Albania

  • Una perfida proposta in sostegno del riciclaggio dei milioni sporchi

    Si deve vigilare sui ministri che non possono fare nulla senza soldi

    e su quelli che amano fare tutto solo coi soldi.

    Indira Gandhi

    Dalla prima volta che è stata proposta, nel febbraio 2020, si capì subito che si trattava di una perfida proposta. Poi, in seguito alla pandemia, la proposta rimase in attesa per alcuni mesi. Ma solo per alcuni mesi però. Perché la stessa proposta, dopo un “ritiro tattico”, si ripresentò in parlamento, questa volta come un disegno di legge del governo. Il 22 luglio 2020, la Commissione per l’economia e le finanze del parlamento albanese, durante una seduta virtuale dovuto alla pandemia, ha approvato in principio il disegno di legge “Sull’amnistia fiscale e penale per i soggetti che fanno la dichiarazione volontaria della loro ricchezza”. Sono state immediate però le reazioni e le critiche sul contenuto di quel disegno di legge. Reazioni e critiche fatte sia dagli esperti, sia dalle istituzioni internazionali. Sono state proprio quelle reazioni e quelle critiche che hanno costretto subito dopo, nolens volens, il primo ministro albanese e mettere per il momento “in lista d’attesa” quel disegno di legge. I fatti accaduti hanno dimostrato però che si è trattato semplicemente di un nuovo “ritiro tattico”, il secondo riguardante quella proposta. Si, perché il primo ministro, un anno e mezzo dopo, il 23 giugno scorso, ha presentato di nuovo il disegno di legge, questa volta “rielaborato”, per essere consultato con i gruppi d’interesse. Ma sempre, come un anno e mezzo fa, si è trattato di una perfida proposta. Sono stati fatti solo dei ritocchi di facciata, per far credere che erano state prese in considerazione le critiche fatte sul precedente testo della proposta. Facendo riferimento alle relazioni che hanno accompagnato il disegno di legge, quello del luglio 2020 ed il secondo, reso pubblico il 23 giugno scorso, si nota facilmente che in sostanza non era cambiato niente. Sono cambiati però, per ingannare, non a caso e con la solita sfacciataggine e ipocrisia, solo i soggetti direttamente coinvolti in quel disegno di legge. Un anno e mezzo fa il primo ministro ha dichiarato che si trattava di una proposta fortemente richiesta e voluta da tempo dagli imprenditori. Mentre il 23 giungo scorso il primo ministro e i suoi lo hanno presentato come un disegno di legge fatto solo e soltanto in sostegno degli emigranti albanesi che lavorano all’estero (Sic!). Una pura e semplice “copertura”, per poi far passare senza obiezioni e critiche la legge. Ma con la sua ben nota ipocrisia e la sua innata capacità di voler ingannare sempre e comunque, il primo ministro ha tentato di far credere che la sua proposta ha sempre avuto come obiettivo gli emigranti albanesi che hanno lavorato e lavorano all’estero. Delle misere bugie che non reggono. Si, perché, sul testo della stessa relazione che ha accompagnato la prima proposta del disegno di legge, pubblicata nel 2020, non si trova in nessuna riga la parola “emigrante”! Invece, sullo stesso testo veniva ribadito che l’avviamento di una simile iniziativa “…è stata una richiesta fatta da tempo dall’imprenditoria e dalle organizzazioni che rappresentano gli imprenditori”. Guarda caso però, tra i primi a contrastare fortemente il disegno di legge sono state proprio le organizzazioni che rappresentano gli imprenditori albanesi e stranieri che operano in Albania. Sul testo della stessa relazione, pubblicata nel 2020, si legge tra l’altro che “…il disegno di legge mira a garantire le procedure trasparenti per rendere possibile la legalizzazione delle ricchezze non dichiarate e/o non registrate, totalmente o parzialmente, così come la rivalutazione dei dati finanziari dei soggetti”. Mentre sul “rielaborato” testo della relazione che accompagna il disegno di legge sull’amnistia fiscale si cerca di far credere che il primo ministro ed il suo governo hanno molto a cuore e stanno facendo di tutto per sostenere gli emigranti a portare ed investire poi i loro risparmi in Albania!

    Gli emigranti, che hanno vissuto e stanno vivendo in prima persona la loro esperienza lavorativa, sanno benissimo quanto si potrebbe guadagnare, in generale e, di conseguenza, quanto si potrebbe risparmiare da un lavoro onesto in un qualsiasi Paese europeo, Italia inclusa. Per non parlare poi di quelli che lavorano in nero. E non solo durante questi ultimi anni veramente difficili per tutti, prima per la pandemia e dal febbraio di quest’anno anche per la guerra in Ucraina. Per capire bene e facilmente la falsità, l’ipocrisia e il vizio di ingannare del primo ministro albanese e dei suoi, bisogna chiarire cosa prevede il “nuovo” disegno di legge sull’amnistia fiscale, presentato il 23 giugno scorso. Secondo il testo pubblicato dal governo si offre la possibilità di “…dichiarare volontariamente una ricchezza con un valore monetario fino a 2 milioni di euro”. Lo stesso disegno di legge stabilisce che quella ricchezza, volontariamente dichiarata, trasportata in cash e versata nelle banche in Albania, verrà tassata da 7 a 10% del valore totale della somma. In più si stabilisce che possono godere della legge sull’amnisita fiscale e penale anche tutti coloro che dichiarano volontariamente dei beni immobili. Ebbene, quanti “emigranti” che hanno fatto e/o che continuano a fare un lavoro onesto, o peggio ancora, che hanno lavorato e/o lavorano in nero in un altro Paese, europeo e non, riescono a guadagnare tanto e poi risparmiare simili somme di denaro?! Come mai un bracciante, o uno che lavora in fabbrica e nel settore dei servizi può guadagnare tanto?! E la maggior parte degli emigranti albanesi all’estero fanno proprio quei lavori, pagando le tasse o in nero. Ma tutti sanno però quanto si può guadagnare e, di conseguenza, risparmiare da un simile lavoro. Nel migliore dei casi si potrebbe arrivare a qualche decina di migliaia di euro, ma mai e poi mai si può arrivare ai diversi milioni! Questa realtà della vita da emigrante, queste verità vissute e sofferte da migliaia di emigranti albanesi all’estero smascherano una volta per tutte sia la falsità del disegno di legge sull’amnistia fiscale e penale presentato il 23 giugno scorso, che l’ipocrisia e l’innato vizio di ingannare del primo ministro albanese.

