Albania

  • Il vertice di Berlino

    Tre cose non si possono nascondere troppo a lungo: il sole, la luna e la verità.

    Umberto Eco; “Il nome della rosa”

    Il 29 aprile scorso a Berlino si è svolto il vertice sui Balcani occidentali. Presidenti e capi dei governi, insieme con le rispettive delegazioni sono stati gli invitati della cancelliera Merkel e del presidente Macron. Oltre ai massimi rappresentanti dei sei paesi della regione, c’erano anche quelli della Slovenia e della Croazia. Doveva essere presente, come ospite, anche il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ma in sua vece era arrivata l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini. Gli organizzatori hanno ritenuto doveroso sottolineare il carattere informale del vertice. Nonostante ciò, tutti erano a Berlino per discutere di alcuni seri e spinosi problemi, che potrebbero avere preoccupanti ripercussioni non solo per la regione balcanica. Uno tra i tanti era però il vero problema: quello dei confini tra il Kosovo e la Serbia. L’aveva già anticipato anche la portavoce del governo tedesco il 26 aprile scorso. Lo hanno confermato poi il 29 aprile nelle loro dichiarazioni prima di iniziare il vertice, sia la cancelliera Merkel che il presidente Macron. La cancelliera tedesca ha ribadito che la soluzione finale dei contenziosi tra il Kosovo e la Serbia “non si dovrebbe fare ai danni degli altri paesi della regione”. Il presidente francese ha aggiunto anche che per risolvere i problemi tra il Kosovo e la Serbia bisognava verificare e trattare “tutte le possibilità”. Ma bisognava “evitare le eventuali tensioni nella regione” che ne potrebbero derivare a causa delle scelte fatte. E sia per la Merkel, che da tempo è stata chiara e perentoria, sia adesso anche per Macron, la ridefinizione dei confini sarebbe una scelta non solo sbagliata, ma anche pericolosa. Perciò una scelta da evitare definitivamente. Un messaggio chiaro per tutti coloro che la soluzione per sbloccare i difficili negoziati tra il Kosovo e la Serbia la trovavano in uno scambio di territori tra i due paesi. Un messaggio chiaro anche per loro, per gli ideatori, i sostenitori e gli attuatori di questo progetto pericoloso. Progetto che avrebbe portato, con molta probabilità, ad una allarmante recrudescenza degli scontri etnici nei Balcani e sarebbe servito anche come pretesto e riferimento in altri casi simili in altri paesi.

    Si sapevano già i nomi dei sostenitori più motivati di questo progetto, ognuno per le sue ragioni, ma in questi ultimi giorni tutto è diventato chiaro. I “tre moschettieri del re” erano il presidente del Kosovo, il quale ha reso pubblico per primo il progetto l’agosto scorso, il presidente della Serbia e il primo ministro albanese. Tutti e tre, con dietro una schiera di strateghi, consiglieri e opinionisti, hanno cercato di convincere l’opinione pubblica dei rispettivi paesi sulla “bontà” del progetto. Progetto di cui loro erano soltanto i sostenitori e gli attuatori. Perché da molte fonti mediatiche, e non solo, risulterebbe che “il re”, l’ideatore, un noto multimiliardario speculatore di borsa, seguiva tutto dall’altra parte dell’Atlantico. Essendo ormai una persona di una veneranda età, lui ha preferito essere rappresentato dal suo erede biologico e negli affari. Quest’ultimo è stato molto attivo e presente dall’agosto 2018 in poi, sia in Serbia che in Kosovo e in Albania. Le cattive lingue, riferendosi alla sua presenza nella regione, parlano di grandi interessi speculativi a medio e lungo termine che sarebbero stati avviati se il progetto di una nuova delimitazione dei confini tra il Kosovo e la Serbia avrebbe avuto successo.

    In tutto questo periodo si è parlato tanto di questo progetto. Ma erano in pochi quelli che sapevano dei dettagli e, men che meno, il vero contenuto del progetto. Un progetto che, comunque, doveva interessare molto alla Serbia, che ne usciva vincente a scapito del Kosovo. Ragion per cui, appena il presidente del Kosovo, all’inizio dell’agosto 2018, ha parlato per la prima volta pubblicamente del progetto, la reazione è stata immediata e aspramente contraria. Sia in Kosovo che in Albania. In Kosovo il presidente si è trovato subito isolato in questa iniziativa e contestato sia da tutti gli altri rappresentanti politici, in modo trasversale, che dai media e dalla popolazione. Anche in Albania il progetto è stato contestato fortemente, sia dagli analisti e dagli opinionisti, che dai rappresentanti della politica, tranne quelli del partito del primo ministro. Hanno “sostenuto” il progetto anche alcuni opinionisti che si sono messi al servizio e alla mercé del primo ministro. Il quale all’inizio ha taciuto, cercando di “nascondersi”, come fa sempre in casi simili. Ma come sempre, quando si trova in serie difficoltà e semplicemente per delle “convenienze del momento”, il primo ministro albanese, in cambio di qualche “favore e supporto internazionale”, in seguito ha “cambiato opinione” riguardo al sopracitato progetto, come il camaleonte cambia il colore. All’inizio si è guardato bene dall’esprimere una sua opinione e ha negato il suo diretto coinvolgimento nell’attuazione del progetto. Poi, sempre negando il suo coinvolgimento, si è schierato apertamente a fianco del presidente del Kosovo, considerando come “somari” tutti quelli che erano contro il progetto (Patto Sociale n.329; 335; 339; 345 ecc.). Ultimamente sono diverse le dichiarazioni pubbliche di persone ben informate, secondo le quali il primo ministro albanese sapeva e appoggiava il progetto già da più di due anni fa! Si parla anche di almeno due incontri suoi con il presidente serbo, durante i quali, secondo le stesse dichiarazioni, avrebbero parlato del progetto e come farlo attuare. Nonostante ciò nessuna reazione pubblica da parte del primo ministro e/o da chi per lui, per negare esplicitamente quanto sopracitato. Nel frattempo il presidente serbo, a lavori finiti del vertice di Berlino, ha dichiarato pubblicamente, riferendosi al menzionato progetto: “La mia idea è fallita. Questo [fatto] costerà alla nostra nazione per i venti o i trenta anni a venire”.

    Tornando al vertice di Berlino del 29 aprile scorso, per fortuna, non solo il progetto dei confini tra il Kosovo e la Serbia non ha trovato appoggio, ma è stato fortemente contrariato e “seppellito per sempre”. Perciò, se in quel vertice sia stato raggiunto anche un solo obiettivo, questo senz’altro è stato l’annientamento di quel progetto. Ma dal vertice di Berlino è stato “lasciato intendere” anche il fallimento delle politiche della Commissione europea per la soluzione dei contenziosi e le discordie tra il Kosovo e la Serbia. Da “indiscrezioni” trapelate dall’interno del vertice risulterebbe anche una presa di posizione nei confronti dell’operato e del ruolo quasi personale e personalizzato dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini. Il solo fatto della necessità di convocare il vertice di Berlino dietro l’iniziativa e il patronato della cancelliera Merkel e del presidente Macron, lasciando “in secondo piano” la Commissione europea, è molto significativo. Un altro merito di questo vertice è che ha smascherato pubblicamente alcune bugie e inganni. Chissà come si è sentito qualcuno dei partecipanti, smentito, smascherato e trascurato?!

    Chi scrive queste righe condivide pienamente quanto scriveva Umberto Eco. E cioè che tre cose non si possono nascondere troppo a lungo: il sole, la luna e la verità.

     

  • Arance da spremere

    Je vois bien qu’on a pressé l’orange; il faut penser à sauver l’écorce.

    Voltaire

    “Vedo bene che l’arancia è stata spremuta; bisogna pensare a salvare la buccia”. Così scriveva Voltaire ad una sua amica e confidente, madame Denis, il 2 settembre 1751. In quel periodo Voltaire si trovava a Postdam, alla corte di Federico II, Re di Prussia, come suo confidente consigliere e come oracolo in filosofia e letteratura. Il re, soprannominato anche Federico il Grande, era uno dei regnanti più importanti del Settecento. Era riconosciuto non solo per le sue imprese militari, per lo sviluppo economico e amministrativo del suo regno, ma anche per la sua propensione verso le arti e la filosofia. Ragion per cui Voltaire si trovava nella sua corte. All’inizio i rapporti erano ottimi, ma poi, con il passare del tempo, visto anche i loro caratteri, quei rapporti cominciarono a degradarsi, fino al punto che Voltraire, offeso e ferito nella sua dignità, pensava soltanto a come evadere dalla corte di Federico.

