Albania

  • Autocrate irresponsabile, corrotto, bugiardo, delirante e vigliacco

    Un tiranno troverà sempre un pretesto per la sua tirannia

    Esopo

    Si dice che una ciliegia tira l’alta. Un noto proverbio questo che, nonostante qualche piccola differenza nelle parole usate, come significato rimane comune in diversi Paesi del mondo. Un proverbio che si riferisce alla tentazione di non riuscire a fermarsi di mangiare, una dopo l’altra, le stuzzicanti, saporite e dolci ciliege. Comunque si tratta di ciliege che non fanno male, anzi! Ma c’è anche un altro detto, purtroppo di uso sempre più comune nell’attuale realtà quotidiana in diversi Paesi del mondo, che si riferisce a fatti clamorosi, dannosi e condannabili, sia moralmente che penalmente. Il detto è “uno scandalo tira l’altro”. Da anni purtroppo quanto è accaduto e sta accadendo in Albania, fatti noti, documentati e denunciati alla mano, permette di acconsentire che uno scandalo tiri l’altro. E più passa il tempo e più frequenti sono gli scandali. Scandali che hanno a che fare con l’abuso di potere a tutti i livelli, da parte dei rappresentanti politici ed istituzionali. Scandali derivanti dalla diffusa e molto preoccupante corruzione. Scandali milionari legati allo sperpero, con la consapevole appropriazione della cosa pubblica in uno dei Paesi più poveri dell’Europa. Sì, in Albania purtroppo, uno scandalo tira l’altro. E si tratta di scandali che, nolens volens, non ci si riesce a nasconderli. Ma anche di scandali che si generano “volutamente”, per spostare l’attenzione da altri, ben più gravi e clamorosi. Proprio quelli che non ci si riesce a nascondere, che sfuggono di mano e che coinvolgono i rappresentanti politici ed istituzionali ai massimi livelli, primo ministro in testa.

    In Albania, da alcune settimane, lo scandalo dei tre inceneritori, sta attirando tutta l’attenzione politica, mediatica e pubblica. Il nostro lettore è stato informato anche in queste tre ultime settimane, come lo è stato anche nei mesi e negli anni precedenti, di questi clamorosi sviluppi che stanno creando un forte grattacapo al primo ministro, ad alcune persone a lui molto vicine, nonché a molte altre coinvolte in questo scandalo tra i più abusivi di questi tre decenni, dopo il crollo della dittatura comunista (Governo che funziona come un gruppo criminale ben strutturato, 17 luglio 2023; Inganna per non ammettere che è il maggior responsabile, 24 luglio 2023; Continua ad ingannare per coprire una grave e scandalosa realtà, 31 luglio 2023). Ma mentre continuano ad uscire nuovi significativi, inconfutabili e clamorosi dati che testimoniano il diretto coinvolgimento del primo ministro e di altre persone in questo scandalo, due altri scandali, sono stati resi noti nello stesso giorno, sabato scorso, 5 agosto. Scandali che, comunque, nonostante la loro gravità e molto altro, non riescono ad offuscare e, magari, annientare l’eco dello scandalo dei tre inceneritori.

    Il primo scandalo reso noto sabato scorso, 5 agosto, riguarda la coltivazione di una grande quantità di piante di cannabis dentro il territorio di una delle basi militari più sicure e più importanti dell’esercito albanese. Una base delle forze scelte dell’esercito. Ed essendo l’Albania, dall’aprile 2009, un Paese membro della NATO (North Atlantic Treaty Organization, l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord; n.d.a.), allora la base è anche una base della NATO. Ed in realtà in quella base di alta sicurezza, che si trova molto vicino alla capitale, sono state organizzate in precedenza delle esercitazioni comuni dei contingenti dell’esercito albanese e quelli degli altri Paesi membri dell’organizzazione. Ebbene, proprio dentro il territorio di questa base sono state coltivate piante di cannabis. E per il momento non si sa da quanto continuava questa attività illecita. Si sa però, come viene confermato da molti rapporti di strutture internazionali specializzate, che l’Albania da anni è diventato uno dei Paesi con la maggiore quantità di cannabis prodotta. Il nostro lettore è stato informato della diffusa coltivazione della cannabis su tutto il territorio nazionale, soprattutto dal 2015 in poi. Così come è stato informato del ministro degli Interni dal settembre 2013, da quando fu costituito il primo governo dell’attuale primo ministro, fino a marzo 2017, quando lui ha “presentato” le sue dimissioni, perché era direttamente coinvolto, con alcuni suoi cugini, proprio nella coltivazione e nel traffico illecito del cannabis. E tutto è stato scoperto ed indagato non in Albania, ovviamente, bensì in Italia, dalle apposite istituzioni del sistema della giustizia. E anche la scoperta della coltivazione della cannabis all’interno di un territorio di una delle poche basi militari di alta sicurezza in Albania non è stata fatta dalle strutture della polizia di Stato, neanche dai servizi segreti locali e/o dalle strutture del sistema “riformato” della giustizia. Tutto è stato scoperto dal personale della Guardia di Finanza, presente da molti anni in Albania, come previsto da accordi comuni bilaterali. Mentre il nuovo ministro degli Interni, nominato poche settimane fa, guarda caso ha “dimenticato” questo particolare e, di fronte ad un simile scandalo, ha dichiarato che tutto era dovuto alle forze della polizia di Stato albanese! Ma mentire ormai è normale, visto che lo fa sempre il primo ministro, mentre gli altri suoi subordinati lo imitano. Soprattutto quando bisogna affrontare situazioni difficili, come lo scandalo della coltivazione della cannabis nella base militare di alta sicurezza molto vicina alla capitale albanese. Nel frattempo anche il ministro della Difesa ha fatto una breve dichiarazione, affermando che tutto era dovuto alla “collaborazione tra la polizia di Stato e la polizia militare”! Proprio lui, che almeno moralmente, doveva presentare le sue dimissioni, come avrebbero fatto i suoi simili in qualsiasi Paese normale e democratico.

    Il secondo scandalo reso noto sempre sabato scorso, 5 agosto, ha a che fare con un intervento del tutto abusivo ed illecito nel sistema TIMS (Total Information Management System; Sistema di gestione delle informazioni generali; n.d.a.); un importante e sensibile sistema gestito da strutture specializzate della polizia di Stato. Da credibili fonti mediatiche si è saputo che un alto dirigente della polizia di Stato, nominato, guarda caso, solo pochissime settimane fa come direttore del dipartimento della tecnologia dell’informazione della stessa polizia, è responsabile di un simile atto. Chissà perché e chissà chi ha nominato in quella importante posizione istituzionale una simile persona, visto che proprio lui prima era stato accusato di aver rubato dati sensibili dal sistema fiscale albanese. Non solo, ma circa un anno fa è stato costretto a dare le dimissioni, dopo che molti dati personali e sensibili, gestiti dall’Agenzia nazionale della società d’informazione, dove lui lavorava, sono stati resi pubblici. Una persona perciò, specializzata in simili interventi. E chi lo aveva scelto e poi nominato, solo pochissime settimane fa, come direttore del dipartimento della tecnologia dell’informazione presso la Direzione generale della polizia di Stato ne sapeva molto e sapeva anche cosa si doveva fare. Si è saputo in seguito che il dirigente aveva ordinato ad alcuni suoi dipendenti di entrare nel sistema TIMS e di esportare tutti i dati del sistema in una potente memoria esterna. Un ordine quello suo che è stato contestato da alcuni suoi colleghi, ma non da tutti. Perciò il dirigente incriminato è riuscito ad impossessarsi dei dati del sistema TIMS. Ma mentre lo faceva è stato fermato da altri poliziotti. Per il momento non si sa per conto di chi aveva fatto un simile intervento criminale. Dalle stesse fonti mediatiche viene confermato che lo stesso giorno presso le redazioni di alcuni media, nonché presso la Direzione generale della polizia di Stato e dei servizi segreti è stata mandata una e-mail con la quale si avvertiva dell’accaduto. Ma i dirigenti della polizia hanno deciso di mantenere il massimo silenzio e hanno chiesto anche alle redazioni dei media, elencati nella mail come destinatari, di fare lo stesso. Ma per fortuna che alcuni giornalisti coraggiosi hanno reso noto tutto. Nel frattempo le cattive lingue vanno un po’ oltre e cercano di collegare la nomina del dirigente ladro con la nomina del nuovo ministro degli Interni, che sono state fatte quasi nello stesso tempo. Bisogna sottolineare però che il nuovo ministro degli Interni è una persona che è stata denunciata spesso per i suoi legami con alcuni capi della criminalità organizzata in Albania. Si sa però anche che nonostante simili e pesanti accuse il diretto interessato non ha contestato niente. La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato che il nuovo ministro degli Interni era “…il capo del gruppo parlamentare del partito/clan del primo ministro, una persona a lui “fedele”, per quanto un leccapiedi possa essere fedele”. In seguito l’autore di queste righe aggiungeva che quella nomina aveva fatto scalpore soprattutto “…perché lui, la persona scelta, fatti documentati e denunciati alla mano, è molto legato a certi gruppi della criminalità organizzata. Ebbene dal 13 luglio lui è diventato il nuovo ministro degli Interni!”. (Continua ad ingannare per coprire una grave e scandalosa realtà; 31 luglio 2023).

    La scorsa settimana il nostro lettore veniva informato della pubblicazione del rapporto annuale del Dipartimento di Stato statunitense per l’anno 2022. In quel rapporto c’era anche il capitolo sull’Albania. L’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che “… quanto si legge in quel capitolo del rapporto è diverso da ciò che cercano di far credere e di convincere il primo ministro albanese e la sua propaganda governativa”.  E poi evidenziava che “… diversamente da tutti i precedenti rapporti, quest’ultimo, reso pubblicamente noto la scorsa settimana, considera la corruzione in Albania come “sistemica” e non più come “endemica”, termine che è stato usato nei precedenti rapporti”. Nel sopracitato rapporto veniva sottolineato che “Gli investitori (stranieri; n.d.a.) rapportano frequentemente dei casi di corruzione a livello governativo che tardano o impediscono gli investimenti in Albania” (Continua ad ingannare per coprire una grave e scandalosa realtà; 31 luglio 2023).

    Circa un mese fa, il 12 luglio, il Parlamento europeo approvava il rapporto sull’Albania per il 2022. Tra le tante constatazioni riguardo il problematico percorso europeo dell’Albania come Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, si potrebbero evidenziare alcune affermazioni. Nel comma 6 del rapporto si chiede al governo albanese di “…intensificare i suoi sforzi per migliorare il funzionamento dello Stato di diritto e del sistema giudiziario, combattere la corruzione e la criminalità organizzata, garantire la libertà dei media, responsabilizzare la società civile…”. Solo in questo paragrafo sono stati sintetizzate molte delle gravi problematiche in Albania. Problematiche che il primo ministro e la sua potente e ben organizzata propaganda governativa hanno sempre cercato di camuffare con bugie ed inganni. E che spesso ha avuto anche il beneplacito ed il supporto di alcuni alti rappresentanti della Commissione europea. Le cattive lingue dicono che sono stati usati anche ingenti somme di denaro per riuscirci. Una realtà questa, della quale il nostro lettore è stato spesso informato in questi ultimi anni. Ma sono tante, molto serie e spesso gravi e di dominio pubblico le problematiche con le quali ci si affronta quotidianamente in Albania che, guarda caso, neanche il rapporto per il 2022 sull’Albania della Commissione europea, reso noto la scorsa settimana, non poteva non evidenziare. Come mai prima in questi ultimi anni, dal 2014 in poi, quando i rapporti della Commissione europea sull’Albania erano tutti sempre “rose e fiori”. Rapporti dei quali si vantava il primo ministro e che la sua propaganda governativa li usava per coprire la preoccupante e pericolosa realtà albanese, vissuta e sofferta quotidianamente. Nel rapporto, anche se con un linguaggio “diplomaticamente corretto”, si afferma che “…Le misure contro la corruzione continuano ad avere, in generale un limitato impatto”. E poi si elencano anche i settori colpiti dalla corruzione.

    Chi scrive queste righe tratterà questo argomento anche nel prossimo futuro. Egli però è convinto, sempre fatti accaduti, documentati, denunciati alla mano e mai smentiti dal diretto interessato, che il primo ministro albanese è un autocrate irresponsabile, corrotto, bugiardo e delirante. Ma è anche un vigliacco. Esopo però ci insegna che un tiranno troverà sempre un pretesto per la sua tirannia.

  • Continua ad ingannare per coprire una grave e scandalosa realtà

    I malvagi e gli imbroglioni andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti.

    Dalla seconda lettera di San Paolo a Timoteo (3/13)

    La scorsa settimana è stato reso pubblicamente noto il rapporto annuale del Dipartimento di Stato statunitense per l’anno 2022. E parte integrante di quel rapporto era anche il capitolo sull’Albania. Ebbene quanto si legge in quel capitolo del rapporto è diverso da ciò che cerca di far credere e di convincere il primo ministro albanese e la sua propaganda governativa. Ma anche da quanto cercava di far credere fino a poche settimane fa, prima di finire il suo mandato, l’ambasciatrice statunitense in Albania. E non poteva essere diversamente, perché lei, da quando è stata accreditata come tale purtroppo, fatti accaduti alla mano, è stata sempre una dichiarata sostenitrice del governo e soprattutto del primo ministro albanese. E così facendo ha continuamente violato quanto previsto dalla Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche. E soprattutto quanto prevede l’articolo 41, comma 1 della Convenzione in cui si stabilisce che: “Tutte le persone che godono di privilegi e immunità sono tenute, senza pregiudizio degli stessi, a rispettare le leggi e i regolamenti dello Stato accreditatario. Esse sono anche tenute a non immischiarsi negli affari interni di questo Stato”. Il nostro lettore è stato spesso informato di tutto ciò. Il contenuto però del capitolo sull’Albania del rapporto del Dipartimento di Stato, i cui dipendenti sono anche l’ormai ex ambasciatrice statunitense in Albania ed alcuni altri funzionari incaricati dei Balcani occidentali in questi ultimi anni, è ben diverso e molto critico. Chissà perché un simile sostegno al governo e soprattutto al primo ministro albanese da parte dell’ex ambasciatrice e di alcuni suoi colleghi?! Ebbene, diversamente da tutti i precedenti rapporti, quest’ultimo, reso pubblicamente noto la scorsa settimana, considera la corruzione in Albania come “sistemica” e non più come “endemica”, termine che è stato usato nei precedenti rapporti. In più si legge che “Gli investitori (stranieri; n.d.a.) rapportano frequentemente dei casi di corruzione a livello governativo che tardano o impediscono gli investimenti in Albania”. In più nel rapporto si legge che “Gli investitori stranieri considerano l’Albania come un Paese dove difficilmente si può lavorare. Loro citano la corruzione continua che comprende il settore pubblico, quello giudiziario, gli appalti pubblici, la concorrenza sleale e deformata, l’economia informale a vasta scala, il riciclaggio del denaro sporco, il continuo cambiamento della legislazione fiscale, nonché il problematico trattamento dei contratti in vigore, come le perpetue sfide per [continuare a] lavorare in Albania”. Un altro paragrafo molto critico è quello che riguarda il riciclaggio del denaro sporco. “In Albania c’è un vasto settore informale e delle attività per il riciclaggio del denaro. Il FATF (Financial Action Task Force on Money Laundering, nota anche come il Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI); n.d.a.) ha inserito l’Albania nel suo elenco grigio nel 2020 ed il Paese continua a rimanere in quell’elenco anche nel 2023 a causa delle incapacità strategiche ad affrontare delle problematiche legate al riciclaggio del denaro”. In più la comunità degli imprenditori constata e dichiara che “…il grande flusso degli introiti illeciti provenienti dal traffico delle droghe, dal contrabbando, dall’evasione fiscale e dalla corruzione deforma la concorrenza del mercato”. Nel rapporto si evidenzia che “Le accuse sulla corruzione sono correnti e gli investitori spesso rapportano che loro sono obiettivo di abusi da parte dell’amministrazione pubblica, dei media e di gruppi criminali”. Bisogna sottolineare che questo paragrafo è stato inserito per la prima volta quest’anno nel rapporto annuale sull’Albania del Dipartimento di Stato statunitense.