    Nel luglio 2020, dopo la pubblicazione del primo disegno di legge sull’amnistia fiscale e penale, la reazione e le critiche delle istituzioni internazionali sono state immediate, determinate e forti. La Commissione europea esprimeva la sua grande preoccupazione che l’Albania potesse diventare l’epicentro del riciclaggio di denaro sporco. Riferendosi al disegno di legge sull’amnistia fiscale, secondo la Commissione europea si potrebbe creare “una grande opportunità per gli evasori fiscali e coloro che riciclano denaro”. In più la Commissione europea esprimeva la sua preoccupazione che quel disegno di legge permetteva gli stessi benefici anche per delle persone che non hanno la cittadinanza albanese, ma che svolgono delle attività imprenditoriali in Albania. Sempre riferendosi allo stesso disegno di legge, la Commissione europea obiettava anche la “…possibilità di mancata e giusta condanna per tutti coloro che hanno tenuto nascosta la loro ricchezza”. La Commissione europea, esprimeva, altersì, la sua seria preoccupazione sulla difficoltà di valutazione, da parte di Moneyval (Comitato di Esperti per la valutazione delle misure anti riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, struttura del Consiglio d’Europa; n.d.a.), di come sarebbe implementata la legge contro il riciclaggio del denaro (già in vigore in Albania; n.d.a.) se diventasse operativa la proposta della legge sull’amnisitia fiscale. La Commissione chiedeva alle autorità albanesi di agire “in base agli atti e gli accordi internazionali” e di rispettare “la legislazione contro il riciclaggio del denaro e le raccomandazioni del Moneyval.”. Mentre il Fondo Monetario Internazionale, in un suo rapporto del 2020, chiedeva al governo albanese di prevenire ed impedire “il riciclaggio del denaro e il finanziamento del terrorismo”. Questo accadeva nel 2020, dopo la pubblicazione della prima versione del disegno di legge sull’amnistia fiscale e penale.

    In seguito, quasi un anno e mezzo più tardi, dopo la pubblicazione della seconda ed “elaborata” versione dello stesso disegno di legge il 23 giugno scorso, sono arrivate subito le reazione delle istituzioni interanazionali sempre forti e molto critiche nei confronti del governo albanese. Con un comunicato stampa il 29 giugno scorso si ribadiva che la Commissione europea esprimeva le sue “serie preoccupazioni riguardo l’attuale disegno di legge sull’amnisita fiscale”. Aggiungendo che una simile legge avrebbe “indebolito i controlli dell’Albania contro il riciclaggio del denaro”. Nello stesso comunicato stampa si evidenziava che, per come è stato concepito l’attuale disegno di legge sull’amnisita fiscale “…rappresenta serie preoccupazioni per gli Stati membri dell’Unione europea ed altri partner, ma anche un pericolo sostanziale sulla reputazione del Paese”.

    Che l’Albania sia ormai diventato un Paese dove la criminalità organizzata locale ed internazionale ricicla milioni di denaro sporco e dove si riciclano anche altri milioni provenienti dalla galoppante corruzione, questo ormai è un dato di fatto. Lo evidenziano e testimoniano diversi rapporti ufficiali delle istituzioni specializzate internazionali. E siccome il disegno di legge sull’aministia fiscale e penale è stato reso noto per la prima volta nel luglio 2020, si potrebbe fare riferimento al rapporto annuale sull’Albania del Dipartimento di Stato statunitense proprio per lo stesso anno, pubblicato nel marzo 2021. Ebbene in quel rapporto si sottolineava che “…I gruppi albanesi della criminalità organizzata continuano a riciclare i loro guadagni in Albania e contribuiscono alla corruzione nel Paese”. In quel rapporto si ribadiva che “Il governo albanese non ha fatto nessun visibile progresso per ostacolare il riciclaggio del denaro e i crimini finanziari durante il 2020”. Mentre per quanto riguarda la lotta contro il riciclaggio del denaro si evidenzia che “L’Albania rimane sensibile di fronte al riciclaggio del denaro, le reti della criminalità organizzata e le deboli istituzioni della giustizia e governative”. Aggiungendo, in seguito, che l’Albania “…ha una grande economia [basata] sul denaro in cash ed un vasto settore informale, con dei flussi considerevoli di denaro da fuori, sotto forma di contributi dagli emigranti e vari investimenti”. Più chiaro di così!

    Per ingannare sia l’opinione pubblica in Albania che le istituzioni e le cancellerie internazionali, il primo ministro ha inserito nel questionario della consultazione nazionale, svolta dal 19 gennaio al 31 marzo scorso e reso noto il 7 aprile successivo, anche una domanda sull’amnistia fiscale. Lo ha fatto semplicemente per presentare la sua “iniziativa” sull’amnistia come molto “appoggiata” dal popolo. Sulla falsità di quella “consultazione nazionale” e sulle violazioni legali delle istituzioni coinvolte, considerandola una farsa ingannevole, l’autore di queste righe ha informato alcuni mesi fa il nostro lettore (Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale; 31 maggio 2022). Così come lo ha informato la scorsa settimana di una pericolosa e preoccupante decisione del Consiglio dei ministri, entrata immediatamente in vigore il 29 luglio scorso. Una decisione che adesso permette a chiunque di “comprare” con dei milioni la cittadinanza albanese per “investire” in Albania. Si tratta di quelli che ormai, internazionalmente, vengono noti come i “passaporti d’oro”. Anche in questo caso la reazione delle istituzioni internazionali è stata forte, immediata e molto critica. Il nostro lettore è stato informato che in una risoluzione del Parlamento europeo del maggio scorso si esprimeva la seria preoccupazione su quella iniziativa del governo albanese, allora ancora non ufficializzata. Quell’iniziativa per il Parlamento europeo “potrebbe rappresentare un serio pericolo per la sicurezza, il riciclaggio del denaro sporco, la corruzione e l’evasione fiscale” (Paradiso fiscale e nascondiglio per la criminalità organizzata; 6 settembre 2022).