    Nella sua lettera a madame Denis, Voltaire le raccontava, tra l’altro, quanto aveva detto a lui il signor La Mettrie. Il quale, come scriveva Voltaire, era un uomo che “parlava in confidenza con il re”. Voltaire, sospettando che i rapporti con Federico non erano più quelli di prima, aveva chiesto a La Mettrie di intervenire presso il re a suo favore. L’ambasciata di La Mettrie, purtroppo, non era andata a buon fine. Ma, almeno, aveva fatto sapere a Voltaire cosa Federico pensava di lui. Era soprattutto una frase del re che l’aveva profondamente umiliato, offeso e ferito. Riferendosi a Voltaire, Federico II avrebbe detto: “Io avrò bisogno di lui ancora per non più di un anno; si spreme l’arancia e poi si getta la buccia”. Una frase, quella, diventata ormai molto famosa. La sopracitata lettera di Voltaire a madame Denis (Œuvre completes de Voltaire; Edition Garnier, tome 37, p. 320 – 322) rappresenta, come tante altre, anche un concentrato di lezioni filosofiche e politiche avute dalla sua permanenza e dalla sua esperienza nella corte di Federico II di Prussia. In quella lettera Voltaire promette a madame Denis di fare anche “un dizionario ad essere usato dai re”. Voltaire era convinto, non senza una spiccata dose di cinismo, che per i regnanti “amico mio, significa schiavo mio”. Poi, per loro, “mio caro amico, significa voi mi siete più che indifferente”. E se loro ti chiedono “cenate con me stasera”, dovete capire che questo significa semplicemente “Me ne burlo di te questa sera”. E poi, se loro ti dicono “vi renderò felice”, allora bisogna capire soltanto quello che loro in realtà hanno in mente. E cioè “vi sopporterò finché ne avrò bisogno di voi”.

    Un’esperienza quella di Voltaire presso la corte di Federico II di Prussia, dalla quale ci sarebbe sempre da imparare. Anche in Albania alcune persone potrebbero e dovrebbero imparare da quell’esperienza, visto gli attuali e/o i previsti sviluppi politici. Perché conoscendo quanto è accaduto e sta accadendo, nonché il carattere e il comportamento politico e/o personale del primo ministro, alcuni poveri illusi, che adesso stanno sognando un “periodo di gloria” e qualche lauto beneficio, saranno sopportati finché ‘il re” avrà bisogno di loro. Poi saranno gettati via come una buccia d’arancia spremuta. Le esperienze non mancano. Anche soltanto quelle albanesi degli ultimi anni bastano e avanzano. La storia sempre insegna. Ma soltanto a quelli che vogliono imparare, capire e poi, agire di conseguenza.

    Nel 1990, mentre in tutti i paesi dell’Europa dell’est i regimi comunisti erano già caduti, in Albania la dittatura stava vivendo ancora le sue ultime agonie. Impauriti e per ingannare gli albanesi, i dirigenti comunisti hanno proposto allora una “soluzione originale”, per far credere ad un avviamento del pluripartitismo, richiesto con sempre più determinazione dagli albanesi. I dirigenti comunisti avevano proposto che alle elezioni successive potevano partecipare, per la prima volta, anche le organizzazioni delle donne e della gioventù comunista, insieme con i sindacati del regime. Organizzazioni che fino ad allora venivano ufficialmente riconosciute come le “leve del partito”. Ipocrisia e inganno allo stato puro! Ma per fortuna non ha funzionato.

    Adesso il primo ministro albanese si sta sforzando di attuare la stessa strategia, mentre il paese si trova, da più di due mesi ormai, in piena crisi istituzionale. Tutto è cominciato a metà febbraio, dopo che i deputati dell’opposizione hanno rassegnato i mandati parlamentari. È stata una scelta estrema ma indispensabile, nelle condizioni in cui si trovava l’opposizione e tenendo presente la drammatica realtà albanese. L’opposizione sta chiedendo le dimissioni del primo ministro e la costituzione di un governo di transizione con un mandato ben definito. Con un unico obiettivo, quello di garantire elezioni libere, non controllate e/o condizionate dal governo, in connivenza con la criminalità organizzata. Come risultano adesso, prove alla mano, essere state le ultime elezioni politiche del giugno 2017, che hanno dato il secondo mandato al primo ministro, nonché altre gare elettorali parziali. Se non verranno accettate quelle richieste, l’opposizione non parteciperà alle elezioni, cominciando da quelle amministrative del 30 giugno prossimo. Adesso questa decisione è stata anche ufficializzata, essendo superati i tempi limiti per la registrazione dei soggetti elettorali, prevista dalla legge. Nel frattempo le proteste, sia quelle massicce a Tirana, che tante altre in diverse città del paese, stanno creando serie preoccupazioni esistenziali al primo ministro e ai suoi. Sembra che non lo stiano aiutando molto neanche i “generosi supporti internazionali”. Ragion per cui gli strateghi del primo ministro hanno disperatamente spolverato e riproposto, leggermente modificata, la soluzione ingannevole che i predecessori degli attuali governanti in Albania hanno offerto nel 1990. E cioè hanno “convinto” alcune persone delle liste elettorali dei partiti dell’opposizione durante le ultime elezioni, di “accettare” i mandati parlamentari. Tutte persone con seri problemi di personalità e dignità politica e/o umana, come dimostrato anche pubblicamente prima e/o ultimamente. Con simili rappresentanti, insieme con i tre deputati che non hanno rassegnato i mandati, il primo ministro sta cercando di costituire e ufficializzare quella che lui, con enfasi, ha chiamato la “nuova opposizione”, con la quale lui pretende portare avanti le sue riforme, convinto che tutti seguiranno e interpreteranno la sceneggiatura da lui scritta. In più, e per dare una parvenza di pluripartitismo, dopo la scelta dell’opposizione di non partecipare alle elezioni, cominciando da quelle amministrative del prossimo 30 giugno, il primo ministro sta beneficiando anche dalla costituzione di un “nuovo partito in opposizione”. Una costituzione in fretta e furia e in palese violazione delle leggi in vigore. Ma il sistema “riformato” della giustizia permette questo e ben altro, quando serve al primo ministro. Anche con il beneplacito e l’aiuto dei “rappresentanti internazionali”.

    Chi scrive queste righe disprezza questa buffonata di turno. Egli, riferendosi alla saggezza di Voltaire, è convinto che i rappresentanti della “nuova opposizione” servono al primo ministro soltanto come delle arance da spremere. Saranno coccolati e sopportati finché “il re” ne avrà bisogno. Poi li getterà via. Se “il re” avrà il tempo di farlo però!

  • Non avete visto niente ancora!

    Extremis malis, extrema remedia!

    Si, a mali estremi, estremi rimedi! Ad una simile e molto difficile scelta si arriva soltanto quando non esistono altre e quando ogni possibilità di intesa svanisce definitivamente. Questa è stata anche la ragione perché i rappresentanti dell’opposizione politica in Albania hanno rassegnato ufficialmente i mandati parlamentari il 21 febbraio scorso. Da allora si è messa in moto una assordante campagna propagandistica contro questo atto, ignorando la realtà e senza badare a incoerenze logiche e ragionamenti ridicoli e per niente convincenti. Una campagna che, oltre al primo ministro in prima persona e ai suoi luogotenenti, oltre ai media e agli opinionisti da lui controllati, vede attivati, come mai prima, anche i “rappresentanti internazionali’. Una campagna tuttora in corso.

    Ovviamente, in un paese democratico, ma veramente democratico, rassegnare i mandati parlamentari in blocco da parte dell’opposizione sarebbe stata una misura del tutto inspiegabile e ingiustificabile. Perché si sa, in un paese democratico la vita e le attività politiche si dovrebbero svolgere, e realmente si svolgono, prima di tutto, in parlamento.

    Ma in Albania la realtà è ben diversa e molto allarmante. Perché l’Albania, purtroppo, non è un paese democratico. Dalle istituzioni internazionali specializzate viene considerata, a seconda dei casi, come un paese con una “democrazia ibrida”, oppure con una “democrazia fragile”. Che poi non è che cambia molto in sostanza. Ma anche queste definizioni, dati e fatti alla mano, risultano esprimere una valutazione ottimistica. E questo perché, sempre dati e fatti alla mano, negli ultimi anni, e sempre più frequentemente, l’Albania sta scivolando verso un regime totalitario. Con tutte le derivanti e allarmanti conseguenze.

    In una simile realtà, il Parlamento, come simbolo della democrazia viene, quasi quotidianamente, profanato dalla maggioranza governativa e, soprattutto, dal primo ministro in persona. Anzi, è proprio il primo ministro, che con la sua arroganza, la sua volgarità verbale e tanto altro ancora, si identifica come il profanatore per eccellenza delle istituzioni, Parlamento compreso.

    In Albania tutti ricordano, o dovrebbero ricordare, una frase del suo discorso iniziale come primo ministro, appena il suo governo aveva avuto il previsto sostegno parlamentare. Accadeva nel settembre del 2013. Quel discorso non si ricorda e/o non si ricorderà per il suo contenuto, e cioè per il programma del governo durante il suo primo mandato, allora appena cominciato. Perché niente di quello che ha detto il primo ministro, durante quel discorso, è stato realizzato e nessuna delle promesse fatte è stata mantenuta. Come sempre. Quel suo primo discorso da primo ministro si ricorderà soltanto per una frase, per quella frase rivolta ai deputati dell’opposizione: “Non avete visto niente ancora!”. Così ha dichiarato il primo ministro allora. Purtroppo il messaggio minatorio di quella frase si è avverato durante tutti questi anni, da quel settembre 2013. Un messaggio chiaro, che si riferiva e preannunciava tutte le negazioni, la completa trascuratezza dei loro diritti istituzionali, nonché le sofferenze alle quali si dovevano abituare i rappresentanti dell’opposizione. Quanto è accaduto in seguito ha confermato quelle parole e quella “profezia”. E non solo nelle attività parlamentari. Era forse una delle pochissime promesse fatte dal primo ministro e da lui mantenute. Non si sa, e forse non si saprà mai, se quelle parole esprimevano una scelta, una linea guida consapevole, oppure sono state articolate dal suo inconscio. Comunque sia stato allora, nel settembre 2013, quanto è accaduto in seguito ha dato piena ragione a quella ammonizione e “minaccia amichevole” del primo ministro per i rappresentanti dell’opposizione. Proprio quella frase “sfugge” però, come tante altre cose importanti e che meritano la massima attenzione, anche ad alcuni “rappresentanti internazionali” in Albania.

