Albania

  • Riflessioni dopo le votazioni moniste

    Il buon cittadino è quello che non può tollerare nella sua patria
    un potere che pretende d’essere superiore alle leggi.

    Marco Tullio Cicerone

    Il 30 giugno scorso il primo ministro albanese ha fatto tornare il paese al periodo della dittatura comunista, trascurando un decreto del presidente della Repubblica che rimandava la data delle elezioni amministrative previste proprio per il 30 giugno 2019. Elezioni ufficialmente boicottate dall’opposizione, perché convinta della strategia ormai nota del primo ministro, per manipolare, condizionare e controllare significativamente il risultato finale delle elezioni. Anche con l’uso della criminalità organizzata e dei dirigenti della polizia di Stato. Lo hanno confermato recentemente, senza ambiguità alcuna, le pubblicazioni di decine di intercettazioni telefoniche fatte dal noto quotidiano tedesco Bild. Intercettazioni che in qualsiasi altro paese democratico non solo avrebbero causato le dimissioni del primo ministro e di altri ministri, ma avrebbero portato immediatamente all’avvio di procedure giudiziarie previste dalle leggi in vigore. Ma niente di tutto ciò è accaduto in Albania. Anzi, il primo ministro, per “sfumare” questo clamoroso scandalo, ha deciso di avventurarsi in un processo elettorale monista. In 31 dei complessivi 61 comuni c’erano soltanto i candidati del primo ministro. Nei rimanenti 30, per dare una parvenza di pluralismo, erano registrati alcuni candidati “indipendenti” e/o quelli di un partito uscito all’ultimo minuto dal cappello del primo ministro.

    Il 10 giugno scorso il presidente della Repubblica ha chiarito il perché della sua decisione di annullare le elezioni amministrative del 30 giugno. Il suo decreto è stato pubblicato in seguito sulla Gazzetta Ufficiale. Il che, per la legislazione albanese, significa che quel decreto diventa obbligatorio per tutti. Nonostante ciò il primo ministro ha ignorato palesemente e pubblicamente il decreto del presidente, come se niente fosse. Non solo, ma ha abusato del suo potere quasi assoluto, per coinvolgere anche altre istituzioni a sostenere la sua irresponsabile e illegittima decisione. Tutto ciò in un periodo di grave crisi istituzionale e politica, mentre da più di un anno in Albania non funziona la Corte Costituzionale. Proprio quella Corte che è l’unica autorità riconosciuta dalla stessa Costituzione come garante imparziale in casi di conflitti istituzionali, legali, e altro. In più, e proprio per gettare benzina sul fuoco, il primo ministro e la sua maggioranza parlamentare hanno avviato una procedura per rimuovere dall’incarico il presidente della Repubblica. Tutto questo avviato da un parlamento che ormai, secondo gli esperti, non è più legale, non avendo il numero complessivo e obbligatorio dei deputati, dopo la rassegnazione dei mandati dei deputati dell’opposizione e dopo l’esaurimento completo delle liste elettorali. Come previsto e sancito dalla Costituzione. Ma anche in questo caso, in mancanza della Corte Costituzionale, il primo ministro decide secondo la sua “volontà” e convenienza, portando dietro di sé anche altre istituzioni, indipendenti sulla carta, ma messe totalmente al suo servizio. Una fra tutte, la Commissione Centrale Elettorale. Ma anche altre strutture statali previste per gestire le elezioni.

    Durante queste ultime settimane l’Albania sta vivendo un vero colpo di Stato, messo in atto consapevolmente dal primo ministro per controllare tutto e tutti, oltrepassando palesemente le sue competenze istituzionali, riconosciute dalla Costituzione e dalle leggi in vigore in Albania. Ma in Albania la Corte Costituzionale [volutamente] non funziona da più di un anno a questa parte, mentre le leggi le interpreta il primo ministro a suo piacimento e interesse. In più il primo ministro, tramite i suoi ubbidienti e sottomessi ministri, controlla pienamente sia la polizia di Stato che l’esercito e le forze speciali. Un vero colpo di Stato, come da manuale.

    Alcuni giorni fa il Consiglio d’Europa, vista la situazione in Albania, ha ufficialmente rifiutato di portare i suoi osservatori per le votazioni moniste del 30 giugno. Perché di votazioni si tratta e non di elezioni! Una decisione che rispecchia la gravissima realtà attuale albanese. Realtà che vede schierati da una parte il primo ministro e tutte le istituzioni a lui sottomesse e dall’altra parte il presidente della Repubblica, l’opposizione e la maggior parte dei cittadini. Una realtà che si sta rapportando correttamente e con professionalità anche con i media internazionali, come non accadeva da molto tempo. Una decisione quella del Consiglio d’Europa, che rappresenta anche un significativo messaggio da parte di un’istituzione specializzata per le elezioni e che è stata sempre presente con i suoi osservatori durante le elezioni albanesi. Come in molti altri paesi europei e non solo.

    Nel frattempo, e purtroppo, i soliti “rappresentanti internazionali”, sia europei che da oltreoceano, non vedono, non sentono e non capiscono niente di tutto ciò che sta realmente accadendo in Albania durante queste ultime settimane. Hanno scelto di nuovo e come sempre di schierarsi apertamente a fianco del primo ministro. Chissà perché?! Però l’operato molto pericoloso e l’atteggiamento pubblico dei “rappresentanti internazionali” può avere gravi ripercussioni per le sorti dell’Albania. Qualcuno addirittura ha “consigliato” agli albanesi di andare a votare il 30 giugno, mentre per il sopracitato decreto del presidente della Repubblica tutto si potrebbe vedere quando si costituirà la Corte Costituzionale! In Albania ormai si sa che il primo ministro controlla tutto, sistema della giustizia compreso. Il primo ministro, se tutto rimane così com’è e i cittadini non reagiscono per cacciarlo via, sceglierà i giudici della Corte Costituzionale come meglio crede. E poi quella Corte, secondo i rappresentanti internazionale potrebbe decidere liberamente?! Fa ridere anche i polli.

    Chi scrive queste righe è convinto che i veri responsabili della grave situazione in cui si trovano adesso gli albanesi sono proprio loro. Perché la responsabilità, in fin dei conti, è sempre dei cittadini. Di quei cittadini che con le loro scelte, l’indifferenza, l’apatia e spesso con la loro irresponsabilità civile permettono ai politici, agli attuali politici, di governare e di decidere sulle loro sorti. La saggezza secolare insegna che ogni popolo ha il governo che si merita. Ma chi scrive queste righe non può però non considerare responsabili della grave e allarmante realtà albanese anche i soliti “rappresentanti internazionali”. Sia quelli europei che da oltreoceano. Proprio quelli che con le loro dichiarazioni e il loro aperto posizionamento a fianco del primo ministro albanese, appoggiando le sue irresponsabili scelte, hanno causato e stanno causando danni enormi. Restaurazione della dittatura compresa.

    Chi scrive queste righe pensa che da adesso in poi i dirigenti dell’opposizione non possono più nascondersi dietro promesse patetiche e sacri giuramenti. Da adesso in poi o loro si impegnano realmente a rovesciare la dittatura criminale restaurata, come promesso e costi quel che costi, oppure poi non avranno scusa alcuna. Perciò devono essere considerati e trattati per quello che veramente sono. E cioè per dei sostenitori, nolens volens del primo ministro e del suo regime. Avranno senz’altro anche quello che si meritano. Ai cittadini l’ultima parola! Ricordando che il buon cittadino, secondo Cicerone, è quello che non può tollerare nella sua patria un potere che pretende d’essere superiore alle leggi.

  • L’importanza dei prossimi giorni per evitare il peggio

    …Poi vennero a prendere me. E non era rimasto nessuno che potesse dire qualcosa.

    Martin Niemöller

    Sono gli ultimi versi di una poesia attribuita a Martin Niemöller. Egli era un noto teologo e pastore protestante tedesco che nel 1937 è stato arrestato dai nazisti per la sua attività e le sue parole contro il regime. Portato in diversi campi di concentramento, riuscì a sopravvivere a tutte le sofferenze disumane. Dopo la liberazione nel 1945, diventò testimone delle oscenità e delle crudeltà causate dalla dittatura. E ovunque andava, Niemöller esprimeva la sua convinzione sul pericolo dovuto all’indifferena e all’apatia della gente e soprattutto delle persone colte di fronte all’avvio dei regimi dittatoriali.