    Chi scrive queste righe e convinto che la legge sull’amnistia fiscale e penale e la decisione del Consiglio dei ministri sui “passaporti d’oro” sono parti complementari di una strategia dalla quale traggono grande beneficio e profitti milionari non solo la criminalità organizzata locale ed internazionale. Si tratta di una perfida proposta in sostegno del riciclaggio dei milioni sporchi. Chi scrive queste righe condivide la convinzione di Indira Gandhi che si deve vigilare sui ministri che non possono fare nulla senza soldi e su quelli che amano fare tutto solo coi soldi. Anche in Albania.

  • Paradiso fiscale e nascondiglio per la criminalità organizzata

    Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco ma sono in tanti.

    Ettore Petrolini

    Era domenica, il 4 settembre del 2016. In mattinata a Roma, in piazza San Pietro, si erano radunati moltissime persone. Più di centomila, secondo fonti ufficiali. Erano arrivati da tutte le parti, non solo dell’Italia, ma del mondo. Erano tutti lì per partecipare alla canonizzazione di una persona a loro molto cara, rispettata, ma anche venerata. Erano tutti lì per madre Teresa di Calcutta, la fondatrice della congregazione religiosa delle Missionarie della carità, ma che tutti chiamavano semplicemente madre Teresa, sentendola come una di famiglia. Era nata a Skopie nel 1910 in una famiglia albanese, ma lei stessa, fiera delle sue origini, dichiarava: “Sono albanese di sangue e indiana di cittadinanza”. Arrivata in India nel 1929 fu subito colpita dalla miseria e dalle pessime condizioni nelle quali si viveva, o meglio si sopravviveva a Calcutta. Ragion per cui madre Teresa si dedicò, con tutta se stessa, all’assistenza dei malati, compresi quelli terminali colpiti dalla lebbra. A lei si unirono molte altre suore e volontarie, Nel 1965, con l’approvazione di Papa Paolo VI, venne riconosciuta la Congregazione delle Missionarie della Carità. Denominazione che rappresentava proprio lo spirito e l’essenza dell’abnegazione, della devozione e della quotidiana attività di Madre Teresa e di tutte le suore e le volontarie della congregazione. Quella domenica del 4 settembre 2016, Papa Francesco, che presiedeva la cerimonia della canonizzazione di Madre Teresa, durante l’omelia disse: “…La sua missione nelle periferie delle città e nelle periferie esistenziali permane ai nostri giorni come testimonianza eloquente della vicinanza di Dio ai più poveri tra i poveri”. Il Pontefice ha anche ribadito durante quell’omelia che la Santa Madre Teresa “…ha fatto sentire la sua voce ai potenti della terra, perché riconoscessero le loro colpe dinanzi ai crimini, dinanzi ai crimini della povertà creata da loro stessi!”.

    L’indomani della canonizzazione di Madre Teresa, l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore informandolo che nonostante madre Teresa fosse una persona molto nota e rispettata in tutto il mondo non poteva entrare nel territorio albanese. Tutto dovuto ad un “semplice” ma vero e, perciò, “imbarazzante” motivo; la sua vocazione e la sua opera religiosa contrastavano con la propaganda del regime. Si, perché in Albania la dittatura aveva bandito già dal 1967 tutte le religioni, per poi sancire tutto ciò anche nella Costituzione del 1976. L’autore di queste righe informava allora il nostro lettore che “…nonostante le sue ripetute richieste alle autorità albanesi e le sollecitazioni, tramite canali diplomatici, di alcune tra le più note autorità mondiali del tempo, a Madre Teresa veniva sempre negato il visto d’ingresso in Albania”. Sembra strano ma era tutto vero! Non solo, ma proprio per quel “semplice ed imbarazzante motivo”, la propaganda comunista vietò categoricamente la diffusione della notizia che a Madre Teresa era stato conferito il Premio Nobel per la Pace nel 1979! E proprio per quel “semplice ed imbarazzante motivo” Madre Teresa non ha potuto dare neanche l’ultimo saluto alle persone a lei più care, che non vedeva da tantissimi anni: la madre e la sorella, morte a Tirana in condizioni estreme, durante gli anni ’70! L’autore di queste righe informava però il nostro lettore che Madre Teresa è riuscita, finalmente, ad entrare in Albania nel 1989 “…mentre la dittatura stava vivendo gli ultimi giorni”. Egli  era ed è fermamente convinto che “…quella “apertura” era semplicemente una disperata mossa politica per cercare un appoggio internazionale tramite un personaggio internazionalmente indiscusso: Madre Teresa.”. Aggiungendo, altrettanto convinto che “…L’ipocrisia del regime arrivò fino al punto di conferire una delle più alte onorificenze nel dicembre 1990, soltanto pochi giorni prima che cominciassero le manifestazioni che portarono al crollo della dittatura”. Specificando che nella motivazione dell’onorificenza era stato scritto “Gli albanesi sono fieri della loro grande e onorata figlia.” (Sic!) (Madre Teresa, la santa albanese; 5 settembre 2016). Una stridente e vigliacca ipocrisia quella delle massime autorità della dittatura comunista. Purtroppo alcuni dei diretti discendenti biologici di quelle autorità della famigerata e crudele dittatura comunista, guarda caso, attualmente sono diventate, altresì, delle massime autorità politiche ed istituzionali in Albania, primo ministro ed alcuni suoi ministri ed alti funzionari compresi. Proprio coloro che, senza scrupolo alcuno, gestiscono ed abusano della cosa pubblica, calpestando consapevolmente tutti i diritti innati e/o acquisiti dei poveri cittadini albanesi, in connivenza con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali.

