alcuna.

  • Promesse, giuramenti e poi niente ad oggi

    Il vostro ‘sì’ significhi sì, il vostro ‘no’ no.
    Il più viene dal Maligno.

    Vangelo secondo Matteo; 5/33-37

    “Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro…”. Così comincia la quinta parte del Vangelo secondo Matteo. In seguito l’evangelista racconta dell’importanza che Gesù dava al mantenimento delle promesse. “Avete anche sentito che agli antichi fu detto: ‘Non devi fare un giuramento senza mantenerlo, ma devi adempiere i voti che hai fatto a Geova’. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio,  né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re. Non giurare sulla tua testa, perché non puoi rendere bianco o nero un solo capello. Il vostro ‘sì’ significhi sì, il vostro ‘no’ no, perché ciò che va oltre questo viene dal Malvagio”.

    Anche Giacomo, uno dei dodici primi apostoli di Gesù, affrontava l’argomento in una sua lettera, parte integrante delle Sacre Scritture. Una lettera che Giacomo, “servo di Dio e del Signore Gesù Cristo”, mandava “alle dodici tribù disperse nel mondo”. Nella quarta parte della Lettera, versetto 14, l’apostolo scrive, ammonendo quelli che promettono invano imprese e cose che poi non faranno, mentre non sanno quel che avverrà domani. E domanda loro “Che cos’è la vita vostra? Poiché siete un vapore che appare per un po’ di tempo e poi svanisce”. In seguito, nella quinta parte della Lettera, versetto 12, l’apostolo scrive: “Ma, innanzi tutto, fratelli miei, non giurate né per il cielo, né per la terra, né con altro giuramento; ma sia il vostro sì, sì, e il vostro no, no, affinché non cadiate sotto giudizio”. Riconfermando così quanto scritto dall’evangelista Matteo.

    Un tema questo delle promesse fatte per essere mantenute, costi quel che costi, dei giuramenti da non dimenticare e onorare, come canoni della moralità e parte integrante delle culture di tutte le società, che è stato trattato ampiamente e sotto diversi aspetti, dall’antichità ad oggi.

    Purtroppo non sempre le promesse fatte si mantengono, in seguito, e non sempre, i giuramenti si onorano. Anzi! Per tante e varie ragioni. Non di rado tutto accade per delle scelte e calcoli premeditati. Ne sanno qualcosa gli impostori di tutti i tempi e in tutto il mondo. Come ne sanno qualcosa anche certi politici che cercano di trarre vantaggi con l’inganno. Ma la storia ci insegna che prima o poi tutto viene a galla.

    Promesse e giuramenti sono stati fatti negli ultimi mesi anche in Albania, dai rappresentanti della classe politica. Di tutte le parti. Sia da coloro che dovrebbero gestire la cosa pubblica e non lo hanno fatto, abusando del potere conferito. Sia dagli altri, che avrebbero dovuto impedire che tutto ciò accadesse. Invece la situazione sta precipitando ogni giorno che passa e la crisi in cui versa il paese si sta pericolosamente aggravando. Una crisi che non si può risolvere, mai e poi mai, con le parole, con promesse e giuramenti, ma con azioni concrete, incisive, ben definite e altrettanto ben attuate. Purtroppo niente di tutto ciò è accaduto. Nel frattempo il male che sta divorando tutto e tutti continua a causare ulteriori e pesanti danni. Un male direttamente legato a colui e coloro che governano l’Albania, in seguito ad accordi peccaminosi e pericolosi con certi poteri occulti d’oltreoceano e con la criminalità organizzata.