    Quella sua ferma convinzione Martin Niemöller la ha pubblicamente espressa, fino alla sua morte nel 1984, in molti paesi del mondo. Una convinzione trasmessa anche tramite versi poetici significativamente eloquenti. Esistono diverse versioni di queste poesie, ma tutte rappresentano la stessa convinzione di Niemöller. Ai giornalisti che gli domandavano delle sue poesie e qual era la versione alla quale fare riferimento egli diceva che avrebbe preferito la versione seguente. Quella che recita così: “Quando i nazisti presero i comunisti/io non dissi nulla/perché non ero comunista./Quando rinchiusero i socialdemocratici/io non dissi nulla/perché non ero socialdemocratico./Quando presero i sindacalisti/io non dissi nulla/perché non ero sindacalista./Poi presero gli ebrei/e io non dissi nulla/perché non ero ebreo./ Poi vennero a prendere me./E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”.

    Sono parole che devono servire da lezione a tutti, in ogni parte del mondo e in qualsiasi periodo. Parole che dovrebbero far riflettere, per poi trarre le dovute conclusioni e agire di conseguenza. Perché, come la storia ci insegna, l’indifferenza e l’apatia, soprattutto in determinati momenti, potrebbero fare veramente male, sia alle singole persone che alle intere società. Perché i regimi totalitari e le dittature, restaurati anche grazie all’indifferenza e all’apatia umana fanno veramente male e causano inaudite e crudeli sofferenze, sia alle singole persone, che alle intere società.

    Il reale pericolo che si possano restaurare regimi totalitari e dittatoriali rimane sempre presente. In ogni parte del mondo. Quanto è accaduto negli ultimi decenni lo dimostrerebbe senza ambiguità. Regimi totalitari e dittatoriali che hanno approfittato delle realtà geopolitiche, degli interessi locali e/o internazionali nonché, e non di rado, anche delle strategie sbagliate e non lungimiranti adottate dalle grandi potenze internazionali in determinate aree del mondo. Gli esempi non mancano, anzi! Comprese anche le inevitabili conseguenze.

    Ma contro i regimi totalitari in ogni parte del mondo si sono ribellati i cittadini. È accaduto in alcuni paesi del sud-est asiatico. Come è accaduto in seguito anche in diversi paesi africani. Rimangono ancora nella memoria comune le ribellioni note anche come la primavera araba. Si continua a combattere in Siria e in Libia. Ma continuano gli scontri e le proteste anche in Venezuela contro il regime dittatoriale di Maduro. Scontri e proteste iniziate in maniera massiccia dallo scorso gennaio.

    Dal febbraio di quest’anno si protesta anche in Albania. Perché in Albania si sta realmente restaurando, fatti e dati alla mano, un nuovo regime totalitario, dopo quello comunista rovesciato nel 1991. Adesso coloro che governano il paese, primo ministro compreso, sono degli eredi biologici e politici di coloro che governavano e gestivano le sorti del paese e delle persone durante la dittatura comunista. Con una novità però. E cioè che adesso in Albania governa un’alleanza della politica con la criminalità organizzata. Lo dimostrerebbero palesemente e senza ombra di dubbio anche le intercettazioni telefoniche pubblicate in queste ultime settimane dal noto quotidiano tedesco Bild. Dalle intercettazioni risulterebbe come rappresentanti di spicco della criminalità organizzata, insieme con ministri, deputati dell’attuale maggioranza, dirigenti locali dell’amministrazione pubblica e alti funzionari della polizia di Stato, gestivano il controllo, il condizionamento e la compravendita dei voti durante le ultime elezioni politiche e in altre gare locali. Fatti molto gravi e penalmente punibili. Ma ad ora niente è accaduto. Anzi, tutti stanno godendo della protezione personale del primo ministro. Il che significa perciò anche del sistema “riformato” della giustizia.

    Dal febbraio di quest’anno in Albania, i cittadini stanno protestando contro la diffusa e capillare corruzione che sta divorando tutto. Si protesta contro l’abuso spaventoso e il continuo sperpero del denaro pubblico, con tutte le gravi e derivanti conseguenze. E anche di fronte a questi innumerevoli casi evidenziati e documentati, il sistema “riformato” della giustizia chiude gli occhi e le orecchie. Lo stesso sistema però, diventa molto attivo e agisce subito contro i cittadini che protestano, spesso calpestando e violando le proprie competenze istituzionali e quanto sancito nelle convenzioni internazionali per i diritti umani. Tutto perché il “riformato” sistema della giustizia, fatti alla mano, risulterebbe essere personalmente controllato dal primo ministro. Nel frattempo la Corte Costituzionale e la Corte Suprema non funzionano da più di un anno a questa parte. Ormai non c’è nessuna garanzia per i cittadini e per l’opposizione e tutto dipende dalla “volontà” del primo ministro e dei clan occulti.

    In Albania, con un decreto del presidente della Repubblica, erano previste dal novembre scorso le elezioni amministrative per il 30 giugno prossimo. L’opposizione, tenendo presente e denunciando la sopracitata realtà, ha già boicottato le elezioni. Perciò con candidati solo della maggioranza e con qualche “indipendente” quelle del 30 giugno invece di elezioni democratiche dovrebbero essere semplicemente delle votazioni. Come accadeva durante la dittatura comunista. In una simile situazione che si sta aggravando ogni giorno che passa, il 10 giugno scorso il presidente della Repubblica ha firmato un altro decreto con il quale annullava il 30 giugno come data per le elezioni amministrative. Spiegando anche il perché e offrendo tutto il ragionamento costituzionale e legale. L’unica istituzione che secondo la Costituzione, doveva esprimersi in questo caso sarebbe stata la Corte Costituzionale. La quale non funziona più.

    Ovviamente dopo questo atto la situazione sta aggravando di giorno in giorno. Il primo ministro ignora pubblicamente il decreto del presidente, pubblicato anche sulla Gazzetta Ufficiale, perciò obbligatorio per tutti. La settimana scorsa lui e i suoi hanno avviato una procedura parlamentare per rimuovere dall’incarico il presidente. In seguito, alcuni giorni fa il presidente ha fatto capire che potrebbe avviare, lui stesso, una procedura per scogliere il parlamento. Rimane tutto da vedere.

    Chi scrive queste righe, visto il continuo aggravarsi della crisi in Albania e per evitare il peggio, è convinto dell’importanza della responsabilità istituzionale, civile e personale di tutti durante i prossimi giorni. E se servisse, bisogna reagire con forza e ribellarsi contro il pericolo imminente e reale di ricadere sotto dittatura. E ricordare anche l’ammonimento di Martin Niemöller. Perché con una dittatura restaurata può succedere di tutto a tutti. E non ci sarà più nessuno a dire qualcosa. Agli albanesi la scelta!

  • Per sapere se aderiranno all’UE Macedonia settentrionale e Albania devono aspettare ancora

    Si fa più complicato il percorso di adesione all’UE dell’Albania e della Macedonia settentrionale. Il Consiglio dell’UE infatti ha rinviato la decisione sull’apertura dei negoziati di adesione, che dovrà comunque essere presa entro la fine dell’anno. “Alla luce del limitato tempo a disposizione e dell’importanza della questione, il Consiglio tornerà sulla questione al fine di raggiungere una decisione chiara e concreta il prima possibile e non oltre il mese di ottobre”, è quanto è stato comunicato il 18 giugno .

  • Continua da più un anno la protesta in difesa del Teatro nazionale di Tirana

    Peccare di silenzio, quando bisognerebbe protestare, fa di un uomo un codardo.

    Ella Wheeler Wilcox

    È passato ormai un anno dall’inizio della più lunga protesta quotidiana, tuttora in corso, svolta in Albania. E forse rappresenta un caso più unico che raro anche in altre parti del mondo. Una protesta pacifica che ogni sera si svolge nel pieno centro di Tirana. È la protesta alla difesa del Teatro Nazionale.

