Albania

  • Dopo una protesta

    Finché non diverranno coscienti della loro forza, non si ribelleranno e,
    finché non si ribelleranno, non diverranno coscienti della loro forza.

    George Orwell

    Era stata annunciata il 21 gennaio scorso, dopo una riunione dei rappresentanti dei partiti dell’opposizione. E subito dopo le strutture di quei partiti hanno cominciato ad organizzare tutto. L’obiettivo era quello di garantire quanto più partecipanti per una protesta massiccia e pacifica da svolgersi a Tirana. La data prestabilita era il 16 febbraio.

    Erano ormai dei lunghi mesi, dall’aprile 2018, che l’opposizione non aveva organizzato alcuna importante protesta. Da quel periodo però sono paurosamente aumentati gli scandali governativi. E, di pari passo, aumentava anche l’irresponsabilità istituzionale e personale, nonché l’arroganza e le spudorate bugie del primo ministro e dei suoi leccapiedi che cercavano di nascondere quanto accadeva. Per tutta l’estate scorsa, diversi alti rappresentanti dell’opposizione avevano dichiarato, a più riprese, che da settembre dovevano cominciare le proteste inarrestabili contro tutte le malefatte del primo ministro e del suo governo. Le ragioni erano tante e tutte convincenti. L’autore di queste righe, in quel periodo scriveva (Patto Sociale n.322): “Sarà tutto da vedere. Forse coloro che dirigono l’opposizione hanno beneficiato di un lungo periodo di “ritiro spirituale” estivo e porteranno a termine questa azione politica. Sarà anche la loro sfida, con tutte le conseguenze. Si vedrà, ormai è già settembre!”. E purtroppo niente è accaduto nei mesi successivi.

    Nel frattempo le ragioni per protestare contro il primo ministro e il suo governo sono soltanto aumentate. Negli ultimi mesi tanti gravi scandali governativi milionari si sono susseguiti gli uni agli altri. Scandali che, alla fine, hanno costretto il primo ministro a cambiare, il 5 gennaio scorso, la maggior parte dei ministri. Mentre era lui che doveva dimettersi e allontanarsi per primo. Una disperata mossa quella del primo ministro, per “gettare acqua sul fuoco”. Su quel fuoco acceso, più di un anno fa, dalla protesta per difendere dalla demolizione abusiva il Teatro Nazionale e poi dopo dalle proteste degli studenti, degli abitanti di un quartire della capitale e altre ancora, in diverse parti del paese. Tutte proteste che hanno scoperto clamorosi scandali governativi, nei quali era coinvolto direttamente, almento istituzionalmente, lo stesso primo ministro. E per sfuggire alle sue responsabilità lui ha scaricato, come sempre, la colpa sui suoi ministri. E li ha sostituiti con altre persone venute dall’anonimato con l’unico “valore”: quello di ubbidire ciecamente ai suio ordini e di fare il prestanome.

    Il 16 febbraio scorso i cittadini sono scesi in piazza numerosi. È stata una partecipazione molto significativa e, in qualche modo, anche inattesa. Perché sono state veramente tante le delusioni avute precedentemente dai dirigenti dell’opposizione in eventi simili. Soprattutto dopo il grande e clamoroso tradimeto di tutte le aspettative e della fiduacia data dai cittadini durante i tre mesi della “Tenda della Libertà”. Tradimento sancito dal famigerato accordo, mai reso trasparente, tra il capo dell’opposizione e l’attuale primo ministro il 18 maggio 2017, dopo tre mesi di crescente e convincente protesta. Accordo che ha garantito un mese dopo all’attuale primo ministro un secondo mandato. E non è stato, purtroppo, l’unico caso. Perché in seguito ci sono state anche altre continue delusioni, evidenziate costantemente e a più riprese, fino a questi giorni (Patto Sociale n.255; 262; 268; 274, 277, 280; 291; 296; 300; 324 ecc..).

    Però era ed è talmente grande e crescente l’irritazione e il disaccordo dei cittadini con la diffusa corruzione governativa, l’allarmante connivenza dei massimi livelli della politica con la criminalità organizzata, il continuo impoverimento della popolazione e tante altre malefatte del primo ministro e del suo governo, che hanno spinto i cittadini a scendere in piazza sabato 16 febbraio a Tirana. Superando così anche le delusioni causate dai dirigenti dell’opposizione. Superando, allo stesso tempo, anche le paure che cercava di diffondere nell’opinione pubblica la propaganda governativa, che ha fatto di tutto perché la protesta venisse boicottata dai cittadini, in un momento di profonda difficoltà per il primo ministro. Facendo uso, oltre ai media controllati, anche delle dichiarazioni ufficiali della polizia di Stato che si riferivano ad azioni violente durante la protesta, causate da persone pericolose, conosciute dalla polizia. Tutto per dissuadere i cittadini, delusi e arrabbiati, a partecipare all’indetta protesta del 16 febbraio. Le cattive lingue si chiedevano, in questi giorni, se la polizia li conosce, allora perché non li arresta, o almeno non neutralizza quelle “persone pericolose”? Per compiere, in questo modo, il suo dovere e obbligo istituzionale. Oppure stava programmando di fare uso di infiltrati e provocatori per “sporcare” la protesta e farla diventare “violenta”? Così si chiedevano le cattive lingue durante questi giorni.

    La protesta, di fronte all’edificio del Consiglio dei Ministri, è durata circa cinque ore. E’ cominciata con un gesto simbolico. Alcuni giovani hanno offerto dei fiori ai poliziotti, in file serrate, davanti all’edificio. Fiori che sono stati fermamente rifiutati. Poi, dopo che la protesta è ricominciata, alcuni manifestanti hanno superato le file serrate dei poliziotti e si sono diretti verso l’ingresso dell’edificio. Un ingresso bloccato appositamente da alcune impalcature di tubi metallici e di reti. I manifestanti (oppure infiltrati/provocatori?!) hanno cercato di aprire le porte, facendo uso di tubi e altro, staccati dalle impalcature. Subito dopo, dall’alto, alcuni poliziotti hanno lanciato granate di gas e hanno sparato con proiettili di gomma. Queste scene si sono ripettute diverse volte. Mentre i poliziotti stavano immobili e non reagivano per impedire agli “assalitori” di continuare con i loro “atti di violenza”. Sembrava più uno scenario ben ideato ed attuato che altro. E se così sia stato, ci sono riusciti. Perché subito la propaganda governativa, in pieno svolgimento della protesta, ha parlato di una protesta violenta. Purtroppo a queste insinuazioni, si sono aggiunte anche alcune dichiarazioni, nelle reti sociali e “in diretta”, di alcuni ambasciatori. Uno di essi, messo alle strette dai commenti, ha poi “cambiato” versione, contraddicendo se stesso.

    A protesta conclusa una cosa è stata certa e nessuno può/potrà testimoniare il contrario. Propaganda governativa e alcuni ambasciatori compresi. E cioè che in realtà non c’è stato nessuno scontro e/o atto di violenza tra i protestanti e la polizia durante tutto il tempo della protesta.

    La protesta continuerà giovedì 21 febbraio. Nel frattempo il capo dell’opposizione ha dichiarato ieri che i deputati del suo partito, il più grande dell’raggruppamento, rassegneranno i loro mandati da deputato. Bisogna vedere cosa faranno gli altri partiti. Un atto che potrebbe dare vita ad altri scenari e svolgimenti della protesta. Protesta che dovrebbe continuare fino al raggiungimento degli obiettivi preposti. Perché i dirigenti dell’opposizione hanno dichiarato a più riprese che questa volta non indietreggeranno senza l’allontanamento del primo ministro e la caduta del governo. O si allontanerà il primo ministro, oppure si allontaneranno loro stessi! Rimane tutto da vedere. Che sia la volta buona!

  • L’Italia, l’Europa e il silenzio assordante sull’Albania

    Da anni, puntualmente, ogni settimana Il Patto Sociale L’Albania pubblica un articolo sulla situazione albanese. Lo facciamo perché l’Albania è un paese a noi vicino non solo per lo stesso affaccio sull’Adriatico, ma perché le storie dei popoli del mediterraneo sono intrecciate da millenni e quei popoli che hanno subito le tragedie del comunismo hanno necessità di una particolare attenzione che li aiuti a procedere nel cammino della democrazia e della giustizia.