    In Albania, anche durante questi ultimi giorni, ci sono state altre dimostrazioni e testimonianze dell’ulteriore consolidamento del regime totalitario corrotto e malavitoso. Il 13 agosto l’autore di queste righe scriveva che “Quanto è accaduto e sta tuttora accadendo in Albania, anche in questi ultimissimi giorni, dati e fatti alla mano, dimostra e testimonia purtroppo che da alcuni anni, dopo il crollo, nel 1991, della spietata dittatura comunista, è stato restaurato e si sta continuamente consolidando un nuovo regime totalitario”. Aggiungendo che si tratta di un regime totalitario il quale si sta consolidando in Albania ed “…è rappresentato, almeno istituzionalmente, proprio dal primo ministro, ma che in realtà si presenta e realmente è una pericolosa alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali e/o internazionali” (Un regime totalitario corrotto e malavitoso; 13 agosto 2022). In seguito nell’articolo egli analizzava per il nostro lettore perché il regime totalitario in Albania è anche corrotto e malavitoso. Perciò pericoloso. Sono delle ragioni più che sufficienti per essere seriamente preoccupati e non solo in Albania, ma anche in altri Paesi circostanti ed oltre, Italia compresa.

    L’Albania, dati e fatti alla mano, comprese le tante e ripetute conclusioni dei rapporti ufficiali delle istituzioni internazionali specializzate, non risulta essere un Paese democratico. In più, l’Albania non è un paese economicamente ed industrialmente sviluppato. In Albania, sempre riferendosi ai rapporti ufficiali delle istituzioni internazionali specializzate, risulta che la criminalità organizzata, in stretta collaborazione con il potere politico, sta controllando sempre più attività e traffici illeciti. Ragion per cui non dovrebbe esistere nessun serio, trasparente ed onesto motivo per il quale un cittadino di un altro Paese, compresi quelli democratici ed evoluti, dovrebbe comprare, investendo milioni, la cittadinanza albanese. Anzi, si potrebbe subito pensare e giustamente dubitare che una tale decisione dovrebbe avere un altro e ben diverso motivo: quello delle attività illecite da parte di tutti coloro che fanno richiesta di diventare cittadini albanesi, comprando quella cittadinanza con degli “investimenti milionari”.

    Ebbene la possibilità di comprare la cittadinanza albanese è ormai ufficialmente sancita e diventata realtà, dopo una decisione presa dal Consiglio dei ministri in Albania il 29 luglio scorso. Secondo quella decisione, entrata immediatamente in vigore e di solo due articoli, si permette di “definire un altro settore che si offre in concessione o nell’ambito del partenariato pubblico privato”. Una forma d’accordo quell’ultima con la quale stanno, da anni, abusando dei milioni della cosa pubblica in Albania. Anzi, dati e fatti accaduti, fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, risulterebbe che il partenariato pubblico privato rappresenti una ben ideata ed attuata possibilità di far uscire centinaia di milioni dalle case dello Stato. Milioni che poi si dividono, in maniera abusiva ed illecita, tra i più alti rappresentanti del potere politico ed istituzionale e gli “investitori” che si offrono di “gestire” quelle centinaia di miliardi. Non solo, ma gli “investitori che si “offrono”, sempre fatti accaduti alla mano, non di rado hanno registrato “l’impresa”, poco tempo prima dell’offerta fatta. In più, la formula applicata in Albania in questi ultimi anni del partenariato pubblico privato, permette agli “investitori” di usufruire del denaro pubblico, senza fare degli investimenti di tasca propria e senza prendere altre responsabilità, rischi compresi, come in tutti i contratti concessionari stipulati ed applicati in tanti altri Paesi, compresi quelli dell’Unione europea. Nel frattempo, le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia “stanno seriamente indagando” sulle denunce pubblicamente fatte ed ufficialmente depositate, senza però, guarda caso, arrivare mai ad una conclusione. In quanto alla sopracitata decisione, di soli due articoli, del 29 luglio scorso del Consiglio dei ministri in Albania, che permette il rilascio di quelli che vengono nominati, non solo in Albania, come i “passaporti d’oro”, si stabilisce che il Consiglio dei ministri ha deciso l’attuazione delle procedure della concessione/partenariato pubblico privato nel settore dei programmi della cittadinanza. Mentre il secondo articolo stabilisce che si incarica il ministero degli Interni ad attuare questa decisione. Tutto qui! Nessun’altra informazione resa pubblica. E nessuna dovuta trasparenza. Bisogna sottolineare che prima dell’entrata in vigore di questa decisione, le procedure per dare la cittadinanza albanese a dei cittadini di altri Paesi rappresentavano un lungo processo, coinvolgendo diverse istituzioni dello Stato. Alla fine tutto veniva ufficializzato da un decreto del Presidente della Repubblica. Mentre dal 29 luglio scorso saranno dei privati, albanesi e/o stranieri, in collaborazione con il ministero degli Interni, che decideranno se dare o meno la cittadinanza albanese a colui/colei che la richiede. C’è però anche un “piccolo” dettaglio. Tutto in cambio di ingenti somme di denaro da “investire” in Albania.

    La decisione del 29 luglio scorso per il rilascio della cittadinanza albanese tramite i cosiddetti “passaporti d’oro”, secondo il primo ministro albanese, fa parte delle agevolazioni nell’ambito del progetto della “cittadinanza per investire”. Un progetto accordato tre anni fa a Londra dal primo ministro albanese durante una riunione di tre giorni e organizzata da una ben nota società che fa l’intermediaria tra i cittadini milionari che vogliono un “passaporto d’oro” e il Paese che vende la cittadinanza. In quell’occasione il primo ministro albanese ha dichiarato convinto: “Credo fortemente che questo è il dovuto modo e che quello è ciò che noi faremmo”.

    Una simile decisione ha suscitato immediatamente la ferma reazione delle istituzioni dell’Unione europea, visto che l’Albania è un Paese candidato all’adesione nell’Unione. Nel maggio scorso il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sull’Albania. Nel punto 32 di quella risoluzione si sancisce che l’Albania non deve attuare lo schema della “Cittadinanza per investire” perché “…potrebbe rappresentare un serio pericolo per la sicurezza, il riciclaggio del denaro sporco, la corruzione e l’evasione fiscale”. Una reazione altrettanto dura è arrivata anche dalla Commissione europea, il 30 agosto scorso. La Commissione, che chiede all’Albania di rispettare gli acquis communautarie, considera la sopracitata decisione sui “passaporti d’oro” una “violazione delle normative dell’Unione europea”.