    Nei primi giorni del febbraio 2018 il primo ministro albanese ha fatto sapere la sua intenzione di demolire il Teatro Nazionale per costruire alcune torri in cemento armato. Il che ha suscitato subito la reazione degli artisti e dei cittadini che cominciarono a protestare. Si tratta di un vero e proprio affare corruttivo, clientelistico, di abuso del potere, di speculazione edilizia e ormai, dati e fatti alla mano, sembrerebbe che si tratti anche di riciclaggio di denaro sporco. In tutto ciò il primo ministro, recidivo, non ha fatto altro che ritentare con arroganza e aggressività, da una posizione di forte potere [abusivo] istituzionale, quello che non era riuscito a fare anni fa. Aveva sempre fallito in una simile impresa, grazie alla resistenza e alle proteste degli artisti e dei cittadini, prima come ministro della cultura e poi come sindaco di Tirana agli inizi degli anni 2000. Da un anno ormai lui sta riprovando con tutti i modi di averla vinta. Ragion per cui dal 15 giugno 2018 ad oggi, nella piazzetta del Teatro Nazionale, in pieno centro di Tirana, ogni sera si protesta pacificamente contro questo diabolico, corruttivo, criminale e personale progetto del primo ministro.

    L’edificio del Teatro Nazionale, progettato da un noto architetto italiano in stile razionalista e costruito nel 1938, ha un indiscusso valore storico e culturale. Bisogna sottolinea che l’Albania, fino al 1912, era un territorio lasciato al controllo dei feudatari locali, alle periferie dell’impero ottomano. Tirana invece veniva proclamata capitale nel 1920. Fino ad allora era una città di alcune migliaia di abitanti. Dalle testimonianze storiche risultava una città con delle abitazioni basse, costruite soprattutto con mattoni di terra battuta e circondate da alberi. L’urbanizzazione della capitale e le prime costruzioni degli edifici amministrativi e pubblici sono cominciate negli anni ’30 del secolo passato, per opera di noti urbanisti e architetti italiani,tra cui anche l’edificio che diventò, nel 1947, il Teatro Popolare, per poi divenire il Teatro Nazionale dopo il crollo della dittatura comunista.

    L’autore di queste righe scriveva un anno fa che “…Il Teatro Nazionale non è semplicemente un edificio e basta. Il Teatro Nazionale rappresenta la storia della nascita e dell’evoluzione di tutte le arti sceniche in Albania. Quell’edificio, progettato da noti architetti italiani a fine anni ’30 del secolo passato, dal 1945 in poi è stata la culla di tutte le scuole artistiche albanesi. Lì hanno debuttato l’orchestra filarmonica, il circo e il teatrino delle marionette. Il Teatro rappresenta, però, anche un importante aspetto umano, spirituale ed emozionale, non solo per gli attori e altri che hanno lavorato lì, ma per tante altre persone di diverse generazioni. Il Teatro è parte integrante della storia della capitale, dichiarata come tale soltanto nel 1920. Perciò abbattendo quell’edificio, si abbattono, si distruggono e si perdono per sempre tutti questi valori. Semplicemente per far guadagnare miliardi ad alcuni farabutti…. ” (Patto Sociale n.316).

    Nonostante tutto, un anno fa il primo ministro, per riuscire nel suo progetto, è andato oltre ogni limite. Ha portato in parlamento una legge speciale per approvare la demolizione del Teatro Nazionale. Una legge assurda da ogni punto di vista, in palese violazione con quanto prevede la Costituzione e le leggi in vigore. Una legge che urtava anche con quanto prevedono le normative europee, essendo l’Albania un paese che mira all’adesione nell’Unione europea. Una legge che, essendo “speciale” però, cercava di “scavalcare” le procedure normali e farsi approvare in fretta. E così è stato. In piena estate dell’anno scorso, con soltanto i voti della maggioranza governativa, è stata approvata la legge “speciale”, fortemente voluta dal primo ministro. Il presidente della Repubblica però, a fine luglio 2018, non decretò la legge “speciale” per la demolizione del Teatro Nazionale. In più il presidente, con un lungo documento e in un modo del tutto esauriente, ha reso note tutte le spiegazioni e le argomentazioni legali che lo hanno portato ad una simile decisione.

    Le pressioni sul primo ministro per desistere da un simile progetto aumentavano. Pressioni che arrivavano anche dalle strutture dell’Unione europea, da noti media internazionali, nonché da gruppi e/o singoli artisti e specialisti europei. Ha reagito anche la nota organizzazione Europa Nostra, collaboratrice ufficiale dell’UNESCO e di altre istituzioni europee, che rappresenta una ben strutturata e folta rete di altre organizzazioni che si occupano del patrimonio culturale in Europa. La sua reazione si riferiva alle assurde, ridicole e del tutto infondate pretese del primo ministro, dei suoi ubbidienti luogotenenti e della propaganda governativa. Pretese che negavano del tutto il valore storico, culturale, architettonico e spirituale dell’edificio del Teatro Nazionale. In una sua lettera, il 19 giugno 2018, indirizzata al primo ministro, il presidente esecutivo di Europa Nostra considerava “allarmante la decisione di demolire il Teatro Nazionale”. Egli evidenziava anche che quell’edificio ha un “importante valore culturale e architettonico in Europa”. Gli unici che non hanno detto niente contro questo abusivo e osceno progetto del primo ministro albanese sono stati, come sempre, i soliti “rappresentanti internazionali”. Come sempre, loro non vedono, non sentono e non capiscono niente in casi simili, in cui si coinvolgono il primo ministro, le istituzioni governative e/o chi per lui. Chissà perché?!

    In seguito, durante l’autunno 2018, con dei palesi trucchi e inganni legali, i deputati della maggioranza approvarono in modo definitivo la legge “speciale” per la demolizione del Teatro Nazionale. Nel frattempo, la protesta quotidiana cominciata il 15 giugno 2018 è continuata ad oltranza e pacificamente e così sarà finché non ci sarà garantita definitivamente la sua incolumità. E mentre continua, questa protesta è stata ed è una sfida e una prova anche per i diretti interessati. E cioè per gli artisti e altri del mondo del teatro. Durante quest’anno di protesta molti di loro hanno venduto l’anima per dei piccoli e meschini interessi del giorno. Perché il primo ministro e i suoi, per annientare la protesta, hanno messo in gioco molti mezzi, milioni compresi. Questa protesta ha mostrato anche degli interessi perfidi, di non pochi rappresentanti e attivisti della castrata “società civile”. Quei mercenari, avidi del microfono e della pubblicità, hanno seguito soltanto i loro interessi personali e non della società!

    Chi scrive queste righe è convinto che la protesta per la difesa del Teatro Nazionale deve tanto alle anime nobili dei semplici cittadini e di alcuni artisti e registi. Egli pensa che quanto accade ogni sera sulla piazzetta del Teatro è la metafora di quello che accade quotidianamente in Albania. Egli è inoltre speranzoso perché, invece di peccare in silenzio, da più di un anno semplici cittadini responsabili, non essendo codardi come altri, protestano per una causa giusta. Potrebbe essere un buon inizio di un lungo e indispensabile cammino democratico contro la restaurazione della dittatura.

  • Scelte e conseguenze

    L’inferno e il paradiso sono tutti e due dentro di noi.