    Nei molti articoli scritti in questi anni da Milosao, il nostro corrispondente in Albania, abbiamo via via conosciuto i gravi problemi che affliggono il paese dove  ancora una parte del mondo politico è adiacente ad attività criminali, e questo, purtroppo non è un problema solo albanese. Abbiamo seguito lo sviluppo economico di una parte dell’Albania, sentito di una forte presenza italiana nel settore imprenditoriale e appreso che molti nostri connazionali vi vivono per le bellezze ambientali e il più conveniente costo  della vita, inoltre alcuni progressi albanesi sono stati apprezzati  dall’Unione europea con la quale i rapporti sono diventati più stretti. Negli articoli di Milosao abbiamo saputo degli scandali, delle ingiustizie, della corruzione e dell’insofferenza che sempre più aumentava nella popolazione. Ora gran parte del popolo è sceso in piazza assediando i palazzi del potere. Questa insofferenza che cresceva di settimana in settimana nel corso di lunghi mesi come è sfuggita agli interlocutori internazionali? Agli osservatori europei? Al governo italiano che sa di avere in Albania suoi militari, specie della finanza di mare, per controllare ed impedire lo spaccio di droga, di carburante e di uomini? L’assordante silenzio di tutti, giornalisti compresi, che sembra abbiano scoperto solo ora una realtà di scontento esasperato, di difficoltà nel processo di legalità e democrazia dopo che le proteste sono esplose così forti in piazza, tutti hanno ignorato le altre manifestazioni e i diversi segnali, dimostrando una totale incapacità di visione geopolitica, incapacità che rafforza i già gravi timori che avevamo ed abbiamo.

    La politica non è Twitter, una frase ad effetto ma conoscenza e perciò studio di quanto avviene, non solo sul suolo nazionale ma anche ai nostri confini e più oltre ancora. Chi non l’ha capito non può governare né in Italia né in Europa. Ovunque stanno esplodendo situazioni difficili e pericolose anche per la nostra stabilità e sicurezza, è ora di comprenderlo e di prendere decisioni consapevoli, non come è stato fatto per il Venezuela.

  • In nome dei diritti

    Non appena qualcuno si rende conto che obbedire a leggi ingiuste
    è contrario alla dignità dell’uomo, nessuna tirannia può dominarlo.
    Mahatma Gandhi

    Nella seconda metà del XVIII secolo si accentuarono gli attriti e gli scontri armati tra le popolazioni delle colonie britanniche della costa atlantica del nord America e l’esercito del re Giorgio III di Gran Bretagna. Scontri che si trasformarono in una vera e propria guerra, dall’aprile 1775 fino a settembre 1783. Guerra che si concluse con la proclamazione dell’indipendenza delle tredici colonie, che formarono gli Stati Uniti d’America. In quel periodo critico per le popolazioni delle colonie, alcuni lungimiranti uomini erano convinti che la proclamazione dell’indipendenza delle colonie dalla Gran Bretagna era l’unica soluzione. Ormai essi sono considerati come i Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America.
    Riuniti in un congresso a Filadelfia, i rappresentanti delle tredici colonie proclamarono, il 2 luglio 1776, l’indipendenza delle colonie dall’Impero britannico. Per l’occasione è stato reso pubblico anche un documento, quello della Dichiarazione dell’Indipendenza. Documento che viene considerato tuttora come uno dei più importanti testi della storia mondiale degli ultimi secoli. Alcuni concetti base di quel documento continuano a rappresentare dei saldi pilastri del pensiero democratico e giuridico. In seguito quei concetti sono stati adottati e hanno trovato espressione in diverse Costituzioni e nelle giurisprudenze di altrettanti Paesi evoluti in tutto il mondo. Partendo proprio dalla Costituzione statunitense, resa pubblica il 15 settembre 1787 ed entrata in vigore due anni dopo.
    Nel secondo paragrafo della Dichiarazione di Indipendenza, i Padri Fondatori affermavano: “Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità”.
    Un altro documento, altrettanto importante, è anche La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, approvata dall’Assemblea Nazionale francese il 26 agosto 1789. Nel primo articolo di questa Dichiarazione si stabilisce che “Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti…”. Per arrivare poi, alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, proclamata a Parigi il 10 dicembre 1948, con la Risoluzione 217 A dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Anche in questo documento, nel primo articolo si sancisce che “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti…”. Per poi stabilire, nel secondo articolo che: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione”.
    Sono dei sacrosanti diritti, per i quali l’umanità, da secoli, ha combattuto e continua a combattere. Sono dei diritti inalienabili, nati insieme con l’uomo e che con l’uomo devono rimanere sempre. Diritti che rappresentano chiari e invalicabili punti di riferimento e che si intrecciano e trovano espressione anche nei valori fondamentali dell’umanità.
    In nome di quei diritti domenica 10 febbraio, è stato onorato il quindicesimo anniversario del giorno del ricordo delle Foibe. Una ricorrenza per non dimenticare, tra l’altro, tanta atrocità, tanto odio, ma anche una diabolica strategia di sterminio e di pulizia etnica messa in atto da parte dei titini. Oscenità e crudeltà attuate soprattutto tra il 1943 e il 1945, ma anche alcuni anni in seguito, che hanno causato migliaia di morti innocenti istriani, fiumani e dalmati, uccisi, incatenati e buttati, qualche volta anche vivi, nelle foibe. Ma purtroppo, il calvario dei profughi e dei sopravvissuti degli eccidi delle foibe, non di rado è continuato anche nel territorio della madrepatria. Tutto quanto rappresenta, tra l’altro, anche delle palesi e urlanti violazioni degli inalienabili diritti della vita, della libertà, della proprietà e della cittadinanza.
    In nome di quei sacrosanti diritti e di quei valori sono stati sempre degli individui, dei gruppi etnici e/o sociali, nonché delle intere popolazioni, che hanno contribuito a rovesciare sistemi e regimi, mettendosi dalla parte del giusto e del bene. In nome dei diritti continuano a protestare in Venezuela. Chiedono il riconoscimento dei loro diritti anche i gilet gialli in Francia. In nome dei loro diritti, da giorni ormai, stanno protestando anche i pastori e gli allevatori in Sardegna.
    Papa Francesco, nel suo messaggio per la 52a giornata della Pace, parlava anche dei vizi della politica. Si riferiva a quei vizi che “indeboliscono l’ideale di un’autentica democrazia, sono la vergogna della vita pubblica e mettono in pericolo la pace sociale”. E soprattutto chiedeva il rispetto dei diritti dell’uomo da parte di tutti, sempre e ovunque.
    In nome dei diritti sono tante e continue le ragioni per cui i cittadini dovrebbero e devono protestare anche in Albania. In alcuni casi lo stanno facendo. Da più di un anno ormai, si sta protestando quotidianamente per la difesa del Teatro Nazionale. Teatro che il primo ministro vuol distruggere, per poi costruire dei grattacieli in pieno centro di Tirana (Patto Sociale n.316). Stanno protestando quotidianamente, da più di tre mesi, anche gli abitanti di un quartiere della capitale che rischiano di avere le loro case distrutte. Anche in questo caso per dare vita ad un famigerato progetto, palese espressione dell’abuso del potere e della corruzione governativa. E tutto ormai è stato verificato, fatti e dati alla mano. Dall’inizio dello scorso dicembre stanno protestando anche gli studenti delle università. Anche loro protestano convinti, in nome dei loro diritti, violati continuamente e senza scrupoli da chi governa. Non sono mancati neanche altri casi di proteste in altre città e per altre specifiche ragioni. Ma sempre per difendere i diritti calpestati dei cittadini. Quei diritti che le leggi in vigore dovrebbero tutelare. E che, invece e purtroppo, si sta dimostrando che le leggi non sono uguali per tutti.
    In Albania la situazione sta peggiorando precipitosamente ogni giorno che passa. E ogni giorno che passa si sta verificando la restaurazione di un nuovo regime, voluto e ideato direttamente dal primo ministro e attuato dai suoi luogotenenti. In queste condizioni l’opposizione ha chiamato i cittadini a scendere in piazza sabato prossimo, 16 febbraio.
    Chi scrive queste righe valuta che questa opposizione, negli ultimi anni, non ha convinto per niente. Anzi! I dirigenti dell’opposizione hanno infranto e smentito, a più riprese, la fiducia dei cittadini. Che sia questa la volta buona, dopo tante delusioni! Nel frattempo chi scrive queste righe è convinto che sono tantissime e sacrosante le ragioni non solo per protestare in Albania, ma per ribellarsi. Dando ragione a Balzac, per il quale la rivolta è il risultato della riflessione delle masse. Soltanto così, considerando la vissuta realtà, si può arrivare a rovesciare il regime del primo ministro. In nome dei diritti!

  • La grande e irresponsabilmente assente

    Le bugie sono per natura così feconde,
    che una ne suole partorir cento.