    Tornando alla rassegnazione dei mandati parlamentari, tutti coloro che hanno condannato quella scelta dell’opposizione, avrebbero dovuto prima conoscere bene e capire la vera realtà albanese e poi esprimersi. Quella realtà vissuta e sofferta quotidianamente dagli albanesi però, non quella “storia di successi” immaginaria che diffonde la propaganda governativa. Ovviamente non lo hanno fatto i soliti “rappresentanti internazionali”, che da sempre sono schierati a fianco del primo ministro. Quelli si sa, vedono, sentono e capiscono soltanto tramite i suoi occhi, le sue orecchie e la sua testa. Loro sanno anche il perché. Lo dovrebbero aver fatto e/o lo devono fare, prima possible però, tutti quelli che con la voglia sincera di aiutare si stanno occupando seriamente adesso dell’Albania. Perché solo così potrebbero trarre le dovute e giuste conclusioni, per poi consigliare quello che si dovrebbe fare e come farlo.

    Adesso non si può contestare all’opposizione l’aver rimesso i mandati parlamentari. Anzi, lo dovevano aver fatto prima. E le occasioni non sono mancate, anzi! Ma meglio tardi che mai. Da anni ormai, la presenza dell’opposizione in parlamento serviva al primo ministro soltanto come facciata, come parvenza di pluralismo e pluripartitismo. E a niente altro! Chi non riesce a capire questa realtà, non riesce a capire la realtà albanese in generale. Eccezion fatta per tutti coloro che capiscono, ma che per “determinate ragioni” acconsentono! Quella albanese è una realtà vissuta, che dimostra e testimonia il modo in cui il primo ministro, come minimo, ha sempre ignorato l’opposizione, le sue proposte in parlamento e altro ancora. Una realtà che descrive e dimostra un primo ministro arrogante, autoritario, ma anche volgare e vigliacco. Un primo ministro che fa, lui solo, il buono e il cattivo tempo.

    Come si potrebbe pretendere “normalità” e considerare democratico un paese come l’Albania mentre il sistema della giustizia si sta volutamente politicizzando ogni giorno che passa? Un paese dove quelli che gestiscono la cosa pubblica hanno volutamente fatto fallire la riforma della giustizia. Compreso, come parte di quel [voluto] fallimento anche l’incapacità di funzionamento della Corte Costituzionale e della Corte Suprema. Quale istituzione ormai, da più di un anno a questa parte, può decidere sulla costituzionalità delle delibere governative e di altre istituzioni, nonché delle richieste di gruppi di interesse e/o di semplici cittadini? Quale altra privazione dovrebbe affrontare l’opposizione istituzionale? Si può parlare ancora di “normalità” in Albania?! Perché allora, in una simile grave situazione, i rappresentanti dell’opposizione dovevano stare ancora in Parlamento? Per avere, semplicemente, l’ennesima prova e dimostrazione che, per il primo ministro, loro non valgono, non contano niente, ma soltanto servono da facciata? Queste sono soltanto alcune delle tante ragioni, che bastano e avanzano per costringere l’opposizione ad azioni e decisioni estreme. Compresa anche l’aver rassegnato mandati parlamentari.

    Chi scrive queste righe è convinto che, privandosi dei mandati parlamentari, i rappresentanti dell’opposizione hanno tolto al primo ministro almeno il lusso di fingere, di mentire senza batter ciglio, di manipolare l’opinione pubblica in Albania e all’estero e di parlare di pluralismo e di democrazia. Egli si chiede però chi sono, per chi lavorano e a chi rendono conto alcuni “rappresentanti internazionali”, molto attivi ultimamente in Albania!

  • Il coraggio di ribellarsi

    Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità,
    bensì uscire da quella zona grigia in cui tutto è abitudine e
    rassegnazione passiva. Bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi.

    Rita Levi-Montalcini

    Sabato scorso, 13 aprile alle 18.00, come era stato annunciato, a Tirana è cominciata un’altra grande protesta organizzata dall’opposizione. Gli albanesi, ormai da alcuni anni, hanno tutte le sacrosante ragioni per scendere in piazza e per protestare. Hanno tutte le sacrosante ragioni per rifiutare con sdegno un governo corrotto che non li rappresenta e per chiedere con determinazione le dimissioni del primo ministro. Quella di sabato scorso era la nona protesta nell’arco di otto settimane e la terza a livello nazionale, dopo quelle massicce del 16 febbraio e del 16 marzo. I manifestanti numerosi, sfidando il cattivo tempo e la pioggia, hanno riempito il viale principale di Tirana e si sono fermati di fronte all’edificio del Consiglio dei Ministri. Sabato scorso la protesta è stata trasmessa in diretta anche da importanti media internazionali. Una novità questa che, di per se, rappresenta un successo ed un obiettivo raggiunto delle proteste in corso in Albania ormai da due mesi.

    Secondo i rappresentanti dell’opposizione quella di sabato scorso era “la più grande protesta mai organizzata” e una “protesta storica”. Erano in pochi, invece, per il primo ministro e la propaganda governativa. In realtà era una protesta con una considerevole partecipazione e questo fatto è stato evidenziato e testimoniato dai media, compresi quelli internazionali. I cittadini, numerosi, esercitando un loro fondamentale diritto, protestano contro il malgoverno. Come in qualsiasi altro paese democratico. E questo è importante. Perciò, meglio concentrare l’attenzione sulle ragioni che spingono i cittadini a scendere in piazza e su come risolvere finalmente i loro seri problemi. Poi ogni altra cosa a tempo debito. Ma per il momento questo sì che dovrebbe essere il vero obbligo istituzionale e morale dei dirigenti dell’opposizione. Ed essere, allo stesso tempo, molto attenti con le promesse fatte! Come insegna a tutti la saggezza secolare. E cioè si deve pensare bene prima di promettere, si deve promettere soltanto quello che si può fare e poi si deve fare di tutto per mantenere le promesse fatte! I dirigenti dell’opposizione si devono ricordare bene cosa è accaduto in questi due anni, come diretto risultato delle promesse fatte e poi non mantenute. Loro devono ricordare che si fa presto a perdere di nuovo la fiducia della gente, con tutte le inevitabili ripercussioni. Come dopo l’accordo, del tutto non trasparente del 18 maggio 2017, tra il capo dell’opposizione, quello attuale, e il primo ministro, anche lui quello attuale. La gente non dimentica facilmente!

    La protesta di sabato scorso a Tirana si ricorderà anche, e soprattutto, per l’uso ingiustificato e sproporzionato del gas, da parte della polizia di Stato contro i manifestanti. Lo hanno fatto anche durante altre proteste in questi due ultimi mesi. Secondo gli specialisti, si tratterebbe di un gas non lacrimogeno, che crea seri problemi per la respirazione e non solo, fino allo svenimento entro pochi minuti. Sabato scorso, l’uso del gas dalla polizia di Stato contro i manifestanti risulterebbe essere in palese violazione non solo dei protocolli e dei regolamenti interni, ma anche delle convenzioni internazionali. Sabato scorso, dall’uso ingiustificato e sproporzionato di quel gas, sono rimaste vittime e hanno sofferto per le conseguenze non solo i manifestanti, ma anche cittadini che abitavano e/o si trovavano nei paraggi. Compresi alcuni giornalisti e cronisti che facevano il loro dovere. Un fatto grave che, di per se, dovrebbe rappresentare un serio e valido argomento per riflettere e trarre le dovute conclusioni.

    Nel frattempo, il primo ministro albanese che si nasconde, non dice niente e non esprime solidarietà ai giornalisti e ai fotoreporter feriti, svenuti e sentitisi male durante la protesta per via dell’uso ingiustificato e sproporzionato del gas. Chissà perché! Non sono mancate però le “dichiarazioni confezionate” a proposito dalle solite mani e lette da due ministri del governo, all’indomani della protesta. Dichiarazioni prive di senso e d’intelligenza, che hanno parlato molto più e molto meglio che le parole lette con difficoltà dai due ministri.

    L’uso ingiustificato e sproporzionato del gas da parte della polizia di Stato, sabato scorso, dovrebbe far riflettere tutti. Lo devono fare finalmente e seriamente anche alcuni rappresentanti internazionali. Proprio loro che, come sempre, non vedono, non sentono e non capiscono niente. Proprio loro che parlano di “proteste violente”, mentre in simili casi, nei loro paesi di provenienza, sono accadute cose ben diverse e ben più “violente”. Proprio loro che non hanno visto e non hanno sentito, per anni, della coltivazione diffusa su tutto il territorio della cannabis e del suo traffico illecito. Come non hanno visto e sentito niente della corruzione capillare che sta divorando le istituzioni governative e statali. Proprio loro che non hanno visto e non hanno sentito niente degli abusi clamorosi con gli appalti pubblici e gli scandali milionari. Come non hanno visto e non hanno sentito niente anche di tante altre cose, ognuna delle quali, nei loro paesi di provenienza, sarebbe bastata per chiedere e/o dare le dimissioni ministri e primi ministri. Ma loro, guarda caso, non vedono e non sentono niente. Non lo hanno detto i rappresentanti internazionali! Ergo il fatto non sussiste e niente di tutto ciò accade in Albania! Un bel sostegno per il primo ministro albanese. Perché questa è una delle sue giustificazioni preferite e ripetute, ogni volta che viene preso “col sorcio in bocca”. Meglio di così, come hanno fatto e stanno facendo alcuni “rappresentanti internazionali” in Albania, non si può sostenere il male, nonché l’ideatore, l’attuatore e approfittatore di quel male!