    Oscar Wilde; da “Il ritratto di Dorian Gray”

    Doveva essere stato veramente convinto Oscar Wilde che l’inferno e il paradiso sono tutti e due dentro l’essere umano. Chiunque abbia letto il suo romanzo “Il ritratto di Dorian Gray”, pubblicato nel 1891, se ne è accorto. Dorian Gray era un giovane che si faceva notare nella società, sia per il suo attraente aspetto fisico che per la sua formazione e il suo modo di pensare. Un noto pittore, impressionato dalla bellezza e dalle qualità di Dorian Gray, gli chiese di fargli un ritratto. A lavoro finito risultò un capolavoro. Appena lo vide, Dorian Gray si infatuò del suo ritratto. L’infatuazione era veramente forte. Il solo pensiero di invecchiare, e perciò di perdere il suo fascino e la sua bellezza, cominciò ad angosciarlo e turbarlo profondamente. Non riusciva a sopportare l’idea di dover invecchiare mentre il suo ritratto sarebbe rimasto giovane e bellissimo per sempre. Perciò, dal suo essere profondo uscì un acuto desiderio. Dorian Gray, rivolgendosi all’invisibile che poteva dalle tenebre, gli chiese con tutta la sua anima che facesse accadere proprio l’opposto contrario. E cioè che lui potesse rimanere sempre giovane mentre qualsiasi altra cosa che lo riguardasse durante la sua vita venisse segnata e impressa nel suo ritratto. E così fu. La sua vita cambiò completamente e in peggio. Tutto a causa della malefica influenza di un nuovo amico, un lord, conosciuto da poco. In seguito Dorian Gray conobbe una bella ragazza e si fidanzarono. Ma tutto finì presto e tragicamente a causa della vita spregiudicata e priva di quei sani principi morali di una volta che caratterizzavano Dorian Gray. La ragazza, trascurata e abbandonata dal suo fidanzato, si suicidò. Mentre Dorian Gray, la stessa sera, andò a divertirsi con il suo amico lord. Ma accade una cosa incredibile. L’indomani vide che il suo ritratto era cambiato. Ormai si distingueva facilmente un aspetto crudele sul volto. Stupefatto e angosciato, Dorian Gray decise di nascondere il ritratto in soffitta. Illudendosi che nascondendo il ritratto sarebbe ritornato ad essere di nuovo libero, rimanendo per sempre giovane e bello, continuò a godersi spregiudicatamente i piaceri della vita. Una vita che lo coinvolse in tanti altri drammi e tragedie umane. Uccise il suo amico pittore che gli aveva fatto il ritratto solo perché lui aveva cercato di biasimare il modo in cui si comportava. Subito dopo il macabro atto il suo ritratto cambiò di nuovo. La mano che colpì mortalmente il suo amico pittore cominciò a sanguinare. Ma nonostante ciò, Dorian Gray continuò la sua vita peccaminosa. Altre mostruosità accaddero in seguito, lasciando ciascuna dei segni indelebili sul suo ritratto nascosto in soffitta. Diventarono talmente tanti ed orribili quei segni che Dorian Gray non poté più vedere il suo ritratto. Un ritratto che si abbruttiva ogni giorno che passava, diventando sempre più quello di un mostro. Sofferente e incapace di sopportare quei cambiamenti, Dorian Gray prese un coltello e colpì il cuore del ritratto. Accade l’inverosimile però. Chi l’avrebbe mai detto o pensato?! Lui no, di certo. Nello stesso momento che Dorian Gray colpisce al cuore il ritratto muore lui stesso, mentre il ritratto ritorna quello che aveva dipinto il suo amico pittore, alcuni anni prima. E cioè diviene il ritratto di un giovane attraente e colto. Quando i servi arrivarono non riuscirono a riconoscere Dorian Gray tanto era cambiato. Sul suo volto si era fissata tutta la crudeltà e la bruttezza degli atti da lui compiuti. Perché è stata veramente peccaminosa la vita di Dorian Gray, dopo la fervente richiesta fatta alcuni anni prima, rivolgendosi all’invisibile che poteva dalle tenebre.

    Chi conosce la realtà albanese degli ultimi anni e ha una discreta memoria storica che va un po’ oltre, trova delle somiglianze tra Dorian Gray e l’attuale primo ministro albanese. Nel 1998 il suo benefattore, il primo ministro di allora, lo ha promosso ministro della cultura. In quel periodo lui faceva il pittore bohémien nei vicoli di Parigi. Il suo benefattore schizzò “politicamente” anche il suo ritratto. Non quello sulla tela, ma quello pubblico. La propaganda governativa ha fatto poi la sua parte per divulgarlo e renderlo attraente. Senz’altro l’attuale primo ministro ha espresso allora anche dei desideri. Soltanto lui sa quali. Affascinato da se stesso e da tutto quello che poteva avere in seguito, ha fatto anche le sue scelte. Purtroppo, come Dorian Gray, ha fatto delle scelte sbagliate, preferendo consapevolmente delle cattive compagnie. Cominciò così il suo cammino verso le tenebre. Un cammino senza ritorno, come risulta adesso. Anche perché le cattive compagnie, criminalità organizzata compresa, non ti lasciano facilmente andar via. Ci sono sempre dei patti da rispettare, volente o nolente. Patti con i potenti delle tenebre. Allora il suo benefattore cominciò a rimproverargli il suo comportamento e le sue scelte. Perciò un giorno lui “uccide politicamente” il suo benefattore che lo rese noto nel 1998 e lo inserì nella vita politica. Proprio come Dorian Gray che uccise il suo amico pittore, soltanto perché lui biasimava il modo in cui si comportava. E come Dorian Gray, continuava a sembrare quella persona attraente di prima. Mentre da qualche parte tutto si fissava nel suo “ritratto”, nascosto disperatamente in qualche soffitta. Ci sono somiglianze impressionanti anche nella vita privata del primo ministro con quella di Dorian Gray. Ma essendo la sua vita privata, che rimanga fuori da queste righe. Non può però rimanere fuori da queste righe tutto quello che ha fatto e sta facendo il primo ministro, anzi! E come Dorian Gray, anche lui sta andando sempre più di male in peggio.

    Il primo ministro albanese ha procurato ai suoi cittadini un male enorme, un crimine orrendo: ha consapevolmente permesso alla criminalità organizzata di gestire le sorti del paese e, perciò, anche di ciascun cittadino. Quelle scelte che ha fatto il primo ministro uccidono e fanno vittime innocenti ogni giorno. Purtroppo la maggior parte di quegli atti gravi e orrendi accadono lontano dagli occhi e dall’attenzione dell’opinione pubblica. Come conseguenza diretta delle consapevoli scelte del primo ministro, non si perdono soltanto vite umane e si creano continue e disumane sofferenze, si uccide anche la speranza degli albanesi per una vita migliore. Perciò che venga al più presto, per il bene degli albanesi, il momento in cui anche il primo ministro ‘accoltelli politicamente’ il cuore del suo ritratto e che muoia lui, sempre ‘politicamente’ parlando! Come Dorian Gray.

    Nel frattempo in Albania continuano le proteste dei cittadini indignati e arrabbiati con il primo ministro. Sabato scorso c’è stata un’altra protesta massiccia e pacifica, trasmessa anche dai più noti media internazionali. La situazione sta precipitando, come conseguenza delle scelte fatte e dell’irresponsabilità istituzionale e personale del primo ministro. Per arginare l’aggravarsi della situazione oggi il presidente della Repubblica ha fatto un significativo passo. Rimarrà tutto da seguire con la massima attenzione e responsabilità.

    Chi scrive queste righe è convinto che mettere in mano alla criminalità organizzata e dividere con essa le sorti di un paese e dei suoi cittadini rappresenta uno dei crimini più gravi. Questo crimine lo ha commesso il primo ministro albanese. L’inferno e il paradiso sono tutti e due dentro di noi scriveva Oscar Wilde. Guai a chi sceglie il primo.

     

  • L’ambientalismo italiano fa ricche Albania e Croazia

    Shell ha scoperto un «potenziale significativo» di greggio in Albania, a circa 80 chilometri dalle coste pugliesi, nella stessa area di Val d’Agri e Tempa Rossa, dove le norme ‘blocca trivelle’ del decreto semplificazioni impediscono all’Italia di sfruttare le ricchezze naturali presenti.

    I primi test di Shell sulla scoperta di Shpirag, situata nell’entroterra dell’Albania nei pressi di Berat, hanno evidenziato un «significativo potenziale di olio leggero», ha reso noto giorni fa la stessa major anglo-olandese in un comunicato. Le verifiche condotte grazie al pozzo esplorativo Shpirag-4  hanno mostrato un potenziale produttivo di diverse migliaia di barili al giorno di petrolio.