    Di fronte ad una simile realtà i dirigenti dell’opposizione, usciti da una lunga, inspiegabile e insolita stasi di azioni concrete, a fine gennaio di quest’anno hanno finalmente deciso di agire. Uniti, tutti i massimi rappresentanti dei partiti dell’opposizione hanno elaborato una strategia che, a loro detta, indicava come si doveva uscire finalmente dalla grave situazione. Giustamente indicavano il primo ministro come l’unica persona istituzionalmente responsabile dell’allarmante situazione e dei perché che hanno portato a tutto ciò. Giustamente hanno espresso anche la diffusa convinzione che il primo ministro, dal 2013 in poi, ha attuato una sua strategia per condizionare e controllare le elezioni e manipolare a suo favore il risultato finale. Tutto ciò in una stretta e ben dettagliata collaborazione con la criminalità organizzata. Valutando l’indiscussa importanza delle elezioni veramente libere e democratiche come base da dove partire, i dirigenti dell’opposizione hanno posto una condizione non negoziabile per uscire dalla crisi. Loro hanno chiesto le dimissioni del primo ministro, come l’ideatore e il diretto responsabile per le significative e continue manipolazioni delle elezioni. Dopo le dimissioni del primo ministro, hanno proposto la costituzione di un governo di transizione, con mandato e compiti ben definiti e con tutto il tempo necessario per adempiere i compiti e portare il paese a nuove e anticipate elezioni.

    Durante quella riunione del fine gennaio scorso, i dirigenti dell’opposizione hanno deciso di organizzare anche una massiccia protesta contro il malgoverno, chiedendo ai cittadini di unirsi a loro. Hanno promesso e giurato che il 16 febbraio, giorno della protesta, sarebbe stato anche l’ultimo giorno per il governo. Il 16 febbraio i cittadini hanno risposto in decine di migliaia, ma niente di tutto ciò che i dirigenti dell’opposizione avevano promesso e giurato, a più riprese e pubblicamente, è veramente accaduto. E così anche dopo tutte le altre proteste massicce, la decima l’8 luglio scorso. In più, dopo quella decima protesta e durante queste ultime due settimane, sono state “dimenticate” le promesse fatte dai rappresentanti dell’opposizione dall’inizio di quest’anno. Non solo, ma alcuni dei massimi dirigenti dell’opposizione hanno addirittura dichiarato che si potrebbe andare alle elezioni con questo primo ministro! Pronti a elezioni anticipate tra qualche mese, nelle dichiarazioni pubbliche di queste due ultime settimane, i massimi dirigenti dell’opposizione non parlavano più neanche della costituzione del governo di transizione. Da due settimane, e almeno per il momento, non si parla più neanche di proteste. Chissà, forse a settembre, dopo le ferie. Da giovedì scorso, però, il capo del’opposizione è ritornato di nuovo sulle sopracitate condizioni non negoziabili. Si potevano evitare almeno certe ambiguità e una simile confusione per i cittadini! Oppure essere ambigui è stata una scelta e, purtroppo, confusi e senza idee sono proprio i dirigenti dell’opposizione.

    Chi scrive queste righe è convinto che il primo ministro e i suoi, con l’appoggio della criminalità organizzata, controlleranno, condizioneranno e manipoleranno di nuovo e come sempre i risultati elettorali. I dirigenti dell’opposizione, se continuano così con le loro promesse mai mantenute e con la loro confusione, renderanno un altro grande servizio al primo ministro, come nelle elezioni del giugno 2017. Con tutte le gravi conseguenze per i cittadini e per il paese.

    Chi scrive queste righe trae sempre insegnamento dalle Sacre Scritture, dalla saggezza popolare e dalla sana moralità su di esse basata, che è anche uno dei pilastri dei valori universali dell’umanità. Egli è convinto che bisogna sempre pensare e riflettere bene prima di promettere. E bisogna promettere soltanto quello che si può realmente fare. Poi bisogna impegnarsi seriamente e responsabilmente per fare quanto è stato promesso. Lo devono fare anche i dirigenti dell’opposizione albanese. E non dimenticare mai che, come diceva l’evangelista Matteo, il vostro ‘sì’ significhi sì, il vostro ‘no’ no. Il più viene dal Maligno.