    Il nostro lettore è stato spesso informato, durante questi ultimi anni, anche delle preoccupazioni le quali si elencano nel sopracitato rapporto del Dipartimento di Stato. Così come è stato spesso informato delle problematiche molto preoccupanti, non solo par l’Albania, legate al riciclaggio del denaro. Si tratta di problematiche che sono state ben evidenziate anche dai rapporti annuali di MONEYVAL (nome comunemente riconosciuto al Committee of Experts on the Evaluation of Anti-Money Laundering Measures and the Financing of Terrorism – Comitato d’Esperti per la Valutazione delle Misure contro il Riciclaggio di Denaro e il Finanziamento del Terrorismo; è una struttura di monitoraggio del Consiglio d’Europa; n.d.a.) e del sopracitato FATF (Abusi e corruzione anche in tempi di pandemia, 4 maggio 2020; Realtà malavitose che preoccupano, 23 maggio 2022; Una perfida proposta in sostegno del riciclaggio dei milioni sporchi, 13 settembre 2022; Ciarlatani e corrotti di alto livello istituzionale, 19 dicembre 2022 ecc..). Bisogna evidenziare che il denaro sporco che da anni si ricicla in Albania proviene dalla ormai ben radicata e diffusa corruzione nel Paese, dall’abuso di potere dei politici corrotti, partendo dai più alti livelli istituzionali e/o di rappresentanza in Albania. Ma una grande quantità di denaro sporco, che si ricicla come se niente fosse in Albania proviene dalle attività della criminalità organizzata, sia in Albania che in altri Paesi, Italia compresa. Una simile grave, preoccupante e molto pericolosa realtà è stata evidenziata anche dalle due sopracitate e ben note organizzazioni specializzate internazionali, MONEYVAL e FATF. L’autore di queste righe informava il nostro lettore più di un anno fa che “…dal 2018 ad oggi, tutti i rapporti annuali di MONEYVAL sono molto critici con l’Albania per quanto riguarda il riciclaggio del denaro sporco”.  E poi aggiungeva che si trattava di una situazione, quella albanese, che “…invece di essere stata presa seriamente in considerazione dalle autorità, è stata ulteriormente peggiorata”. Ragion per cui “…l’Albania è stata addirittura declassata e messa nella cosiddetta “zona grigia”. Il che significava che l’Albania doveva rimanere “sorvegliata e sotto un allargato monitoraggio”. Secondo quanto previsto dalle normative che regolano il funzionamento di MONEYVAL, si stabilisce che “Gli Stati possono essere messi sotto sorveglianza allargata nel caso in cui si identificano delle serie incompatibilità con gli standard. […] L’Albania, anche secondo l’ultimo rapporto ufficiale del MONEYVAL per il 2021 e pubblicato nel marzo scorso, dopo le apposite verifiche fatte dal FATF, continua ad essere nella sopracitata ‘zona grigia!” (Realtà malavitose che preoccupano; 23 maggio 2022).

    In Albania il mese di luglio, oltre alle giornate caldissime ed afose, come in tutti gli altri paesi circostanti del Mediterraneo, è stato “caldissimo” anche per gli sviluppi clamorosi legati allo scandalo milionario dei tre inceneritori. Uno scandalo, quello, sul quale il nostro lettore è stato informato durante queste ultime settimane e che continua ad attirare tutta l’attenzione politica, mediatica e dell’opinione pubblica, nonostante tutti gli sforzi diversi del primo ministro e della propaganda governativa per tergiversarla. Il nostro lettore veniva informato due settimane fa che “Quanto sta accadendo in questi ultimi giorni in Albania testimonierebbe alcuni fatti importanti e, allo stesso tempo, molto preoccupanti. Risulterebbe, documenti e denunce rese pubbliche alla mano, che il governo albanese stia funzionando come un gruppo criminale ben strutturato. In più risulterebbe che il primo ministro, per salvare se stesso da scandali milionari che lo vedono direttamente e/o indirettamente coinvolto, […], stia “sacrificando” uno dopo l’altro, molti dei suoi “amici” e “stretti collaboratori”. Risulterebbe altresì e purtroppo che lui, il primo ministro albanese […], per riuscire in tutto questo si serva delle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia che controlla personalmente, e/o chi per lui, con un pugno di ferro.” (Governo che funziona come un gruppo criminale ben strutturato; 17 luglio 2023). Mentre la settimana scorsa il nostro lettore è stato informato su clamorosi fatti accaduti e che stavano accadendo, legati allo scandalo degli inceneritori. Scandalo che sta dimostrando inconfutabilmente chi sono i veri ideatori, attuatori, proprietari e beneficiari dei tre inceneritori che dal 2015 stanno “bruciando” solo milioni di denaro pubblico. Riferendosi proprio allo scandalo dei tre inceneritori, l’aurtore di queste righe scriveva che si tratta di “…Uno scandalo tramite il quale coloro che lo hanno ideato e messo in atto hanno abusato dei soldi pubblici. Da una provvisoria valutazione finanziaria risulterebbero sperperati milioni in uno dei Paesi più poveri dell’Europa. Ma […] risulta che tutti e tre gli inceneritori non sono in funzione. Mentre per quello della capitale, nonostante non sia stato mai costruito, si pagano dei milioni, come se stesse bruciando i rifiuti. Invece sta “bruciando” tantissimi soldi pubblici ogni giorno”. In seguito l’autore di queste righe aggiungeva che “…Nel frattempo il primo ministro sta facendo di tutto per far sembrare e convincere tutti che lui è incolpevole. Cioè che lui, il puro, l’innocente “saggio e visionario”, l’incolpevole dirige purtroppo e a sua insaputa una banda di colpevoli che abusano del potere, della “ingenuità” e della fiducia che il primo ministro ha avuto per loro. Ma comunque sia, il primo ministro non deve più esercitare questo importante incarico istituzionale. O perché lui è cosi “ingenuo” che con la sua “ingenuità”, che è anche incapacità, non merita di fare il primo ministro. Oppure perché lui mente ed inganna e perciò non deve più fare il primo ministro. Le cattive lingue sono convinte che lui menta” (Inganna per non ammettere che è il maggior responsabile; 24 luglio 2023).

    E mentre tutta l’attenzione dell’opinione politica, mediatica e pubblica era attirata dallo scandalo degli inceneritori, altre cose gravi sono accadute ed altri scandali sono resi noti. Alla fine della prima settimana di luglio famigliari stretti di un deputato ed “amico” del primo ministro hanno assalito ed aggredito con spranghe delle persone che avevano denunciato spesso ed invano abusi con esplosioni da loro fatti in una cava vicino alle loro abitazioni. Si tratta di persone, riferendosi ai famigliari del deputato ed “amico’ del primo ministro, con una ben nota attività criminale, ma mai però condannati dal sistema “riformato” della giustizia. Chissà perché?! Dopo quella barbara aggressione attuata dai suoi famigliari, al deputato che non ha mai preso la parola nell’aula del parlamento è stato “consigliato” di consegnare il suo mandato. In seguito e siccome quanto era accaduto ha causato una forte indignazione e reazione pubblica, il primo ministro è stato costretto a destituire il ministro degli Interni. Ma quello che ha fatto subito scalpore è stata la scelta del successore del ministro destituito. Si trattava del capo del gruppo parlamentare del partito/clan del primo ministro, una persona a lui “fedele”, per quanto un leccapiedi possa essere fedele. Ma soprattutto ha fatto scalpore perché lui, la persona scelta, fatti documentati e denunciati alla mano, è molto legato a certi gruppi della criminalità organizzata. Ebbene dal 13 luglio lui è diventato il nuovo ministro degli Interni! In seguito, per dare credito all’appena nominato ministro, non poteva mancare una nuova messinscena ideata dal primo ministro e/o da chi per lui ed attuata dalle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. Il 26 luglio scorso sono state arrestate alcune persone legate alla criminalità organizzata. Due di loro parte delle strutture della Polizia di Stato. Un altro, anche lui legato alla criminalità organizzata, era stato dichiarato precedentemente dal primo ministro “imprenditore strategico”. Persone che però, durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso, hanno portato molti voti per il partito/clan del primo ministro. Bisogna sottolineare che l’arresto di quelle persone e di altre che sono riuscite a “fuggire in tempo” era stato chiesto più di un anno fa dalle strutture della giustizia della Francia, del Belgio e dell’Olanda e mai eseguito dalle strutture del sistema riformato della giustizia in Albania. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe è convinto che il primo ministro albanese continua ad ingannare per coprire una grave e scandalosa realtà della quale lui è il diretto responsabile. Nel frattempo i malvagi e gli imbroglioni [come lui] andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti.

  • Inganna per non ammettere che è il maggior responsabile

    Niente provoca più danno in uno Stato del fatto che i furbi passino per saggi.

    Francis Bacon

    Timoteo è stato uno dei fedeli compagni dell’apostolo San Paolo durante il suoi viaggi missionari nei territori dell’Asia Minore e della Grecia antica per evangelizzare le popolazioni locali. Questo ci confermano le Sacre Scritture. L’apostolo Paolo considerava Timoteo come il “suo vero figlio nella fede”. Nel Nuovo Testamento sono state inserite anche le due lettere scritte da San Paolo a Timoteo. Lettere che, riferendosi agli Atti degli Apostoli e a testimonianze di storici dell’epoca, risulterebbero essere state scritte nel periodo in cui San Paolo si trovava a Roma, mentre Timoteo era ad Efeso, dove divenne anche il primo vescovo. Lo afferma Eusebio, consigliere e biografo del’imperatore Costantino I, nella sua opera “Storia ecclesiastica”. Secondo Eusebio Timoteo, sarebbe morto lapidato per aver pubblicamente condannato il culto di Dionisio, il dio dei greci antichi che si identificava come il “dio dell’estasi, del vino, dell’ebbrezza e della liberazione dei sensi”.

    Nella sua prima lettera l’apostolo Paolo consiglia al suo discepolo cosa si doveva fare per la nuova Chiesa che lui e i suoi compagni, Timoteo compreso, stavano costituendo. Mentre nella seconda lettera, San Paolo consigliava a Timoteo di essere molto attento alle preoccupanti situazioni che potevano essere causare dai corrotti e dagli imbroglioni, i quali andavano affrontati con coraggio e anche con abnegazione. In quella lettera, tra l’altro, l’apostolo consigliava al suo giovane amico di diventare testimone e di trasmettere le verità da lui vissute e sofferte. L’apostolo Paolo scriveva a Timoteo: “Le cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri.” (Seconda lettera di San Paolo a Timoteo; 2/2). Nel terzo capitolo della seconda lettera inviata a Timoteo, San Paolo si riferiva anche alla corruzione e ad altre serie e gravi realtà verificatesi in quel periodo in diverse parte dei territori, le cui popolazioni loro stavano cercando di evangelizzare. San Paolo iniziava quel capitolo scrivendo: “Or sappi questo: che negli ultimi giorni verranno tempi difficili, perché gli uomini saranno amanti di se stessi, avidi di denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, disubbidienti ai genitori, ingrati, scellerati, senza affetto, implacabili, calunniatori, intemperanti, crudeli, senza amore per il bene, traditori, temerari, orgogliosi, amanti dei piaceri invece che amanti di Dio, aventi l’apparenza della pietà, ma avendone rinnegato la potenza; da costoro allontanati” (Idem; 3/1-5). Poi, in seguito, l’apostolo avvertiva e anche consigliava Timoteo: “…i malvagi e gli impostori andranno sempre di male in peggio, ingannatori e ingannati nello stesso tempo. Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto, sapendo da chi l’hai appreso” (Idem; 3/13-14).

    San Paolo scriveva quelle due lettere piene di constatazioni, di utili consigli e di avvertimenti a Timoteo circa venti secoli fa. Ma il contenuto di quelle lettere è attuale ed assume un valore molto importante anche nel periodo in cui viviamo. Quanto sta accadendo in Albania in questi ultimi anni lo conferma. Basterebbe rileggere i versetti sopracitati della seconda lettera per accorgersi. La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato degli ultimi sviluppi di uno dei più abusivi e clamorosi scandali tuttora in corso in Albania. Si tratta di quello che, da alcuni anni, è noto come lo scandalo dei tre inceneritori. Uno scandalo tramite il quale coloro che lo hanno ideato e messo in atto hanno abusato dei soldi pubblici. Da una provvisoria valutazione finanziaria risulterebbero sperperati milioni in uno dei Paesi più poveri dell’Europa. Ma, dati e fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, risulta che tutti e tre gli inceneritori non sono in funzione. Mentre per quello della capitale, nonostante non sia stato mai costruito, si pagano dei milioni, come se stesse bruciando i rifiuti. Invece sta “bruciando” tantissimi soldi pubblici ogni giorno. L’autore di queste righe scriveva lunedì scorso che “…Per tutta la scorsa settimana, l’attenzione dell’opinione pubblica in Albania è stata attirata dalla richiesta d’arresto di uno dei più stretti collaboratori del primo ministro, Si tratta del suo vice che è stato anche ministro delle finanze e di altri ministeri importanti, dove si gestiva il denaro pubblico, nonché deputato”. E poi alla fine dell’articolo affermava che egli era “convinto che il sistema ‘riformato’ della giustizia risulta essere agli ordini del primo ministro. E non vale a niente la richiesta per l’arresto dell’ex-vice primo ministro […] se non viene ancora indagato lui, il primo ministro albanese.” (Governo che funziona come un gruppo criminale ben strutturato; 17 luglio 2023).

    Lunedì scorso, 14 luglio, il parlamento ha approvato la richiesta firmata dal dirigente della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, una nuova istituzione del sistema “riformato” della giustizia. Richiesta che era arrivata il 7 luglio scorso a destinazione ma che è stata resa nota dal parlamento con tre giorni di ritardo, il 10 luglio scorso. Giorni molto utili per il vice primo ministro sotto accusa per lasciare indisturbato il territorio albanese. Una notizia quella confermata in seguito dal suo avvocato.