    A pochi chilometri dalla costa pugliese si possono “ammirare” grandi strutture, battenti bandiera croata, che proseguono le loro trivellazioni in mare alla ricerca di petrolio e gas. La Croazia come l’Italia aveva deciso lo stop alle perforazioni in mare nel 2015 ma il governo di allora, guidato da Zoran Milanovic, è caduto dopo breve tempo, riaprendo la questione e portando ad accelerare le attività di ricerca ed estrazione del petrolio nel mar Adriatico. Non solo. Oltre ai piani di sfruttamento dell’Adriatico, Zagabria ha lanciato una nuova gara per cercare altri giacimenti al pari del Montenegro, dove nei mesi scorsi sono stati operate una serie di prospezioni geologiche commissionate da Eni e dalla russa Novatek. Secondo il Sole24Ore «sotto la tavola di sabbia che forma il fondale dell’Adriatico c’è molto più metano di quanto si potesse sperare. Due numeri per fare il raffronto: oggi dai giacimenti sotto il fondo dell’Adriatico si estraggono 2,8 miliardi di metri cubi l’anno; le riserve individuate in questi mesi fanno pensare che invece si possano estrarre 4 miliardi di metri cubi l’anno. Tantissimo, rispetto ai 5,5 miliardi di metri cubi di gas estratti da tutti i giacimenti italiani nel 2017. Un soffio impercettibile, rispetto ai 75 miliardi di metri cubi che l’Italia ha bruciato nel 2017, dei quali 70 miliardi arrivati da lontano attraverso migliaia di chilometri di condotte». Ma che Eni era pronta a estrarre, tanto che «aveva annunciato 2 miliardi di investimenti sull’Adriatico, che in Europa è una delle aree più ricche di metano e che viene sfruttato con intensità dagli anni 70». A fine aprile è arrivato lo stop anche per Edison: l’ampliamento della piattaforma petrolifera Vega nel canale di Sicilia non si farà. Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, come ha annunciato su Twitter, ha firmato il decreto ministeriale per bloccare la realizzazione di 8 nuovi pozzi di ricerca a largo di Ragusa.

    Secondo il Bollettino ufficiale degli Idrocarburi e delle Georisorse del 31 gennaio scorso le compagnie attive negli idrocarburi in Italia includono colossi come Eni, Shell, Total, Edison, ad aziende di dimensioni minori come le americane Global Med, Delta e AleAnna, le britanniche Rockhopper, Nothern Petroleum e Sound Energy con la sussidiaria Appennine e l’australiana Po Valley legata a Saffron Energy e tante altre.

  • Patti con Satana e irritanti bugie

    La brama di ricchezze è la radice di tutti i mali

    San Paolo

    Vade retro me Satana! Allontanati da me Satana! Così si descrive nel Vangelo di Marco (8;33) la scena del diverbio tra Gesù e Pietro. Tutto accadeva subito dopo l’annuncio, da parte di Gesù, della sua prossima morte e l’immediata reazione determinata e contraria di Pietro. Il riferimento da parte dell’evangelista Marco al Satana non è stato casuale. Perché così si metteva in chiaro che Pietro, con la sua reazione, si stava opponendo alla volontà di Dio. Volontà alla quale Gesù non doveva far altro che obbedire. Proprio quel Gesù che alcuni anni prima aveva subito e affrontato, per quaranta giorni nel deserto, le tre tentazioni di Satana. Riferendosi all’evangelista Marco, sappiamo che “Subito dopo lo Spirito lo sospinse (Gesù; n.d.a.) nel deserto e vi rimase quaranta giorni, tentato da Satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano” (Marco; 1/12-13). Secondo gli evangelisti, dopo essere stato battezzato da Giovanni Battista, Gesù digiuna per quaranta giorni e quaranta notti nel deserto. In quel periodo Satana lo tenta per tre volte. Le tentazioni riguardavano il cibo, il facile successo e il potere. Ma dopo ogni tentazione Gesù rispondeva fermamente e con saggezza a Satana, testimoniando la sua profonda ed imperturbabile fede nel Signore.

    La vita quotidianamente vissuta, dalla notte dei tempi ad oggi, insegna che quelle tre tentazioni sono sempre alla base di tante altre tentazioni con le quali possono essere affrontati ogni giorno gli esseri umani. Dipende poi da loro come reagiranno e da che parte staranno. Con Dio o con Satana. Con il Bene o con il Male. Una scelta, di fronte alla quale non sfugge e non può sfuggire nessuno durante la vita.

    Il 29 maggio scorso a Bruxelles, i rappresentanti della Commissione europea hanno presentato il Rapporto di progresso, per il 2019, dei Paesi aspiranti ad aderire all’Unione europea. Un Rapporto scritto in “burocratese”, come spesso accade in simili occasioni. Lo dimostrerebbe benissimo, perlomeno, il capitolo che riguarda l’Albania. Frasi che dicono e non dicono. Constatazioni importanti che dovrebbero essere e che invece mancano. Espressioni con le quali si cerca di spiegare, ma che, al contrario, si crea confusione. Un capitolo, quello sull’Albania che, soprattutto, tenta di nascondere la vera e allarmante situazione nella quale si trova il paese.

    Ma quelle che sono state veramente irritanti e prive di qualsiasi realtà erano le dichiarazioni di alcuni tra i massimi rappresentanti della Commissione. Il Commissario per la Politica di Vicinato e i Negoziati per l’Allargamento, Johannes Hahn, riferendosi all’adempimento delle condizioni poste dal Consiglio europeo per l’Albania dichiarava il 29 maggio scorso che “alla luce del significativo progresso raggiunto […] la Commissione raccomanda al Consiglio di aprire i negoziati con l’Albania”. Parlando di successi, visti soltanto da lui e da pochi suoi simili, Hahn dichiarava che si sentiva “contento di vedere come l’Albania ha proseguito con la riforma della giustizia”. Ebbene, fatti alla mano, se c’è un enorme e stridente fallimento quello è proprio il totale fallimento della riforma della giustizia. Poi, riferendosi alle condizioni poste dal Consiglio europeo, che invece di cinque, dopo il vertice di Lussemburgo del 26 giugno 2018, sono diventate tredici e ben articolate, bisogna che qualcuno dica al Commissario Hahn che, sempre fatti alla mano, nessuna di quelle tredici condizioni, ad oggi, è stata adempita. Anzi! Ci sono alcune nelle quali sono stati fatti passi indietro. Come nella riforma della giustizia, per esempio. Che qualcuno glielo dica!

    Ovviamente non potevano mancare gli elogi dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini. Secondo lei “l’Albania è pronta per l’apertura dei negoziati”. Anche lei ha elogiato il successo con la riforma della giustizia e ha concluso la sua dichiarazione ripetendo che “l’Albania è pronta per l’avvio dei negoziati all’adesione”. Irritanti bugie e completa mancanza di senso di responsabilita istituzionale! Ma la Mogherini è recidiva in simili dichiarazioni, tanto che ormai nessuno la prende sul serio in Albania, anzi! Sembra che finalmente si sia reso conto anche il suo “garante”, Matteo Renzi. Nel suo libro appena pubblicato e intitolato “Un’altra strada. Idee per l’Italia” Renzi, riferendosi alla Mogherini, scrive che “l’impatto sulla politica estera è stato prossimo allo zero”! In più Renzi se ne assume la responsabilità per essersi imposto nel 2014 per la nomina di Mogherini.

    L’autore di queste righe poteva scrivere tanto sulle [volute] inadempienze nell’operato di alcuni alti dirigenti e rappresentanti della Commissione europea, sia a Bruxelles che a Tirana. Con tutte le gravi conseguenze, tuttora presenti. Sarà per un’altra volta. Una cosa è però certa. E cioè che l’Unione europea intesa, ideata ed attuata dai Padri Fondatori con la firma dei Trattati di Roma, il 25 marzo 1957, non è mai e poi mai quella rappresentata da alcuni rappresentati e funzionari della Commissione europea. Mogherini compresa.

    Chi scrive queste righe pensa che i rappresentanti della Commissione europea, sia a Bruxelles che a Tirana, con il loro operato e le loro dichiarazioni offendono l’intelligenza dei cittadini albanesi. Egli non riesce a capire dove trovano il coraggio coloro che raccomandano, senza condizioni, l’apertura dei negoziati all’Albania per l’adesione nell’Unione europea. Perché, dati e fatti alla mano, l’Albania sta diventando ogni giorno che passa un regime totalitario sui generis. Perché l’Albania è ormai un paese dove, tra l’altro, da un anno non funziona più la Corte Costituzionale, essendo l’unico paese al mondo in una simile e gravissima situazione. Di certo non si parla di dittature. Era accaduto soltanto in Austria nel 1938, durante l’Anschluss. Ma allora si trattava dell’occupazione dell’Austria da parte dei nazisti. Mentre in Albania adesso, oltre alla Corte Costituzionale, non funziona più neanche la Corte Suprema. È forse un caso?! Nel frattempo però nessuno degli alti rappresentanti della Commissione europea ha mai detto una sola parola su questa allarmante e pericolosissima realtà. E forse un caso?!