    Chi scrive queste righe anche in questo caso avrebbe molte altre cose da analizzare ed informare il nostro lettore sui clamorosi abusi che si stanno facendo in Albania con il denaro dei poveri cittadini. Egli è però convinto che il primo ministro ed i suoi, con le loro decisioni, stanno facendo dell’Albania un paradiso fiscale e nascondiglio per la criminalità organizzata. Madre Teresa diceva che “Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri”. Il primo ministro ne è una testimonianza. Lui, con il suo quotidiano operato, sta confermando anche la convinzione di Ettore Petrolini: “Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco ma sono in tanti”. Che Santa Madre Teresa preghi ed aiuti perciò i poveri albanesi che sono veramente tanti! E di non essere più offesi e derubati dal primo ministro e dai suoi, ma anche dai richiedenti i “passaporti d’oro”, che il primo ministro sta aspettando a braccia aperte.

  • Un regime totalitario corrotto e malavitoso

    Lo Stato totalitario è il risultato inevitabile della lenta disgregazione

    del concetto di giustizia nel mondo occidentale.

    Emil Brunner

    Un regime totalitario, in base a delle realtà storiche, soprattutto del secolo passato, si definisce generalmente come una forma di’organizzazione e funzionamento dello Stato caratterizzata da una totale concentrazione e controllo del potere da parte un partito, un gruppo ristretto di persone o da una sola persona. Un regime totalitario, sempre facendo riferimento alle note realtà storiche, analizzate, studiate e riferite dagli specialisti, si distingue dalle altre forme di organizzazione e di funzionamento dello Stato anche dalla continua messa in atto del controllo di tutto e tutti, negando e annientando i diritti e le libertà innate e quelle acquisite dell’essere umano. Si tratta di una definizione che non cambia, in principio, dalla definizione che gli studiosi danno alla dittatura. In entrambi i casi il potere si concentra e viene esercitato da una sola persona, il dittatore, l’autocrate, o da un ristretto gruppo di persone molto fedeli a lui. La storia, sia quella del secolo passato che di quello attuale, ci insegna però che alcuni regimi totalitari/dittature sono stati inizialmente costituiti in seguito a processi elettorali, che generalmente vengono considerati come processi che caratterizzano lo Stato democratico. Ma, dopo essere stati costituiti, i regimi totalitari/le dittature permettono ed organizzano solo dei “processi elettorali” di facciata, per dare una parvenza di normalità, lì dove la normalità non esiste, anzi! Si tratta perciò proprio di una ben ideata, organizzata ed attuata strategia di camuffamento della vera, vissuta e sofferta realtà che caratterizza i regimi totalitari/le dittature. Una strategia che usa come facciata anche l’esistenza di una Costituzione che consapevolmente però non viene mai rispettata. Oppure viene rispettata soltanto quando “giustifica” le decisioni prese dal regime totalitario/dittatura. La stessa strategia che prevede e usa come camuffamento anche l’esistenza formale dei tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario, senza però permettere la loro separazione e l’indipendenza reciproca. Poteri quelli previsti e funzionanti già nell’antichità, ma anche nel medioevo, adattandosi sempre alle specifiche condizioni storiche e sociali del periodo. La teoria della separazione dei poteri, così come viene applicata attualmente in tutti gli Stati realmente democratici, è stata analizzata, studiata, elaborata e proclamata da Montesquieu nel suo ben noto libro Spirito delle leggi (De l’esprit des lois; n.d.a.), pubblicato nel 1748. L’autore di questo libro era convinto che “Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere”. Perciò Montesquieu ribadiva che era indispensabile sia l’esistenza che la separazione dei tre poteri: il legislativo, l’esecutivo e quello giudiziario. E spiegava anche il perché. Secondo lui “In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi, per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati”. Montesquieu era convinto che “una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica”. L’autore di queste righe, informando il nostro lettore soprattutto della vera, vissuta e sofferta realtà albanese in questi ultimi anni, ha trattato spesso anche il pensiero di Montesquieu sulla separazione dei poteri.

    Quanto è accaduto e sta tuttora accadendo in Albania, anche in questi ultimissimi giorni, dati e fatti alla mano, dimostra e testimonia purtroppo che da alcuni anni, dopo il crollo, nel 1991, della spietata dittatura comunista, è stato restaurato e si sta continuamente consolidando un nuovo regime totalitario. Un regime che l’autore di queste righe considera come una nuova dittatura sui generis, camuffata da una parvenza di democrazia, classificata come “fragile” dalle istituzioni internazionali specializzate. Una nuova dittatura che fino a pochi mesi fa “beneficiava” anche di un’opposizione che serviva da “stampella” al primo ministro. Un regime totalitario questo che si sta consolidando in Albania, rappresentato, almeno istituzionalmente, proprio dal primo ministro, ma che in realtà si presenta e realmente è una pericolosa alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali e/o internazionali.