     

  • Il peso della responsabilità

    L’oppresso che accetta l’oppressione finisce per farsene complice.

    Victor Hugo

    L’Albania sta precipitando verso una dittatura ogni giorno che passa. Ormai non ci sono più dubbi, nonostante il primo ministro e la sua propaganda governativa stiano facendo di tutto per dare una parvenza diversa, inventando anche un’opposizione di facciata, “usa e getta”, dopo che, nel febbraio scorso, i deputati dell’opposizione istituzionale avevano rassegnato i mandati parlamentari. E quello che è ancora peggio è che si tratta di una dittatura gestita da una pericolosa alleanza tra il potere politico, i poteri occulti e la criminalità organizzata. Perciò bisogna intervenire subito, con responsabilità e determinazione. Se no, le conseguenze saranno tragiche e a lungo termine. In queste condizioni reagire consapevolmente diventa un dovere civico e patriottico, per chiunque riesca a percepire questa allarmante realtà. Anche perché in Albania le drammatiche esperienze non mancano. Circa mezzo secolo di atroci sofferenze, di negazioni e crimini ineffabili sono ancora vivi nella memoria collettiva.

    In Albania un uomo solo, il primo ministro, controlla quasi tutto. Risulterebbe che per arrivare a tanto, lui abbia fatto accordi peccaminosi con la criminalità organizzata e con certi poteri occulti europei e d’oltreoceano. Oltre al potere esecutivo e legislativo, il primo ministro controlla anche la maggior parte dei media. In più, con la sua tanto voluta riforma della giustizia, ormai ha usurpato e controlla tutto il sistema. Una riforma ideata e attuata in modo tale da permettere tutto ciò anche grazie al continuo e ingiustificabile appoggio dei rappresentanti diplomatici e delle istituzioni internazionali, quelle dell’Unione europea in primis. Ormai, a danno fatto e con una riforma volutamente fallita, nessuno di loro si prende le proprie responsabilità. Nessuno si sente colpevole del fatto che da più di un anno in Albania non funziona la Corte Costituzionale, che è l’unica garante che può e deve impedire qualsiasi violazione della Costituzione e delle leggi in vigore. Oltre alla Corte Costituzionale non funziona più neanche la Corta Suprema. Sempre grazie al voluto fallimento di quella riforma. Il che ha permesso e sta permettendo al primo ministro di oltrepassare ogni limite costituzionale e legale. Non solo, ma dal 30 giugno scorso, con la sua irresponsabile scelta di attuare votazioni moniste e anticostituzionali, il primo ministro sta cercando di controllare anche tutti i 61 comuni e le loro amministrazioni locali. Questo grazie anche al riconosciuto contributo della “nuova opposizione” da lui generata, curata e composta da buffoni e cretini messi al servizio, in cambio di qualche “generosa” ricompensa. Da alcune settimane il primo ministro e i suoi hanno avviato le procedure per rimuovere dall’incarico anche il presidente della Repubblica, l’unica istituzione che sta cercando di fermare la sua folle corsa anticostituzionale. Da alcune settimane, fatti alla mano, in Albania si sta attuando un vero e proprio colpo di Stato. In qualsiasi paese normale e democratico una cosa del genere sarebbe stata impensabile e impossibile. Invece in Albania è ormai realtà. Con tutte le conseguenze. E tutto ciò anche con il beneplacito e l’inqualificabile appoggio dei soliti “rappresentanti internazionali”, che continuano a “non vedere, non sentire e non capire” cosa sta accadendo da anni in Albania. Proprio loro, quei “rappresentanti internazionali”, sia in Albania, nell’Unione europea e oltreoceano i quali nel frattempo ostacolano, minacciano e fanno di tutto per annientare la reazione dei cittadini contro la restaurata dittatura! Cosa sarebbe successo in un ipotetico caso simile nei loro paesi d’origine?! A loro la risposta. E vergogna a loro!