    Chi scrive queste righe da tempo è convinto che la riforma della giustizia in Albania rappresenta uno dei più clamorosi fallimenti ideati, previsti, voluti e attuati dal primo ministro e da tutti coloro che lo sostengono. Compresi anche alcuni alti rappresentanti della Commissione europea, i quali, dopo aver aiutato a rendere possibile la costituzione di tutte le condizioni che hanno portato a questa grave crisi in cui versa l’Albania, adesso vogliono e cercano di nascondere anche i loro continui fallimenti. Egli altresì è stato sempre convinto e pensa che i cittadini albanesi e chi li rappresenta devono mirare, cercare, lavorare, impegnarsi seriamente ed essere orgogliosi solo e soltanto se l’adesione dell’Albania all’Unione europea venga effettuata in base ai meriti.

    Finalmente chi scrive queste righe pensa che Satana non avrebbe e non ha mai avuto bisogno di chiedere un patto con alcuni alti rappresentanti della Commissione europea, sia a Bruxelles che a Tirana. Loro stessi sono corsi da lui mettendogli le anime in mano in cambio di quello che loro sanno, cedendo poi a tutte le sue tentazioni. Perché la brama di ricchezze, essendo la radice di tutti i mali, come diceva San Paolo, quando ti prende non conosce limiti.

     

  • I dadi ormai sono stati tratti

    Le persone serie sanno come chiedere scusa.
    Le altre continuano a cercare scusa.

    In tutti gli Stati membri dell’Unione europea dal 23 al 26 maggio scorso si è votato per la nuova composizione del Parlamento europeo. I dadi ormai sono stati tratti. Come tutte le elezioni anche queste concluse ieri avranno una particolare importanza. Soprattutto se si tiene conto della realtà e delle problematiche nei singoli paesi e nelle stesse Istituzioni dell’Unione europea. Nonostante il risultato finale però, ci sarà, per qualche tempo, anche l’incognita della permanenza o meno del Regno Unito nell’Unione europea, permanenza dalla quale sarà stabilito il numero complessivo dei seggi del Parlamento europeo. Attualmente il Parlamento ha 751 deputati, compreso anche il presidente. Così è stato sancito dal Trattato di Lisbona del 10 luglio 2014. Ma nel caso il Regno Unito uscisse definitivamente dall’Unione europea, allora il numero complessivo dei seggi si ridurrebbe a 705. Tutto si saprà entro e non oltre il 31 ottobre 2019, data che stabilisce la nuova scadenza delle trattative per la Brexit tra i rappresentanti del Regno Unito e del gruppo negoziatore dell’Unione europea.

    Le elezioni concluse ieri (26 maggio n.d.r.) accadono proprio quarant’anni dopo quelle svolte tra il 7 e il 10 giugno 1979 nei nove Paesi membri dell’Unione europea. Erano le prime elezioni europee a suffragio universale diretto. Una novità importante e significativa quella del suffragio universale diretto. Perché fino ad allora la composizione del Parlamento europeo si stabiliva, secondo regole ben definite, dai parlamenti nazionali dei singoli Paesi membri dell’Unione. Una decisione quella del suffragio universale diretto, presa il 20 settembre 1976 dal Consiglio europeo, ed entrata poi in vigore nel 1º luglio 1978, per rimanere tuttora valida.

    Chi scrive queste righe, in questi ultimi giorni ha avuto modo di seguire un video presentato a Milano l’8 maggio scorso, in occasione della festa dell’Europa. Era un’intervista rilasciata da Arnaldo Ferragni, un ottimo conoscitore della storia dell’Unione europea e delle sue Istituzioni, essendo stato, per decenni, direttamente coinvolto. Nel 1979 egli era il direttore dell’Ufficio di Roma del Parlamento europeo e si occupò direttamente della campagna di comunicazione per le elezioni europee. Un matitone con le bandiere dei nove Stati membri dell’Unione europea di allora è stato scelto come simbolo comunicativo. Il significato: con quella matita si doveva fare la scelta, votando per i singoli deputati del Parlamento europeo. Per l’Italia lo slogan allora era “Vota per la tua Europa!”. Durante la sopracitata intervista Arnaldo Ferragni ricorda anche che all’elettore doveva arrivare chiaramente il messaggio: “Tu non sei al di fuori di questa Europa. Sei l’Europa stessa. Quindi se tu vai a votare, devi votare, in un certo senso, per te stesso”. Adesso, quarant’anni dopo, quei messaggi e quelle parole pronunciate nel 1979 suonano più che attuali. Anzi! Ne assumono una particolare importanza. Entro poche ore, in giornata, si saprà anche la composizione del Parlamento europeo per i prossimi cinque anni. Con l’incognita però, della presenza del Regno Unito nell’Unione europea.

    Nel frattempo, oltre all’incognita della permanenza o meno del Regno Unito nell’Unione, ci sono anche le dimissioni, annunciate il 24 maggio scorso, della premier Theresa May. Le ha annunciate in lacrime, esprimendo anche il suo “profondo rammarico per non aver potuto attuare la Brexit”. Adesso in gara per la successione, sia alla guida del partito conservatore che al numero 10 di Downing Street, si sono schierati subito in tanti. Alcuni dei quali, già ministri nel governo di Theresa May, sono anche convinti sostenitori di una Brexit senza compromessi con l’Unione Europea. Da sottolineare però che tutto ciò ha avuto un primo risultato. E cioè che il partito conservatore della May ha perso molto, posizionandosi al quinto posto. Il primo posto lo ha avuto il Brexit Party, il nuovo partito di Nigel Farage. Rimane tutto da vedere cosa accadrà nei prossimi mesi nel Regno Unito.

    In seguito alla pubblicazione di un video che coinvolgerebbe il vice cancelliere austriaco e capo del partito alleato di governo, quest’ultimo ha rassegnato le sue dimissioni. Accadeva dieci giorni fa. Un giorno dopo, il 18 maggio scorso, nonostante le elezioni europee alle porte, il cancelliere austriaco Sebastian Kurz ha chiesto di andare “il prima possible alle elezioni anticipate”. Richiesta accettata in seguito anche dal presidente della Repubblica austriaca. Perciò le elezioni anticipate in Austria si svolgeranno all’inizio del prossimo autunno. Ma nonostante le sue dimissioni, il partito del cancelliere Kurz ha vinto ieri nelle elezioni europee. Un risultato che potrebbe rappresentare anche una previsione per le prossime elezioni nazionali in Austria.

    In Albania continuano le proteste contro il malgoverno. Sabato scorso, 25 maggio, a Tirana sono scesi di nuovo in piazza i cittadini a manifestare pacificamente. Erano in tanti, veramente in tanti, per chiedere le dimissioni del primo ministro, come il diretto responsabile della grave crisi politica, istituzionale e sociale in cui si trova ormai da mesi l’Albania. I cittadini delusi e indignati hanno di nuovo espresso la loro determinazione per sconfiggere definitivamente il male che sta affliggendo il paese e loro stessi. Lo hanno fatto pacificamente, in un modo più significativo e convincente di prima. Nella serata del 25 maggio scorso, la viale principale di Tirana era riempita di manifestanti che avevano portato con se la loro indignazione, ma anche la loro determinazione di andare fino in fondo, chiedendo solo e soltanto i loro sacrosanti diritti. La prossima protesta sarà tra qualche giorno, domenica 2 giugno. I cittadini saranno lì, forse più numerosi di prima. Che anche i dirigenti dell’opposizione siano altrettanto determinati, come i cittadini! E che non ci si arrivi a qualche accordo “dell’ultima ora” tra loro e il primo ministro! Perché i precedenti, purtroppo, non mancano. Basta riferirsi a quel famigerato accordo del 18 maggio 2017, con il quale sono state vergognosamente tradite tutte le aspettative, le speranze e la fiducia dei cittadini.