    Grazie alle ultime proteste, finalmente è stata attirata l’attenzione dei media internazionali su quello che sta realmente accadendo in Albania. Cosa che non succedeva prima, dando perciò al primo ministro e alla propaganda governativa la possibilità di abusare e di deformare la realtà. Anche con lo scontato sostegno della maggior parte dei media locali sotto controllo. Allo stesso tempo, la mancanza continua e quasi totale dell’attenzione mediatica internazionale ha facilitato la “missione istituzionale” di certi rappresentanti internazionali. Proprio quelli che non hanno perso e continuano a non perdere occasione mediatica, reti sociali comprese, di applaudire il primo ministro e i “successi” del governo. Proprio quelli che in Albania dovevano e devono fare solo e soltanto ciò che prevede la Convenzione di Vienna e quanto è permesso e/o tollerato nei loro paesi di provenienza. Niente di più o di meno!

    Chi scrive queste righe crede fermamente che la situazione in cui si trovano da alcuni anni gli albanesi è veramente grave. Egli ritiene direttamente e istituzionalmente responsabile di tutto ciò il primo ministro. Considerando però la sua arroganza e la sua sordità, allora che ben vengano le proteste! E se necessario anche le ribellioni. Perché è l’unico modo per abbattere una dittatura che si sta costituendo, se non lo è già! Bisogna, perciò, coltivare il coraggio di ribellarsi. Perché, come diceva Benjamin Franklin, ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio. Chi scrive queste righe non smetterà mai di ripeterlo.

  • Stagione di proteste e farse internazionali

    Ognuno ha la faccia che ha, ma qualche volta si esagera.

    Totò, da “I Tartassati”

    Tempo di proteste in alcuni paesi dei Balcani. I cittadini sono scesi nelle piazze in Serbia, in Montenegro e in Albania. Si protesta contro i politici autocrati e corrotti. Politici che con la loro arroganza stanno creando tanti seri problemi, mettendo a repentaglio le sorti delle fragili democrazie in quei paesi. E non a caso c’è un denominatore comune in tutte queste proteste: i cittadini delusi e arrabbiati protestano contro i politici corrotti e i sistemi totalitari che loro hanno costituito.

    Le proteste in Serbia sono cominciate dall’inizio dello scorso dicembre e da allora continuano senza sosta, ogni settimana con il motto “Uno in 5 milioni”. Numerosi e determinati i cittadini stanno protestando contro le massime autorità dello Stato. I contestatori riconoscendo in loro i diretti responsabili della preoccupante situazione creata, chiedono le loro dimissioni. Nonostante il presidente serbo abbia promesso il 26 marzo scorso nuove e anticipate elezioni politiche, le proteste continuano. Il 13 aprile prossimo dovrebbe scadere l’ultimatum posto dai contestatori al presidente, per adempiere le loro richieste. Rimane tutto da seguire.

    Anche in Montenegro si sta protestando da ormai otto settimane contro il malgoverno. Anche lì si chiedono le dimissioni del presidente, del primo ministro e di alcuni massimi dirigenti del sistema della giustizia. Tutto cominciò con la pubblicazione di un video nelle reti sociali che dimostrerebbe il coinvolgimento del presidente della Repubblica in uno scandalo corruttivo nel 2016. Accuse che il diretto interessato ha cercato di respingere durante un’intervista rilasciata ad una nota agenzia mediatica internazionale. Il presidente, negando le accuse, ha parlato di “fattori stranieri” e di “partiti pro russi” che fomentano le proteste. Frasi e insinuazioni che convincono poco, anzi! E sono, guarda caso, le stesse frasi e insinuazioni che sta usando anche il primo ministro albanese di fronte alle continue proteste che si stanno svolgendo in Albania.

    Le proteste in Albania sono diverse. Da più di un anno ormai continua la protesta per la difesa del Teatro Nazionale. Una protesta pacifica e ben motivata cominciata nel febbraio 2018 e che, dal 15 giugno 2018, si svolge ogni sera nella piazzola accanto al Teatro, attirando l’attenzione dell’opinione pubblica non solo in Albania. Una protesta che ha fatto fronte, ad oggi, ai progetti corruttivi e speculativi del primo ministro e di alcuni suoi leccapiedi senza scrupoli (Patto Sociale n.316, 325 ecc.).

    Per più di un mese, dal 5 dicembre 2018, gli studenti di tutte le università in Albania sono scesi in piazza per protestare contro le proibitive tariffe e altre spese che devono affrontare. Spese che rappresentano un serio problema per tanti studenti e per le loro famiglie, tenendo presente la sempre più diffusa povertà a livello nazionale (Patto Sociale n.336). Messo alle strette e di fronte a serie e vistose difficoltà, il primo ministro ha fatto l’unica cosa che sa fare. E cioè ha promesso per guadagnare tempo, consapevole di non dover mantenere quelle promesse. E così è veramente accaduto. Ragion per cui, dalla scorsa settimana, gli studenti, delusi, hanno fatto pubblicamente sapere che si stanno organizzando e che scenderanno di nuovo nelle piazze, più determinati di prima.

    Da più di cinque mesi, ogni sera, stanno protestando anche gli abitanti di un quartiere a Tirana. Protestano contro un progetto di edilizia abusiva fortemente voluto dal primo ministro e dai suoi. Spesso la polizia arresta dei manifestanti, in palese violazione della legge, con un unico scopo: intimorirli e dissuaderli. Ma proprio grazie a questa protesta, però, è stato scoperto uno scandalo abusivo milionario, sul quale la procura, controllata dal primo ministro, ha steso un velo pietoso.

    Dal 16 febbraio scorso in Albania sono cominciate anche le proteste chiamate dall’opposizione. Un giorno dopo il capo dell’opposizione ha dichiarato la rassegnazione, da parte dei deputati, dei mandati da parlamentari. Una scelta politica estrema, condizionata dalla realtà. Una scelta che ha sorpreso non poco e ha preso tutti alla sprovvista, compreso il primo ministro. Perché quella di rassegnare i mandati era una proposta fatta già dal dicembre del 2017 dall’ex primo ministro e capo storico del partito democratico, il maggior partito dell’attuale opposizione. Ma che è stata sempre rimandata e spesso anche ignorata dall’opposizione, mentre le ragioni per cui si poteva pensare seriamente e agire di conseguenza, nel frattempo, non sono mancate. Attualmente le proteste continuano. Oltre a due massicce proteste del 16 febbraio e del 16 marzo, ci sono state anche altre di fronte al parlamento e in varie città (Patto Sociale n.344, 348 ecc.). La prossima protesta massiccia è stata annunciata per sabato prossimo, 13 aprile.

    Il primo ministro albanese si trova in grosse difficoltà e sta cercando una disperata soluzione per uscire da questa grave crisi istituzionale e personale. Dopo la rassegna dei mandati da parte dei deputati dell’opposizione, a fine febbraio scorso, il primo ministro e i suoi si sono attivati per sostituire l’opposizione in parlamento con una “nuova opposizione”. Una “strana opposizione” quest’ultima, composta da alcune “strane” persone registrate nelle ultime file delle liste depositate dai partiti dell’attuale opposizione durante le elezioni politiche del 2017. Questa iniziativa si sta dimostrando già come una grande buffonata. Parte di questa “nuova opposizione” sono anche due o tre deputati dell’opposizione istituzionale che non hanno rassegnato i mandati. Una di loro, guarda caso, proprio nel dicembre scorso, in pieno svolgimento della protesta degli studenti, aveva pubblicamente dichiarato che poteva lasciare il mandato. Mentre adesso, per una causa ben più importante politicamente, ha fatto il contrario. Questo per capire l’integrità morale e politica dei deputati della “nuova opposizione”.

    Subito dopo la protesta del 16 febbraio scorso, alcuni “rappresentanti internazionali” hanno accusato l’opposizione che, con la sua uscita dal parlamento, stava “ostacolando il percorso europeo dell’Albania” (Patto Sociale n.346 ecc.). Se almeno avessero prestato più attenzione a quello che dichiarava il primo ministro sarebbero stati più credibili. Sì, perché il primo ministro stava e sta cercando di convincere tutti che con la “nuova opposizione” si faranno le riforme e tutto il resto. Le cattive lingue dicono che la “nuova opposizione” è una sua creatura, tagliata a misura e profumatamente pagata, sia in denaro che in altri modi. Perché il primo ministro albanese può. Ed è con questa “opposizione” che il primo ministro continuerà a fare le riforme. Le sue riforme e come vuole lui, però!

    Chi scrive queste righe è convinto che la “nuova opposizione” sia semplicemente una grottesca e misera creatura del primo ministro. Un’opposizione alla quale, però, credono e la sostengono anche i “rappresentanti internazionali”. Ma siccome con la “nuova opposizione” tutto andrà per il meglio, processo europeo dell’Albania compreso, allora chi scrive queste righe non può non fare una semplice domanda. Qual è la vera verità, ci si dovrebbe preoccupare o no, tra l’altro, anche per il percorso europeo dell’Albania? La possono dire chiaramente e almeno per una sola volta i “rappresentanti internazionali”? Oppure, come diceva Totò, ognuno ha la faccia che ha, ma qualche volta si esagera.