    Coloro che non conoscono bene la realtà albanese, giustamente e in un modo del tutto naturale, potrebbero fare la domanda: perché si tratta di un regime totalitario? La risposta è semplice. Perché in Albania ormai, dal 2013, il potere è stato sempre più concentrato e viene controllato ogni giorno che passa, da una sola persona, il primo ministro e/o da un gruppo ristretto di persone, che formalmente rappresentano anche un partito politico. Ma che più di un partito, è realmente un raggruppamento di persone unite non da un credo ed una ideologia politica, bensì degli interessi occulti. L’Albania ha, sì, anche una sua Costituzione, ma, fatti accaduti, documentati, pubblicamente noti ed ufficialmente denunciati alla mano, per il primo ministro la Costituzione è solo un documento che lui ignora quando gli interessa e fa riferimento solo per demagogia ed a scopi di propaganda. Non solo, ma proprio come diretta conseguenza del modo in cui il primo ministro ed i suoi “consiglieri speciali”, soprattutto quelli incaricati dalla “Società aperta” d’oltreoceano, hanno ideato, programmato ed attuato, da una decina di anni, la riforma del sistema della giustizia, in Albania non ha volutamente funzionato per alcuni anni neanche la Corte Costituzionale. Il nostro lettore è stato informato spesso di questo “dettaglio”, le cui conseguenze sono state e risultano tuttora essere, dati e fatti alla mano, preoccupanti e dannose. Così come il nostro lettore è stato informato continuamente e con la necessaria e dovuta oggettività anche del controllo personale del primo ministro e/o di chi per lui delle nuove istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. In seguito il nostro lettore avrà modo di conoscere altri fatti che confermano “l’ubbidienza” di quelle istituzioni agli ordini e alla volontà personale del primo ministro. E siccome lui controlla anche la maggioranza necessaria del Parlamento, perciò controlla anche il legislativo, allora il primo ministro controlla tutti e tre i poteri previsti e descritti da Montesquieu. Poteri che purtroppo, invece di essere separati ed indipendenti, in Albania sono controllati ed ubbidiscono ad una sola persona: al primo ministro. Lui personalmente e/o tramite chi per lui, controlla anche la maggior parte dei media, soprattutto quelli a diffusione nazionale, grazie a dei “rapporti clientelistici preferenziali” con i loro proprietari. Un quarto potere, quello dei media, che non esisteva quando visse Montesquieu. Ed in più, come il nostro lettore è stato informato, dal 24 luglio scorso, tutto fa pensare che il primo ministro controlli alla fine anche l’istituzione della Presidenza della Repubblica. Raggiungendo così un ambito obiettivo posto da lui da alcuni anni. Allora se non è questo, restaurato da alcuni anni in Albania, un regime totalitario, una dittatura camuffata, come si potrebbe definire?! La risposta l’ha data Montesquieu già nel 1748, nel suo libro Spirito delle leggi, affermando convinto che “una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica”. E si sa, come la storia ci insegna, che la tirannia, il regime totalitario e la dittatura, in pratica, sono la stessa cosa.

    Coloro che non conoscono bene la realtà albanese, giustamente e in un modo del tutto naturale, potrebbero fare la domanda: perché si tratta di un regime totalitario che è anche corrotto? Ci sono innumerevoli dati e fatti accaduti quasi quotidianamente negli ultimi anni, almeno quegli pubblicamente noti ed istituzionalmente denunciati, che confermano la corruzione ben radicata in Albania. Sarebbero bastati anche una minima, ma veramente minima parte di quei dati e fatti per far cadere il governo. Si, ma in un Paese democratico però, non in Albania. Per rispondere alla domanda e confermare la corruzione diffusa in tutti i livelli istituzionali, l’autore di queste righe si riferisce allo scandalo degli inceneritori. Si tratta di uno scandalo, e di alcune persone molto altolocate coinvolte, del quale in nostro lettore è stato informato in questi ultimi mesi e anche tre settimane fa (Misere bugie ed ingannevoli messinscene che accusano, 4 aprile 2022; A ciascuno secondo le proprie responsabilità, 26 aprile 2022; Diaboliche alleanze tra simili corrotti, 9 maggio 2022; Da quale pulpito arrivano quelle minacciose prediche, 16 maggio 2022; Corruzione scandalosa e clamoroso abuso di potere, 19 luglio 2022). Un clamoroso scandalo quello dei tre inceneritori che rappresenta un’inconfutabile dimostrazione e testimonianza della galoppante, radicale e gerarchicamente diffusa corruzione in Albania. Ma, allo stesso tempo, rappresenta anche una significativa dimostrazione e testimonianza del controllo, da parte del primo ministro e/o da chi per lui, del sistema “riformato” della giustizia e delle sue “efficienti istituzioni”. Si tratta di uno scandalo nel quale, dati e fatti che ogni giorno diventano sempre più numerosi ed inconfutabili, dati e fatti pubblicamente noti ed ufficialmente denunciati alla mano, risulterebbero essere coinvolti lo stesso primo ministro, alcuni attuali ministri ed ex ministri, il segretario generale del Consiglio dei ministri, il sindaco della capitale ed altri alti funzionari delle istituzioni governative e delle amministrazioni locali. Si tratta di uno scandalo che dimostra come si possono ingoiare centinaia di milioni di euro per degli inceneritori inesistenti, non funzionanti, ma che si pagano con i soldi pubblici come se fossero operativi. Si tratta di uno scandalo che, oltre a centinaia di milioni di euro dei soldi degli albanesi, sta inghiottendo anche finanziamenti dell’Unione europea. Ma si tratta però anche di un clamoroso scandalo che, nonostante le denunce depositate presso la Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, una nuova istituzione del sistema “riformato” della giustizia, una procura speciale, non vi è stata nessuna reazione da parte di questa Struttura speciale. Chissà perché?! In realtà si sa perché. E lo sanno in tanti ormai in Albania. Gli unici che “non sanno, non vedono, non sentono e non capiscono niente” sono i soliti “rappresentanti internazionali” in Albania. Proprio quelli che da anni “applaudono i risultati straordinari” della riforma del sistema di giustizia in Albania, grazie anche allo “straordinario, valoroso e dedicato lavoro” delle nuove istituzioni del sistema. La Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata compresa!

    Coloro che non conoscono bene la realtà albanese, giustamente e in un modo del tutto naturale, potrebbero fare la domanda: perché si tratta di un regime totalitario corrotto e anche malavitoso? La riposte è semplice. Basta fare riferimento ai rapporti ufficiali, degli ultimi anni, delle istituzioni specializzate internazionali che trattano la criminalità organizzata in Albania. Oppure basta fare riferimento a delle inchieste svolte da alcune procure in Italia, ormai rese pubbliche. Risulterebbe che la particolarità del regime dittatoriale albanese è che si presenta come un’alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti. Più chiaro di così!