    Carlo Goldoni

    Dal 23 gennaio scorso in Venezuela tanti cittadini sono scesi nelle piazze per protestare contro il regime del presidente Nicolàs Maduro. Lui ha avuto un secondo mandato, dopo le molto contestate elezioni presidenziali del 20 maggio 2018. Elezioni boicottate dall’opposizione, come un’aperta protesta contro il regime del presidente. Erede politico di Hugo Chaves, dal 2013 Maduro ha scatenato il malcontento di tantissimi venezuelani. Malcontento scatenato di nuovo con forza dopo che il 9 gennaio 2019 ha ufficialmente avuto il suo secondo mandato. Il 23 gennaio scorso però, il capo dell’opposizione si è auto-proclamato presidente ad interim, durante una grande manifestazione. Lui, Juan Guaidó, che il 5 gennaio 2019 ha avuto il suo mandato come presidente del Parlamento, ha espresso la sua disponibilità ad assumere l’incarico di Presidente, considerando Maduro come “usurpatore illegittimo”. Sono note ormai anche le richieste dell’opposizione: dimissioni di Maduro, un periodo di transizione democratica, che porterà i venezuelani a nuove e libere elezioni.

    Nel frattempo diversi Paesi hanno espresso la loro posizione, pro e contro la proposta per nuove elezioni in Venezuela. In supporto dell’opposizione si sono schierati Paesi come Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Francia, Australia, tutti i paesi sudamericani [tranne il Messico], nonché l’Unione europea. Un aperto appoggio per il presidente Maduro, lo hanno invece espresso Russia, Cina, Turchia, Siria, Iran, Cuba e Bolivia. Similes cum similibus congregantur (I simili si accompagnano con i loro simili) dicevano i saggi latini! Sono diventate emblematiche le parole del presidente turco Erdogan. Parole dette la scorsa settimana, durante una telefonata con Maduro: “Fratello Maduro, resisti, siamo al tuo fianco!”.

    In attesa di ulteriori sviluppi, durante la settimana appena inziata, i venezuelani sono stati chiamati a partecipare numerosi a due nuove manifestazioni. La prima, di due ore, avrà luogo mercoledì a mezzogiorno. La seconda sabato prossimo, 2 febbraio, prevista come una manifestazione massiccia che si svolgerà “in ogni angolo del Venezuela e del mondo”. Gli opinionisti considerano come molto importante il ruolo dell’esercito venezuelano nei giorni a venire. L’opposizione ha promesso un’amnistia per tutti coloro, soldati e ufficiali, che non daranno più appoggio al regime di Maduro. Il quale però, continua a fare il gioco duro, apparendo in pubblico vestito con una tuta da lavoro, mentre avviava delle esercitazioni militari. La situazione in Venezuela è grave e seriamente preoccupante, con le parti schierate ben determinate l’una contro l’altra. Con dietro anche i sopracitati supporti internazionali. Intanto la maggior parte dei venezuelani stanno soffrendo da tempo le conseguenze di una povertà diffusa. Una situazione che peggiora ogni giorno che passa.

    La situazione non è per niente buona e tranquilla neanche in Albania. Anzi! Ma per vari motivi, alcuni anche “di interesse geopolitico”, quanto accade lì non ha la stessa attenzione mediatica come, giustamente, la sta avendo il Venezuela. Dopo aver vinto le elezioni del 2013 con metodi e mezzi poco ortodossi, promettendo mari e monti, l’attuale primo ministro sta diventando, anche lui come Maduro, un autocrata. Convinto, però, che tali promesse erano soltanto parole al vento. Ma dal 2013 in poi la situazione in Albania cominciò a precipitare. Come in Venezuela. All’inizio però, la propaganda governativa riusciva e nascondere e/o giustificare la realtà. Con una regia centrale, capeggiata direttamente dal sempre più onnipotente primo ministro, il nuovo regime che si stava instaurando in Albania, ha nascosto i suoi legami e la sua connivenza con la criminalità organizzata. Per qualche tempo, però, perché ormai questa realtà è ben conosciuta sia in Albania che all’estero. Il regime, sempre con una regia centrale e la sua ben organizzata propaganda, ha nascosto all’inizio la coltivazione massiccia e diffusa, sul tutto il territorio, della cannabis, così come anche il suo traffico illecito. Traffico che continua tuttora. Per qualche tempo però, perché anche questi fatti sono ormai noti non soltanto in Albania, ma anche all’estero. Italia ,soprattutto, compresa. Allo stesso modo e con gli stessi mezzi, il regime, con la sua ridondante propaganda, ha cercato di nascondere la pericolosa propagazione della capilare corruzione in tutte le strutture governative e statali. Fortunatamente per qualche tempo però, perché ormai gli scandali corruttivi vengono fuori numerosissimi a galla. E di questa corruzione governativa adesso se ne sono accorti anche in diversi Paesi europei e oltreoceano. Con una regia centrale, capeggiata direttamente dal primo ministro, ma anche con il grande supporto di un miliardario speculatore di borsa statunitense, tramite le sue strutture ben radicate in Albania, finalmente il primo ministro controlla pienamente e in prima persona anche il sistema della giustizia. Tutto il sistema. Perciò è diventanto quello a cui secondo le cattive lingue mirava: uno che controlla tutto e tutti. Come il suo amico Erdogan. E come Maduro, salito anche lui al potere nel 2013, sta cercando adesso di far fronte al diffuso malcontento popolare. Malcontento che cresce di giorno in giorno. Perché dal 2013 ad oggi, il primo ministro albanese non ha fatto altro che governare non il paese, ma gli innumerevoli scandali che non riusciva più a controllare.

    E come in Venezuela, anche in Albania i cittadini devono reagire. Tutti e uniti, contro il regime instaurato dal primo ministro. Ma diversamente dal Venezuala, l’opposizione politica in Albania purtoppo non convince. Ha smentito e tradito clamorosamente, a più riprese, la fiducia data dai cittadini. Ma anche in Albania, come in Venezuela, mentre il malcontento popolare, studenti compersi, sta dando seri grattacapi al primo ministro e al suo regime, la screditata, e “strana” opposizione politica, per l’ennesima volta ha chiamato i cittadini a protestare il 16 febbraio prossimo. Che non sia, però, anche l’ennesima bugia fatta ai cittadini! Come è successo da qualche anno a questa parte. Colmando con il vergognoso e mai spiegato abbandono della “Tenda della Liberta” il 18 maggio 2017. Abbandono, dopo un altrettanto vergognoso e mai spiegato accordo tra il capo dell’opposizione e il primo ministro, che ha garantito a quest’ultimo una facile vittoria elettorale il 25 giugno 2017 (Patto Sociale n.255; 262; 268; 280; 291; 296; 300; 324 ecc..). Sarà tutto da vedere perciò, quanto accadrà in Albania in queste settimane, fino al 16 febbraio prossimo. Giorno scelto dai vertici dell’opposizione per protestare contro il malgoverno.

    A chi scrive queste righe vengono però naturali alcune domande. Vista la grave situazione in cui versa il paese, allora perché attendere fino al 16 febbraio? Perché non già subito, anzi, da ieri? Sarà forse perché i dirigenti dell’opposizione sanno che non hanno più l’appoggio della gente? Sarà perché i dirigenti dell’opposizione sono consapevoli che non sono più credibili, con le tante e ripetute bugie e delusioni che hanno generato tra la gente, calpestando clamorosamente la loro fiducia e le loro aspettative? Chissà! Rimane tutto da vedere. Nel frattempo e da qualche anno però, l’opposizione è la grande e irresponsabilmente assente nella scena politica albanese.

  • Governano soltanto scandali

    Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno. Ma quello che accadrà in tutti i giorni che verranno può dipendere da quello che farai tu oggi.

    Ernest Hemingway

    Alì Babà è il personaggio famoso di un altrettanto famoso racconto persiano, molto conosciuto in tutto il mondo. Si tratta di un poverissimo talgialegna, che per guadagnare quel poco che gli serviva per vivere, lavorava dalla mattina al calar della sera. Un giorno, proprio per caso, mentre stava tagliando legna, sentì delle grida e altri rumori. Alì Babà fece appena in tempo a nascondersi, quando vide un gran gruppo di persone a cavallo, che si fermarono di fronte ad un roccione. Tutti i cavalli erano carichi di sacchi e di giare. Erano i famosi e molto temuti quaranta ladroni. Poi il capo dei ladroni gridò ad alta voce “apriti Sesamo!” e, come per magia, il roccione si aprì in due parti e i ladroni entrarono dentro, in una grande caverna. Appena entrati tutti, Alì Babà sentì di nuovo la stessa voce gridare “chiuditi Sesamo” e il roccione si chiuse. Incuriosito, Alì Babà restò nascosto finché i quaranta ladroni, usciti di nuovo dalla caverna, si allontanarono, lasciando dietro un gran polverone. Poi, avvicinandosi al roccione, gridò anche lui “apriti Sesamo!”. Entrò dentro nella caverna e restò come impietrito. La caverna era piena di gioielli, di pietre preziose, di monete d’oro e moltissimi altri tesori. Era il covo nascosto dei quaranta ladroni. E poi la storia di Alì Babà continua…