  • Adesso, 62 anni dopo…

    La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!

    dal “Manifesto di Ventotene”

    “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita”. Iniziava così quell’importante testo, quel documento storico che è meglio conosciuto come il “Manifesto di Ventotene”. Sotto il significativo titolo “Per un’Europa libera e unita; Ventotene, agosto 1941”, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, insieme anche con Ursula Hirschmann e altri, in quel documento sviluppavano ed esponevano le loro visioni su come potrebbe e dovrebbe essere la nuova Europa. Spinelli e Rossi in quel periodo, per le loro idee, si trovavano internati al confino nell’isola di Ventotene. Un documento nel quale gli autori argomentavano la necessità di costituire “…una forza sovranazionale europea, in cui le ricchezze avrebbero dovuto essere redistribuite e il governo si sarebbe deciso sulla base di elezioni a suffragio universale”. Tutto scritto mentre la Seconda guerra mondiale era in pieno corso e le sorti del conflitto erano ancora tutt’altro che previste.

    Circa nove anni dopo, il 9 magio 1950, Robert Schuman, l’allora ministro francese degli Affari Esteri, ha presentato una proposta concreta. Proposta che ormai viene conosciuta come la Dichiarazione Schuman e che prevedeva la costituzione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Una proposta coraggiosa, tenendo presente la storia dei conflitti europei e, più in particolare, quelli tra la Francia e la Germania. Ma, allo stesso tempo, anche una proposta lungimirante, tramite la quale si definiva un nuovo modello, sovranazionale, di collaborazione tra gli stati sovrani, che apriva nuove e concrete prospettive per i paesi europei. Il perno della proposta di Schuman era un accordo tra i paesi aderenti, per mettere in comune le produzioni di carbone e acciaio. “La fusione delle produzioni di carbone e di acciaio […] cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime”. Così dichiarava allora Robert Schuman. Quell’accordo è stato raggiunto circa un anno dopo e i paesi firmatari erano sei: la Francia, la Germania dell’ovest, l’Italia, l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo. Il rispettivo trattato è stato firmato a Parigi il 18 aprile 1951. La lungimiranza della proposta di Schuman andava oltre ad un accordo economico tra paesi sovrani. E non a caso si riferiva al carbone e all’acciaio. Due materie prime che erano alla base della produzione degli armamenti e, perciò, direttamente legati ai conflitti bellici. Il carbone e l’acciaio erano, in quel periodo, due tra i più importanti elementi dell’industria e della potenza politica e militare sia della Francia che della Germania. Accordarsi sulla produzione comune di queste due materie prime, rappresentava una solida base per allontanare il continuo pericolo dei conflitti armati tra paesi e in vasta scala mondiale. Come la storia ha in seguito dimostrato, la costituzione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio ha spianato la strada alla costituzione, sei anni dopo, di quella che adesso è l’Unione europea.

    Costituzione avviata il 25 marzo 1957 a Roma, in Campidoglio. I rappresentanti del Belgio, della Francia, della Germania, dell’Italia, del Lussemburgo e dell’Olanda hanno firmato i due Trattati di Roma. Il primo era il Trattato che istituiva la Comunità Economica europea. Un trattato che doveva regolamentare e gestire l’integrazione economica dei paesi aderenti e che rappresenta ancora la base legale di diverse decisioni che si prendono nell’ambito dell’ormai Unione europea. Il secondo era il Trattato che istituiva la Comunità europea dell’Energia Atomica, attualmente riconosciuta come Euroatom. Il compito di questo Trattato era quello di regolamentare e gestire gli investimenti sull’energia nucleare, in pieno sviluppo in quel periodo. Jean Monnet, uno dei Padri Fondatori dell’Unione europea dichiarava allora: “Quello che bisogna cercare è una fusione di interessi dei popoli europei e non solamente il ‘mantenimento’ dell’equilibrio di questi interessi”.

    Dal 25 marzo 1957 ad oggi altri paesi hanno aderito all’ormai Unione europea. Nel 1986 i paesi membri erano diventati dodici. Dopo il crollo del muro di Berlino diversi paesi dell’Europa dell’est hanno aderito all’Unione. L’ultimo paese membro, in ordine di tempo, è stato la Croazia nel 2013. Adesione quella che ha fissato il numero complessivo dei paesi membri a 28. Altri paesi, soprattutto quelli balcanici, hanno ufficialmente presentato richiesta e stanno percorrendo il previsto processo dell’adesione nell’Unione europea.

    Ma c’è anche un paese, il Regno Unito, che dal 23 giugno 2016, dopo l’esito del referendum per la permanenza o meno nell’Unione europea, ha avviato le procedure per l’uscita. Circa il 52 % dei suditi della regina Elisabetta hanno votato per il “Brexit”, parola appositamente coniata per indicare l’uscita. Quanto sta succedendo nelle ultime settimane in Gran Bretagna è ormai nota a tutti. Dall’inizio di questo mese sono state tre le votazioni significative con voti trasversali in Parlamento, contro le mozioni presentate sull’accordo dalla premier Theresa May con il capo negoziatore dell’Unione europea Michel Barnier. Accordo che, in base all’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea, stabiliva le procedure, diritti e obblighi compresi, per l’uscita del Regno Unito dall’Unione il 29 marzo 2019. Cioè a fine mese. Da sottolineare che, dal 2009, l’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea prevede la possibilità di recesso di uno Stato membro dell’Unione europea dalla stessa Unione. In seguito, il Parlamento del Regno Unito ha votato per una proroga di questa data, nonché contro il “No deal”. Un’altro termine questo, coniato appositamente e che si riferisce all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea senza nessun ulteriore accordo. Il che, insieme con altre problematiche verificate nel frattempo crea altre incognite ed ulteriori grattacapi. Sabato scorso, il 23 marzo, erano circa un milione per le strade di Londra, secondo fonti mediatiche, a manifestare contro l’uscita e la revoca da parte del Parlamento del sopracitato articolo 50, che stabilisce l’atto di “divorzio” tra il Regno Unito e l’Unione europea. Rimane tutto da vedere e da seguire come andrà a finire questo “matrimonio” celebrato nel 1973.

    Tutto questo e altro ancora, movimenti populisti compresi, sono le realtà europee adesso, 62 anno dopo la firma dei due Trattati di Roma il 25 marzo 1957. Realtà vissute, mentre soltanto due mesi dopo ci saranno le nuove elezioni per il Parlamento europeo.

    Chi scrive queste righe ha creduto sempre nel lungimirante progetto europeo dei Padri Fondatori, i quali, come ha detto Papa Francesco “hanno avuto fede nella possibilità di un avvenire migliore”. Egli crede in un’Europa fondata sui valori, sull’uguaglianza e sulla libertà, rispettando tutti i diritti e i doveri sanciti dagli accordi. Egli condivide il pensiero di Monnet secondo il quale “non c’è futuro per i popoli europei se non nell’Unione”. Essendo convinto però che non bisogna mai dimenticare l’ultima frase del “Manifesto di Ventotene”. E cioè che “La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà”. Anche per l’Albania, nonostante la grave e allarmante situazione in cui si trova.

  • Alcune doverose e inevitabili domande da fare

    La coscienza viene alla luce con la rivolta.

    Albert Camus

    Sabato scorso, 16 marzo, a Tirana si è svolta un’altra protesta contro il malgoverno. La quinta nell’arco di solo un mese e soltanto nella capitale dell’Albania. Era di nuovo una massiccia protesta, paragonabile, come numero di partecipanti, a quella svoltasi proprio un mese fa, il 16 febbraio. Mentre le ragioni e le motivazioni della popolazione, non solo della capitale, per protestare aumentano ogni giorno che passa. Così come aumenta anche l’irresponsabilità istituzionale del primo ministro albanese di fronte a una simile e allarmante situazione. Lui però continua a fare orecchie da mercante, sperando soltanto nel “generoso supporto dei rappresentanti internazionali” e nella polizia di Stato. Una polizia ormai pericolosamente politicizzata e al servizio del primo ministro. Il quale sta disperatamente sperando anche nella sua ben organizzata e potente propaganda, sostenuta dalla maggior parte dei media sotto controllo e da tanti analisti eunuchi che vendono l’anima al miglior offerente.

    L’ultima trovata del primo ministro, in vistosa crisi di nervi, la sua ennesima forzata messinscena sembra essere la costituzione di una “nuova opposizione”. L’ha così battezzata lui stesso, dopo che i deputati dell’opposizione, quella istituzionale, hanno ufficialmente rassegnato in blocco i loro mandati alcune settimane fa. Rassegnazione dei mandati, sulla quale il primo ministro ha scommesso contro e scherzato sopra, per poi perdere clamorosamente ed inaspettatamente la sua scommessa e ingoiare gli scherzi fatti. Adesso sta puntando tutto sulla sua “nuova opposizione”, rappresentata da certi personaggi al limite del grottesco e comunque senza nessun freno morale. Un ulteriore segno tangibile e significativo della profonda crisi istituzionale creatasi ormai in Albania. Intanto tutto il sistema è controllato personalmente da un primo ministro irresponsabile, mentre la Corte Costituzionale, l’ultimo e l’unico garante secondo la Costituzione albanese, da circa un anno non funziona più!