    L’ex vice primo ministro è stato accusato di abuso d’ufficio, di corruzione passiva, di illegittimo vantaggio di interessi e di riciclaggio di denaro. Accuse che secondo il materiale della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata sono tutte basate. Ma, guarda caso, lui, l’ex vice primo ministro, che è stato anche ministro delle finanze e di altri ministeri importanti, dove si gestiva il denaro pubblico, fatti accaduti, documentati, testimoniati, resi pubblici e denunciati ufficialmente alla mano, non risulta essere accusato della violazione delle leggi in vigore che regolano le procedure seguite nel caso dei tre inceneritori e gli obblighi istituzionali del ministro. Violazioni delle procedure che porterebbero poi direttamente al primo ministro. Come mai e chissà perché?! Nel materiale che la Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata ha consegnato al parlamento non risulta un clamoroso fatto accaduto, documentato e ormai noto al pubblico. Un fatto che riguarda la “straordinaria prontezza delle istituzioni”. Era il 16 dicembre 2014. Si stava preparando tutto per dare il nullaosta alla firma del contratto tra il governo albanese ed una società che doveva costruire ed operare il primo dei tre inceneritori. Ebbene, si è trattato di una procedura “estremamente veloce”. Si, perché nello stesso giorno sono state avviate presso 17 ministeri ed istituzioni governative le richieste previste dalla legge, per avere in seguito le opinioni ufficiali da parte degli stessi ministeri ed istituzioni governative. Normalmente la risposta arriva entro alcune settimane. Grazie a quella procedura “estremamente veloce” però tutte le 17 risposte ufficiali sono arrivate lo stesso giorno, il 16 dicembre 2017, all’ufficio del segretario generale del Consiglio dei ministri, l’eminenza grigia del primo ministro. In quel 16 dicembre 2014 è stata svolta la gara d’appalto con una sola società interessata. Mentre il periodo delle probabili contestazioni, previsto dalla legge, è stato ridotto da sette giorni a un solo, il 16 dicembre 2014. Tutto in violazione della legge! Lo stesso giorno è stata preparata la bozza del contratto. Bozza che poi, lo stesso giorno e dopo aver avuto le sopracitate 17 risposte, è stata presentata come il testo del contratto vero e proprio. Testo che è stato poi presentato l’indomani, il 17 dicembre 2014 alla riunione del Consiglio dei ministri che lo ha approvato! Tutto firmato, prima della riunione dal segretario generale del Consiglio dei ministro e, dopo la riunione dello stesso Consiglio, dal primo ministro, lo stesso allora come oggi. Questo caso dovrebbe, con ogni probabilità, essere un caso unico in tutto il mondo per la procedura “estremamente veloce” svolta in un solo giorno. Il primo ministro ha, nel gennaio 2015, riunito il Consiglio nazionale del territorio per approvare la licenza per la costruzione dell’inceneritore. Anche quella licenza porta la sua firma. In seguito si è saputo e reso anche pubblico, che la società vincitrice però risultava priva delle capacità finanziarie necessarie per la costruzione dello stesso inceneritore. E non solo. In seguito si è saputo e reso anche pubblico, che la società vincitrice non aveva neanché le capacità professionali e la dovuta esperienza, prevista e richiesta dalla legge, per svolgere l’attività approvata dalla riunione del 17 dicembre 2014 del Consiglio dei ministri. Ma nonostante tutto ciò la società ha avuto tutto. E non solo; gli stessi proprietari di quella società, in seguito, hanno “vinto” anche le licenze per costruire ed operare i due altri inceneritori! Chissà perché e chissà come?! Ma certamente lo sanno sia il segretario generale del Consiglio dei ministri, l’eminenza grigia del primo ministro, che il primo ministro stesso. Lo sanno anche coloro che si sono presentati come i “proprietari” degli inceneritori. E lo sa anche l’ex vice primo ministro ormai ricercato per essere arrestato. Ma lui, ormai in esilio e “scappato” alle istituzioni “specializzate” del sistema “riformato” delle giustizia, cercherà di ricattare e trattare. Perché lui sa e potrebbe creare grandi preoccupazioni e problemi per i veri ideatori e beneficiari degli inceneritori non funzionanti e addirittura non esistenti in Albania. Come quello della capitale che è stato un vanto del primo ministro e del sindaco. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito di questo e di altri “particolari” che riguardano lo scandalo milionario dei tre inceneritori

    Durante queste ultime settimane, dagli “analisti ed opinionisti a pagamento” si sta cercando di far credere che gli ideatori e i proprietari dei tre inceneritori sono i loro proprietari. Tutto ciò solo per spostare l’attenzione da coloro che, fatti accaduti e che tuttora stanno accadendo, fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, sono i veri responsabili dello scandalo. Cioè di nascondere chi sono i veri ideatori ed i diretti approfittatori dello scandalo degli inceneritori. Ma le cattive lingue da tempo stanno parlando ed additando come tali il primo ministro, il segretario generale del Consiglio dei ministri, il sindaco della capitale, alcuni ministri ed ex ministri, ma non solo.

    Nel frattempo il primo ministro sta facendo di tutto per far sembrare e convincere tutti che lui è incolpevole. Cioè che lui, il puro, l’innocente “saggio e visionario”, l’incolpevole dirige purtroppo e a sua insaputa una banda di colpevoli che abusano del potere, della “ingenuità” e della fiducia che il primo ministro ha avuto per loro. Ma comunque sia, il primo ministro non deve più esercitare questo importante incarico istituzionale. O perché lui è cosi “ingenuo” che con la sua “ingenuità”, che è anche incapacità, non merita di fare il primo ministro. Oppure perché lui mente ed inganna e perciò non deve più fare il primo ministro. Le cattive lingue sono convinte che lui mente.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno di molto più spazio per evidenziare altri clamorosi fatti riguardanti lo scandalo degli inceneritori, ma seguirà questo scandalo, tuttora in corso, per poi informare con la dovuta oggettività il nostro lettore. Egli pensa che quanto scriveva San Paolo a Timoteo nella sua seconda lettera si adatta benissimo alla grave e preoccupante realtà albanese. Basterebbe rileggere i versetti sopracitati della seconda lettera per accorgersi. Chi scrive queste righe è però convinto che il primo ministro albanese sia colpevole, sia il diretto responsabile per il clamoroso scandalo degli inceneritori. Ma lui inganna per non ammettere che è proprio il maggior responsabile. Così come per tutti gli altri abusi che stanno continuamente sperperando il denaro pubblico in Albania, uno dei Paesi più poveri dell’Europa. Chi scrive queste righe è altresì convinto che nessuno, proprio nessuno dei suoi ministri e degli alti funzionari coinvolti nello scandalo degli inceneritori, fatti documentati di tutto quello che è accaduto alla mano, poteva fare niente senza che il primo ministro lo sapesse, desse la sua approvazione e/o lo chiedesse. Lui adesso non può fare il furbo, presentandosi come un innocente visionario, come un “saggio”. Aveva ragione Francis Bacon, niente provoca più danno in uno Stato del fatto che i furbi passino per saggi.

  • Governo che funziona come un gruppo criminale ben strutturato

    I criminali non muoiono per mano della legge. Muoiono per mano di altri uomini.

    George Bernard Shaw, Uomo e superuomo, 1903

    Nella mitologia della Grecia antica Crono era uno dei figli di Urano, il dio che rappresentava il Cielo, e di Gea, la dea che rappresentava la madre Terra. Urano metteva incinta Gea con la pioggia e così sono nate altre divinità della terra, del cielo e dell’acqua. Crono era il più giovane dei sei Titani, partoriti da Gea. Da Urano e Gea erano nati anche i sei Titanidi, tra i quagli Rea, nonché i tre Ciclopi, degli esseri giganteschi con un solo occhio sulla fronte, e i tre Ecatonchiri; questi ultimi avevano cento braccia ed erano dotati di una straordinaria forza fisica. Urano però, nonostante fosse un dio, temeva di essere spodestato dai propri figli, perciò, secondo la mitologia, teneva loro chiusi e sotto il suo controllo. Gea, da premurosa madre, non poteva sopportare che i suoi figli venissero trattati in quel modo da Urano, perciò decise di metter in atto un piano per liberare i propri figli. Procurò una falce e chiese a loro di aggredire Urano. Ma nessuno ebbe il coraggio di farlo, tranne Crono, il sesto dei Titani. La mitologia greca ci tramanda, tra l’altro, anche il simbolismo dello scontro tra le generazioni che ha accompagnato sempre l’umanità. Gea inganna Urano facendogli credere di voler accoppiarsi con lui. Urano, desideroso di far l’amore con la moglie, non ci pensa due volte. Nel frattempo però Crono esce da dove era nascosto, in accordo con la madre, colpisce e recide i genitali del padre con la falce che gli aveva dato Gea. Questo impariamo dalla mitologia, grazie anche al poema Theogonía (in greco significa la genealogia degli dei; n.d.a.), scritto da Esiodo, un poeta dell’antica Grecia, vissuto circa ventotto secoli fa.

    Crono, a sua volta, era sposato con Rea, una dei sei Titanidi. A Crono era stata resa nota però una profezia secondo la quale uno dei suoi figli gli avrebbe tolto il potere e lo avrebbe messo da parte. Ma non gli era stato detto chi sarebbe stato. Così come suo padre Urano, infatti, anche Crono voleva uccidere i suoi figli per non essere spodestato. Perciò Crono, deciso a mantenere per sempre il suo potere, divorava tutti i figli appena nati. Sua moglie, Rea, da madre non poteva permettere che tutti i suoi figli venissero divorati dal padre appena nati. Perciò dopo aver partorito il suo sesto figlio, invece di portare l’appena nato a Crono, diede a lui una pietra avvolta con delle fasce per farla sembrare come un appena nato. Crono non se ne accorse e divorò anche la pietra dura, convito di aver ucciso suo figlio, il quale poteva essere colui che gli avrebbe tolto il potere. Così Rea riuscì a salvare l’ultimo dei suoi figli, che era Zeus. Dalla mitologia della Grecia antica, soprattutto dal poema Theogonía scritto da Esiodo, impariamo che Rea tenne nascosto suo figlio salvato nell’isola di Creta, dove lui veniva accudito e nutrito da una ninfa chiamata Adrastea con il latte di una capra prescelta, Amaltea. Una volta cresciuto e diventato adulto, Zeus andò ed incontrò suo padre, Crono, il quale era convinto di aver divorato tutti i suoi figli. Affrontando il padre, Zeus gli chiese di portare di nuovo in vita tutti i figli. Il poeta Esiodo racconta che Crono, impaurito e costretto dalla determinazione di Zeus, cominciò a rigurgitare tutti gli altri figli che aveva divorato. E guarda caso, per primo, ha fatto uscire dalla sua gola la pietra dura che Rea gli aveva portato avvolta con delle fasce al posto di Zeus. Dopo aver riportato in vita tutti i suoi figli, a Crono sono stati tolti da Zeus tutti i suoi poteri. La divinità di Crono era stata trasferita dai greci anche tra i latini, per i quali era proprio Saturno che veniva identificato come Crono. I romani erano convinti che Crono, scacciato dall’Olimpo, si era trasferito nel Lazio. Lì, conosciuto proprio come Saturno, aveva regnato durante un periodo di pace e di sviluppo. In suo onore si celebravano nel mese di dicembre delle festività note come i Saturnalia. Durante il primo giorni delle festività dedicate a dio Saturno, gli schiavi di Roma godevano di una piena libertà e, addirittura, potevano mangiare nello stesso tavolo dei loro padroni, godendo dei loro servizi. Ma i romani pensavano che un giorno Saturno sarebbe andato via, lasciandoli soli e, così facendo, avrebbe dato inizio a delle conseguenze preoccupanti per tutti. Da Crono, il dio della mitologia greca, noto come Saturno per i romani, è stato ispirato anche il noto pittore spagnolo dell’Ottocento, Francisco Goya. Il suo celeberrimo dipinto intitolato “Saturno divora i suoi figli” presenta proprio Saturno, cioè Crono, che divora uno dei suoi figli appena nato.

    Il simbolismo dei figli divorati dal padre ha accompagnato sempre il genere umano. E non solo sotto forma di quella che viene riconosciuta come la “sindrome di Crono”, e cioè di uno stato in cui il padre “uccide” non necessariamente fisicamente il proprio figlio. Si tratta, ovviamente, di un simbolismo, che si riferisce, metaforicamente, al sacrificio delle persone care per tutelare se stessi. Si tratta spesso di un simbolismo che comprende anche l’abbandono consapevole degli amici e dei collaboratori, per non essere incaricati delle stesse colpe a loro riconosciute. Un simbolismo, quello del “divoramento dei figli”, che, come la storia ci insegna, è legato anche al carattere del singolo individuo e si verifica in tutto il mondo. Le cronache legate alla criminalità organizzata, soprattutto quando si tratta di mettere in salvo i vertici delle organizzazioni criminali, ci testimoniano che, non di rado, si possono “sacrificare” gli altri.

    Quanto sta accadendo in questi ultimi giorni in Albania testimonierebbe alcuni fatti importanti e, allo stesso tempo, molto preoccupanti. Risulterebbe, documenti e denunce rese pubbliche alla mano, che il governo albanese sta funzionando come un gruppo criminale ben strutturato. In più risulterebbe che il primo ministro, per salvare se stesso da scandali milionari che lo vedono direttamente e/o indirettamente coinvolto, sempre documenti e denunce rese pubbliche alla mano, sta “sacrificando” uno dopo l’altro, molti dei suoi “amici” e “stretti collaboratori”. Risulterebbe altresì e purtroppo, che lui, il primo ministro albanese, sempre documenti e denunce rese pubbliche alla mano, per riuscire in tutto questo si serve delle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia che controlla personalmente e/o da chi per lui, con un pugno di ferro. E la stessa persona, il primo ministro, controlla ovviamente il potere esecutivo e quello legislativo, avendo la maggioranza in parlamento. Montersquieu, nella sua ben nota opera voluminosa De l’esprit des lois (Dallo spirito delle leggi; n.d.a.) pubblicata nel 1748, tratta ampiamente e argomenta perché la separazione e l’indipendenza dei tre poteri, quello esecutivo, legislativo e giudiziario è un conditio sine qua non per la stessa esistenza di un sistema democratico. Ogni violazione del principio della separazione dei poteri indebolisce e, addirittura annienta la democrazia. Da alcuni anni purtroppo è proprio questo che sta accadendo in Albania. Il nostro lettore è stato informato spesso di una simile e molto pericolosa e preoccupante realtà, sempre con la necessaria oggettività e sempre dati e fatti accaduti, documentati e denunciati pubblicamente alla mano. Si tratta purtroppo si una realtà legata al continuo consolidamento in Albania di una nuova dittatura sui generis, come alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti internazionali. Una dittatura che cerca di coprire tutto con una parvenza, una facciata di pluripartitismo. Ma quanto è accaduto in Italia ed in Germania prima della Seconda guerra mondiale e anche quanto sta accadendo durante questi anni in Russia ed in altri Paesi del mondo testimonia che si tratta semplicemente di facciate che non impediscono ai dittatori di esercitare indisturbati il loro potere.

    Durante il periodo buio della dittatura comunista in Albania (1945 – 1991), una delle più spietate e sanguinose dell’Europa dell’est, il dittatore comunista ha eliminato, ha “divorato” molti dei suoi “compagni”. Lo aveva fatto anche prima, durante la Seconda guerra, subito dopo la costituzione del partito comunista albanese, nel novembre 1941. Ha continuato poi a farlo nei primi anni dopo la guerra. Ma il periodo in cui il “divoramento dei compagni” ha raggiunto i massimi livelli è stato quello dal 1975 al 1982. Il dittatore dichiarava e accusava dei gruppi di “nemici del partito e del popolo” e condannava per primo in pubblico i “nemici”. In seguito si muovevano tutte le apposite strutture della dittatura per “giudicare i nemici”, la maggior parte dei quali venivano in seguito condannati ed uccisi. Il dittatore comunista ha fatto tutto questo perché era ossessionato di perdere il suo potere. Come Crono della mitologia greca che divorava i propri figli. Lo stesso sta facendo adesso il primo ministro albanese che, tra l’altro, è un diretto discendente di una famiglia della nomenklatura comunista. E fatti accaduti alla mano, lui, il primo ministro, sta mettendo in atto i metodi della dittatura, seguendo le orme del suo “padre spirituale”, il dittatore comunista.