    Il 14 gennaio scorso un deputato olandese ha consegnato al ministro degli Esteri del suo Paese un elenco di otto domande, riferendosi alla preoccupante realtà albanese. E non a caso, ma perché il ministro e i suoi collaboratori si stavano preparando per una visita ufficiale in Albania. Visita prevista e realizzata tre giorni dopo, e cioè il 17 gennaio 2019. Il deputato era, però, uno dei nove deputati degli Stati Generali dei Paesi Bassi, il Parlamento olandese, che sono stati in missione ufficiale in Albania all’inizio del maggio 2018. Con un compito preciso e ben definito: dovevano raccogliere dati e informazioni attendibili e ben verificati riguardanti la situazione socio-politica albanese. Alla fine della loro missione essi dovevavo preparare un rapporto per il Parlamento olandese. Tutto in vista delle decisioni che le istituzioni olandesi dovevano prendere, a fine giugno 2018, sia in sede locale che in quella europea, sull’apertura dei negoziati per l’Albania, come paese candidato all’adesione nell’Unione europea. Perciò il sopracitato deputato è una persona che conosce bene la realtà albanese. Parte di quelle otto domande, che lui ha consegnato al ministro degli Esteri olandese, si riferivano alle violazioni fatte, dal governo albanese e/o dalle istituzioni pubbliche, governative e statali, all’Accordo di Stabilizzazione e Associazione tra l’Albania e l’Unione europea. Accordo che è entrato in vigore già dal 1º aprile 2009 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea 28 aprile 2009). Altre domande del deputato olandese per il ministro degli Esteri del suo paese riguardavano alcuni tra i tantissimi, innumerevoli e continui scandali, pubblicamente noti, in cui sono stati direttamente coinvolti, prove alla mano, il primo ministro, almeno come persona istituzionalmente responsabile, ministri del governo, e/o determinate istituzioni pubbliche, governative e statali in Albania. Scandali che riguardano clamorosi e milionari appalti pubblici. Il deputato olandese si era limitato però, soltanto ad alcuni, ma molto significativi scandali di questi ultimi mesi. Si tratta di appalti che violano palesemente non solo la legislazione albanese in vigore, ma anche le normative europee, obbligatorie per l’Albania, come previsto e sancito dagli accordi ufficiali. Una delle domande, fatta dal deputato al suo ministro, era la seguente: “Si potrebbe dare un esempio di un progetto importante in Albania, per il quale le procedure dell’appalto [pubblico] siano svolte in accordo con le regole dell’Unione europea?”. Domanda molto significativa, che rispecchia e testimonia quanto accade continuamente, da alcuni anni a questa parte, in Albania.

    Il ministro degli Esteri olandese ha svolto la sua visita ufficiale in Albania il 17 gennaio scorso. Il caso ha voluto che la sua visita avvenisse in un momento delicato, socialmente e politicamente parlando. Socialmente perché da alcune settimane continuano le proteste degli studenti e di altri gruppi di interesse, contro diversi scandali clamorosi. Scandali, sui quali dovrebbe essere stato ben informato anche il deputato olandese, prima di consegnare, il 14 gennaio scorso, il sopracitato elenco di otto domande al ministro degli Esteri del suo paese. Scandali che sono soltanto una minima parte di quelli pubblicamente noti ad oggi in Albania. E che, ovviamente, sono una minima parte di tutto quello che è realmente accaduto in Albania dal 2013 ad oggi. Ma il caso ha voluto che la visita del ministro degli Esteri olandese avvenisse anche, e soprattutto, in un momento di grande e seria difficoltà politica per il primo ministro e la sua maggioranza governativa.

    Sì, perché il 5 gennaio scorso il primo ministro, dopo la continua pressione delle proteste, ha ceduto. Ha ceduto perché non è stato in grado di controllare e/o manipolare le proteste. Ha ceduto perché hanno fallito tutti i suoi continui tentitivi per mentire, corrompere e/o minacciare i protestanti. Ha ceduto perché è diventato pubblicamente molto ridicolo con le sue dichiarazioni in dirette televisive e/o nelle reti sociali, apparendo per quello che veramente è: un incapace arrogante, che cerca di nascondere la sua incapacità e la sua vigliaccheria dietro le battute e le frasi ad effetto. Il 5 gennaio scorso, lui è stato costretto a sostituire, di punto in bianco, la maggior parte dei ministri. In realtà si doveva dimettere lui per primo. Ma non lo ha fatto, perché per lui tutti hanno/potrebbero avere colpa, tutti si possono sostituire, tranne lui. Nonostante lui sia stato sempre un primo ministro che, da quando ha avuto l’incarico, non ha fatto altro che governare non il paese, bensì tantissimi e innumerevoli scandali.

    In una simile situazione socio-politica ha svolto la sua visita ufficiale in Albania il ministro degli Esteri olandese. Il “caso” ha voluto che il suo omologo albanese fosse tra i ministri destituiti il 5 gennaio scorso. Durante la breve e un po’ imbarazzante conferenza stampa, il ministro olandese, non a caso, ha dichiarato, tra l’altro, che “l’Unione europea è l’Unione dei valori e del dominio della legge”. Tutto sommato, le otto domande del deputato olandese hanno fatto il loro dovuto effetto. Ma lui, il deputato olandese, come tanti altri, non può sapere quanto si siano veramente arricchiti quelli che in Albania, da alcuni anni, stanno governando soltanto scandali. Ci vorrebbe forse un Alì Babà, uscito dei racconti fiabeschi, per scoprire l’immensa richezza di quei ladroni.

    Chi scrive queste righe da tempo insiste sull’obbligo morale, civile e patriottico degli albanesi onesti di non rimanere più indifferenti in una simile realtà. Per vari e sacrosanti motivi. Perciò a lui sembra appropriato quanto scriveva Hemingway nel suo romanzo Per chi suona la campana. E cioè che “Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno. Ma quello che accadrà in tutti i giorni che verranno può dipendere da quello che farai tu oggi”.

  • Confini balcanici

    Nulla è più complicato della sincerità.

    Luigi Pirandello

    Durante l’udienza con il Corpo Diplomatico del 7 gennaio scorso, Papa Francesco, tra l’altro, ha messo in evidenza che nel periodo tra le due guerre mondiali “le propensioni populistiche e nazionalistiche prevalsero sull’azione della Società delle Nazioni”. Papa Francesco, in seguito, riferendosi al suo “Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace”, ha ribadito che “il buon politico non deve occupare spazi, ma avviare processi. Egli è chiamato a far prevalere l’unità sul conflitto”. E il presidente Sergio Mattarella, nel suo messaggio inviato a Papa Francesco, in occasione della Giornata Mondiale della Pace che si è celebrata il 1° gennaio scorso, ha scritto che “Per rendere più giusta e sostenibile la stagione che si è chiamati a governare, una politica responsabile e lungimirante non alimenta le paure, non lascia spazio alla logica del nazionalismo, della xenophobia, della guerra fratricida”.

    Nazionalismi che si stanno risvegliando minacciosi ultimamente anche nei Balcani. Attualmente lì si sta evidenziando una ripresa di azioni e di dichiarazioni che spingono verso un nazionalismo pericoloso. Soprattutto in un contesto geopolitico molto incandescente. Proprio in quei Balcani dove ancora sono fresche le piaghe causate dalla disintegrazione dell’ex Repubblica Socialista Federale della Jugoslavia.

    La regione balcanica è stata definita come la polveriera dell’Europa. Per capire meglio la fragile e preoccupante realtà balcanica, bisogna ricordare anche la presenza delle missioni militari di pace, come in Bosnia ed Erzegovina e in Kosovo. Ma nel sud del Kosovo, dal 1999, sono presenti anche militari statunitensi, in una loro propria base. Dall’altra parte, sono pubblicamente noti i buoni rapporti multidimensionali tra la Serbia e la Russia. Rimanendo nell’ambito di possibili alleanze militari, nel giugno scorso, riferendosi all’agenzia russa delle notizie TASS, si sono svolte nel sud della Russia (regione di Krasnodar) le esercitazioni tattiche congiunte chiamate “Fratellanza slava 2018”. Già il nome è un programma. Hanno partecipato la Russia, la Bielorussia e la Serbia, con delle truppe scelte di paracadutisti. La loro missione era quella di contrastare una presa del potere simulato, o un’insurrezione in uno Stato fittizio dell’Europa orientale. Queste manovre sono state svolte mentre la NATO effettuava una sua importante esercitazione navale.