    Spetta perciò agli albanesi responsabili di fermare in tempo questo pericoloso ritorno alla dittatura. Perché se no, le conseguenze saranno veramente devastanti e drammatiche per la maggior parte della popolazione. Visto però quanto è accaduto durante questi ultimi mesi in Albania, proteste massicce e pacifiche comprese, non ci sono più dubbi. Il primo ministro non ha nessuna intenzione di comportarsi da persona responsabile. Lui non ha nessuna intenzione di fare un passo indietro e dare le dimissioni. Permettendo così la costituzione di un governo di transizione, con mandato e compiti ben stabiliti, nonché con tutto il tempo necessario per garantire elezioni veramente libere e democratiche. Ormai dovrebbe essere chiaro per tutti che il primo ministro non andrà via da solo. Forse anche perché non può e non ci riesce, essendo costretto da precedenti accordi peccaminosi con certi poteri occulti e la criminalità organizzata.

    Una simile drammatica e grave situazione chiede urgentemente decisioni e reazioni responsabili anche, e soprattutto, da parte dei dirigenti dell’opposizione istituzionale. Ormai è tempo per ognuno di loro di assumersi le proprie responsabilità e di portare a compimento tutti gli obblighi istituzionali. Nonostante il peso di quelle responsabilità. Ma soprattutto è tempo di non deludere più e di non tradire la fiducia data dai cittadini indignati e ribellatisi. Ormai i cittadini oppressi dalla restaurata dittatura non possono e non devono permettere più accordi occulti all’ultimo momento, e mai resi trasparenti, tra il primo ministro e il capo dell’opposizione. Come quel patto famigerato del 18 maggio 2017 tra loro due, che ha permesso al primo ministro un secondo mandato governativo e l’attuale situazione in Albania.

    Dal 16 febbraio scorso i cittadini hanno risposto all’appello dell’opposizione e sono scesi in piazza numerosi per protestare contro il malgoverno e chiedere le dimissioni del primo ministro. Ad oggi ci sono state dieci massicce e pacifiche proteste a Tirana e tante altre in diverse parti del paese. Decine di migliaia di cittadini hanno risposto all’appello, credendo alle promesse dei dirigenti dell’opposizione. Promesse che, purtroppo, non sono state poi mantenute. Promesse e dichiarazioni che miravano soprattutto a suscitare e assicurare l’appoggio dei cittadini ai dirigenti dell’opposizione che non avevano convinto in passato, anzi! Ma non si può continuare a lungo con questo comportamento dei dirigenti dell’opposizione, i quali promettono mari e monti e poi non realizzano niente di quello che promettono. Così facendo, loro semplicemente deludono la fiducia dei cittadini indignati. Anzi, sembra che i dirigenti dell’opposizione abbiano approfittato dell’indignazione massiccia dei cittadini e dalla loro rabbia in questi ultimi mesi per rafforzare le proprie credenziali politiche. Con il loro operato alcuni dirigenti dell’opposizione stanno danneggiando seriamente la missione stessa dell’opposizione, e cioè rappresentare e sostenere i diritti dei cittadini, compreso anche il loro sacrosanto diritto di ribellarsi contro gli oppressori e le dittature. Invece con simili atteggiamenti, alcuni dirigenti dell’opposizione, a conti fatti, portano semplicemente acqua nel mulino del primo ministro e dei poteri occulti.

    Chi scrive queste righe pensa che la situazione in Albania sia veramente grave. I dirigenti dell’opposizione devono assumersi tutte le loro responsabilità e non devono soccombere al loro peso. Altrimenti devono fare un passo indietro. Spetta però ai cittadini impedire la restaurazione della dittatura, reagendo consapevolmente e determinati, per non diventare degli oppressi. Perché l’oppresso che accetta l’oppressione finisce per farsene complice. Agli albanesi la scelta!