    Per tutta la scorsa settimana, l’attenzione dell’opinione pubblica in Albania è stata attirata dalla richiesta d’arresto di uno dei più stretti collaboratori del primo ministro, Si tratta del suo vice che è stato anche ministro delle finanze e di altri ministeri importanti, dove si gestiva il denaro pubblico, nonché deputato  L’ordine è stato firmato dal dirigente della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, una nuova istituzione del sistema “riformato” della giustizia il 7 luglio scorso, Ordine che è stato reso noto dal parlamento con tre giorni di ritardo, il 10 luglio scorso. Giorni molto utili per il diretto interessato che, come è stato confermato in seguito dal suo avvocato, non si trovava più in Albania! L’ex vice primo ministro veniva accusato di corruzione in quello che ormai è noto come lo scandalo degli inceneritori. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito di questo scandalo milionario (Misere bugie ed ingannevoli messinscene che accusano, 4 aprile 2022; A ciascuno secondo le proprie responsabilità, 26 aprile 2022; Diaboliche alleanze tra simili corrotti, 9 maggio 2022; Corruzione scandalosa e clamoroso abuso di potere, 19 luglio 2022; Un regime totalitario corrotto e malavitoso, 13 agosto 2022; Irresponsabile abuso di potere e scandali molto altolocati, 21 novembre 2022 ecc…). Uno scandalo, quello degli inceneritori, che ha sperperato milioni del denaro pubblico e continua a farlo, nonostante nessuno dei tre inceneritori sia in funzione. Anzi, due di loro figurano solo nei contratti abusivi, illegali e milionari che hanno la firma del primo ministro, perché non esistono fisicamente come tali. Soprattutto quello della capitale.

    L’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore quasi un anno fa: “Un clamoroso scandalo quello dei tre inceneritori che rappresenta un’inconfutabile dimostrazione e testimonianza della galoppante, radicale e gerarchicamente diffusa corruzione in Albania. Ma, allo stesso tempo, rappresenta anche una significativa dimostrazione e testimonianza del controllo, da parte del primo ministro e/o da chi per lui, del sistema “riformato” della giustizia e delle sue “efficienti istituzioni”. Si tratta di uno scandalo nel quale, […] risulterebbero essere coinvolti lo stesso primo ministro, alcuni attuali ministri ed ex ministri, il segretario generale del Consiglio dei ministri, il sindaco della capitale ed altri alti funzionari delle istituzioni governative e delle amministrazioni locali” (Irresponsabile abuso di potere e scandali molto altolocati, 21 novembre 2022).

    Chi scrive queste righe seguirà ed informerà il nostro lettore di questo scandalo tuttora in corso. Ma in base a quanto è stato reso pubblico, egli è convinto che il governo albanese sta funzionando come un gruppo criminale ben strutturato. Egli è altresì convinto che il sistema “riformato” della giustizia risulta essere agli ordini del primo ministro. E non vale a niente la richiesta per l’arresto dell’ex-vice primo ministro, un altro “figlio divorato dal padre”, se non viene ancora indagato lui, il primo ministro albanese. Chi scrive queste righe, parafrasando George Bernard Shaw, auspica che possa venire anche per l’Albania il tempo in cui i criminali possano morire per mano della legge e non per mano di altri uomini. E che il primo ministro non possa più “divorare” i suoi più stretti collaboratori, solo per salvare se stesso e mantenere più a lungo il suo smisurato potere.

  • La messinscena con un ‘sostegno’ avuto in un periodo difficile

    Nel teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano male nella vita.

    Eduardo De Filippo

    La saggezza secolare ci insegna che nei momenti di difficoltà si sente anche il bisogno del sostegno degli amici. Ed è proprio nei momenti di difficoltà che si distinguono i veri amici. Una saggezza che ci viene trasmessa anche dalle favole, che sono una fonte di insegnamento non solo per i bambini. Tra le tante favole sulla vera amicizia c’è anche quella di una scoiattolina ed una volpe. Era inverno ed una mattina la scoiattolina si svegliò presto perché doveva andare al mercato. Ma siccome il tempo non era buono, pensò che non era il caso di andare da sola. Perciò andò dalla sua amica, la volpe, che ancora stava dormendo, avvolta da calde coperte. Dopo averla svegliata, la scoiattolina le chiese di accompagnarla al mercato. Ma visto che quella giornata d’inverno non prometteva niente di buono, la volpe non voleva uscire di casa e cercò di dissuadere anche la sua amica di non andare al mercato quel giorno. La scoiattolina però si sentì offesa ed abbandonata dalla sua amica e decise di andare da sola al mercato, nonostante il tempo minaccioso. Così partì ed entrò nel bosco. Il vento soffiava forte e poco dopo cominciò a nevicare. Trovatasi in difficoltà la scoiattolina riuscì a mettersi sotto un grande ramo caduto dall’albero ed accese un piccolo fuoco per scaldarsi. E solo allora si pentì di non aver ascoltato quanto le aveva detto la volpe. Sperava, però, che qualcuno potesse arrivare ad aiutarla. Nel frattempo la volpe, avendo visto il tempo che stava diventando sempre più minaccioso, chiamò altri amici ed andarono nel bosco, dove doveva essere entrata la scoiattolina per andare al mercato. Perché si sa che i veri amici si riconoscono nel momento del bisogno. Entrati nel bosco, nonostante il vento forte e la neve, la volpe riuscì ad intravedere il fuocherello acceso dalla scoiattolina per riscaldarsi. Tutti corsero subito in quella direzione e, per fortuna, trovarono la scoiatollina tremante sotto il grosso ramo caduto dall’albero. Si può immaginare la grande gioia che provarono tutti. Uscirono insieme dal bosco e si diressero verso le loro abitazioni calde e sicure. Appena arrivati, la scoiattolina invitò tutti ad assaggiare un dolce e si mise subito a cucinare una deliziosa torta per festeggiare la loro amicizia. Si perché, come ci insegna la favola, gli amici veri non solo si riconoscono nel momento del bisogno, ma sanno condividere i momenti di gioia insieme.

    La saggezza secolare ci insegna però che l’amicizia non è interesse. Mentre la storia, quella grande maestra, ci insegna che, purtroppo, sempre ci sono state e ci saranno delle persone che abusano consapevolmente della parola amicizia, usandola per camuffare ben altro. Ne era convinto il noto filosofo romano Seneca, circa duemila anni fa, quando affermava che “Chi è diventato amico per convenienza, per convenienza finirà di esserlo. Se nell’amicizia si ricerca un utile, per ottenerlo si andrà contro l’amicizia stessa”. E ne era convinto anche il noto filosofo e scienziato dell’antica Grecia, Aristotele, il quale ventitrè secoli fa pensava che “Si fa in fretta a decidere di essere amici, tuttavia l’amicizia è un frutto che matura lentamente”. Invece per il noto scienziato e filosofo Galileo Galilei un amico è colui che sta dalla tua parte quando hai torto, non quando hai ragione. Perchè quando hai ragione sono capaci tutti”. Perciò bisogna distinguere sempre i veri amici da quelli che cercano di apparire come tali. Da quelli che usano le parole amico ed amicizia con una tale facilità e sconsideratezza semplicemente per convenienza e per ingannare. Purtroppo ci sono tante, tantissime tali persone, che per leggerezza, per interesse e/o per imbroglio fanno questo, E tra queste persone c’è anche l’attuale primo ministro albanese. Lui, soprattutto quando parla e/o si riferisce ad alcuni dirigenti politici ed istituzionali di altri Paesi, ma anche a delle persone che hanno ed esercitano delle influenze di vario tipo, usa facilmente ed intenzionalmente la parola ‘amico”. Un sacerdote e storico britannico del Seicento, Thomas Fuller, affermava però che “Chi è amico di tutti non è amico di nessuno”. E si potrebbe aggiungere anche che non ha nessun vero amico. Parole che calzano a pennello al primo ministro albanese!

    Quanto è accaduto in Albania all’inizio della scorsa settimana ne è una dimostrazione di come un “amichevole sostegno”, avuto in un periodo molto difficile che sta attraversando il primo ministro, possa diventare come una messinscena dove si cerca di focalizzare tutto sulla sua persona, sui suoi “indiscussi meriti” e sulle sue “eccezionali e riconosciute capacità”. Quel’“amichvole sostegno” è stato offerto da un ex presidente statunitense, il quale è arrivato per una “visita privata” in Albania nel pomeriggio del 3 luglio scorso. Lui, l’ex presidente statunitense, era però accompagnato dalla sua famiglia, figlia e genero compresi. E parte di quello stretto “gruppo famigliare” era anche il figlio di George Soros, noto multimiliardario e speculatore di borsa statunitense, E guarda caso, padre e figlio sono dei “cari amici” del primo ministro albanese. Nel frattempo le cattive lingue, che ne sanno tutto su tutti, hanno subito detto che la visita ed il discorso dell’ex presidente statunitense sono stati profumatamente ricompensati finanziariamente dalla “dinastia Soros”, Si sa anche che George Soros ha sempre sponsorizzato finanziariamente, ma non solo, sia l’ex presidente statunitense, sia sua moglie. Come si sa che il figlio di Soros è anche “amico” del genero dell’ex presidente statunitense e parte del gruppo che lo accompagnava. Chissà perché?!

    L’ex presidente statunitense che, per due giorni, è stato all’inizio della scorsa settimana in Albania per una “visita privata” è Bill Clinton, il 42o presidente degli Stati Uniti d’America, (1993 – 2001). Durante la sua presidenza, lui, insieme con il premier britannico Tony Blair sono stati tra i più noti sostenitori di quell’insieme di teorie e posizioni politiche note come Third Way (Terza via; n.d.a.).

    A proposito, l’ex-premier britannico Tony Blair, dall’autunno 2013, quando l’attuale primo ministro albanese ha iniziato il suo primo mandato ad oggi, è uno dei suoi consiglieri “senza pagamento”. Mentre sua moglie, titolare di un noto studio di avvocatura, da anni assiste il primo ministro albanese ed il suo governo con dei lauti ricompensi finanziari. E guarda caso, anche loro due, il primo ministro albanese e l’ex-premier britannico, si dichiarano “amici” tra di loro! Mentre durante la messinscena del 3 luglio scorso a Tirana, il primo ministro albanese ha detto: “L’Albania è uno dei pochi Paesi qui in torno dove un partito della “Terza via” continua a governare da anni”. Ma la vera e vissuta realtà in Albania testimonia che il primo ministro ed il suo partito/clan occulto non ha governato, bensì ha abusato del potere ed ha fatto della corruzione e dell’alleanza con la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti due pilastri importanti del suo regime.

    L’ex presidente statunitense, in “visita privata’ in Albania all’inizio della scorsa settimana, è stato colui che nel marzo 1999 ha deciso di iniziare gli attacchi aerei della NATO contro la Serbia per porre fine alle barbarie dei militari serbi in Kosovo. Questo fatto, mentre di nuovo da fine maggio scorso i rapporti tra la Serbia ed il Kosovo si sono aggravati, è stato formalmente il motivo di quella “visita privata”. Ma in realtà i veri motivi sono stati altri. Prima di tutto le gravi difficoltà con le quali si sta confrontando continuamente il primo ministro albanese. Difficoltà che hanno a che fare con gli innumerevoli scandali che lo coinvolgono direttamente e/o indirettamente. Ma anche molti altri scandali pubblicamente noti e denunciati, che coinvolgono i suoi ministri, i suoi sindaci e deputati, nonché suoi famigliari e stretti collaboratori. Per quanto lui, il primo ministro albanese, possa avere degli “stretti” collaboratori. Perché fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano anche in questi ultimi giorni dimostrano che il primo ministro, quando si trova in difficoltà, nega tutto e tutti, “amici” e “stretti collaboratori” compresi. Ma non sono solo gli scandali che hanno messo in difficoltà il primo ministro albanese. Anche il suo compromesso e spesso fallito tentativo di presentarsi come un “mediatore” a livello regionale, soprattutto nei Balcani occidentali, gli hanno causato molti problemi. Il nostro lettore è stato informato anche durante queste ultime settimane di tutto ciò. Come è stato informato anche delle problematiche riguardanti l’iniziativa Open Balkan della quale il primo ministro albanese, insieme con il presidente serbo ed il primo ministro della Macedonia del Nord, sono stati promotori ed ardenti sostenitori. Ma adesso il primo ministro albanese ha cambiato completamente opinione e considera come chiusa l’iniziativa. Mentre i due altri suoi “amici” balcanici continuano a sostenere fortemente l’iniziativa Open Balkan. Anche la scorsa settimana, mettendo in difficoltà il primo ministro albanese. Un altro grattacapo che sembra stia fortemente preoccupando lui è legato alle indagini svolte da due procure, a New York e a Washington D.C. e da due separate commissioni parlamentari, una della Camera e l’altra del Senato statunitense a carico di un ex alto funzionario del FBI (Federal Bureau of Investigation, Ufficio Federale di Investigazione; n.d.a.). Dalle indagini risulterebbe che il primo ministro, il quale ha incontrato diverse volte ed in “privato” la persona indagata, che nel settembre scorso considerava “un suo amico”, potrebbe essere coinvolto nel processo giudiziario che comincerà tra poco negli Stati Uniti d’America. Anche di tutti questi fatti il nostro lettore è stato informato durante gli ultimi mesi (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze, 30 gennaio 2023; Un regime corrotto e che corrompe, 13 febbraio 2023; Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe, 20 febbraio 2023; Un autocrate corrotto e che corrompe, ormai in preda al panico, 27 febbraio 2023 ecc.). Nel frattempo le cattive lingue dicono che il primo ministro sta soffrendo molto e non solo per la faccenda legata all’ex alto funzionario del FBI.

    Ragion per cui la visita di un ex presidente statunitense, in questo periodo, poteva essere usata e così è stato, per spostare l’attenzione e per fare in modo che il primo ministro si presentasse diversamente, “amico” dei “grandi del mondo”. La propaganda governativa ed il primo ministro, con il suo diretto impegno hanno fatto di tutto perché ciò accadesse e che lui diventasse per due giorni, periodo che è durata la “visita privata”, un personaggio importante a livello internazionale. Anche in questo caso è stata organizzata ad artem una messinscena basata su un “sostegno” pubblico, durante una visita privata, il 3 ed il 4 luglio scorso, di un ex presidente statunitense. E così facendo, essendo il 4 luglio non solo la festa nazionale degli Stati Uniti, ma anche il giorno del compleanno del primo ministro albanese, lui ha fatto un “particolare” regalo a se stesso. Le cattive lingue però sono convinte che niente poteva essere successo senza lo zampino della “dinastia Soros” che ultimamente è passata nelle mani del figlio del multimiliardario e speculatore di borsa. Figlio che è anche un “caro amico” del primo ministro e che considera lui come “suo amico e fratello”. Il figlio di Soros ha pubblicato in rete una sua fotografia con il primo ministro albanese e Bill Clinton, durante i festeggiamenti privati, il 4 luglio scorso, per il compleanno del primo ministro. Sotto la fotografia aveva scritto: “Ieri con due dei più grandi leader del mondo” (Sic!).

    Durante il suo discorso nel pomeriggio del 3 luglio scorso, l’ex presidente statunitense disse che “noi siamo impegnati per la libertà, la forza, l’integrità ed il futuro dell’Albania”. Ma lo sa lui che il suo “anfitrione” ha restaurato una nuova dittatura sui generis in Albania, come espressione di una pericolosissima alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti internazionali?! Quello della “dinastia Soros” compreso.

    Chi scrive queste righe è convinto che quanto è accaduto nel pomeriggio del 3 luglio scorso a Tirana, di fronte all’edificio del Consiglio dei ministri, era semplicemente una messinscena basata su un ‘sostegno’ avuto in un periodo difficile per il primo ministro albanese. Ma gli “attori” non hanno convinto, anzi. Aveva ragione Eduardo De Filippo quando affermava che “Nel teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano male nella vita”.

  • Ciarlatani disposti a tutto, anche a negare se stessi

    La messa in scena ha lo scopo di attirare, portando le argomentazioni

    il più lontano possibile dalle reali intenzioni del ciarlatano.