    Un altro fatto merita di essere evidenziato, sempre nell’ambito delle mire geopolitiche delle grandi potenze nei Balcani. Nella primavera del 2018 si sono riattivati gli attriti tra la Serbia e il Kosovo, dopo gli episodi di violenza avvenuti a Mitrovica, nel nord del Kosovo. All’inizio di aprile del 2018, secondo credibili fonti mediatiche russe, c’è stata una telefonata tra il presidente russo Putin e quello della Serbia, Aleksandar Vučić. Sempre da quelle fonti mediatiche risulterebbe che Putin abbia rassicurato Vučić di non dubitare perché avrebbe inviato forze immediate se necessario. “Non lascerò senza difesa il mio partner e alleato più importante in Europa (la Serbia; n.d.a.)”! Mentre, riferendosi ai media serbi, risulterebbe che durante il colloquio telefonico, Putin abbia detto al suo omologo serbo che “Nell’eventuale tentativo, da parte delle forze speciali albanesi, di occupare la parte settentrionale del Kosovo, o di un nuovo pogrom contro i serbi, la Russia invierà immediatamente un significativo contingente militare”. Secondo gli analisti geopolitici specializzati, questo involverebbe l’invio di una brigata aerotrasportata russa con tutti i mezzi. Gli analisti ribadiscono che tutto ciò potrebbe essere possible, perché secondo la risoluzione ONU 1244, la Russia è una parte garante della “sicurezza” dell’ex provincia jugoslava (il Kosovo; n.d.a.). Ragion per cui Putin rassicurava il presidente serbo che “La Federazione Russa è pienamente impegnata nei confronti dei serbi del Kosovo, con tutti i mezzi, per difenderli da un possibile attacco”.

    Questo accadeva nell’aprile 2018. Mentre il 7 gennaio scorso, per testimoniare la solida alleanza tra la Russia e la Serbia, nonché la stima per il presidente serbo Aleksandar Vučić, Putin ha conferito a quest’ultimo il prestigioso premio “Alexander Nevsky”. Premio che testimonia anche i legami stretti tra i due paesi. Premio che, secondo gli osservatori, è stato conferito ad alcuni massimi dirigenti di paesi, dove non si rispettono i valori democratici. Perciò, il conferimento di questo premio prestigioso della Federazione Russa, allinea Vučić a fianco dei dirigenti di Turkmenistan, Tagikistan, Kirgizstan, Kazakistan e Bielorussia.

    In una simile realtà molto delicata geopolitica nei Balcani, dall’agosto scorso, una irresponsabile dichiarazione del presidente del Kosovo, sta agitanto molto le acque. Dichiarazione “strana e inaspettata” che riapre pericolosamente il capitolo di una nuova delimitazione dei confini tra il Kosovo e la Serbia, fatta su basi etniche. Dichiarazione che ha trovato subito vaste e trasversali forti reazioni contrarie, sia in Kosovo che in Albania. La maggior parte dei politici e degli opinionisti, in tutti e due i paesi, sono seriamente preoccupati di un simile inatteso sviluppo. Sviluppo considerato come pericoloso anche da molti noti media e opinionisti internazionali (Patto Sociale n.329).

    Mentre, durante una congiunta riunione dei governi dell’Albania e del Kosovo, il 26 novembre scorso a Peja (Kosovo), il primo ministro albanese è ritornato alle sue “minacce nazionalistiche”. Minacce che fa sempre quando si trova in difficoltà per via degli innumerevoli scandali. In quell’occasione lui ha espresso la sua convinzione sull’unione “del Kosovo con l’Albania nel 2025, con o senza l’Unione europea” (Patto Sociale n.335). Non solo, ma durante una conferenza stampa, lui ha considerato “somari” tutti coloro, in Kosovo e in Albania, che erano contro l’iniziativa [sopracitata] del presidente del Kosovo! Così facendo lui è uscito, per la prima volta, allo scoperto, in difesa della nuova delimitazione dei confini tra il Kosovo e la Serbia.

    Ma il 26 novembre scorso a Peja, il primo ministro albanese parlò, per la prima volta, anche di un inspiegabile rapporto strategico dell’Albania con la Serbia! Alcuni anni fa, appena diventato primo ministro, lui aveva dichiarato di considerare la Turchia come un alleato strategico, con tutte le seguenti conseguenze, ormai note a tutti. Il primo ministro albanese, senza batter ciglio, dichiarò che “il nostro rapporto con la Serbia è strategico e a lungo termine. L’Albania è determinata a costruire un’alleanza strategica con la Serbia”! Chissà se hanno ragione le cattive lingue, secondo le quali dietro tutto ciò c’è lo zampino di George Soros…

    Chi scrive queste righe valuta sia utile ricordare quanto ha detto il presidente francese François Mitterrand, durante il suo ultimo discorso, pronunciato al Parlamento di Strasburgo il 17 gennaio 1995. Egli disse, tra l’altro, che “era nato durante la prima guerra mondiale, aveva fatto la seconda guerra, per poi essere giunto alla conclusione, basandosi nella sua lunga esperienza di vita, che il nazionalismo è la guerra”. Allo stesso tempo, chi scrive queste righe condivide la convinzione di Luigi Pirandello, che in questi tempi nulla è più complicato della sincerità. Aggiungendo che nulla può essere più pericoloso dell’irresponsabilità di quelli che governano. Nei Balcani e altrove.

  • La mosca cocchiera

    Se non riesci a convincerli, confondili.
    Antico credo politico

    Tra le tante bellissime e molto significative favole di Jean de La Fontaine, c’è anche quella della mosca cocchiera. Favola dalla quale possono e devono imparare sempre molto, non solo i bambini, ma, con i tempi che corrono, anche e soprattutto i grandi. La favola racconta di quello che crede di essere il cocchiere di un carrozzone pieno di passeggeri e tirato da sei cavalli. In quel tempo per viaggare c’erano soltanto le carrozze e i cavalli. Le strade non erano neanche asfaltate come adesso e, non di rado, erano scoscese, erte e dirupate. Una strada simile doveva percorrere anche il carrozzone della favola. Dopo un bel po’ di viaggio, mentre i passeggeri passavano il tempo come meglio potevano e il cocchiere canticchiava tra sé e sé e badava ai cavalli, la strada cominciava a diventare una salita ripida, malagevole e sabbiosa. I cavalli non potevano più andare avanti. Ragion per cui il buono e premuroso cocchiere pensò bene di alleggerire i cavalli del peso e della fatica. Perciò chiese ai viaggiatori di scendere e prosseguire a piedi fino alla fine della salita. Ma la strada era talmente difficile che, nonostante ciò, i cavalli sudavano e soffiavano. Ad un tratto sopraggiunse una mosca. Fiera e piena di sé, rivolgendossi a tutti, gridò a voce alta e disse che loro erano fortunati perché era arrivata lei, la mosca cocchiera. E subito si mise a lavoro. Cominciò ad andare di qua e di là, ronzando dietro le orecchie dei cavalli. Convinta che stava a lei e a lei soltanto portare il carrozzone in cima, pungeva i cavalli dappertutto per farli andare avanti e gridava loro di muovere le gambe, che tremavano dal peso e dalla fatica. Non contenta però del lento e faticoso avanzamento del carrozzone, la mosca sedette sul timone, poi si posò sul naso del cocchiere, poi volò sul tetto della carrozza. Andava, veniva, affannata, brontolava e squillava, rivolgendosi ai passeggeri che proseguivano a piedi per la salita, con le seguenti frasi: “Bel modo di fare! Se non ci fossi io! Guarda! Il prete legge il breviario. Quella donna canta. Quei due parlano dei loro affari. Il cocchiere sonnecchia. A darmi pena sono io sola. Tocca a me far tutto. Tutto cade sulle mie spalle. Ah che lavoro!”. Dopo tanta fatica, alla fine il carrozzone giunse al termine della salita. In seguito la strada diventava di nuovo piana. Il cocchiere diede tempo ai cavalli di prendere bene fiato e poi chiese ai viaggiatori di riprendere i loro posti. In seguito lui fece schioccare la frusta e i cavalli si rimisero al trotto. Mentre la mosca, sul tetto del carrozzone, trionfava, gridando ad alta voce e convinta che era tutto merito suo se il carrozzone, i cavalli e i passeggeri avevano superato la ripida salita. Purtroppo nessuno dava ascolto alla mosca salvatrice. Ragion per cui essa cominciò subito a lamentarsi che quegli ingrati, tutti loro, non le dicevano nemmeno grazie. Dopo tutto quello che aveva fatto!
    Quanto raccontato qui sopra accadeva molto tempo fa, nel mondo delle favole. Era il periodo quando si viaggiava con le carrozze trainate dai cavalli per delle strade che non erano asfaltate come adesso e che, non di rado, erano scoscese, erte e dirupate. Ma anche adesso, nel mondo in cui viviamo, ci sono dei personaggi che sembrano e/o si comportano come se fossero usciti da una realtà diversa. E purtroppo, alcuni di essi fanno del male e causano danni.
    Rimanendo nell’allegoria della favola della mosca cocchiera e immergendosi di nuovo in una realtà fiabesca, vale la pena raccontare quanto segue.
    In un piccolo paese chiamato il Paese delle Bugie, governava un siffatto monarca, che considerava se stesso il migliore di tutti e l’unico salvatore dei sudditi del suo regno. Ma soffriva quel monarca, perché i sudditi, incapaci e buzzurri, non riuscivano a capire quanto lui stava facendo per loro e per il regno. Perciò lui pensò bene di portare tutti i suoi sudditi e metterli dentro un carrozzone gigante, tirato da tantissimi cavalli. Essendo un re capace di tutto e pieno di poteri, aveva anche il dono di fare delle magie. E per magia il re costruì, da un cetriolo, un gigantesco carrozzone. Non da una zucca, come nella favola di Cenerentola, che la fata madrina per magia trasformò in una bellissima carrozza. Ma da un cetriolo. E non come nella favola di Cenerentola, dove la fata madrina trasformò i quattro topolini, amici della Cenerentola in quattro bellissimi cavalli bianchi, mentre le due lucertole e l’oca in paggi e cocchiere, il re trasformò, con la sua bacchetta magica, una mandria di pecore in tantissimi cavalli e li attaccò al gigantesco carrozzone. Le pecore le prese dalla Fattoria degli Animali, inventata da George Orwell. Il re le mise tutte in fila, stupide e ubbidienti, e le chiamò ministri e alti funzionari. Il loro compito era semplicemente quello di trainare il carrozzone, al quale il re diede il nome Governo. Le pecore, chiamate ormai ministri e alti funzionari del regno, facevano solo e soltanto quello che ordinavano i cani e i maiali, sempre presi dalla famosa Fattoria degli Animali. Cani e maiali che il re trasformò in paggi, guardie e consiglieri e che mise dentro il suo carrozzone chiamato da lui Governo.
    Anche il carrozzone chiamato Governo dal re del Paese delle Bugie doveva affrontare quasi sempre delle strade molto accidentate, con tante salite ripide e scoscese. Il siffatto monarca prese le briglie e cercò di portare il carrozzone fino in cima. Ma sempre non ci riusciva. E sempre il carrozzone, invece di salire, scendeva e rischiava di precipitare nei burroni. Che ansia e rabbia per il monarca cocchiere! Non sono risultati sufficienti neanche i cambiamenti delle pecore che diventavano cavalli, dopo essere state toccate dalla bacchetta magica e che il monarca cocchiere le chiamava ministri e alti funzionari. Non sono risultati appropriati neanche i cambiamenti dei cani e dei maiali, che sempre, dopo essere stati toccati dalla bacchetta magica del monarca cocchiere diventavano paggi, guardie e consiglieri. Non c’era niente da fare. Il carrozzone, con dentro tutti i sudditi del Paese delle Bugie, urtando di qua e di là, si sfasciava e perdeva sempre più pezzi. I sudditi, impauriti e preoccupati per la loro sorte, cominciarono ad abbandonare il carrozzone e ad andare per i fatti propri. Si sparpagliarono e fuggirono verso altri paesi e regni, per trovare fortuna e sicurezza. E contiunano a farlo. Nonostante il monarca cocchiere cerchi di convincere tutti, anche se stesso, che il carrozzone stia salendo sicuro per la ripida e scoscesa strada e tra poco sarà in cima e riprenderà la strada piana e tranquilla e che, entro breve tempo, saranno tutti felici e contenti. Come nelle favole. Ma non ci riesce. E ormai sembra che anche lui capisca che non si può. Mentre la mosca cocchiera, uscita dalla favola, gli sta ronzando sopra e dietro le orecchie e lo sta pungendo dappertutto, beffandolo e deridendolo per la sua goffaggine e la sua totale incapacità come cocchiere del carrozzone da lui chiamato Governo.
    Tornando all quotidianità del mondo reale, chi scrive queste righe conferma che non si tratta del Paese delle Bugie, ma bensì dell’Albania. E il monarca cocchiere è il primo ministro che purtroppo sta facendo del male e sta causando tanti danni. E continua a far finta di badare a quello che non c’è: il carrozzone da lui chiamato Governo. Non essendo neanche una mosca cocchiera!