    Nel frattempo, da un mese, continuano in Albania le proteste dei cittadini disperati e irritati. Proteste che meritano la dovuta attenzione da parte di tutti. Anche perché stanno portando a galla fatti e realtà che il primo ministro e i suoi hanno cercato di tenere nascoste e fuori dall’attenzione pubblica. Adesso, di fronte a questi ultimi sviluppi legati alle proteste dei cittadini, si pongono naturali delle domande, alle quali ormai è obbligatorio dare delle risposte. Senza però mentire e tergiversare.

    Ormai ci si deve chiedere, senza mezzi termini, a chi serve realmente la polizia di Stato? Ed è ancora la polizia di Stato, oppure è diventata una polizia politicizzata? Perché durante le proteste massicce delle ultime settimane in Albania, il comportamento di alcuni segmenti della polizia è stato tutt’altro che professionale. Basta riferirsi soltanto all’uso sproporzionato, ingiustificato e ingiustificabile di certi tipi di gas, in alcune “azioni di contenimento” per dissuadere e allontanare i protestanti. In base agli effetti provocati sull’organismo e secondo gli specialisti sembrerebbe che siano stati usati anche dei gas non lacrimogeni. Come in Siria, quando il regime di Basar al’Asad ha usato “strani gas” contro la popolazione. In più, alcune “operazioni di contenimento e di dissuasione” della polizia contro i protestanti, sembrerebbero mirare non tanto a svolgere professionalmente i compiti in casi del genere, quanto a creare delle determinate situazioni di “disordine e di violenza”. Per poi attribuire tutto ai protestanti, accusandoli di “generatori di disordini e di atti vandalici” e parlare di proteste violente. Da sottolineare che il ministro degli Interni, nominato soltanto alcuni mesi fa, è un zelante e sottomesso servitore del primo ministro. Mentre molti degli alti funzionari della polizia, oltre a quelli irreperibili e ricercati dalla giustizia per il traffico illecito della cannabis e altri gravi reati, sono stati e/o sono tuttora coinvolti in faccende occulte controllate dalla criminalità organizzata. Ovviamente con il beneplacito e dietro ordini ben precisi dei massimi livelli del potere politico. Perciò, a chi serve realmente la polizia di Stato?

    Ormai si deve chiedere, senza mezzi termini, a chi servono realmente alcuni “rappresentanti internazionali” presenti e/o in missione ufficiale in Albania? I quali, con il loro incondizionato supporto al primo ministro peggiorano soltanto la situazione. Perché ormai questi “rappresentanti internazionali”, scegliendo la stabilità alla democrazia, sono stati talmente di parte e in alcune occasioni anche ridicoli, ripetendo parola per parola le stesse tesi propagandistiche e usando dichiarazioni e frasi che sembrano siano scritte proprio dalla mano del primo ministro. Come mai i “rappresentanti internazionali” non hanno sentito la puzza dei gas sproporzionatamente usati dalla polizia contro i protestanti? Anche se in alcuni casi i loro uffici/residenze si trovassero vicini e l’onda dei gas è arrivata anche lì. E come mai i “rappresentanti internazionali” non sono stati in grado di verificare e/o di capire le “operazioni tattiche di contenimento e di dissuasione” della polizia politica, per far sembrare tutto come “atti di vandalismo e di violenza”? Invece le proteste sono state veramente calme e pacifiche, se paragonate per esempio a quelle dei gilet gialli a Parigi e/o in altre città europee. Da dove, forse, provengono e vivono anche molti dei “rappresentanti internazionali”. Lo sanno i “rappresentanti internazionali” che i cittadini albanesi stanno protestando contro la povertà diffusa, contro l’allarmante e ben evidenziata corruzione, contro la connivenza del potere politico con la criminalità organizzata, contro l’arroganza e la violenza governativa e contro tanto altro? Loro però e chissà perché parlano della “violenza” dei cittadini che protestano! Riescono a capire i “rappresentanti internazionali”, che la violenza e l’arroganza quotidiana esercitata dal primo ministro e dalle sue strutture speciali al suo ordine e servizio, è ben diversa e ha causato, tra l’altro, anche tante vittime umane innocenti? Compresi anche tanti bambini malnutriti?! Usare due pesi e due misure non fa onore a nessuno!

    Per fortuna adesso e ogni giorno che passa, i cittadini albanesi non credono più a quello che dicono i “rappresentanti internazionali” e scherzano con loro. Questo fatto, di per se, rappresenta una grande vittoria ottenuta da queste proteste. Un’altra vittoria delle proteste di queste settimane è di aver attirato l’attenzione dei più importanti media internazionali che, con la loro presenza diretta durante le proteste, stanno testimoniando realmente quello che sta succedendo in Albania e le ragioni delle proteste.

    Ormai le vere sfide sono quelle dell’opposizione politica in Albania. Riuscirà a tenere il passo dei cittadini, oppure deluderà di nuovo e come sempre ha fatto, da alcuni anni a questa parte? È tutto da vedere nei giorni a venire.

    Chi scrive queste righe è convinto che tra la stabilità e la democrazia per l’Albania, sceglierebbe sempre la seconda. Perché la migliore e la più duratura stabilità per un paese è quella raggiunta e garantita da un sistema veramente democratico. Egli considera abominevole e molto dannoso qualsiasi tentativo dei “rappresentanti internazionali” di sottomettere la democrazia alla stabilità. Vendendo anche l’anima.

  • Da porta a porta

    In molte occasioni gli uomini sono stati truffati da altri uomini…

    Bruno Vespa

    “24 ore da televisione a televisione e da giornale a giornale”. Così scriveva il primo ministro albanese l’indomani di un strano e insolito soggiorno in Italia. Lui è partito dall’Albania il 5 marzo scorso, prendendo il volo per arrivare a Roma. Ma non per qualche incontro ufficiale con i suoi omologhi. E neanche per partecipare a qualche vertice o conferenza internazionale. No. Lui è uscito dall’edificio del Parlamento, messo in stato d’assedio e circondato da ingenti forze di polizia e speciali, perché i cittadini stavano protestando di nuovo contro il malgoverno, e si è diretto in fretta e furia verso l’aeroporto per prendere il volo verso Roma. Degli abili e facoltosi “amici intermediari” gli avevano procurato alcuni spazi televisivi, per “togliere il fango dall’immagine dell’Albania”, come ha detto lui. Chissà però chi ha buttato quel fango addosso all’Albania…

    Sia per protocollo che per usanza un capo di Stato, oppure un primo ministro, tranne in rari casi imprevisti e/o di una determinata gravità, viene intervistato dai media nel suo paese. Salvo il caso in cui quella massima autorità statale non si trovi in un altro paese per cause ufficiali. Nonostante siano di due stature ben diverse, ma così è stato anche con il presidente Macron, intervistato precedentemente a Parigi da Fabio Fazio per la sua trasmissione “Che tempo che fa”, andata in onda il 3 marzo scorso. E così è stato sempre. Però il caso del precipitoso spostamento a Roma del primo ministro albanese diventa ancora può scandaloso perché la prima e la più importante apparizione televisiva è stata programmata e trasmessa in un insolito periodo, scarsamente seguito dal pubblico televisivo. Ospite di Bruno Vespa a “Porta a porta”, al primo ministro era riservata l’ultima parte della trasmissione, dopo mezzanotte. Il solo fatto di aver accettato un simile accordo e trattamento per niente dignitoso denuncia la grande difficoltà personale in cui lui si trova. Ma ad ognuno quello che realmente si merita!

    Che il primo ministro si trovi in una situazione grave, istituzionalmente e personalmente parlando, ormai lo sanno tutti. Sia in Albania che nelle cancellerie europee ed oltreoceano. Una situazione maturata giorno per giorno e da alcuni anni ormai. E non poteva essere altrimenti. Perché lui, consapevolmente aveva fatto la sua scelta, mentre chiedeva, nel 2013, il suo primo mandato come primo ministro. Aveva scelto di mentire spudoratamente con tutte le sue promesse elettorali allora per ingannare gli albanesi. Promesse mai mantenute in seguito. E per giustificare le precedenti inventava altre bugie e altre promesse, regolarmente mai mantenute, entrando così in un grave circolo vizioso. Aveva scelto di collaborare e condividere il potere con la criminalità organizzata, in cambio di voti, di tanti voti che gli hanno permesso, sia nel 2013, ma soprattutto nel 2017 di avere/riavere il mandato. Fatto dimostrato senza ambiguità le scorse settimane da alcune indagini dei media internazionali, compresa una, trasmessa a metà febbraio dal TG2 della RAI. Il primo ministro albanese aveva scelto di guadagnare miliardi per poi usarli per mantenere il potere, senza badare agli scandali, alla corruzione, al riciclaggio del denaro sporco e a tanto altro. Lo dimostra anche il rapporto ufficiale per il 2018 del Moneyval (Comitato degli esperti del Consiglio d’Europa per la valutazione delle misure anti-riciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo). In quel rapporto si scrive che “l’Albania è stata messa sotto sorveglianza intensiva”. Per poi analizzare tutto e di nuovo nella sessione plenaria del 2019 di Moneyval. E non poteva essere altrimenti in un paese in cui si valuta che circa un terzo del PIL proviene dal traffico illecito delle droghe. E dove il 79% degli albanesi tra i 15 e i 29 anni vuol lasciare per sempre il paese, secondo un rapporto Gallup dell’autunno 2018. E sono state proprio le consapevoli scelte del primo ministro a portarlo, inevitabilmente, in simili grosse difficoltà istituzionali e personali. Ragion per cui adesso, disperatamente, cerca di aggrapparsi a qualsiasi opportunità. Anche ad uno spazio televisivo dopo mezzanotte a “Porta a porta”.