    Grete de Francesco, dal libro “Potere del ciarlatano”

    Nel 1937 Margarethe Weissenstein De Francesco, ossia Grete de Francesco, pubblicò il suo libro Potere del ciarlatano. Nata in una benestante famiglia austro-ungarica di origine ebraica, nella metà degli anni ’20 del secolo passato, era la prima donna che si laureò presso l’Università tedesca per la Politica, a Berlino, con una tesi intitolata “Il volto del fascismo italiano”. Oltre alla dedica agli studi sugli sviluppi sociali e politici dell’epoca, era anche un’attiva collaboratrice del noto giornale tedesco Frankfurter Zeitung. Per i suoi studi e le sue attività Grete de Francesco era ricercata però dai nazisti. Nonostante fosse rifugiata e nascosta nelle località montanare nel nord dell’Italia, i nazisti la catturarono e la deportarono in un campo di concentramento, dove anche morì all’inizio del 1945. Come lei stessa ha raccontato, proprio per caso, quando stava a Berlino, trovò e lesse un racconto di Thomas Mann intitolato Mario e il mago. Il contenuto ed i messaggi del racconto suscitarono in lei delle riflessioni, non solo sul carattere dei ciarlatani, ma anche sugli sviluppi sociali e politici di quel periodo, compresa la instaurazione dei regimi totalitari sia in Italia che in Germania. Perciò cominciò a raccogliere materiali diversi al riguardo che l’aiutarono a scrivere e pubblicare il suo libro Potere del ciarlatano. Come lei stessa scriveva, “Raccolsi e misi insieme del materiale, e rileggendo tutto il manoscritto ebbi un sussulto. Senza immaginarlo, né tantomeno volerlo, ne era venuta fuori una sorta di parabola […]. E improvvisamente i miei occhi hanno cominciato a vedere: qui avevo tra le mani quell’archetipo che già mi aveva scosso nel profondo con la realtà magica dell’immagine allegorica di Mario e il mago (il racconto di Thomas Mann; n.d.a.)”. Grete de Francesco ne era allora convinta e lo affermava senza mezzi termini, che “la cattura dell’attenzione è il principale imperativo di ogni propaganda”. Aggiungendo che “…. la messa in scena ha lo scopo di attirare, portando le argomentazioni il più lontano possibile dalle reali intenzioni del ciarlatano”. Lei era altresì convinta che “…. i ciarlatani non sono i predecessori dei criminali politici poichè non presentano caratteristiche tipicamente criminali nel loro carattere, tuttavia non vi è criminale politico che non usi metodi specificamente ciarlataneschi per raggiungere i suoi obiettivi”. Erano delle convinzioni dovute anche alla lettura del racconto Mario e il mago di Thomas Mann.

    Un racconto quello scritto dal noto scrittore tedesco nell’estate 1929 e poi pubblicato un anno dopo. Un racconto ispirato da cose accadute veramente all’autore e alla sua famiglia nel 1926, durante le loro vacanze a Forte dei Marmi, sulla costa tirrenica della Toscana. Prima si accusa il figlio dello scrittore di aver disturbato altri vacanzieri con la sua tosse. E poi la sua figlia di sette anni veniva multata per aver fatto il bagno in mare senza costume. Ma il caso ha voluto che, dopo quelle cose sgradevoli, la famiglia Mann assistesse ad una esibizione in piazza di un “mago” illusionista, chiamato mago Cipolla. Lui era in grado di soggiogare e condizionare i comportamenti degli spettatori. Così è accaduto anche a Mario, un cameriere di Portovenere. Il mago Cipolla è riuscito a fargli credere che lui era la ragazza amata da Mario. Allora Mario, convinto che aveva accanto a se la sua ragazza amata, baciò invece, davanti a tutti, il mago. Poi dopo, accortosi e vergognatosi molto di quanto era appena accaduto, Mario estrae una pistola, spara e uccide il mago Cipolla, Ma come ci racconta Thomas Mann, quanto è accaduto non è stato percepito e vissuto dai presenti come un tragico evento, bensì come una liberazione. Così finisce il racconto Mario e il mago.

    Nel periodo in cui Thomas Mann scrisse e pubblicò questo racconto, in Italia molte cose stavano accadendo. Il 28 ottobre 1922 avvenne la marcia su Roma. In seguito, dopo il rapimento, il 10 giungo 1924 e la successiva uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti, l’allora opposizione parlamentare si ritirò sull’Aventino. Soltanto il 3 gennaio 1925, Benito Mussolini, durante il suo discorso alla Camera, si assunse tutte le responsabilità sui fatti accaduti. Poi tra il 1925 ed il 1926 sono state approvate alcune leggi e sono stati emanati dei provvedimenti che colpivano seriamente la libertà. In Italia, quando Thomas Mann scrisse e pubblicò il suo racconto Mario e il mago si era già instaurato il regime fascista. Ragion per cui erano in tanti coloro che consideravano il racconto e soprattutto il mago Cipolla un personaggio simile a Mussolini, un manipolatore delle folle, capace di incantare e perciò di ingannare la gente. Riferendosi a Hitler, Thomas Mann, alcuni anni dopo la pubblicazione del suo racconto, scrisse: “Ho ancora un debole per questa storia. Al tempo in cui la scrissi, non credevo alla possibilità di un Cipolla tedesco. Era una sopravvalutazione patriottica del mio paese. Già il modo irritato con cui la critica accolse il racconto avrebbe dovuto farmi capire in che direzione si stava andando e cosa poteva accadere anche nel ‘più colto’ dei popoli, anzi proprio nel ‘più colto’”. Anche per la studiosa e scrittrice Grete de Francesco, il personaggio di mago Cipolla rappresentava sia il tipo del ciarlatano, l’immagine allegorica di Mussolini, sia un chiaro ed eloquente avvertimento di quello che stava per addacede in Italia ed in Germania. E cioè il controllo di tutto e di tutti da parte dei dittatori che ingannano e soggiogano una buona parte della popolazione con tutte le conseguenze derivanti.

    Fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, sono non pochi, però e purtroppo, i ciarlatani e gli ingannatori, i quali, allo stesso tempo, gestiscono da autocrati il potere in diversi Paesi del mondo. Compresa anche la regione dei Balcani. Ma, sempre fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, spesso simili autocrati e ciarlatani hanno avuto e tuttora hanno e godono dell’appoggio dei “grandi del mondo” e dei massimi rappresentanti di alcune delle istituzioni internazionali, l’Unione europea compresa. Le conseguenze gravi e drammatiche di simili “alleanze” si stanno verificando in Ucraina, nel nord del Kosovo, in Albania, in Serbia ed in altri Paesi in Africa, nonché in America centrale e quella Latina. Ma anche quanto è accaduto ormai in Afghanistan, in Libia, in Iraq, in Siria ecc., ne è una eloquente testimonianza. Le ragioni di simili “alleanze” sono sempre legate agli interessi geopolitici e geostrategici.

    Anche quanto sta accadendo da più di un mese nel nord del Kosovo ne è una palese e significativa dimostrazione. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò durante queste ultime settimane (Non c’è pace nei Balcani, 5 giugno 2023; Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze, 12 giugno 2023; La ragione del più forte e anche del più influente, 19 giungo 2023). Il Kosovo è un Paese dei Balcani che ha proclamato la sua indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008. Da allora il Kosovo è stato ufficialmente riconosciuto da 117 tra i 193 Paesi membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, compresi i più grandi e sviluppati Paesi del mondo.

    In Kosovo la maggior parte della popolazione, circa 90%, sono degli albanesi etnici, circa 5% sono dei serbi etnici, mentre gli altri sono di etnia turca, bosniaca, rom ecc.. Gli albanesi etnici del Kosovo, come quegli del Montenegro, della Macedonia del Nord e di altri Paesi circostanti, sono parte integrante della nazione albanese. La Costituzione della Repubblica dell’Albania, nel suo articolo 8 comma 1, sancisce che “La Repubblica dell’Albania difende i diritti nazionali del popolo albanese che vive oltre i suoi confini”. Un obbligo costituzionale, quello, che deve essere rispettato ed onorato da tutti. Ma guarda caso, dati accaduti, documentati, testimoniati e pubblicamente denunciati alla mano, proprio l’attuale primo ministro albanese in modo continuo e consapevole ha sempre ignorato quest’obbligo costituzionale, riferito ai diritti ed interessi degli albanesi etnici che vivono in Kosovo. Lui, da quasi dieci anni, non solo ha ignorato quanto sancisce l’articolo 8 della Costituzione, ma addirittura ha avuto, soprattutto in questi ultimi anni, dei pessimi rapporti istituzionali con le massime autorità statali e governative del Kosovo. Invece e nel frattempo, però, ha stretto delle alleanze con i massimi rappresentanti istituzionali della Serbia, soprattutto con il suo “caro amico”, il presidente serbo. Non sono state poche le occasioni in cui il primo ministro albanese, anche durante questo ultimo anno, ha fatto “l’avvocato difensore” della Serbia e del suo presidente. Chissà perché?! Di certo però, non per gli interessi della nazione albanese.

    Dopo l’aggravamento della situazione nel nord del Kosovo, a partire dal 26 maggio scorso, quasi tutte le iniziative di mediazione da parte dei massimi rappresentanti dell’Unione europea, soprattutto quelli della Commissione, nonché del segretario di Stato statunitense e del responsabile per i Balcani del Dipartimento di Stato, sono valse a poco, se non addirittura a niente. Anche di questo il nostro lettore è stato informato durante le scorse settimane. E guarda caso, mentre fallivano tutte le iniziative dei rappresentanti internazionali di negoziare tra le parti, l’8 giungo scorso il primo ministro albanese annuncia pubblicamente una sua iniziativa. Durante una conferenza stampa, lui, il primo ministro albanese, ha dichiarato che aveva mandato al presidente francese ed al cancelliere tedesco una proposta che riguardava uno dei punti che dividono la Serbia ed il Kosovo; la creazione delle Associazioni dei comuni a maggioranza di serbi etnici in Kosovo. Ebbene, il primo ministro albanese si è proposto personalmente di trovare una soluzione alla grave situazione tra la Serbia ed il Kosovo. E questo non è il primo caso in cui lui cerca di attirare l’attenzione e di farsi notare e, se possibile, anche di avere un po’ di attenzione a livello internazionale. Da buon ciarlatano ed ingannatore qual è, questo ruolo lui lo recita bene. Una recita che gli serve soprattutto in patria, dove gli scandali si susseguono l’un l’altro con dei ritmi preoccupanti. Scandali che coinvolgono direttamente e/o indirettamente anche il primo ministro albanese. Ma per fortuna ormai, diversamente da altri ciarlatani, riesce sempre meno a convincere. A lui ormai mancano le qualità di soggiogare e di manipolare la gente. Qualità che aveva il mago Cipolla, il personaggio del racconto Mario e il mago di Thomas Mann. Qualità e caratteristiche descritte molto bene anche da Grete de Francesco nel suo libro Potere del ciarlatano. Tornando alla sua proposta alla quale ha fatto riferimento il primo ministro albanese l’8 giugno scorso e mandata al presidente francese ed al cancelliere tedesco, ha dichiarato che si tratta di una bozza sulla creazione delle Associazioni dei comuni a maggioranza di serbi etnici in Kosovo elaborata da “esperti statunitensi ed europei di massimo livello”. Ha specificato anche che si trattava di un “documento confidenziale che non pretende di essere una soluzione ideale”, ma che “…è un documento di massimo livello internazionale che prende in considerazione tutte le ragioni per la creazione delle Associazioni”. Questo ha dichiarato il primo ministro albanese l’8 giugno scorso. Ma non ha voluto dare nessuna, proprio nessuna informazione e/o indicazione sugli autori di questo “documento confidenziale”. Si sa però che questa proposta è stata palesemente ignorata dalle parti in causa e dai rappresentanti internazionali che stanno mediando tra le parti. Negli ultimi giorni però il primo ministro albanese ha dichiarato chiusa l’iniziativa Open Balkans vigorosamente sostenuta da lui, dal presidente della Serbia e dal primo ministro della Macedonia del Nord. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe seguirà per sapere se si tratta di una delle solite “bufale” o se ci sia qualcosa che merita l’attenzione ed informerà in seguito il nostro lettore di questa ultima dichiarazione del primo ministro albanese. Ma chi scrive queste righe pensa che da buon ciarlatano qual è, il primo ministro albanese è disposto a tutto, anche a negare se stesso. E potrebbe negare anche quanto ha dichiarato alcuni giorni fa sull’iniziativa Open Balkans. Aveva ragione Grete de Francesco quando affermava nel suo libro Potere del ciarlatano che “La messa in scena ha lo scopo di attirare, portando le argomentazioni il più lontano possibile dalle reali intenzioni del ciarlatano”.

  • Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze

    Chi difende un colpevole si rende complice della colpa.

    Publilio Siro

    Accadeva proprio ventiquattro anni fa. Era il 12 giugno 1999 quando un contingente militare internazionale di 50.000 effettivi a guida NATO, denominata KFOR (acronimo di Kosovo Force, un contingente militare internazionale; n.d.a.) entrò in Kosovo. Due giorni prima, il 10 giugno 1999 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con quattordici voti a favore e una sola astensione, aveva adottato la Risoluzione 1244. Una Risoluzione quella che ha stabilito, tra l’altro, la fine degli scontri in Kosovo, nonché i principi di base per una soluzione politica e duratura della crisi. Quella Risoluzione ha sancito anche lo schieramento di un contingente militare internazionale sul territorio del Kosovo a guida dell’Alleanza Atlantica, attivando così un’operazione congiunta denominata “Joint Guardian” (Guardiano comune; n.d.a.). Parte integrante di quell’operazione era la costituzione della sopracitata KFOR attiva subito, già dal 12 giugno 1999. La Risoluzione 1244 è stata approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dopo settantotto giorni di attacchi aerei da parte della NATO sul territorio della Serbia, compresa la capitale, cominciati il 23 marzo 1999. Un’operazione, quella, denominata “Allied Force” (Forza alleata; n.d.a.) che costrinse al ritiro dal territorio del Kosovo l’esercito serbo. In più la Risoluzione 1244 sanciva anche la costituzione di un governo e di un parlamento provisorio in Kosovo, sotto controllo e protettorato internazionale, garantiti dalla NATO e dal UNMIK (acronimo di United Nations Interim Administration Mission in Kosovo – La Missione di Amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo; n.d.a.).

    Bisogna evidenziare anche un altro fatto accaduto il 12 giugno 1999. I primi contingenti militari che entrarono in Kosovo quel giorno erano gli effettivi delle forze speciali della Norvegia e del Servizio speciale dell’aeronautica del Regno Unito. Ma loro hanno trovato di fronte un contingente militare delle forze armate della Russia, che, guarda caso, proprio un giorno prima, all’improvviso e senza un comune accordo con la KFOR, avevano preso il controllo dell’aeroporto del capoluogo del Kosovo. Da alcune indiscrezioni riferite a fonti ben informate mediatiche e non solo, e subito diffuse, risultò che la Russia aveva previsto l’arrivo di un suo consistente contingente militare tramite l’aeroporto. Chissà perché?! La reazione della NATO è stata immediata. La Romania, la Bulgaria e l’Ungheria hanno bloccato i rispettivi spazi aerei per i voli russi. E solo dopo il controllo posto sull’aeroporto da parte delle forze della KFOR, il ministero degli Affari Esteri della Russia ha considerato un “errore” l’occupazione dell’aeroporto da parte del contingente militare russo.