  • Miseri, ipocriti, ma pericolosi usurpatori del…

    I popoli ben governati e contenti non insorgono. Le insurrezioni, le rivoluzioni
    sono la risorsa degli oppressi e degli schiavi. E chi le fa nascere sono i tiranni.

    Giuseppe Garibaldi

    La protesta degli studenti a Tirana, cominciata il 5 dicembre scorso, continua. Continuano anche i tentativi di farla fallire tramite infiltrati, intimidazioni varie da parte del sistema e altri. Gli studenti sembrano determinati a portare avanti la loro causa, senza farsi condizionare da niente e da nessuno. Nonostante alcuni alti e bassi, comprensibili per una simile rivolta che non ha dirigenti ma consigli degli studenti di ogni facoltà che decidono ogni volta che serve e poi si coordinano tra di loro (Patto Sociale n.336, della scorsa settimana). All’inizio hanno protestato davanti al Ministero dell’Istruzione. In seguito, da giovedì 13 dicembre, la protesta è stata trasferita di fronte all’edificio del Consiglio dei Ministri. La ragione è semplice ma molto significativa. Lo hanno spiegato chiaramente gli stessi studenti. Visto che non c’è stata nessuna reazione concreta da parte del ministro dell’Istruzione, e visto che le richieste riguardano delle decisioni che dovrà prendere il Consiglio dei Ministri, allora anche la protesta ha cambiato luogo. Nel frattempo, durante la scorsa settimana, sono state svolte anche altre proteste dei cittadini, in diverse città dell’Albania. Hanno protestato contro l’arroganza del governo, contro il rincaro del costo della vita e per altre ragioni socio-economiche.

    Tornando alla sacrosanta protesta degli studenti, per il momento una cosa si può dire con certezza. E cioè che la protesta ha turbato non poco il sistema. Per la prima volta da molto tempo, gli studenti hanno pronunciato chiaramente delle vere verità, con delle parole semplici ma sentite, denunciando il sistema. Tutto il sistema. Il che significa non soltanto quello trasversale politico, ma anche gli oligarchi a servizio della politica, che traggono vantaggi enormi da essa, condividendo i profitti. Quel sistema che comprende, come parte integrante, anche la criminalità organizzata, che convive con il potere politico in Albania.

    Gli studenti denunciano e accusano tutto il sistema politico attuale. E hanno pienamente ragione. Nonostante non riescano a distinguere bene la differenza concettuale tra la “politica”, il “sistema politico” e i “partiti”, essi comunque hanno articolato delle verità, che non possono e non devono sfuggire all’attenzione pubblica. Hanno additato i partiti politici e i loro rappresentanti, a tutti i livelli, come i veri autori e responsabili della grave realtà quotidiana, della pessima situazione in cui si trova il sistema dell’istruzione pubblica, della povertà diffusa, della perdita della fiducia e delle speranze, che spingono gli albanesi ad abbandonare il paese, sempre più numerosi. Da un sondaggio Gallup, pubblicato recentemente, risulta che gli albanesi sono i quarti al mondo per il numero dei cittadini che vogliono lasciare il paese. Dietro soltanto alla Sierra Leone, alla Liberia e ad Haiti! E la maggior parte sono giovani, quelli che vogliono lasciare il paese. Da circa 2.87 milioni di abitanti attualmente residenti, oltre 1.7 milioni di essi vogliono lasciare l’Albania. Un dato, di per se, molto allarmante. Ma anche questo fatto grave hanno tentato di lasciarlo nel dimenticatoio. Come sempre.

    Grazie alla protesta degli studenti, queste verità si stanno articolando chiaramente e quelle verità accusano. Accusano i partiti politici in Albania, che sono diventati dei clan e raggruppamenti occulti clientelistici. Senza risparmiare nessun partito, quello del primo ministro, e quelli dell’opposizione. Accusano i massimi rappresentanti del sistema dell’istruzione, rettori e decani delle università compresi. Gli studenti sono convinti che, a loro volta e dopo la classe politica, quei rappresentanti “castrati” sono tra i principali responsabili della pietosa e grave situazione in cui versa il sistema dell’istruzione in Albania. Proprio loro che, con i loro “affarucci” milionari, i loro nepotismi, i loro plagi nelle pubblicazioni e i loro dubbiosi titoli accademici, nonché con il loro vergognoso silenzio di fronte alle intimidazioni della politica, hanno chiuso gli occhi e hanno consentito che tutto ciò accadesse. Lo hanno dimostrato anche alcuni giorni fa. L’ultimo atto di umiliazione e di offesa è stato consumato la scorsa settimana, quando il primo ministro li ha riuniti tutti, in pieno svolgimento della protesta degli studenti, e ha scaricato sulle loro spalle tutte le accuse degli studenti. Così facendo ha tentato di fare, per l’ennesima volta, l’unica cosa che lui sa fare: scaricare le colpe sue sugli altri. E purtroppo ci è riuscito. Nessuno degli “illustri” rappresentanti del mondo accademico ha detto una parola. Una sola parola, nonostante le accuse, le offese e le umiliazioni subite fossero pesanti. Vergogna loro!