  • Votazioni moniste come farsa

    Con il potere assoluto anche ad un asino risulta facile governare.

    John Acton

    Napoleone Bonaparte, con un colpo di Stato, rovesciò il 9 novembre 1799 (18 brumaire, anno VIII, secondo il calendario repubblicano) il Direttorio, cioè il Consiglio dei cinque Direttori che avevano governato in Francia dal 26 ottobre 1795. Alcuni decenni dopo, proprio il 2 dicembre 1851, suo nipote Luigi Bonaparte, con un altro colpo di Stato ha avviato l’instaurazione del Secondo Impero. Da tre anni presidente della Repubblica, lui è riuscito a conservare il potere, nonostante la Costituzione della Seconda Repubblica non gli permetteva un secondo mandato. Proprio il 2 dicembre 1851 Luigi Bonaparte proclamava la dissoluzione dell’Assemblea Nazionale e chiedeva la preparazione di una nuova Costituzione, che doveva sostituire quella della Seconda Repubblica. Tutto per arrivare poi, un anno dopo, a costituire il Secondo Impero e proclamare se stesso Napoleone III, Imperatore dei francesi. La storia si ripete in qualche modo, anche se diversamente per contenuti, importanza e conseguenze. A seconda anche delle congiunture storiche e dei personaggi coinvolti. Quel periodo storico è stato trattato ampiamente dagli storici e non solo. Sono noti, tra gli altri, Napoleone il piccolo di Victor Hugo, Il colpo di Stato di Proudhon e Il 18 brumaire de Luigi Bonaparte di Karl Marx. Quest’ultimo, ammiratore di Napoleone I e molto critico verso suo nipote Napoleone III, tratta dal suo punto di vista il colpo di Stato del 2 dicembre 1851. Parafrasando Hegel, lui scrive all’inizio del suo libro che “Tutti i grandi avvenimenti e i personaggi storici si ripetono, per così dire, due volte […]. La prima come tragedia, la seconda come farsa”.

    Per il 30 giugno scorso in Albania erano previste le elezioni amministrative. Le aveva decretate il presidente della Repubblica. Lo stesso presidente però, considerando l’aggravarsi della situazione in Albania e della crisi politica e istituzionale, ha firmato il 10 giugno scorso un decreto per disdire il 30 giugno come data delle elezioni. Essendo pubblicato in seguito sulla Gazzetta Ufficiale, quel decreto, secondo la legislazione albanese, era diventato obbligatorio per tutti, istituzioni e singole persone, primo ministro compreso. Tutto ciò mentre in Albania da più di un anno non funziona la Corte Costituzionale e quando, fatti alla mano, il sistema della giustizia, tutto il sistema, ormai viene controllato dalla volontà e dagli interessi solo di una persona. Quanto è accaduto durante queste ultime settimane ha dimostrato, senza equivoci, che nella sua irresponsabile, pericolosa, illegale e anticostituzionale corsa, il primo ministro, ha coinvolto anche tutte le istituzioni che devono gestire le elezioni, Commissione Centrale Elettorale in testa.

    Durante la settimana appena passata, ogni giorno nuovi fatti sono stati resi noti, dimostrando così non solo la farsa delle votazioni moniste, ma anche la clamorosa manipolazione dei risultati di quelle votazioni. Come quel ladro che, non avendo chi e cosa rubare, ruba se stesso. Quello che è accaduto il 30 giugno scorso durante le votazioni moniste in Albania è l’ennesima testimonianza della saggezza umana, secondo la quale il vizio se ne va via soltanto con l’ultimo respiro.