    Bisogna però sottolineare che sia la decisione di cominciare gli attacchi aerei sul territorio della Serbia che l’adozione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite della Risoluzione 1244 il 12 giugno 1999 sono state molto importanti per porre fine ad una sanguinosa guerra ed al ritorno alla normalità. Erano delle decisioni difficili da prendere, ma erano delle decisioni indispensabili ed importanti, prese dopo un lungo periodo di scontri armati, di massacri crudeli e di pulizia etnica contro gli albanesi etnici del Kosovo, che rappresentavano circa il 92% dell’intera popolazione, da parte dell’esercito della Repubblica Federale di Jugoslavia, il cui presidente era Slobodan Milošević. Proprio colui che il 28 giugno 2001 era stato consegnato al Tribunale Penale Internazionale per i Crimini nella ex-Jugoslavia con sede all’Aia in Olanda. L’accusa contro di lui era quella di crimini contro l’umanità per le operazioni di pulizia etnica dell’esercito jugoslavo in Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo.

    Adesso, dopo ventiquattro anni dall’entrata in Kosovo dei primi contingenti della KFOR, proprio il 12 giugno 1999, nonostante molte e ripetute trattative e mediazioni da parte delle istituzioni dell’Unione europea, degli Stati Uniti d’America e di singoli Paesi europei per stabilire la normalità nei rapporti tra la Serbia ed il Kosovo, purtroppo continuano gli attriti. Da più di due settimane ormai la tensione è tornata di nuovo nella irrequieta regione dei Balcani. E sono valse a niente le mediazioni di importanti rappresentanti della Commissione europea, del Dipartimento di Stato statunitense e di altri singoli Stati europei. Il 29 maggio scorso nel nord del Kosovo dei violenti “protestanti” serbi hanno aggredito con bastoni e spranghe, ma anche con l’uso delle armi, sia gli agenti della polizia locale che i soldati della KFOR. Il nostro lettore è stato informato la scorsa settimana di quegli scontri violenti, nonché delle ragioni che hanno portato ad una simile e preoccupante situazione (Non c’è pace nei Balcani; 5 giugno 2023). Immediate sono state le reazioni e le reciproche condanne verbali da parte delle massime autorità del Kosovo e della Serbia. Ma immediate sono state anche le reazioni e le dichiarazioni ufficiali dei massimi rappresentanti della Commissione europea, del Dipartimento di Stato statunitense e di alcuni singoli Stati europei. Anche loro hanno verbalmente condannato quanto stava accadendo nel nord del Kosovo ed hanno chiesto il “ritorno alla normalità”. La Commissione europea ed il Dipartimento di Stato statunitense sono le due importanti istituzioni che da tempo sono state direttamente coinvolte a trovare e garantire una soluzione duratura dei problemi e dei contenziosi tra la Serbia ed il Kosovo. Ma che purtroppo, ad oggi, non ci sono riusciti. Chissà perché?! Comunque sia però, quanto da anni sta accadendo nella regione dei Balcani occidentali, e non solo tra la Serbia ed il Kosovo, dovrebbe far riflettere seriamente tutti i rappresentanti delle istituzioni internazionali coinvolti. Tutti loro, ma anche le massime autorità dei singoli Paesi europei e/o chi per loro, che si stanno prestando a mediare ed a trovare una duratura, perciò giusta e ragionevole, soluzione per tutti i contenziosi tra la Serbia ed il Kosovo hanno assunto una grande responsabilità. Sia personale che istituzionale. Ragion per cui tutti loro, prima di arrivare a delle conclusioni, prima di prendere delle decisioni, prima di cercare di convincere le parti ad accettare un accordo, prima di tutto, dovrebbero conoscere e prendere seriamente in considerazione le storie e le realtà locali. Ragion per cui tutti loro dovrebbero tenere presenti e riflettere sui tanti interessi geopolitici e geostrategici internazionali, quelli attuali ed a medio e lungo termine, che si incrociano nella regione dei Balcani occidentali. Perciò bisogna pensare responsabilmente anche alle conseguenze delle loro proposte, delle loro decisioni e degli accordi raggiunti tra le parti, con l’obbligo della firma. E non come è accaduto quest’anno, prima a Bruxelles, il 27 febbraio e poi ad Ohrid il 18 marzo, quando sono stati presentanti come un “successo” i due rispettivi accordi accettati verbalmente ma non firmati dalle parti. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito di tutto ciò (Lunghe mediazioni europee e solo un accordo verbale; 27 marzo 2023).

    Quello che sta accadendo adesso tra la Serbia ed il Kosovo ha inevitabilmente attirato l’attenzione pubblica. Ma sta preoccupando anche l’Unione europea, gli Stati Uniti d’America e le cancellerie di singoli Paesi europei. Quello che accade nei Balcani, da tempo, coinvolge direttamente e/o indirettamente però anche la Russia, la Cina, la Turchia ed alcuni Paesi del Golfo Persico. Il che significa e testimonia che i Balcani rappresentano un’area di interessi geostrategici e geopolitici non indifferenti, anzi, per alcuni dei Paesi più potenti e ricchi del mondo. Un’aumentato interesse per i Balcani occidentali, dovuto a dei fattori geopolitici e geostrategici, si sta verificando adesso, mentre continua la guerra in Ucraina. Da tempo è noto che la Russia gode dell’amicizia storica con la Serbia. Un’amicizia quella dichiarata spesso in questo periodo, sia dal presidente della Russia e dal suo ministro degli Esteri, che dal presidente della Serbia e da alcuni suoi ministri e stretti collaboratori. Un’amicizia quella che spiega anche la decisione della Serbia, un Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, di rifiutare di aderire alle sanzioni poste dalla stessa Unione alla Russia, dopo l’inizio dell’aggressione militare contro l’Ucraina, il 24 febbraio 2022. Non a caso durante le ultime “proteste” nel nord del Kosovo gli “oppositori” serbi hanno imbrattato muri e veicoli con la “Z” che gli invasori russi usano in Ucraina. Ma anche con la croce con quattro “C” cirillica corrispondente alla lettera “S”.  Quelle quattro “S” sono le prime lettere delle parole Samo Sloga Srbina Spasava (Solo l’Unità Salva i Serbi; n.d.a.). È ben noto ormai che la Serbia, compresa la chiesa ortodossa della Serbia, insieme con la Russia hanno fatto sempre dei tentativi per essere presenti e controllare il Montenegro dopo il referendum del 21 maggio 2006 per la separazione del Paese dalla Confederazione di Serbia e Montenegro. Lo stesso anche in Macedonia e in Bosnia ed Erzegovina. Non a caso uno dei più stretti collaboratori dell’attuale presidente della Serbia è il presidente della Republika Srpska (Repubblica serba; n.d.a.), una delle due entità statali in Bosnia ed Erzegovina. Proprio quest’ultimo ha fatto sapere giovedì scorso, l’8 giugno, che loro avevano approvato una risoluzione con la quale si chiede a tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite che hanno conosciuto il Kosovo come una Repubblica indipendente, di ritirare ufficialmente questo riconoscimento. Nel gennaio scorso il nostro lettore, tra l’altro, è stato informato dei rapporti di dichiarata amicizia con la Russia del presidente della Republika Srpska, il quale con le sue scelte e le sue decisioni, “…sta cercando di avere un suo esercito, nonché un sistema fiscale e giudiziario divisi da quelli della Bosnia ed Erzegovina. Ed è quel presidente che ha recentemente conferito un’onorificenza al presidente della Russia.” (Finanziamenti occulti in cambio di influenze internazionali; 23 gennaio 2023). Ma, fatti accaduti alla mano, la Russia e la Serbia cercano di essere presenti e di controllare gli sviluppi politici e non solo, anche in Montenegro e nella Macedonia del Nord. Ormai è pubblicamente noto il tentativo fallito del colpo di Stato ideato ed organizzato il 16 ottobre 2016, giorno di elezioni in Montenegro, da alcune centinaia di miliziani, in maggioranza serbi e russi. Così come sono noti anche altri casi di presenze, di “rapporti collaborativi” di serbi e russi nella Macedonia del Nord. Giovedì scorso, l’Accademia delle Scienze della Serbia ha presentato un progetto sul modello dell’Associazione dei comuni a maggioranza di serbi etnici in Kosovo. Si tratta proprio del conditio sine qua non, del principale punto di contrasto tra la Serbia ed il Kosovo durante i negoziati con la difficile mediazione dei massimi rappresentanti della Commissione europea e del rappresentante del Dipartimento di Stato statunitense per i Balcani di quest’anno, prima a Bruxelles, il 27 febbraio scorso, e poi ad Ohrid il 18 marzo scorso. Negoziati che, come ormai il nostro lettore sa, sono falliti, nonostante i mediatori hanno cercato di presentare quel fallimento come un “successo condizionato”. Ebbene, il progetto presentato giovedì scorso dall’Accademia delle Scienze della Serbia era nient’altro che il progetto della “Grande Serbia”, una copia dell’ormai ben noto progetto della “Grande Russia”.

    Chi scrive queste righe anche oggi avrebbe avuto molti altri argomenti e fatti accaduti da trattare e condividere con il nostro lettore. Argomenti e fatti che riguardano la crisi in corso tra la Serbia ed il Kosovo. Ed essendo una crisi che potrebbe avere delle conseguenze non solo per i due Paesi, ma anche per l’intera regione ed oltre, probabilmente verrà trattato in seguito. Chi scrive queste righe pensa però che i rappresentanti internazionali devono pensare responsabilmente alle conseguenze di quello che fanno. Purtroppo loro hanno fallito con la loro politica “del bastone e della carota”. Purtroppo loro hanno fallito trattando il presidente serbo con “le buone maniere”, mentre hanno cercato, allo stesso tempo, di “minacciare” le massime autorità del Kosovo. Diventa perciò molto significativa ed attuale la convinzione espressa da Publilio Siro circa ventuno secoli fa: “Chi difende un colpevole si rende complice della colpa”. Quanto sta accadendo lo dimostra.

  • Non c’è pace nei Balcani

    I Balcani producono più storia di quanta ne possano consumare

    Winston Churchill

    Nel 1950 uscì nelle sale cinematografiche in Italia un film del neorealismo italiano che si intitolava Non c’è pace tra gli ulivi. Un film che anche l’autore di queste righe ha visto con piacere diverse volte nel corso degli anni. I due protagonisti del film, maestosamente interpretati da Raf Vallone e Lucia Bosé, sono Francesco, un pastore, e Lucia, la ragazza che lui amava. Francesco, dopo aver combattuto per tre anni al fronte e dopo essere stato, in seguito, per tre anni in prigione, era tornato finalmente a casa. Ma nel frattempo un suo compaesano e pastore, Agostino, aveva rubato quasi tutte le pecore che possedeva la famiglia di Francesco. Convinto però del detto popolare che ‘chi ruba quello che gli appartiene non è un ladro’, decise di riavere le sue pecore. In quel suo piano vengono coinvolti altri suoi famigliari e Lucia che, nonostante amasse Francesco, era promessa sposa ad Agostino. E, guarda caso, Lucia era l’unica che aveva visto Agostino rubare le pecore. Ebbene, Francesco rubò non solo le pecore sottratte alla sua famiglia, ma tutte le pecore che possedeva il vero ladro. Accortosi della perdita delle pecore, Agostino si mise a seguire i ladri. Strada facendo trovò la sorella di Francesco, che non teneva il ritmo degli altri, e la stuprò. Poi, non riuscendo a raggiungerli, denunciò tutto alle autorità. Francesco è stato arrestato e condannato a quattro anni di prigione. Anche perché i compaesani hanno testimoniato a favore di Agostino. Lucia stessa, durante il processo, non ammette di aver visto Agostino rubare le pecore di Francesco. Nel frattempo però Lucia doveva sposare Agostino, ma il giorno del matrimonio la sorella di Francesco, stuprata da Agostino, incontra Lucia e in mezzo a tutti racconta a lei la verità su tutto ciò che era accaduto. Allora Lucia torna nella sua casa paterna; il matrimonio perciò viene annullato. Nel frattempo gli altri pastori si mettono tutti contro Agostino per delle ingiustizie da lui fatte nei loro confronti. Francesco riusce ad evadere dal carcere. Lucia la raggiunge. Francesco insieme con Lucia e anche con l’aiuto ed il pieno supporto dei pastori va a trovare Agostino. Adesso è lui che scappa, trascinando nella sua fuga anche la sorella di Francesco. Ma poco dopo la uccide perché lei, debole di nervi, impediva la fuga. Fuggendo Agostino spara molti colpi contro quelli che lo stavano inseguendo e non si accorge che i proiettili erano finiti. Raggiunto da Francesco, ma senza più colpi in canna, Agostino si getta in un precipizio e muore. Nel frattempo arrivano anche i carabinieri avvertiti di quello che stava accadendo. Il maresciallo dei carabinieri, dopo aver visto e sentito tutto, aveva capito chi era il vero colpevole. Perciò promette e garantisce che avrebbe fatto di tutto per riaprire il processo e fare finalmente giustizia. Una promessa, quella del maresciallo dei carabinieri, che ha riempito di gioia e di speranza per il loro comune futuro anche i due protagonisti del film Non c’è pace tra gli ulivi, Francesco e Lucia.

    Non c’è pace anche nei Balcani. E soprattutto tra la Serbia ed il Kosovo. Nel settembre del 2021 si è riattivato il contenzioso delle targhe automobilistiche. Il governo del Kosovo, rivendicando il principio di reciprocità, facendo riferimento all’Accordo di Bruxelles del 2013 tra i due Paesi, ha imposto il cambio provvisorio delle targhe per i veicoli serbi entrati in Kosovo. Una prassi che la Serbia applica per i veicoli del Kosovo, una volta entrati nel suo territorio. Un conflitto, quello, che ha direttamente coinvolto anche le istituzioni dell’Unione europea, soprattutto la Commissione. Dopo lunghe e non facili trattative la questione fu soltanto posticipata di alcuni mesi. Ma già dal luglio del 2022 altre manifestazioni di protesta si verificarono nel nord del Kosovo. Erano sempre dei protestanti serbi che si opponevano alla decisione del governo del Kosovo sulle targhe. Delle frange estremiste serbe hanno messo in atto blocchi stradali con dei camion ed altri mezzi pesanti. Non ha risolto il contenzioso sulle targhe neanche la mediazione dei massimi rappresentanti della Commissione europea. La situazione si è aggravata ulteriormente il 5 novembre 2022. E questa volta, oltre al contenzioso sulle targhe e le modalità d’applicazione, la parte serba ha aggiunto anche l’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, come prestabilito nell’Accordo di Bruxelles del 2013. Ma anche nel caso delle Associazioni delle municipalità, quell’Accordo non prevedeva e garantiva il principio di reciprocità per i comuni con maggioranza di abitanti di etnia albanese nel sud della Serbia. Ebbene, il 5 novembre 2022, la protesta dei serbi etnici nel nord del Kosovo portò alle dimissioni di massa dei sindaci, dei consiglieri comunali, dei giudici e dei procuratori, del personale giudiziario e degli agenti di polizia di etnia serba da tutte le istituzioni del Kosovo. La situazione continuò ad aggravarsi anche nei mesi successivi, soprattutto dopo le decisioni di sostituire gli agenti di polizia dimessi e il dimesso ministro per le Comunità con un altro serbo etnico, non gradito però alla Serbia. Per ripristinare la mancata normalità istituzionale dopo le dimissioni di massa nel novembre 2022, era stato deciso di svolgere nuove elezioni in quei quattro comuni il 18 dicembre 2022. Ma l’aggravarsi della situazione, dovuto alle proteste e ai blocchi stradali, non poteva permettere un normale processo. Perciò, dopo diverse consultazioni con i rappresentanti dell’Unione europea e degli Stati Uniti d’America, è stata decisa una nuova data, il 23 aprile 2023, per quelle elezioni comunali. Elezioni nelle quali si sono registrati come candidati sindaci soltanto rappresentanti dei partiti albanesi. Di fronte ad una simile realtà però sono stati proprio i rappresentanti dell’Unione europea e degli Stati Uniti d’America ad insistere perchè le elezioni si svolgessero. Nel frattempo gli elettori di etnia serba, che sono la maggioranza in quei quattro comuni, “consigliati” anche da chi di dovere in Serbia, hanno boicottato in massa le elezioni. Una “scelta” quella che ha permesso ai quattro candidati di etnia albanese ad essere eletti come sindaci, ma con una veramente bassa affluenza degli elettori ai seggi, che non superava i 4% degli aventi diritto al voto. Nonostante ciò le elezioni sono state regolari e secondo le leggi in vigore nel Kosovo i sindaci dovevano insediarsi ufficialmente il 26 maggio scorso.