    Nel frattempo, il primo ministro continua, disperato, con la sua strategia: quella di soffocare con tutti i mezzi, la protesta degli studenti. Lui sta cercando in tutti i modi di minimizzare l’importanza di questa protesta. All’inizio ha usato gli “infiltrati” da lui controllati, per deviare e annientare la protesta. E non ci è riuscito. Poi ha tentato gli ”show” televisivi, facendo lui il “tuttofare” di fronte a delle platee riempite da attivisti dell’organizzazione della gioventù del suo partito. Attivisti che sono stati subito riconosciuti e smascherati nelle reti sociali. Poi ha riunito e offeso i massimi dirigenti delle università. Ma non si sente tranquillo ed ha ragione. Gli studenti sono determinati nella loro causa, e non si lasciano impressionare e neanche impaurire dalle diaboliche manovre del primo ministro, degli infiltrati e della propaganda governativa. Adesso lui chiede di “dialogare” con gli studenti. L’ennesimo tentativo d’inganno, semplicemente per guadagnare tempo e sperare in qualche “svolta”. Ma gli studenti sono determinati; nessun dialogo per le loro richieste. E le richieste sono chiare e facilmente realizzabili. Lo ha confermato, stranamente, anche il primo ministro, come parte delle sue manovre per “addolcire” la situazione. Mentre gli studenti sono consapevoli che anche questo “invito amichevole” è l’inganno di turno. Ed hanno pienamente ragione. Lo testimoniano anche tante innumerevoli esperienze precedenti. Ormai essi, come tanti altri, sono convinti che la strategia dell’inganno del primo ministro fa acqua da tutte le parti. Tutti ormai sanno che, dal 2013 in poi, lui ha cercato di sostituire con la sua “realtà virtuale”, la vera e vissuta realtà albanese. Ormai è tempo di dire basta!

    Oggi, 17 dicembre, un’altra massiccia protesta si sta svolgendo davanti all’ufficio del primo ministro. Protesta che vede insieme studenti e tanti cittadini della capitale. La protesta è tuttora in corso e ha smentito pienamente quanto la propaganda governativa ha cercato di inculcare nelle teste dei cittadini fino a ieri sera. E cioè che la protesta si stava sgretolando.

    Chi scrive queste righe è convinto che nessuno, chiunque esso sia stato e in nessun periodo, non è riuscito a opprimere e schiavizzare un popolo. Non lo hanno fatto neanche i tiranni, dalla notte dei tempi ad oggi. Non lo possono fare, perciò, neanche alcuni miseri, ipocriti, ma pericolosi usurpatori del sistema socio-politico in Albania. Di tutti i colori e casacche essi siano.

  • Sacrosante proteste degli studenti

    Nessun uomo è al di sopra della legge, e nessuno è al di sotto di essa.

    Theodore Roosevelt

    Si continua a protestare in Francia. Anche lo scorso sabato, il quarto in seguito, a Parigi sono scesi in piazza i cosiddetti “gilet gialli”. Dalla metà del novembre scorso, in varie città della Francia si protesta contro l’aumento dei prezzi del carburante, l’aumento delle tasse e del costo elevato della vita. Si protesta contro le politiche del presidente Emmanuel Macron, il quale viene considerato come il colpevole principale di tutto ciò. Per il quarto sabato consecutivo a Parigi, e soprattutto nell’area tra Les Champs-Elysees, la Tour Eiffel, la Place de la Concorde e il museo del Louvre sono stati ripetuti gli scontri violenti, con decine di feriti e centinaia di fermati. Purtroppo, anche lo scorso sabato, i famigerati e gli immancabili black block, attivisti dell’estrema sinistra, infiltrati tra i “gilet gialli”, hanno assaltato i negozi, hanno dato alle fiamme le auto e hanno assalito duramente le massicce forze dell’ordine. Da sottolineare, ovviamente, che questi atti vandalici non hanno a che fare con le proteste dei “gilet gialli” e perciò non possono compromettere e infangare le loro giuste cause.

    Giovedì 6 Dicembre 2018, un’altra massiccia protesta ha scosso la Francia. Gli studenti dei licei di tutto il paese sono scesi in piazza per protestare contro la riforma dell’esame di maturità e del sistema di selezione per l’ingresso all’università. Non sono mancati gli scontri tra gli studenti e le forze dell’ordine, con decine di arresti e molti feriti. Purtroppo, sono stati evidenziati atti ingiustificati e ingiustificabili da parte della polizia. Scene immortalate da fotografie e video, che mostrano alcune decine di studenti liceali fermati, messi in ginocchio e con le mani in testa, in riga o di fronte a un muro, sorvegliati a vista dagli agenti di polizia in assetto antisommossa. Sono degli atti che hanno messo la polizia francese sotto accusa. La reazione pubblica è stata immediata e forte. Anche quella istituzionale. Tutto ciò accadeva tra i licei Saint-Exupery e Jean-Rostand, a Mantes-la-Jolie, nel nord di Parigi, dopo gli scontri tra le forze dell’ordine e gli studenti. Sono state delle immagini che hanno ricordato all’opinione pubblica, non solo in Francia, altri tempi e altri regimi.

    Dicembre di proteste questo del 2018. Così è cominciato questo mese anche in Albania. Da mercoledì scorso, 5 dicembre, a Tirana gli studenti sono scesi in piazza. E non solo a Tirana, ma anche in altre città, gli studenti protestano contro i costi alti e spesso proibitivi che devono affrontare, sia per l’iscrizione, che per gli esami non superati e/o rimandati e per tante altre pratiche burocratiche. Sono dei costi che, visto il continuo impoverimento della popolazione, diventano insopportabili per le famiglie albanesi. Da sottolineare che ci si riferisce alle università pubbliche.

    Tutta questa situazione è stata creata dopo l’approvazione da parte del Parlamento, nel luglio 2015, della legge dell’istruzione superiore e della ricerca scientifica. Legge approvata anche con i voti trasversali di una parte dell’attuale opposizione parlamentare. Si tratta di una legge proposta allora dal governo e considerata da molti come una legge sbagliata, ingiusta e clientelistica. Una legge che, fatti alla mano, è stata ideata e portata avanti da lobby vicine ad alcuni proprietari di università private in Albania. Grazie a quella legge hanno beneficiato e continuano a farlo proprio le università private, le quali hanno aumentato le iscrizioni. Ma comunque, e per lo meno, le università private hanno arginato il calo delle iscrizioni, dovuto alle tariffe spesso proibitive per una popolazione sempre più povera.

    Le vere ragioni delle proteste di questi giorni degli studenti delle università pubbliche, dimostrano e mettono in rilievo, tra l’altro, anche l’ingiustizia sociale, causata dalla sopracitata legge. E, allo stesso tempo, dimostrano e mettono in rilievo anche il fallimento totale di una delle riforme volute e portate avanti con tanto clamore dalla propaganda governativa. Quella dell’istruzione. Che poi rappresenta soltanto uno dei tanti, di tutti i fallimenti di altrettante riforme attuate in Albania dal 2013 in poi, e sbandierate come successo dal primo ministro e i suoi.

    Tornando alla protesta degli studenti di questi ultimi giorni, tuttora in pieno svolgimento, non si può non ricordare la protesta dell’8 dicembre 1990. Si tratta della protesta per eccellenza, della protesta che ha messo in ginocchio la dittatura comunista in Albania. L’8 dicembre 1990 rappresenta il giorno che diede inizio alla caduta del più sanguinoso e intollerante regime comunista in Europa. E anche quella protesta cominciò con delle richieste “economiche”, per poi passare a delle richieste politiche, come la richiesta non negoziabile del pluralismo politico e del pluripartitismo.

    Adesso, come 28 anni fa, l’inizio di dicembre è arrivato con proteste massicce degli studenti. E adesso, come 28 anni fa, tra le tante frasi che articolano chiaramente e gridano ad alta voce gli studenti, oltre a quelle economiche e di denuncia, è “Vogliamo l’Albania come tutta l’Europa!”. Perciò, anche adesso, come 28 anni fa, la protesta degli studenti è, in principio, una protesta contro il sistema.