    Durante questi ultimi giorni anche gli albanesi hanno seguito con interesse lo svolgimento delle elezioni europee, attendendo i risultati definitivi. Perché, nonostante l’Albania non sia ancora un paese membro dell’Unione, la gran parte degli albanesi rimangono sempre europeisti convinti. Ma questo non può permettere, mai e poi mai, sia ad alcuni alti rappresentanti delle istituzioni europee, soprattutto della Commissione europea, che a qualche funzionario della Delegazione dell’Unione europea a Tirana, di comportarsi come rappresentanti di parte. Con tutte le dannose e intollerabili conseguenze per il Paese e i suoi cittadini.

    Chi scrive queste righe auspica che i rappresentanti delle nuove istituzioni europee, soprattutto quelli della Commissione e della Delegazione dell’Unione europea a Tirana, si comportino come previsto dal loro mandato. Né più e né meno! E che non diventino, come spesso è accaduto, fatti alla mano, sostenitori del male, rappresentato dal primo ministro. Che siano, semplicemente, dei professionisti seri. Che siano delle persone serie. Anche perché le persone serie sanno come chiedere scusa quando sbagliano. Le altre continuano sempre a cercare scusa. Le elezioni europee sono oramai concluse. Mentre le proteste in Albania continuano. I dadi sono stati tratti. Per tutti.

     

  • Proteste come unica speranza

    Negli stati democratici, gli unici fondati sulla giustizia,
    capita qualche volta che la frazione usurpa.
    Allora il tutto si leva e la rivendicazione necessaria del suo
    diritto può arrivare fino alla presa delle armi.

    Victor Hugo; “I miserabili”   

    “Di che cosa si compone una sommossa? Di niente e di tutto. Di un’elettricità rilasciata a poco a poco, di una fiamma improvvisamente scaturita, di una forza errante, di un soffio che passa. Quel soffio incontra delle teste che pensano, dei cervelli che sognano, delle anime che soffrono, delle passioni che bruciano, delle miserie che urlano, e le porta via”. Così scriveva Victor Hugo all’inizio del decimo libro del suo famoso romanzo “I miserabili”. Era il tempo dei cambiamenti storici. Era il tempo delle rivolte e delle ribellioni contro la tirannia e le ingiustizie per la libertà e i diritti. Era il 5 giugno del 1832. Alcune settimane prima trentanove deputati dell’opposizione, avevano reso pubblico un “Compte rendu”. In quel “Rendiconto” venivano elencate tutte le promesse che il governo non aveva mantenuto. Proprio quel governo, costituito un anno fa, che aveva continuamente violato le libertà civili e i diritti dei cittadini. Violazioni che avevano ripetutamente provocato agitazioni e disordini a Parigi e in altre parti della Francia. Era un documento che formulava forti accuse contro la monarchia di luglio, costituita dopo le “Trois Glorieuses, cioè le “tre giornate gloriose” del luglio 1830. Il “Rendiconto” era un documento in cui si incitava senza mezzi termini di rovesciare il regime restaurato da Luigi Filippo, il monarca, e costituire la Repubblica. In quel “Rendiconto” gli autori, tra l’altro, scrivevano: “Uniti nella dedizione a questa grande e nobile causa per la quale la Francia combatte da quaranta anni, […] noi le abbiamo consacrato la nostra vita e abbiamo fede nella sua vittoria”.

    Senz’altro gli abitanti di Parigi avevano tutte le sacrosante ragioni per ribellarsi contro le ingiustizie e contro il regime di Luigi Filippo nel giugno 1832, così maestosamente descritto da Victor Hugo. Senz’altro tutti gli insorti del 5 giugno erano quei “tutti” che combattevano contro quella “frazione” che aveva usurpato il potere. Senz’ombra di dubbio, in quel 5 giugno 1832, tutti coloro che si sono ribellati e insorti, erano i giovani studenti e gli operai, “senza cravatte, senza cappelli, senza fiato, bagnati dalla pioggia”, ma con “il lampo negli occhi”. Con loro erano anche l’ottantenne Mabeuf e quel monello di Gavroche, tutti e due simboli della barricata della rue de la Chanvrerie. Gli insorti avevano tutte le sacrosante ragioni per ribellarsi contro la tirannia. Perché, come scriveva Hugo, “l’insurrezione guarda in avanti”. Perché ”…c’è della corruzione [anche] sotto i tiranni illustri, ma la peste morale è ancora più orrenda sotto i tiranni infami”. Guai e alla faccia dei tiranni infami, perché, “…l’onestà di un cuore grande, condensata con la giustizia e la verità, fulmina!”. Così ammoniva Victor Hugo dalle pagine de “I miserabili”, raccontando quanto accadeva a Parigi nel lontano giugno 1832. Ma anche perché “Ribellarsi contro i tiranni significa obbedire a Dio”. Una frase, concentrato di secolare saggezza umana, maestosamente espressa da Benjamin Franklin. Una frase che chi scrive queste righe non smetterà mai di ripeterla. A se stesso e agli altri.

    In Albania, circa due secoli dopo, ci sono realmente, evidenze e fatti alla mano, tante palesi e pesanti violazioni dei diritti fondamentali dei cittadini da parte del governo, tanta corruzione, tanti abusi del potere, che giustificano forti ribellioni dei cittadini consapevoli e responsabili. Considerando la grave crisi che incombe dallo scorso febbraio, l’unica cosa da auspicare ormai è che non ci siano anche delle vittime, martiri della libertà, come il 5 giugno 1832 a Parigi. Perché di libertà si tratta. Libertà da una nuova dittatura restaurata, nonostante i vari e diabolici tentativi di camuffarla e di camuffarsi. Ma sempre dittatura è, altrettanto pericolosa e sanguinaria come tutte le dittature.

    In Albania bisogna reagire con forza e determinazione contro questa restaurata dittatura. Una nuova dittatura, simile a quella del secolo scorso, gestita ormai dai diretti discendenti biologici degli stessi dirigenti comunisti di allora. Una minacciosa dittatura, paragonabile, sotto molti aspetti, alle tirannie dei secoli passati in altri paesi, Francia compresa. Questa attuale in Albania è una diabolica dittatura del ventunesimo secolo in Europa, gestita dall’ormai evidenziata e allarmante connivenza tra il potere politico e la criminalità organizzata. E come la storia sempre insegna, arrivano dei giorni per tutti i popoli, nonostante quando e come, durante il quali diventano necessarie, se non indispensabili, scelte responsabili e azioni drastiche e determinate contro le dittature e le tirannie.

    Adesso gli albanesi stanno vivendo quei giorni. Perché attualmente “l’Albania è l’esempio principale di un paese caotico, nelle mani dei gangster”. Cosi si scriveva la settimana scorsa in un articolo del quotidiano tedesco Bild, il quale risulterebbe essere anche il più venduto quotidiano in Europa. L’autore dell’articolo, un noto giornalista, il quale è stato recentemente in Albania, ha avuto modo di conoscere la vera realtà. Lui, tra l’altro, ha messo in evidenza alcune verità, delle quali si sapeva poco o niente in Europa e nel mondo. “Adesso sta diventando chiaro per l’altra parte del continente che c’è qualcosa di seriamente sbagliato nel paese che era totalmente isolato sotto il comunismo dell’epoca della pietra”. Così si scriveva nell’articolo pubblicato la scorsa settimana dal quotidiano tedesco Bild. L’autore attirava l’attenzione pubblica e istituzionale su un altro fatto, direttamente legato con i negoziati dell’adesione dell’Albania all’Unione europea. Riferendosi alle raccomandazioni positive della Commissione europea per l’Albania, di cominciare i negoziati, il giornalista scriveva che quei negoziati saranno proprio “…per ironia con l’Albania! Ironicamente con uno Stato mafioso!”. Un altro serio grattacapo per il primo ministro albanese che, grazie ad una potente e ben finanziata propaganda, sia in Albania che all’estero, era riuscito fino ad alcune settimane fa a nascondere la vera, vissuta e allarmante realtà albanese. Chi scrive queste righe da tempo sta contestando e condannando le dichiarazioni irresponsabili di alcuni tra i massimi rappresentanti della Commissione europea sulla realtà [immaginaria] in Albania. Dichiarazioni che sembrano come fossero state scritte dalla mano del primo ministro albanese.