    Ebbene, da venerdì, 26 maggio scorso, si sono aggravati di nuovo i rapporti tra il Kosovo e la Serbia. Questa volta il casus belli è stato proprio l’insediamento dei nuovi sindaci di etnia albanese in quattro comuni nel nord del Kosovo. Sono stati molti i contestatori serbi che il 26 maggio scorso avevano circondato gli edifici dei comuni per impedire ai nuovi sindaci di entrare nei propri uffici. Protestavano esponenti ed aderenti di un partito dei serbi etnici del Kosovo, molto vicino al presidente della Serbia. Le proteste cominciate il 26 maggio scorso sono proseguite poi per tutta la successiva settimana. Da fonti di informazione credibili risulterebbe che in quelle proteste c’erano anche molti “violenti” arrivati dalla Serbia, tra paramilitari e persone con precedenti penali. Lunedì scorso, il 29 maggio, il governo del Kosovo ha deciso di intervenire e di permettere ai nuovi sindaci di cominciare ad esercitare il loro mandato. E siccome gli edifici comunali erano circondati dai “contestatori”, è dovuta intervenire anche la polizia del Kosovo. Ma i “contestatori” hanno aggredito i poliziotti. Poi, dopo l’intervento dei militari della KFOR (acronimo di Kosovo Force; n.d.a.), i “contestatori” serbi hanno aggredito anche loro. Risulta che sono stati 30 i militari della KFOR, 11 soldati italiani e 19 ungheresi, feriti durante gli scontri il 29 maggio scorso. Gli scontri sono continuati per tutta la settimana scorsa, anche se non più violenti come quelli del 29 maggio. Bisogna però sottolineare che la KFOR è un contingente militare internazionale a guida NATO, attivo in Kosovo dal 12 giugno 1999, due giorni dopo l’adozione della Risoluzione 1244 da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

    Subito dopo l’inizio degli scontri dei “contestatori” serbi” con le forze di polizia del Kosovo e i militari della KFOR, hanno reagito le massime autorità del Kosovo e della Serbia. Hanno reagito anche i massimi rappresentanti dell’Unione europea, soprattutto quelli della Commisione, nonché il segretario di Stato statunitense ed il responsabile per i Balcani del Dipartimento di Stato. Però alcuni di loro hanno dovuto “correggere” le loro dichiarazioni dopo le reazioni del primo ministro e della presidente del Kosovo. E purtroppo anche durante la scorsa settimana si è verificato il solito atteggiamento ambiguo di non pochi alti rappresentanti istituzionali e statali europei e statunitensi per delle situazioni e realtà chiare e per niente ambigue. Già da lunedì scorso quasi tutti loro hanno cercato di incolpare non l’aggressore, bensì l’aggredito. Hanno cercato di fare pressione sulle autorità del Kosovo, le quali hanno semplicemente cercato di rispettare le leggi in vigore. Leggi fatte con la sempre presente ed attiva consulenza delle istituzioni specializzate sia dell’Unione europea che altre. Sono stati gli stessi rappresentanti che nell’aprile scorso sono stati determinati ad avere elezioni in quei quattro comuni nel nord del Kosovo che, un mese dopo, hanno “dimenticato” tutto ed hanno incolpato le autorità del Kosovo. Così facendo davano un “appoggio” al presidente della Serbia, nonostante tutti sanno che è lui e/o chi per lui ad aver “consigliato” gli aventi diritto al voto di etnia serba in quei quattro comuni a boicottare le elezioni il 23 aprile scorso. Bisogna sottolineare che il presidente della Serbia la scorsa settimana ha avuto il pieno e dichiarato sostegno della Russia. E per coloro che non lo sanno, o che lo hanno dimenticato, l’attuale presidente della Serbia è stato, dal marzo del 1998 fino all’ottobre del 2000 il ministro dell’Informazione della Repubblica Federale di Jugoslavia (Repubblica costituita allora solo dalla Serbia ed il Montenegro; n.d.r.). Ed in quel periodo il Presidente della Repubblica era Slobodan Milošević, accusato di crimini contro l’umanità per le operazioni di pulizia etnica dell’esercito jugoslavo in Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo e processato poi dal Tribunale penale internazionale. In più l’attuale presidente della Serbia, durante la guerra del Kosovo (1998-1999) ha presentato una legge sull’informazione, poi approvata ed attuata, che penalzzava tutti i media che si opponevano al regime di Milošević. Ragion per cui allora lui, l’attuale presidente della Serbia, fu inserito nella Black List (Lista nera; n.d.a.) dell’Unione europea. Ed e proprio lui che non ha aderito neanche alle sanzioni poste dall’Unione europea alla Russia, dopo l’aggressione in Ucraina. Chissà perché da alcuni anni i massimi rappresentanti dell’Unione europea, soprattutto quegli della Commissione, cercano però di “prendere con le buone” il presidente della Serbia?!

    I rapporti tra la Serbia ed il Kosovo sono stati sempre molto difficili e problematici. E quanto è accaduto la scorsa settimana lo dimostra. I massimi rappresentanti dell’Unione europea, soprattutto quelli della Commissione, hanno cercato di fare da mediatori nei negoziati tra le parti. Nel passato ci sono stati degli accordi (2013 e 2015) e quest’anno altri due: quello di Bruxelles del 27 febbraio e poi l’Accordo di Ohrid del 18 marzo. Questi due ultimi accordi però sono stati soltanto verbali, ma non ufficialmente firmati, sia dal presidente della Serbia che dal primo ministro del Kosovo, anche se quest’ultimo aveva dichiarato la sua disponibilità a firmare. Accordi che però sono stati presentanti come un “successo” dai massimi rappresentanti della Commissione europea! L’autore di queste righe già allora era convinto che “…l’accordo non firmato di Ohrid, raggiunto dopo le lunghe e difficili mediazioni europee, soprattutto dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, purtroppo non sarà rispettato. Non a caso è stata rifiutata la firma finale.” (Lunghe mediazioni europee e solo un accordo verbale; 27 marzo 2023).

    Chi scrive queste righe, come molte altre persone, purtroppo constata che ancora non c’è pace nei Balcani. Come non c’era pace tra gli ulivi, nell’omonimo film del regista Giuseppe de Santis. Ma alla fine del film il maresciallo dei carabinieri capì chi era il vero colpevole e promise che avrebbe fatto di tutto per fare finalmente giustizia. Chissà se accadrà lo stesso anche nei Balcani che, come diceva Churchill, producono più storia di quanta ne possano consumare.

  • Dittature ed elezioni libere come il diavolo e l’acquasanta

    La resistenza al totalitarismo, sia esso imposto dall’esterno

    o dall’interno, è questione di vita o di morte.

    George Orwell, da “Letteratura e totalitarismo”

    Riferendosi al diavolo, la saggezza secolare, tramite i tanti detti popolari, ci mette sempre in guardia. “Il diavolo si nasconde nei dettagli” recita un noto proverbio. Così come ci fa riflettere quanto hanno scritto molti scrittori, filosofi ed altre persone note. Il famoso scrittore francese Charles Baudelaire scriveva: “La più grande astuzia del diavolo è farci credere che non esiste”. Anche Johann Wolfgang von Goethe, il noto scrittore tedesco, ha trattato il rapporto tra il diavolo e Dio. La sua ben nota opera Faust, che si basa su una legenda locale, sulla quale lo scrittore lavorò per diversi decenni, tratta proprio l’accordo tra il personaggio principale, il dottor Faust, con Mefistofele (il diavolo, il maligno). Arricchito però dalle tante esperienze durante il suo viaggio con Mefistofele, in cerca di piaceri e delle bellezze del mondo, il dottor Faust, ci trasmette la sua ferma convinzione. “Hanno voluto scacciare il maligno e ci sono restati tutti i mascalzoni più piccoli!”. Una preziosa lezione questa per tutti. Perché non è solo il diavolo, ma ci sono anche molti altri mascalzoni, in carne ed ossa, che sono sempre presenti e fanno molti danni. Come il diavolo.

    La saggezza secolare del genere umano si tramanda di generazione in generazione. Una saggezza trasmessa oralmente e tramite documenti scritti da varie civiltà, in diverse parti del mondo. Comprese anche le Sacre Scritture. E da quella saggezza millenaria bisogna sempre imparare. Dalle tantissime esperienze vissute e sofferte risulta che ci sono delle realtà, esseri che non possono realizzarsi, convivere insieme, essendo inconciliabili tra loro. Per esempio, nelle Sacre Scritture si fa riferimento al diavolo, usando diversi denominazioni, ma comunque sempre contrapposto a Dio. Si fa riferimento anche a Giovanni Battista, il quale con l’acqua del fiume Giordano battezzava tutti coloro che credevano in Dio. E proprio riferendosi al battesimo con l’acqua, da allora questa, adoperata per i battesimi nelle chiese e benedetta dai sacerdoti, si chiama acquasanta. Ed è proprio l’acquasanta che teme più di tutto il diavolo. Ragion per cui vedendola, il diavolo scappa. Perciò lui e l’acquasanta sono inconciliabili e quell’inconciliabilità ha generato la ben nota espressione “essere come il diavolo e l’acquasanta”. Un’espressione questa, che viene usata per indicare due cose/persone che non possono essere insieme allo stesso tempo e posto.

    La saggezza umana, maturata nel tempo, ci insegna che le dittature, sotto le varie forme con le quali esse si presentano, non permettono mai delle elezioni libere, oneste e democratiche. Perché la dittatura e la democrazia sono due forme di organizzazione della società e dello Stato che, per definizione, sono ben contrapposte. Ragion per cui la dittatura e le elezioni libere, oneste e democratiche sono inconciliabili tra di loro. Sono come il diavolo e l’acquasanta. Quanto è accaduto prima, durante e dopo le elezioni amministrative del 14 maggio scorso in Albania ne è una palese ed inconfutabile testimonianza. Il nostro lettore è stato informato, in queste ultime settimane, di tutto ciò, sempre con la dovuta e richiesta oggettività. Sempre fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, risulta che ormai in Albania, dove da alcuni anni è stata restaurata una nuova dittatura sui generis, il risultato di quelle che si cerca di far passare per elezioni è sempre controllato, condizionato e manipolato per garantire la “vittoria” del primo ministro e della sua alleanza con la criminalità organizzata, con gli oligarchi e con determinati raggruppamenti occulti internazionali. Questa realtà è stata verificata e dimostrata anche con le “elezioni” amministrative del 14 maggio scorso. Si è trattato, fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, di un vero e proprio preannunciato massacro elettorale. Una realtà questa nota ormai anche al nostro lettore (Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere, 8 maggio 2023; Cronaca di un massacro elettorale preannunciato, 15 maggio 2023; A mali estremi, estremi rimedi, 22 maggio 2023). Ed ogni giorno che passa altri fatti si stanno rendendo pubblici.

    Durante la riunione dell’allora CSCE (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa; n.d.a.), svoltasi a Copenaghen dal 5 al 29 giugno 1990, è stato approvato quello che ormai è noto come il Documento di Copenaghen. L’articolo 6 del Documento prevede e stabilisce: “Gli Stati partecipanti dichiarano che la volontà del popolo, liberamente e correttamente espressa mediante elezioni periodiche e oneste, costituisce la base dell’autorità e della legittimità di ogni governo”. L’Albania è diventata membro della CSCE il 19 giugno 1991, durante la riunione di Berlino dei ministri degli affari Esteri dei Paesi membri della Conferenza. Durante il vertice di Budapest nel dicembre 1994, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa hanno deciso di cambiare il nome della CSCE. A partire dal 1° gennaio 1995 diventò attiva l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) con 57 Paesi membri del Nord America, dell’Europa e dell’Asia. Albania compresa. Perciò il governo albanese ha l’obbligo di rispettare gli Atti e i Documenti dell’allora CSCE ed dell’attuale OSCE. Compreso anche l’articolo 6 del Domunento di Copenaghen. La scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che “…purtroppo, durante questi ultimi anni, dal 2013 ad oggi, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, i tre governi albanesi, capeggiati dallo stesso primo ministro, quello attuale, hanno violato e spesso anche consapevolmente calpestato quanto sanciscono quei Documenti. Compreso anche l’articolo 6 del Documento di Copenaghen”. E poi aggiungeva: “…Durante le cinque elezioni generali, quelle parlamentari e locali ed altre elezioni parziali locali, i tre governi dell’attuale primo ministro, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, compresi anche i rapporti finali dell’OSCE, risulta purtroppo che si è passati dal male al peggio” (A mali estremi, estremi rimedi; 22 maggio 2023). Sì proprio di male in peggio. Come lo stanno dimostrando anche le ulteriori testimonianze e denunce pubbliche, depositate presso le dovute istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. Ma tutto fa pensare, anzi è quasi una certezza, che quelle istituzioni avranno tutt’altro da fare, tranne che occuparsi, in rispetto della Costituzione e delle leggi in vigore, delle tante denunce riguardanti il massacro elettorale prima e durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso.

    Ormai è stato testimoniato e dimostrato che la criminalità organizzata è stata schierata in appoggio ai candidati sindaci del primo ministro sul tutto il territorio nazionale. Così come, purtroppo, è stato testimoniato e dimostrato che spesso la polizia di Stato, nonostante sia stata avvertita, non è intervenuta. Se non, addirittura, in determinate occasioni, abbia agevolato il compito della criminalità. Dimostrando così che è diventata una polizia agli ordini del primo ministro e/o di chi per lui. Sia prima e durante, ma anche dopo le elezioni, è stato testimoniato e dimostrato che a tanti cittadini con il diritto al voto è stato cambiato il seggio elettorale, senza informarli. Durante il giorno delle “elezioni”, si sono verificati e sono stati denunciati molti casi dell’attuazione di quella che è nota come la frode elettorale denominata “carosello”, oppure “il treno bulgaro”. Una frode basata sull’uso, al inizio, di una scheda elettorale contraffatta, Poi la scheda elettorale regolare, fatta uscire fuori dal seggio, viene compilata da “chi di dovere” e poi consegnata a molti selezionati cittadini che “votano” con le schede precompilate. Loro stessi, uscendo dal seggio, consegnano la scheda vuota per essere di nuovo usata. E così via.