    Tornando alla trasmissione di Vespa del 5 marzo scorso, oltre alla tarda ora dell’intervista, ha attirato l’attenzione anche la scelta degli ospiti. Erano in tre. Un giornalista italiano che molto probabilmente sapeva ben poco di quello che succede veramente in Albania e che, più della realtà albanese, parlò della Russia e dell’Iran. Poi c’era un imprenditore italiano che opera in Albania, con un modesto giro d’affari dichiarato e che forse vorrebbe avere il “sostegno” del primo ministro, se non c’è l’ha già, per aumentare il suo tornaconto. Poi, la ciliegina sulla torta, c’era anche un amico personale del primo ministro. Amico che procura al primo ministro, come ha dichiarato quest’ultimo, dei voli personali su aerei privati! (In casi simili, alcuni ministri e/o primi ministri europei hanno rassegnato le loro dimissioni.). Gli ospiti, almeno gli ultimi due, erano lì semplicemente per fare delle sviolinate al primo ministro in cerca di supporto. Come mai non era stato invitato nessuno che non la pensava come lui?! Rispettando così tutti i canoni del serio giornalismo in casi del genere. E, come se non bastasse tutto ciò, coloro che hanno la responsabilità della trasmissione “Porta a porta” hanno censurato anche un’intervista del capo dell’opposizione albanese, precedentemente registrata a Tirana e prevista come l’unica voce contraria. Lo ha denunciato quest’ultimo, evidenziando anche che l’accordo con la redazione è stato per un determinato spazio televisivo che, inspiegabilmente, è stato censurato e accorciato in seguito per circa il 40% del suo contenuto. Tutto ciò mentre i cittadini italiani pagano il canone RAI e, tra l’altro, hanno il diritto di pretendere come mai vengano fatte scelte del genere dagli autori della trasmissione “Porta a porta”.

    Il primo ministro poi, l’indomani, ha proseguito con alcune altre e simili interviste televisive. Con un solo obiettivo: curare e migliorare la sua immagine personale, facendo finta di “curare l’immagine rovinata dell’Albania”. Mentendo di nuovo da noto e recidivo imbroglione qual è, ha cercato di dare la colpa a tutti riguardo alla grave e precipitosa realtà in cui si trova attualmente l’Albania. Intanto il vero responsabile, almeno istituzionalmente, è proprio lui, il primo ministro. Trovandosi ormai di fronte ad un crescente malcontento popolare, espresso pubblicamente negli ultimi mesi dalle continue e massicce proteste, tuttora in corso. La prossima prevista per il 16 marzo prossimo. Sono proprio queste proteste che dimostrano meglio delle parole del primo ministro e delle sviolinate degli ospiti dopo mezzanotte a “Porta a Porta” del 5 marzo scorso, la vera, vissuta e sofferta realtà albanese.

    Chi scrive queste righe vuole sinceramente credere che Vespa abbia fatto tutto ciò in buona fede e che sia stato vittima di disguidi e di inganni, avendo subito, come lui stesso aveva detto precedentemente e per altre ragioni. E cioè che “In molte occasioni gli uomini sono stati truffati da altri uomini…”. Anche da coloro che, come il primo ministro albanese, bussano porta a porta e cercano di ingannare gli altri. Tutti gli altri. A tutti vale l’ammonimento di Cicerone “Farsi ingannare una volta è scocciante, due sciocco, tre turpe”.

  • A voi il giudizio…

    Fra gli errori ci sono quelli che puzzano di fogna, e quelli che odorano di bucato.

    Indro Montanelli

    Sono partiti da Bruxelles tutti e sette, quelli che il 27 e 28 febbraio scorso sono venuti in una missione ufficiale a Tirana. Un gruppo che potrebbero ricordare, ma soltanto come associazione di idee, i famosi personaggi dei due film altrettanto famosi, con lo stesso titolo, “I magnifici sette” (di John Sturges – 1960 e di Antoine Fuqua – 2016). E invece no. Erano semplicemente dei rappresentanti della Commissione per gli Affari Esteri del Parlamento europeo. La loro missione era soltanto quella di raccogliere dati e informazioni attendibili, ben verificati e verificabili sulla reale situazione socio-politica albanese. Tutto ciò, in vista delle decisioni da prendere, a fine giugno 2019, riguardo al processo dell’adesione dell‘Albania nell’Unione europea. Ma la loro visita, prevista da tempo, ha coinciso con un periodo per niente tranquillo e normale in Albania. Da tre settimane decine di migliaia di cittadini, a più riprese, stanno manifestando nelle piazza di Tirana e di altre città. Le più imponenti manifestazioni sono state quelle di fronte ai palazzi del potere. Si protesta contro tutte le malefatte del governo. Si protesta e si continuerà a protestare contro l’allarmante corruzione, contro la connivenza del potere politico con la criminalità organizzata e altri raggruppamenti occulti e contro tanto altro. Queste sono delle realtà vissute e sofferte quotidianamente e da alcuni anni ormai, su tutto il territorio del paese. E siccome i ministri del governo albanese sono soltanto dei pupazzetti nelle mani del primo ministro puparo, allora chi protesta chiede le dimissioni del primo ministro, come primo passo e come conditio sine qua non verso la normalizzazione. Per poi dare vita, al più presto, alla costituzione di un governo transitorio, con poche e ben definite missioni e con l’unico obbiettivo: quello di garantire, a tempo debito, elezioni libere e oneste, non condizionate e manipolate. Delle elezioni come in tutti i paesi evoluti, compresi quelli dell’Unione europa, da dove provenivano anche i sette rappresentanti in missione ufficiale a Tirana il 27 e 28 febbraio scorso.

    Il 28 febbraio, i sette rappresentanti del Parlamento europeo dopo aver incontrato, come previsto, tutti i fattori politici locali, hanno finito ufficialmente la loro missione con una altrettanto prevista conferenza stampa. Durante quella conferenza stampa, hanno dichiarato le loro opinioni, conclusioni e suggerimenti. A conferenza stampa finita e dopo essere stati resi pubblici i contenuti delle loro dichiarazioni ufficiali, sono stati in tanti quelli che sono rimasti delusi, disgustati, offesi e indignati. Perché quanto hanno dichiarato i sette rappresentanti della Commissione per gli Affari Esteri del Parlamento europeo non aveva quasi niente in comune con la vera e vissuta realtà in Albania. Se avesse parlato il primo ministro non avrebbe detto altre cose. Con l’unica differenza però che da tempo il primo ministro non viene più preso sul serio. Sì perché, ogni giorno che passa, lui è diventato incredibile e ridicolo con le sue sfacciataggini, le sue bugie e le sue buffonate. Ragion per cui, anche le dichiarazioni dei sette rappresentanti del Parlamento europeo si devono prendere seriamente in considerazione e agire di conseguenza.

    I rappresentanti della Commissione per gli Affari Esteri del Parlamento europeo hanno dichiarato che “le elezioni (parlamentari del 25 giugno 2017; n.d.a.) erano libere e oneste”. Se loro, prima di fare queste dichiarazioni, fossero stati dovutamente e seriamente informati su quanto è accaduto realmente durante quelle elezioni, allora dovrebbero avere ben più “importanti e convincenti” ragioni per fare simili dichiarazioni. Ed era loro obbligo istituzionale farlo. Se loro avessero, per lo meno, letto e/o seguito, soltanto in questi ultimi mesi, quanto è stato scritto da diversi e importanti giornali internazionali e/o quanto è stato trasmesso da altrettanti e noti canali televisivi internazionali sulla massiccia, diffusa e significativa compravendita dei voti, allora dovrebbero avere un bel coraggio a fare simili dichiarazioni e prendersi una simile responsabilità. Perché ormai sono documentati e di dominio pubblico tanti fatti accaduti ed evidenziati che dimostrano il diretto, l’attivo e il diffuso coinvolgimento della criminalità organizzata per condizionare e/o manipolare significativamente il risultato delle sopracitate elezioni, dietro “accordi occulti e prestabiliti” con il potere politico al governo.

    I rappresentanti della Commissione per gli Affari Esteri del Parlamento europeo hanno dichiarato che “il parlamento [albanese] è legittimo”. Perciò anche “il governo [albanese] è legittimo”! Ma come può essere considerato “legittimo” un parlamento costituito dopo simili elezioni?! Un parlamento che, guarda caso, ha come presidente proprio l’ultimo ministro degli Interni della dittatura comunista, avendo lui, tra l’altro sulla coscienza anche tante vite umane in quel periodo. Perciò come può essere legittimo un governo votato da un simile Parlamento?!

    Invece, per quanto riguarda le accuse dell’opposizione sulle significative manipolazioni delle elezioni, i rappresentanti della Commissione per gli Affari Esteri del Parlamento europeo hanno dichiarato che sono delle accuse che devono essere trattate “dai tribunali e non dal parlamento”! Ma quali tribunali, quando tutto il sistema della giustizia, dati ed incontestabili fatti alla mano, sono ormai sotto il diretto controllo del primo ministro e/o di chi per lui?! Credere ad un simile “suggerimento” dei rappresentanti europei sarebbe una bella e buona offesa all’intelletto dei cittadini albanesi! Come minimo.