    Chi scrive queste righe potrebbe riempire molte altre pagine su questo argomento, ma per questa volta si fermerà qui. Però, oltre alle responsabilità dirette del primo ministro e dei suoi “fedelissimi” sulla grave situazione in Albania, una grande responsabilità la hanno anche i soliti “rappresentanti internazionali”. Ma anche alcuni “grandi del mondo” che per delle “ragioni geopolitiche” chiudono un occhio e permettono il consolidamento di un regime totalitario corrotto e malavitoso in Albania. Chi scrive queste righe condivide la convinzione di Emil Brunner che lo Stato totalitario è il risultato inevitabile della lenta disgregazione del concetto di giustizia nel mondo occidentale. Egli, riferendosi all’indifferenza di alcuni “grandi del mondo”, perifrasa quanto scriveva A.J. Cronin in un suo noto romanzo. E cioè che le stelle, lontane e fredde stanno a guardare…

  • Lobbismo occulto a sostegno di autocrati in difficoltà

    I lobbisti sono i nuovi dittatori

    Gabriel Byrne

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato dall’autore di queste righe, tra l’altro, anche di una decisione presa dall’Home Office (il ministero degli Interni britannico; n.d.a.). Una decisione, quella, resa nota in Albania dal diretto interessato il 22 luglio scorso durante un conferenza stampa. Una decisione che dichiarava “persona non gradita ad entrate nel territorio del Regno Unito” l’ex presidente della Repubblica (1992-1997), allo stesso tempo ex primo ministro (2005-2013) e attuale dirigente del ricostituito partito democratico, il maggior partito di opposizione in Albania. Lui è anche il capo storico e uno dei fondatori, nel 1990, del partito. Ed è proprio questa “persona non gradita” che, fatti accaduti e che stanno accadendo in Albania anche in queste ultime settimane alla mano, rappresenta il più temibile avversario politico per il primo ministro, diventando anche il suo incubo continuo, avendo il primo ministro, da anni ormai, “beneficiato di una opposizione comoda” e soprattutto di un dirigente dell’opposizione, una sua “stampella” da anni, che in cambio dei “servizi resi” otteneva delle ricompense cospicue, avendo trasformato il partito in una impresa famigliare molto remunerativa. Ma dal settembre scorso la posizione della “stampella” del primo ministro ha cominciato a traballare, proprio in seguito al ritorno molto attivo nelle vita politica della “persona non gradita”. E cominciarono ad aumentare i “grattacapi” anche per il primo ministro.

    La scorsa settimana l’autore di queste righe informava il nostro lettore che “…Dopo essere stato dichiarato persona “non gradita” il 19 maggio 2021 dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, senza dare nessuna informazione concreta, chiesta ufficialmente da alcuni membri del Congresso, sulla quale si basava una simile decisione, la settimana scorsa la stessa decisione è stata presa dall’Home Office…”. Specificando però che “Nel caso degli Stati Uniti l’ex primo ministro ha ormai denunciato il Segretario di Stato per calunnia”. Il nostro lettore è stato informato l’anno scorso di tutto ciò e anche del fatto che il Dipartimento di Stato statunitense aveva affermato ufficialmente che la sua decisione era stata presa in base a delle informazioni mediatiche, dei rapporti delle organizzazioni non governative e dallo stesso governo albanese. Bisogna però specificare e sottolineare che la maggior parte delle organizzazioni non governative in Albania sono controllate, “stranamente”, proprio dal governo e/o dalle Open Society Foundations (Fondazioni della Società Aperta; n.d.a.) costituite nel 1993 dal multimiliardario e speculatore di borsa statunitense George Soros, attive ormai in molti Paesi del mondo, Albania compresa. E siccome anche i proprietari dei media, nella loro maggior parte, sono in “buoni rapporti clientelistici” con il primo ministro e/o con chi per lui, allora non dovrebbe essere difficile capire su quali fondamenta documentarie è stata basata la decisione del Dipartimento di Stato statunitense per dichiarare “persona non gradita” l’ex primo ministro e attuale dirigente del maggior partito dell’opposizione albanese (Eclatanti e preoccupanti incoerenze istituzionali, 24 maggio 2021; Irritante manipolazione della realtà, 7 giugno 2021). La scorsa settimana l’autore di queste righe, riferendosi alla sopracitata decisione dell’Home Office, informava, altresì, il nostro lettore che “…tutto fa pensare a delle messinscene e collaborazioni occulte al sostegno di un autocrate. Di colui che è fiero di avere come “amico” George Soros e come suoi consiglieri ben pagati Tony Blair e sua moglie”. E poi egli concludeva, esprimendo la sua convinzione che “…la dichiarazione di persona “non gradita” dell’ex primo ministro è la solita messinscena ben ricompensata (Messinscene e collaborazioni occulte a sostegno di un autocrate; 26 luglio 2022).

    Le due accuse, il base alle quali è stata presa dall’Home Office la decisione nei confronti dell’ex primo ministro albanese, le ha rese note lui stesso durante una conferenza stampa il 22 luglio scorso. La prima si riferiva a dei “legami con dei gruppi della criminalità organizzata e dei criminali, che hanno rappresentato un pericolo per la sicurezza pubblica in Albania e nel Regno Unito” e che lui, il diretto interessato, poteva essere “pronto ad usare questi legami per avanzare le sue ambizioni politiche”. Chi conosce la vera e vissuta realtà albanese, comprese anche le istituzioni specializzate internazionali, dovrebbe sapere che anche nel territorio del Regno Unito, come in molti altri Paesi, non solo europei, la criminalità organizzata rappresenta una crescente preoccupazione e un pericolo. Ma chi conosce la realtà albanese, compresi anche i servizi segreti di Sua Maestà, dovrebbe sapere che sono altre le persone che hanno degli attivi rapporti con la criminalità organizzata. E sono persone molto altolocate nella gerarchia del potere politico albanese. Anche perché la nuova dittatura sui generis, restaurata da alcuni anni in Albania, si presenta come un’alleanza, istituzionalmente rappresentata dal primo ministro, tra il potere politico, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali. Accusare ora l’ex primo ministro, il quale dal 2013 non ha esercitato nessun potere esecutivo, che poteva mantenere, nel caso ci fossero, e/o stabilire in seguito, dei legami con la criminalità organizzata sembra un po’ “strano”. Soprattutto in un Paese con una lunga e stimata esperienza e tradizione giuridica, come il Regno Unito. Bisogna sottolineare che il Regno Unito per tanti anni è stato un “territorio ben accogliente” per molti oligarchi, compresi quelli russi, per molte persone arricchite dalla corruzione e dall’abuso del potere, per molte persone con delle enormi ricchezze di “origine incerta” e con dei problemi finanziari non facilmente trascurabili. Ma anche per persone accusate di gravi violazioni dei diritti umani nei loro rispettivi Paesi. Negli ultimi mesi sono state prese delle misure restrittive soltanto per alcuni oligarchi russi, in seguito alle sanzioni poste alla Russia, dopo l’invasione miliare dell’Ucraina il 24 febbraio scorso. Mentre per tutti gli altri, tanti altri, niente; nessuna misura restrittiva. Allora viene naturale la domanda: come mai, proprio adesso e in un periodo difficile per il governo britannico, dopo la dimissione del primo ministro e di molti altri ministri, in attesa dell’elezione del nuovo primo ministro, soltanto l’ex primo ministro albanese è stato dichiarato “persona non gradita” per il Regno Unito? Lui, viene adesso accusato dall’Home Office anche di corruzione dovuta ai rapporti con un cittadino britannico che, secondo l’altra accusa, la seconda, l’ex primo ministro “aveva difeso quando contro di lui [del cittadino britannico] sono state pubblicate delle prove incriminanti”. Un’accusa questa veramente “strana”, fatta da un’importante istituzione britannica com’è l’Home Office. Si, perché la stessa persona, il cittadino britannico, non è stato mai accusato dalle istituzioni del sistema di giustizia del Regno Unito, né di corruzione e neanche di una qualsiasi altra accusa. In più, lo stesso cittadino britannico, il quale ha beneficiato della “difesa” dell’ex primo ministro albanese, quando “contro di lui [del cittadino britannico] sono state pubblicate delle prove incriminanti”, non è stato trovato colpevole neanche dal sistema “riformato” della giustizia albanese. Anzi, risulta essere talmente in regola con la giustizia albanese che da anni lui, il cittadino britannico, beneficia di un ottimo rapporto imprenditoriale con il governo albanese avendo vinto diversi appalti milionari. In più risulterebbe che lui accompagna l’attuale primo ministro in alcune delle sue visite ufficiali. Almeno in un caso è stata documentata la sua presenza. E si trattava di una visita fatta nella capitale degli Stati Uniti d’America nel febbraio 2020. Chissà perché?! E come mai la stessa persona diventa un “rilevante ed importante elemento accusatorio” che ha determinato la dichiarazione di “persona non gradita ad entrare nel territorio del Regno Unito” per l’ex primo ministro albanese, l’attuale dirigente del ricostituito maggior partito dell’opposizione albanese?! Proprio lui che risulta essere il più temibile avversario politico dell’attuale primo ministro ed il suo incubo continuo. Chissà perché?!