    Ma non sono state solo queste le violazioni e le irregolarità compiute prima e durante le “elezioni” del 14 maggio scorso. È stato testimoniato e dimostrato che in molti seggi elettorali, sul tutto il territorio nazionale, sono state palesemente violate la legislazione in vigore e le apposite ordinanze della Commissione Centrale Elettorale, l’istituzione che ha il compito costituzionale di gestire, in tutte le fasi, le elezioni. Sia prima che durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso sono stati evidenziati e denunciati molti casi in cui ministri, sottosegretari, alti funzionari dell’amministrazione pubblica centrale e/o locale hanno consapevolmente violato quanto prevedono le leggi in vigore. Così come si sono verificati e sono stati evidenziati e denunciati molti, moltissimi casi di compravendita del voto. Ma anche dell’impedimento ad andare a votare dei cittadini i quali, con molta probabilità, non avrebbero votato per i candidati del primo ministro. Ed era stato proprio lo stesso primo ministro il quale, durante la campagna elettorale, in palese e consapevole violazione della legislazione, “consigliava” alle donne di “chiudere in casa i propri mariti che potevano votare contro”. Prima e durante le elezioni la criminalità organizzata e determinati oligarchi, “amici personali” del primo ministro e, allo stesso tempo, clienti del governo, hanno messo in circolazione ingenti somme di denaro per condizionare il voto dei cittadini, sia nelle grandi città, che nelle aree rurali, Dovrebbero essere stati tanti milioni messi in circolazione che hanno causato, secondo gli specialisti, il crollo dell’euro nel cambio con la moneta locale. Il nostro lettore è stato informato di questo fatto la scorsa settimana (A mali estremi, estremi rimedi; 22 maggio 2023). Durante il giorno delle “elezioni” del 14 maggio scorso, è stato evidenziato e verificato che i detenuti delle carceri hanno votato quasi tutti per i candidati del primo ministro! Chissà perché?! Così come è risultato che gli abitanti di un paese vicino alla capitale, i quali da alcuni mesi stanno protestando contro una decisione abusiva del governo che riguarda le loro proprietà, abitazioni e/o terreni, abbiano votato a “grande maggioranza” il candidato del primo ministro! Bisogna sottolineare che i seggi dove loro hanno votato erano parte integrante di una delle tre municipalità dove, per la prima volta ed in modo sperimentale, è stata applicata la numerazione elettronica del voto. E, guarda caso, in tutte quelle tre municipalità si sono verificate e sono state denunciate molti “malfunzionamenti” del sistema elettronico. Così come sono state verificate e denunciate molte irregolarità dovute alla presenza di persone, soprattutto giovani, che “aiutavano” a votare altre persone, non pratiche con il sistema. E in tutte quelle tre municipalità hanno vinto in modo “molto convincente” i candidati del primo ministro! Chissà perché e come?! Ma tutte le sopracitate violazioni delle leggi in vigore sono soltanto una parte di quello che è stato un vero e proprio massacro elettorale. Ogni giorno che passa l’elenco aumenta.

    Adesso però, dopo quel preannunciato massacro elettorale, dopo le tante denunce fatte, dopo tante inconfutabili testimonianze, il primo ministro, colto in flagranza, sta parlando di “errori” dei rappresentanti dell’amministrazione pubblica in passato, ma mai durante le elezioni, come si sta inconfutabilmente dimostrando. Il primo ministro sta parlando ormai, dopo lo “spettacolare risultato elettorale”, di “doveri” che lui ed i suoi eletti hanno nei confronti dei cittadini che hanno “votato” per loro. Lui sta ringraziando anche coloro che “non sono usciti di casa per andare a votare contro” (Sic!) E tutto questo il primo ministro lo sta facendo solo e soltanto per tergiversare l’attenzione pubblica dalle tante inconfutabili testimonianze e denunce riguardanti la ben ideata, programmata e altrettanto ben attuata “strategia” del massacro elettorale.

    Chi scrive queste righe è da tempo convinto che le dittature e le elezioni libere sono come il diavolo e l’acquasanta. E condivide quanto scriveva George Orwell; cioè che la resistenza al totalitarismo, sia esso imposto dall’esterno o dall’interno, è questione di vita o di morte. Chi scrive queste righe, vista la vissuta, sofferta e drammatica realtà albanese è convinto che la dittatura sui generis in Albania si rovescia solo con delle proteste a oltranza. Egli ripete, per l’ennesima volta, una nota e molto significativa frase di Benjamin Franklin: “Ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio.”.

  • A mali estremi, estremi rimedi

    Maggiore è il potere, più pericoloso è l’abuso.

    Edmund Burke

    “Gli Stati partecipanti dichiarano che la volontà del popolo, liberamente e correttamente espressa mediante elezioni periodiche e oneste, costituisce la base dell’autorità e della legittimità di ogni governo”. Così comincia l’articolo 6 del Documento di Copenaghen. Si tratta di un importante documento, approvato durante la riunione svolta a Copenaghen dal 5 al 29 giugno 1990 dell’allora CSCE (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa; n.d.a.). Il contenuto di quel documento si basava su quanto era stato concordato alla Conferenza sulla Dimensione Umana della CSCE e contenute nel Documento conclusivo della Riunione dei Seguiti della CSCE di Vienna nel 1989. Sullo stesso articolo 6 del Documento di Copenaghen si stabilisce che “Gli Stati partecipanti rispetteranno, di conseguenza, il diritto dei propri cittadini di partecipare al governo del proprio paese sia direttamente sia tramite rappresentanti da essi liberamente eletti mediante procedure elettorali corrette”. In più, sempre riferendosi all’articolo 6 del Documento di Copenaghen, gli Stati si devono impegnare a riconoscere “…la responsabilità di garantire e proteggere, conformemente alle proprie leggi, agli obblighi internazionali relativi ai diritti dell’uomo e agli impegni internazionali assunti, l’ordinamento democratico liberamente stabilito attraverso la volontà del popolo contro le attività di persone, gruppi od organizzazioni impegnati in azioni terroristiche o che rifiutano di rinunciare al terrorismo o alla violenza miranti a rovesciare tale ordinamento o quello di un altro Stato partecipante”. Nell’ambito del Documento di Copenaghen, l’articolo 6 rappresenta una parte molto importante con il quale si stabiliscono diritti e doveri per garantire il reale funzionamento di uno Stato democratico.

    La Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa era stata convocata per la prima volta a Helsinki il 3 luglio 1973. Poi ha proseguito i lavori a Ginevra. L’obiettivo di quelle riunioni era l’elaborazione di un testo che doveva diventare un documento base ad essere approvato da tutti gli Stati aderenti. Un atto quello ufficializzato di nuovo a Helsinki durante la Conferenza iniziata il 21 luglio 1975 dai rappresentanti dei 35 Stati partecipanti. L’Atto finale è stato approvato e firmato a Helsinki il 1° agosto 1975 dai capi di Stato e di governo dei Paesi partecipanti. L’Atto finale della Conferenza di Helsinki si compone da tre sezioni, nelle quali si raggruppano le principali questioni trattate e concordate durante i tre anni di negoziati. Si tratta della sezione della sicurezza, quella della cooperazione economica, scientifica, tecnica e ambientale e la sezione dei diritti umani. Bisogna sottolineare che l’Atto finale, approvato durante la riunione di Helsinki nel 1975, non essendo un vero e proprio accordo internazionale, non è stato perciò neanche soggetto di ratifica dai parlamenti dei singoli Stati membri. In seguito, proprio quando il blocco comunista dell’Europa orientale si stava sgretolando, è stata organizzata e convocata la riunione della Conferenza a Parigi, dal 30 maggio al 23 giungo 1989. Poi, dopo le due sopracitate riunioni della CSCE, quelle di Vienna e di Copenaghen, si è tenuta anche la riunione di Mosca dal 10 settembre al 4 ottobre 1991. Dopo la fine del lungo e problematico periodo storico della guerra fredda, anche la CSCE ha modificato i suoi programmi e obiettivi. Tutto stabilito dal Documento di Helsinki del 1992, intitolato “Le sfide del cambiamento”. Poi in seguito, durante il vertice di Budapest nel dicembre 1994, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa hanno deciso di cambiare anche il nome della stessa Conferenza, perciò a partire dal 1° gennaio 1995 diventò attiva l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) con 57 Paesi membri del Nord America, dell’Europa e dell’Asia. Si tratta della più grande organizzazione di sicurezza regionale al mondo. L’obbligo dell’OSCE è, tra l’altro, quello di garantire la stabilità, la pace e la democrazia attraverso il dialogo politico. Riferendosi agli Atti ufficiali, l’attività dell’OSCE si svolge in tre settori fondamentali: il settore politico-militare, che tratta gli aspetti militari della sicurezza, quello economico ambientale, che affronta soprattutto argomenti dell’energia, dell’ambiente e dello sviluppo economico ed il settore della dimensione umana, dedicata alle tematiche dello Stato di diritto ed alla tutela dei diritti umani. Elezioni libere e democratiche comprese.

    Quando si costituì ed, in seguito, quando si riuniva la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, la dittatura comunista in Albania, la più crudele e sanguinosa in tutta l’Europa orientale, criticava e ridicolizzava le decisioni prese dalla Conferenza. Dovevano passare quindici anni prima che il regime comunista albanese, pochi mesi prima del crollo, decise finalmente di presentare la richiesta per aderire alla Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Una richiesta che è stata accettata. Durante la riunione della CSCE di Copenaghen del 1990 il rappresentante dell’Albania ha assistito in veste di osservatore. L’Albania è diventata membro della CSCE il 19 giugno 1991, durante la riunione di Berlino dei ministri degli affari Esteri dei Paesi membri della Conferenza. Perciò, durante la seguente ed importante riunione della CSCE di Mosca, l’Albania ha partecipato come un Paese membro a pieni diritti. Da allora in poi tutti i governi albanesi hanno avuto l’obbligo di rispettare gli accordi presi e quanto sancito dai Documenti e dagli Atti finali, della CSCE prima e dell’OSCE in seguito. Ma purtroppo, durante questi ultimi anni, dal 2013 ad oggi, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, i tre governi albanesi, capeggiati dallo stesso primo ministro, quello attuale, hanno violato e spesso anche consapevolmente calpestato quanto sanciscono quei Documenti. Compreso anche l’articolo 6 del Documento di Copenaghen del 1990. Durante le cinque elezioni generali, quelle parlamentari e locali ed altre elezioni parziali locali, i tre governi dell’attuale primo ministro, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, compresi anche i rapporti finali dell’OSCE, risulta purtroppo che si è passato dal male al peggio. Risulta che l’esito finale delle elezioni è condizionato e controllato dal governo, in connivenza con la criminalità organizzata. E, durante questi ultimi anni, risulta che al controllo e al condizionamento del risultato finale delle elezioni in Albania stanno contribuendo attivamente anche alcuni noti oligarchi e imprenditori, clienti del primo ministro, che con lui dividono anche i milioni assicurati tramite tanti appalti illeciti. Ma siccome in Albania anche le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia sono direttamente controllate dal primo ministro e/o da chi per lui, tutto passa senza nessuna obbligatoria conseguenza penale, come se niente fosse.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato del preannunciato massacro elettorale prima e durante le elezioni generali amministrative del 14 maggio scorso. “Infatti, tutto quello che si è verificato e successo, sia prima delle elezioni amministrative di domenica scorsa, sia durante il giorno stesso delle elezioni, fatti accaduti, documentati e denunciati pubblicamente alla mano, risulta essere stata semplicemente la cronaca di un massacro elettorale preannunciato. È la cronaca di tutto quello che è ormai accaduto e noto al pubblico, di tutte quelle violazioni della Costituzione e delle leggi in vigore, che hanno garantito la tanto voluta “vittoria” personale del primo ministro”. Così scriveva il 15 maggio scorso l’autore di queste righe. E poi elencava diversi fatti accaduti, Dal pauroso crollo dell’euro nei cambi con la moneta locale, “…condizionato da ingenti somme di denaro illecito, entrato in Albania per ‘scopi elettorali’”, ai “patrocinatori” e agli “attivisti’, molto attivi prima e durante le elezioni. Faceva riferimento ai vari modi per condizionare il voto e all’attivo coinvolgimento della criminalità organizzata. Il nostro lettore veniva informato che “La cronaca del massacro elettorale preannunciato comprende il sistema “riformato” della giustizia, i cui rappresentanti “non vedono e non sentono”, perciò non reagiscono in seguito alle tante denunce pubblicamente fatte dall’opposizione. Comprende anche la Polizia di Stato che da anni funziona ormai come polizia del primo ministro”. In più lo scorso lunedì 15 maggio, l’autore di queste righe scriveva che “…Il risultato diretto di un simile massacro elettorale permette un ulteriore, preoccupante e molto pericoloso consolidamento della nuova dittatura in Albania” (Cronaca di un massacro elettorale preannunciato; 15 maggio 2023).

    Ebbene, durante questi giorni, ad elezioni finite, sono stati tanti i fatti accaduti, documentati e denunciati, fatti che testimoniano inconfutabilmente la ben ideata, programmata ed, in seguito, attuata strategia per avere uno “spettacolare risultato elettorale”, come si vanta il primo ministro. Ma per elencare tutti quei fatti sarebbero necessarie molte, ma veramente molte pagine. E non poteva essere diversamente. Perché la diabolica “strategia” del primo ministro albanese per avere “una vittoria spettacolare” prevedeva il coinvolgimento attivo, su tutto il territorio, della criminalità organizzata. Prevedeva, in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore, il diretto ed attivo coinvolgimento, nolens volens, dell’amministrazione pubblica a tutti i livelli. Prevedeva l’uso delle istituzioni per “offrire” sostegno finanziario ai cittadini bisognosi. Prevedeva anche il diretto coinvolgimento di noti oligarchi e tanti imprenditori, “amici e clienti” del primo ministro, per offrire denaro in cambio del voto a favore. O, per lo meno, in cambio a non andare a votare a tutti quegli che potevano votare contro. Lo aveva chiesto spesso durante la campagna elettorale, in piena violazione della legge, anche il primo ministro, consigliando alle donne di “chiudere a chiave in casa gli uomini che non votavano per lui”! La diabolica “strategia” del primo ministro albanese per avere “una vittoria spettacolare”, costi quel che costi, prevedeva anche molto altro. Ragion per cui sono tanti, ma veramente tanti i fatti accaduti, le violazioni della legge elettorale da parte di istituzioni ed individui che sono obbligati a rispettare proprio quella legge.

    Tra le tante “novità” delle elezioni generali amministrative del 14 maggio scorso c’è anche il risultato di un partito che alcuni anni fa è passato alle mani di un grosso imprenditore, “amico e cliente” del primo ministro. Un partito che, da quando è stato costituito negli anni ’90, non ha mai avuto dei risultati elettorali come quelli di queste elezioni. Anzi, è stato sempre un partito che a malapena riusciva a portare in parlamento qualche deputato. Ebbene quel partito, a livello nazionale, adesso ha avuto un “sorprendente risultato”: è diventato uno dei tre o quattro più importanti partiti politici. E quello che è ancora più sorprendente è che il partito dell’imprenditore, “amico cliente” del primo ministro durante la campagna per le elezioni del 14 maggio scorso, non ha fatto nessuna attività elettorale, non ha presentato in pubblico nessun programma. Il capo di quel partito però, da tante denunce fatte pubblicamente e depositate ufficialmente nelle apposite istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, risulta avere speso tanti milioni, sia per comprare voti, sia per garantire di non subire il “voto contrario” per i candidati sindaci del primo ministro e per le liste del suo partito. Questo “attivo imprenditore” è solo uno dei tanti contribuenti per lo “spettacolare risultato elettorale”, costi quel che costi, del primo ministro albanese.

    Chi scrive queste righe continuerà a trattare per il nostro lettore quanto è successo prima, durante e dopo le elezioni del 14 maggio scorso. Egli è convinto che le violazioni sono state veramente tante e hanno coinvolto direttamente il primo ministro, i suoi ministri e stretti collaboratori. Hanno coinvolto la criminalità organizzata e tanti imprenditori. Quello accaduto prima, durante e dopo le elezioni del 14 maggio scorso è un male grave, un male estremo. E come ci insegna da tanti secoli la saggezza popolare, per contrastare i mali estremi bisogna trovare e attuare estremi rimedi. Perché, come scriveva Edmund Burke, maggiore è il potere, più pericoloso è l’abuso.

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