    Ogni giorno che passa vengono pubblicati nuovi fatti che testimoniano le manipolazioni dei risultati della votazione monista del 30 giugno scorso. Il primo ministro, da tempo ormai, si trova ad affrontare sempre più grandi difficoltà, legate all’urlante e pericolosamente diffusa corruzione, all’abuso di potere, ai patti con i poteri occulti, alla connivenza con la criminalità organizzata e tanto altro. In una simile situazione lui sta cercando, costi quel che costi, una soluzione, non importano le conseguenze. Basta che si guadagna del tempo. Ragion per cui, dati e fatti alla mano, lui ha avviato un vasto e allarmante processo manipolativo dei risultati delle votazioni moniste. Sempre dai dati elettorali resi pubblici dal 30 giungo in poi risulterebbe che la Commissione Centrale Elettorale stia “certificando” la manipolazione e la falsificazione dei risultati. Per raggiungere l’obiettivo posto dal primo ministro riguardo al risultato delle votazioni, tutta la catena delle commissioni elettorali, partendo da quelle dei singoli seggi, quelle regionali, per finire alla Commissione Centrale Elettorale, hanno dovuto falsificare e grossolanamente modificare e “correggere” a più riprese i risultati delle votazioni moniste. Un’ulteriore dimostrazione che anche quando la maggioranza governativa del primo ministro non ha altri avversari non smette di brogliare e non può fare a meno del vizio di avere tutto per se. Nel frattempo l’opposizione, nonostante avesse ufficialmente boicottato le elezioni, aveva preso tutte le misure per controllare e documentare l’afflusso dei votanti nei singoli seggi. Dai dati che gli osservatori dell’opposizione hanno procurato, risulterebbero gravi manipolazioni, smentendo le dichiarazioni ufficiali fatte dalla Commissione Centrale Elettorale. Da quei dati risulterebbe che l’affluenza dei cittadini aventi diritto al voto è stata di circa 15%, invece di circa 22% secondo la Commissione. Tutto ciò per fare in qualche modo combaciare il numero degli aventi diritto di voto con quelli che figuravano aver votato dai dati delle commissioni. Da quei dati risulterebbe che in tutti i 61 comuni, per il candidato unico della maggioranza governativa, abbiano votato significativamente più persone di quelle che ne avevano il diritto e che figuravano anche ufficialmente nelle liste elettorali! Nel frattempo, messi spesso in grandi difficoltà, dovute alla pubblicazione di dati privi di logica, i rappresentati della maggioranza hanno addirittura cancellato i dati sul sito della Commissione Centrale Elettorale, per perdere le tracce! Loro non hanno pubblicato nel sistema elettronico i dati della partecipazione alle votazioni moniste, come di prassi, semplicemente per non lasciare traccia e per non essere contraddetti da se stessi e per non diventare ridicoli. I rappresentanti della maggioranza governativa in tutte le commissioni elettorali, brogliando, falsificando e modificando continuamente i risultati, hanno commesso un crimine elettorale, punibile dal codice penale. Ma il sistema “riformato” della giustizia, nonostante le evidenze clamorose, fa finta di niente. Nel frattempo però, il presidente della Commissione Centrale Elettorale, l’unico che si è pubblicamente distanziato da questa farsa elettorale, alcuni giorni fa è stato seriamente minacciato e ormai lui e la sua famiglia sono sotto scorta.

    Chi scrive queste righe pensa che in Albania si sta attuando un colpo di Stato, ideato e messo in atto dal primo ministro. Il quale, trovandosi in gravi difficoltà politiche, istituzionali e personali, controllando pienamente la polizia di Stato e l’esercito, sta violando seriamente la Costituzione e le leggi in vigore. Come aveva fatto anche Luigi Bonaparte nel 2 dicembre 1851. E come hanno fatto altri usurpatori del potere nel corso degli anni. Che qualcuno ricordi a lui però che tutti i grandi avvenimenti e i personaggi storici si ripetono, per così dire, due volte. Comunque, la seconda volta come farsa. E che non si illuda, perché, come scriveva Lord Acton, con il potere assoluto anche ad un asino risulta facile governare. Ma poi?!

     

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