    Quanto sta succedendo in questi ultimi giorni a Tirana, ma soprattutto quanto potrebbe eventualmente accadere nel prossimo futuro, ha messo in grande difficoltà il primo ministro. Lui e i suoi stanno cercando a tutti i costi, di soffocare e di isolare la sacrosanta protesta degli studenti. Dal secondo giorno delle proteste, gli “strateghi” del primo ministro hanno messo in moto delle strategie per compromettere e/o manipolare la protesta degli studenti. Oltre all’insidiosa propaganda mediatica, un gruppo di studenti infiltrati sta cercando di “monopolizzare” la protesta. Infiltrati che, ad onor del vero, sono riusciti, fino a sabato scorso, a “isolare” la protesta, proclamando la protesta come “non politica”. Mentre tutto in questa protesta è politica. E questo è un fatto ovvio, lo testimonia chiaramente il concetto stesso della politica, dalle sue origini. Finalmente quel gruppo è stato smascherato e a tutti ormai è chiaro che essi non sono che degli attivisti di un’associazione ultra marxista (Sic!). Tutto ciò ha messo ulteriormente in grosse difficoltà il primo ministro. Difficoltà che non riesce più a controllare e neanche a nascondere. E non si sa cosa accadrà nei prossimi giorni. Perché la protesta degli studenti continua sempre con più vigore e con l’aumentato sostegno anche dei cittadini. Perciò in qualsiasi momento si potrebbero registrare sviluppi importanti. Nel frattempo, i media internazionali stanno seguendo con attenzione questa protesta.

    Chi scrive queste righe da tempo sta evidenziando la diabolica strategia che mira al soffocamento e all’indebolimento del sistema dell’istruzione pubblica. Egli è convinto che com’è il sistema dell’istruzione oggi, così sarà la società domani. Essendo altresì convinto che quando l’ingiustizia e l’arroganza governativa diventano legge, allora la rivolta popolare, massiccia e determinata, diventa un obbligo morale e civico. Perché, come scriveva Theodore Roosevelt, nessun uomo è al di sopra della legge, e nessuno è al di sotto di esso.

  • Nazionalismo squallido e ingannevole

    Il nazionalismo è una malattia infantile. È il morbillo dell’umanità.

    Albert Einstein

    “Che non ci raccontino troppe balle i nostri amici europei e che non ci chiedano più di quello che possiamo sopportare, mentre accarezzano la Serbia”. Così dichiarava il primo ministro albanese durante la riunione comune del governo albanese e quello del Kosovo il 26 novembre scorso a Peja (Kosovo). Da non credere! Perché si riferiva agli “amici” dell’Unione europea, e più precisamente della Commissione europea. E non soltanto a loro, ma anche ad alcuni dirigenti influenti di qualche paese europeo, altrettanto influente. Si riferiva proprio a quegli “amici” che fino a poco tempo fa si vantava della loro amicizia e del loro “sincero appoggio” che stavano dando all’Albania e, a tempo debito, anche al Kosovo. Il suo discorso era pieno di “dichiarazioni patriottiche e nazionaliste” e, essendo in Kosovo, anche di (finte) attenzioni ai problemi che sta affrontando il più giovane paese europeo, con una spiccata maggioranza albanese. Non a caso lui ha assunto il ruolo di colui che, per dei “sani principi”, non torna in dietro e attacca anche gli “amici europei”. In quel contesto il primo ministro albanese dichiarava il 26 novembre scorso a Peja che “La strada del futuro non si può costruire con dei coltelli dietro la schiena degli albanesi”. E i manici di quei coltelli erano nelle mani degli “amici europei” (Sic!). Proprio a quegli “amici” ai quali ha rivolto la sua “originale” imprecazione nella lingua, come ha sottolineato lui, “del Parlamento Europeo”: “What the fuck!”.

    Ma per coloro che conoscono il comportamento del primo ministro albanese, si è trattato semplicemente, e per l’ennesima volta, di squallide e ingannevoli minacce che nessuno dovrebbe prendere sul serio. Perché il primo che non crede a quello che dice è proprio lui stesso, il primo ministro albanese. Lo fa semplicemente per attirare e/o deviare l’attenzione mediatica e pubblica. Soprattutto in Albania, dove lui sta soccombendo sotto il peso enorme delle sue stesse malefatte. E lo fa assumendo il ruolo del patriota e di colui per il quale la questione nazionale rappresenta una priorità invalicabile. Auspicando, magari, anche delle reazioni forti da parte degli “amici europei”, che potrebbero permettergli in seguito, di certificare e sancire il ruolo del padre della patria e della nazione. Ma come spesso nessuno degli ‘amici europei” prende sul serio quanto dice il primo ministro albanese. E, men che meno, prende sul serio le sue minacce, comprese quelle nazionaliste. Non lo hanno preso sul serio neanche in precedenza, mentre il Consiglio dell’Unione europea prima e in seguito il Consiglio europeo, dovevano decidere nel giugno scorso, sull’apertura dei negoziati dell’Albania come paese candidato all’adesione nell’Unione europea. La decisione delle sopracitate istituzioni europee lo scorso giugno, nonostante la raccomandazione positiva della Commissione europea, è stata chiaramente negativa. Ignorando perciò sia le viscide e vergognose implorazioni del primo ministro albanese, che le sue minacce. Minacce che allora erano focalizzate soprattutto sul pericolo della presenza russa, turca, cinese e degli altri nei Balcani. Ergo anche in Albania. Non lo hanno preso sul serio per tre anni di seguito e neanche prima. Mentre lui, in prima persona e tramite la sua ben potente e organizzata propaganda mediatica, garantiva sempre e scommetteva sull’incondizionato appoggio europeo all’adesione dell’Albania nell’Unione europea. Adesione che, visto come stanno andando le cose, dovrebbe ritardare non di poco. Ma nonostante nessuno lo prenda sul serio di quello che dice, minacce comprese, il primo ministro continua a fare lo stesso, come se niente fosse. Perché per lui è l’unico modo di apparire e farsi sembrare per quello che mai è stato e mai sarà. Questo è il suo modo di pensare e di fare. Pretende “favori” per niente meritati e per averli o si mette ad elemosinare senza scrupolo alcuno, oppure sguaina la spada e si mette a minacciare. Come ha fatto anche il 26 novembre scorso, durante la sopracitata riunione comune del governo albanese e quello del Kosovo. E per finirla in bellezza con le “minacce nazionaliste” in quell’occasione ha concluso, esprimendo la sua convinzione sull’unione “del Kosovo con l’Albania nel 2025, con o senza l’Unione europea”!

    Sono dichiarazioni che nonostante nessuno crede, possono servire come pretesto per altri paesi della regione, Serbia per prima, che non riconosce lo Stato del Kosovo, Si tratta di un aperto contenzioso che si porta avanti dal 17 febbraio 2008, quando il Kosovo proclamò la sua indipendenza dalla Serbia. Da sottolineare anche che dall’agosto scorso, si sta parlando di negoziati tra i due paesi per la ridefinizione dei confini, su basi etniche. Lo ha dichiarato per primo il presidente del Kosovo, per poi avere una conferma positiva da quello serbo. E tutto faceva capire che c’era anche il consenso “tacito” del primo ministro albanese in tutto ciò. Dichiarazione che ha scatenato subito aperte reazioni contrarie sia dalla maggior parte dei massimi livelli della politica in Kosovo che in Albania. Dichiarazioni ufficiali contrarie ad una ridefinizione dei confini tra la Serbia e il Kosovo sono arrivate anche dalle istituzioni dell’Unione europea e da singoli paesi. L’ultima chiara presa di posizione risale a qualche giorno fa. Si tratta della dichiarazione ufficiale del ministero degli Esteri tedesco, in risposta alle domande di un gruppo di deputati del partito Alleanza per la Germania (Allianz für Deutschland) sull’argomento in questione. Secondo il sopracitato ministero “il governo federale (tedesco; n.d.a.) ha chiaramente fatto sapere, in alcune occasioni, che non appoggia i cambiamenti territoriali nei Balcani, su base di criteri etnici”. Poi, alla domanda sulle dichiarazioni del primo ministro albanese, riguardo la possibilità dell’unione dell’Albania con il Kosovo se falliscono le trattative con l’Unione europea, la posizione del ministero degli Esteri tedesco è stata “diplomaticamente corretta”. La risposta era che “in Albania, come in altri paesi della regione (balcanica; n.d.a.) si discute sempre delle alternative possibili, nel caso non ci fosse l’adesione nell’Unione europea”. Le cattive lingue, da tempo dicono però, che in tutto ciò c’è dietro una ben definita strategia di un noto speculante miliardario di borsa statunitense. Sia per la ridefinizione dei confini tra il Kosovo e la Serbia, che di altre scelte geostrategiche nei Balcani, Albania compresa.

    Nel frattempo, il 26 novembre scorso, un dibattito televisivo in prima serata, ha messo a nudo la persona che guida il governo albanese. Gli sghignazzamenti, gli scherni, le repliche ciniche e spesso volutamente evasive e prive di significato, sono state le “armi” con le quali il primo ministro ha cercato di rispondere alle semplici e dirette domande di due degli invitati nel dibattito. Erano una nota opinionista delle relazioni internazionali ed un ex diplomatico. Chi scrive queste righe pensa che con quanto hanno fatto durante quel dibattito, essi hanno reso un grande servizio pubblico agli albanesi, e non solo a quelli che vivono in Albania. Hanno screditato il primo ministro facendolo finalmente apparire, in diretta televisiva, per quello che realmente è e non per quello che sempre cerca di sembrare.

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