    Chi scrive queste righe è convinto che, ad oggi, almeno un risultato positivo è stato raggiunto dalla rassegnazione dei mandati parlamentari e dalle proteste in corso in Albania. Gli albanesi hanno finalmente capito la falsità e alcune volte anche la malignità, con tutte le reali e negative conseguenze, delle dichiarazioni e dell’operato di alcuni “rappresentanti internazionali”. Chi scrive queste righe è altresì convinto che bisogna ribellarsi contro il male che danneggia e uccide ogni giorno che passa, contro l’arroganza del potere che deride, conto la corruzione che abusa, le ingiustizie che annientano le speranze e contro tanto altro ancora. Bisogna ribellarsi e dare un fortissimo pugno in faccia a coloro che hanno causato una simile e inaccettabile situazione. In nome della vita, della libertà e dei diritti. Come in altri paesi evoluti, Francia compresa.

  • Gas a volontà

    Ci possono essere momenti in cui siamo impotenti a prevenire l’ingiustizia,
    ma non ci deve mai essere un momento in cui manchiamo di protestare.

    Elie Wiesel 

    Era convinto della necessità di protestare Elie Wiesel. Uno dei sopravvissuti all’Olocausto, noto giornalista, scrittore e Premio Nobel per la Pace nel 1986, non ha smesso mai di lottare contro le ingiustizie. E lo ha dimostrato durante tutta la sua vita. A sedici anni ha subito le atrocità e le ineffabili sofferenze nei famigerati campi di concentramento di Auschwitz e di Buchenwald. Campi dove le camere a gas, quelle diaboliche invenzioni del genere umano, “alleviavano” e attutivano per sempre le sofferenze. In quei campi, come anche in tanti altri dove milioni di esseri umani, spersonalizzati e annientati fino all’inverosimile, numeri senza nome, hanno perso tutto, vita compresa. Una sofferta esperienza di vita che ha fatto di Elie Wiesel un convinto e determinato combattente contro l’oppressione delle persone e le negazioni dei loro fondamentali diritti di vita, nonostante razza, religione e appartenenza. Protestando sempre con le sue “parole incandescenti”, Elie Wiesel era un convinto sostenitore delle proteste contro ogni ingiustizia e contro ogni violazione dei diritti fondamentali dell’umanità.

    Sono tante le ragioni per cui si dovrebbe protestare attualmente in diversi paesi del mondo. Paesi dove vengono sistematicamente e consapevolmente violati i diritti dei cittadini. Paesi in alcuni dei quali i regimi totalitari al potere permettono ai propri cittadini soltanto quel minimo indispensabile che non crea loro problemi. Paesi dove la povertà diffusa per la maggior parte della popolazione e la sfondata ricchezza per pochissime persone sono una evidente realtà. Ma anche paesi nei quali una simile situazione non può durare a lungo. In alcuni si sta protestando da tempo, come in Venezuela. In altri da alcuni mesi. Come nei Balcani e in Albania.

    Sabato scorso, 11 maggio, a Tirana di nuovo i cittadini sono scesi in piazza per protestare contro il malgoverno, chiedendo con forza le dimissioni del primo ministro. I cittadini protestano dal 16 febbraio scorso contro la connivenza del potere politico con la criminalità organizzata, gli abusi, la corruzione diffusa, l’arroganza governativa e tanto altro. Ma soprattutto i cittadini protestano e devono protestare determinati contro il ritorno di un nuovo regime dittatoriale, nonostante gli enormi sforzi propagandistici di mascherarlo con una parvenza di pluralismo fasullo e di facciata.

    La crisi politica e istituzionale in Albania si sta aggravando ogni giorno che passa. L’opposizione chiede le dimissioni del primo ministro, la costituzione di un governo transitorio per portare il paese a nuove elezioni libere e oneste, elezioni non più controllate e/o condizionate dal governo e dalla criminalità organizzata, come è successo in questi ultimi anni, prove alla mano. Né più e né meno di quello che stanno chiedendo anche i manifestanti in Venezuela. Tutto questo mentre il primo ministro controlla, oltre al potere esecutivo e legislativo, anche il potere giuridico. Soprattutto da quando, da più di un anno a questa parte, non funzionano più sia la Corte Costituzionale che la Corte Suprema. Le proteste in Albania, compresa quella dell’11 maggio scorso, sono state trasmesse in diretta televisiva e/o durante i notiziari, anche da molti noti media internazionali. Finalmente l’opinione pubblica, fuori dall’Albania, sta conoscendo la vera realtà del paese. Una realtà che fino a pochi mesi fa era completamente sconosciuta. Tutto dovuto, per varie ragioni, ad un “disinteressamento” mediatico internazionale.

    Nonostante l’attuale e grave realtà politica e sociale in Albania, il primo ministro continua ad ostinarsi a non fare un passo indietro. In una simile situazione l’opposizione, con la massima responsabilità istituzionale e morale, dovrebbe riadattare la sua strategia. Prima di tutto mai più promesse non mantenute, come è successo spesso in questi ultimi anni. Con tutte le inevitabili e dannose conseguenze per il paese. Soprattutto con la perdita della fiducia e della speranza. Perciò diventa indispensabile un cambiamento radicale della strategia. Adesso la situazione è tale che o l’opposizione diventa realmente credibile, oppure non ci sarà più una vera e reale opposizione in Albania. Ci sarà semplicemente un’opposizione di facciata. Il primo ministro ha già pensato e si è personalmente investito a costituire proprio quella che lui stesso ha chiamato la “nuova opposizione” composta da esseri che vendono l’anima per poco, da buffoni e da cretine, che non sono in grado di leggere senza sbagliare neanche un testo scritto da altri. Alcune settimane fa a questa combriccola è stato unito anche un “nuovo partito” registrato, in palese violazione della legge, dal sistema “riformato” della giustizia, nonostante tante denunce di firme falsificate, ma delle quali il tribunale ha fatto finta di niente!

    La protesta dell’11 maggio scorso, più delle altre precedenti, verrà ricordata soprattutto per l’uso sproporzionato e ingiustificato del gas, in palese violazione della legge e delle regole in vigore. Da sottolineare che non si sa neanche che tipo di gas sia stato usato. Di certo non è stato un gas lacrimogeno. Secondo gli specialisti si tratterebbe di gas nocivo con conseguenze per la salute. L’odore e l’effetto del gas usato è stato avvertito anche a più di un chilometro di distanza e ha creato seri disturbi respiratori e altri ancora, anche a migliaia di cittadini che abitavano nei paraggi e che stavano nelle loro case. Gas che, oltre ai manifestanti, ha impedito ai tanti giornalisti e cronisti di continuare a rapportare quanto stava accadendo. Forse al primo ministro interessava molto che le immagini in diretta, offuscate da tanto, tantissimo gas, fossero “perse”. Perché così non poteva rimanere traccia della palese violazione delle norme, della crudeltà nelle operazioni della polizia di Stato e delle forze speciali, numerose e armate fino ai denti, come se stessero affrontando un esercito di terroristi ben addestrati! Gas a volontà!

    Lo schieramento, di fronte ai manifestanti, di ingenti forze speciali, di mezzi blindati e macchine che lanciavano acqua a pressione è stato un’altra cosa che si ricorderà della protesta dell’11 maggio scorso a Tirana. Come se fosse stato dichiarato lo stato d’assedio. Immagini che ricordavano altre e altrettante sgradevoli immagini da altri paesi, Venezuela compreso. Per fortuna lo hanno trasmesso in diretta televisiva sia i media che le reti sociali. E la propaganda del primo ministro non può più nascondere la testa come lo struzzo. Nonostante i “generosi sforzi” da parte di alcuni soliti irresponsabili rappresentanti internazionali i quali, come sempre, non hanno visto e sentito niente. Neanche l’uso criminale del gas. Ma che hanno condannato la “violenza” usata dai manifestanti!

    Chi scrive queste righe avrebbe tante altre cose da scrivere, come diretta riflessione di quanto è accaduto l’11 maggio scorso a Tirana. Tra le tante cose però, l’uso del gas contro i cittadini gli ha fatto venire in mente le camera a gas dei campi di concentramento nazisti. Condividendo anche quanto scriveva Elie Wiesel sul dovere civile di protestare dei cittadini responsabili. E cioè che “ci possono essere momenti in cui siamo impotenti a prevenire l’ingiustizia, ma non ci deve mai essere un momento in cui manchiamo di protestare”.

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