    I rappresentanti della Commissione per gli Affari Esteri del Parlamento europeo, riferendosi alla massiccia rassegnazione dei mandati parlamentari dei deputati dell’opposizione, hanno però dichiarato che “la rassegnazione dei mandati […] non è accettabile”! Cioè, secondo loro, in una simile e grave situazione, l’opposizione doveva continuare a fare la facciata di un “parlamento pluralista”, mentre la continua arroganza del primo ministro e della sua maggioranza non lascia il ben che minimo spazio d’azione all’opposizione. Così è stato dal 2013 in poi. Lo sapevano loro?

    Quelle erano soltanto alcune delle insensate, irresponsabili e vergognose dichiarazioni fatte pubblicamente e ufficialmente il 28 febbraio scorso a Tirana da “I magnifici sette” rappresentanti della Commissione per gli Affari Esteri del Parlamento europeo. E quasi sempre cadendo in palesi contraddizioni logiche. Ma loro sanno qual era la loro vera missione. E anche perché si sono comportati in quel modo. Le cattive lingue stanno dicendo questi giorni in Albania, che il “potere” del primo ministro albanese e del suo tutore, un miliardario speculatore di borsa statunitense, fanno miracoli. Anche tra e con i rappresentanti dell’Unione europea. Ma quella non è e non può essere l’Europa Unita ideata dai suoi Padri Fondatori.

    Chi scrive queste righe avrebbe molte altre cose da commentare e farle pubbliche, ma lo spazio è limitato. Lui si chiede semplicemente chi sono veramente, chi e cosa rappresentano realmente e a che gioco stanno giocando alcuni rappresentanti internazionali in Albania. E pensa di sapere anche la risposta. Per lui, a volte, meglio soli che male accompagnati. A voi il giudizio!

  • Stabilocrazia e democratura

    Anche l’ipocrita ha tre segni di riconoscimento: quando parla, mente;
    quando promette, manca alla promessa data; quando ci si fida di lui, tradisce.

    Maometto

    Stabilocrazia e democratura sono due neologismi coniati ultimamente e usati, quasi sempre, in una connotazione non positiva. Sono due parole che spesso, o quasi sempre, vengono usate per descrivere realtà socio-politiche in paesi con una democrazia fragile. Come nei Balcani. La prima è un incrocio tra le parole stabilità e democrazia. Mentre la seconda tra le parole democrazia e dittatura. Non esiste necessariamente una “regola fissa” di interdipendenza, sempre riferendosi alle realtà che rappresentano. Fatti alla mano però, quasi sempre la scelta della stabilità, giustificata da “ragioni geopolitiche”, per un paese/una regione ha compromesso i principi basilari della democrazia. Almeno analizzando quanto è realmente accaduto in diversi paesi e in diverse parti del mondo. Quando un paese si trova in uno stato di democratura, l’instaurazione anche di una stabilocrazia, per motivi di mutuale convenienza diventa più facile. Sempre dalle esperienze vissute nei Balcani, una democratura si presta, per degli interessi dei poteri politici locali, e dietro “suggerimenti e/o insistenze internazionali” a diventare, allo stesso tempo, anche una stabilocrazia. Ma certamente in una stabilocrazia, generata e/o derivata da determinati “accordi internazionali per motivi geopolitici”, si instaura, se non ci fosse già, una democratura. Questo è proprio il caso dell’Albania.

    In questo contesto, e tenendo presente quanto sta accadendo soltanto in questi ultimi giorni, il ruolo dei rappresentanti internazionali in Albania si potrebbe considerare negativo e dannoso. Ad ogni modo non equidistante dalle parti politiche e costruttivo. Sia il ruolo di alcuni rappresentanti diplomatici che di quelli dell’Unione europea e dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). Così è stato anche durante e/o dopo le due proteste massiccie chiamate dall’opposizione, il 16 e 21 febbraio a Tirana. Ma soprattutto dopo la rassegnazione in blocco dei mandati parlamentari da tutti i deputati dell’opposizione, ufficializzato il 21 febbraio scorso, con soltanto due eccezioni. Rassegnazione dei mandati, come atto ultimo di fronte ad una arroganza, irresponsabilità e sordità governativa. Ma anche come un estremo atto politico in un periodo veramente allarmante per le sorti dell’Albania e degli albanesi.

    Con le loro reazioni e/o dichiarazioni di questi ultimi giorni, alcuni rappresentanti internazionali hanno condannato l’opposizione, schierandosi apertamente con il primo ministro. Anzi, sembrerebbe come se le loro dichiarazioni fossero state redatte proprio negli uffici del primo ministro. Purtroppo questo atteggiamento si è verificato spesso durante gli ultimi anni in Albania. Alcuni rappresentanti internazionali, per ragioni, motivi, e determinati orientamenti, alcune volte anche occulti, sono stati schierati e continuano a schierarsi al fianco del potere politico. E mentre in Albania i gravi scandali governativi si susseguono e si sovrappongono a ritmo preoccupante e pauroso, gli stessi rappresentanti diplomatici non hanno né occhi per vedere e né cervello per capire. E siccome sono “ignari”, rimangono muti come un pesce. Loro sanno anche il perché.

    Nel frattempo però i danni che procurano con il loro silenzio, di fronte a chiare evidenze, sono enormi. Così è stato durante questi ultimi anni in Albania, quando il paese è stato invaso dalla massiccia coltivazione della cannabis. Anche quando il traffico illecito della cannabis e di altre droghe pesanti preoccupava non solo i singoli paesi confinanti e le loro strutture specializzate. Con tanto di rapporti ufficiali, che alcuni rappresentanti internazionali in Albania avevano l’obbligo di conoscere. Così è stato anche quando, fatti alla mano, era evidente la connivenza tra il potere politico e la criminalità organizzata. Fino al punto da non capire bene dove finisce il potere di quelli che governano e dove inizia quello della criminalità. E neanche chi condiziona chi e come. E questa è ancora una vissuta realtà. Anzi, adesso più di prima. Così è stato anche quando, con i milioni provenienti dal traffico illecito delle droghe, sono stati condizionati e/o manipolati significativamente i risultati elettorali dal 2013 in poi. Ma così è stato ed è anche quando gli scandali governativi milionari scoppiavano, e scoppiano, l’uno dietro l’altro. Così è stato anche quando dietro questi scandali c’erano alti funzionari dello Stato e/o ministri di questa maggioranza governativa. E così è stato anche quando il primo responsabile, almeno istituzionalmente, era ed è l’attuale primo ministro.

    Purtroppo il “silenzio” dei rappresentanti internazionali ha creato e continua a creare danni enormi. Così è stato anche quando sono state chiare e diverse le evidenze che testimoniavano il fallimento e/o l’impotenza della riforma del sistema di giustizia. Proprio di quella riforma, che alcuni rappresentanti internazionali, in coro con il primo ministro, da alcuni anni hanno sbandierato come un successo. Nonostante quella riforma ha causato, tra l’altro, anche la totale incapacità di funzionamento, da alcuni mesi, sia della Corte Costituzionale che della Corte Suprema. E nonostante quella riforma abbia permesso al primo ministro di fare le sue nomine preferenziali, ai vertici di tutte le istituzioni, sia quelle già esistenti, che quelle derivate dalla riforma stessa. Permettendo così al primo ministro in persona di controllare realmente tutto il sistema della giustizia. Ma nonostante queste paurose e pericolose realtà con il sistema della giustizia, nonostante tutti i danni ormai procurati, quelli in atto e altri che si effettueranno in futuro, se non cambia al più presto questa allarmante realtà, alcuni rappresentanti internazionali, non “vedono”, non “sentono” e non “capiscono” nulla. Come se niente fosse accaduto.

    Sono proprio quei rappresentanti internazionali che fanno finta di niente anche per quanto riguarda il percorso europeo dell’Albania. Mettendo così a repentaglio la sensibilità e la fiducia degli albanesi nei confronti dell’Unione europea. Nel frattempo i rappresentanti internazionali, compresi soprattutto quelli della Commissione europea, continuano a fare orecchie da mercante. Loro sanno le vere ragioni di simili comportamenti. Così è stato anche quando, dal 2014 in poi, all’Albania è stata sempre negata l’apertura dei negoziati come paese candidato all’adesione all’Unione europea. E sempre per mancato compimento dei criteri posti, che riguardavano e continuano a riguardare la lotta contro la criminalità organizzata, il sistema della giustizia, l’amministrazione pubblica ecc… Le opinioni del Consiglio dell’Unione europea e del Consiglio europeo sono state sempre negative. Così accade regolarmente dal 2014 in poi, mentre regolarmente l’opinione ufficiale e le raccomandazioni, sia della Commissione europea, che dei suoi più alti rappresentanti sono state sempre positive e entusiastiche! Chissà perché!

    Chi scrive queste righe è convinto che ormai, grazie anche ai rappresentanti internazionali, l’Albania è diventata una stabilocrazia e una democratura. Perciò agli albanesi non rimane altra scelta: ribellarsi per ottenere i loro sacrosanti diritti. Egli condivide quando ribadiva Benjamin Franklin. E cioè che ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio.

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