    Ci sarebbero dei “buoni e ragionevoli motivi” che hanno fatto “muovere” sia il Dipartimento di Stato statunitense, nel maggio 2021, che l’Home Office britannico una decina di giorni fa, per dichiarare “persona non gradita” ad entrare nei rispettivi territori l’ex primo ministro albanese e attuale dirigente del ricostituito partito democratico, il maggior partito di opposizione. Così come ci sono anche delle plausibili e ragionevoli spiegazioni di quanto è accaduto. Alla base di tutto ciò sembrerebbe esserci proprio il sostegno che bisogna dare all’attuale primo ministro albanese per mantenere solida la sua posizione, permettendo così di controllare, tramite lui, non solo il territorio albanese per degli “interessi” di certe combriccole occulte internazionali, ma anche di sostenere quegli interessi a livello regionale. L’iniziativa Open Balkans rappresenta, tra diverse altre, una di quelle “scelte strategiche” di quei raggruppamenti occulti, che sono anche dei forti e ben organizzati, a livello internazionale, raggruppamenti lobbistici. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito, anche alcuni mesi fa, di questa preoccupante iniziativa. Fatti accaduti e documentati alla mano, risulterebbe che quei raggruppamenti riescono ad influenzare non solo le “scelte politiche” in singoli piccoli Paesi in Asia, Africa ed altrove, ma, addirittura, riescono a influenzare e condizionare anche le scelte decisionali delle istituzioni più importanti internazionali, Organizzazione delle Nazioni Unite e dell’Unione europea comprese. Così come potrebbero anche influenzare le decisioni delle istituzioni governative di determinati Paesi evoluti occidentali. Il caso della dichiarazione di “persona non gradita” dell’ex primo ministro albanese né è solo uno.

    L’attuale primo ministro si vanta essere amico di George Soros, multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Di colui che nel Regno Unito, ma anche in Italia, si ricorda per quello che ormai è noto come “il mercoledì nero delle borse”. Di quel mercoledì, 16 settembre 1992, quando sia la sterlina britannica che la lira italiana, uscirono dal Sistema Monetario europeo, come conseguenza diretta delle speculazioni monetarie di George Soros. Ebbene, nel settembre scorso, durante una sua visita a New York, dopo un “incontro amichevole e di lavoro” con Soros, il primo ministro albanese dichiarava che lui “è mio amico e sono fiero che sia mio amico”! Lui, George Soros, che per il primo ministro albanese è “una mente rara ed un sostenitore irremovibile della Società aperta”. Ma non è soltanto George Soros un suo “amico”. Dal 2013 si è saputo, almeno in pubblico, che un altro suo “caro amico” e “importantissimo consigliere speciale” è, guarda caso, anche Tony Blair, l’ex primo ministro britannico. Proprio lui che il 4 ottobre 2013, pochissime settimane dopo la costituzione del primo governo capeggiato dall’attuale primo ministro albanese, era seduto al centro del tavolo del Consiglio dei ministri e presiedeva la riunione. E durante quella riunione, Blair dichiarava: “Vi sto dando i primi consigli per avere un governo che possa raggiungere più successi possibili.”! Ed i “successi” consigliati da Tony Blair e da sua moglie, anche lei “consigliere speciale” del primo ministro albanese, sono ormai noti a tutti. Così come sono note e purtroppo quotidianamente sofferte dagli albanesi le dirette conseguenze di quei consigli.

    Ma le conseguenze dei “valorosi ed innovativi” consigli si George Soros e di Tony Blair sono noti e quotidianamente sofferti anche in altri Paesi del mondo. Quanto è successo in Guinea, una decina di anni fa, dopo le congiunte attività lobbistiche occulte di George Soros e di Tony Blair, ormai sono di dominio pubblico. Così come sono note e sofferte quelle attività lobbistiche comuni, sempre di George Soros e di Tony Blair, anche in Sri Lanka. Quanto è accaduto lì durante questi ultimi anni rappresenta un’eloquente ed inconfutabile testimonianza.

    Chi scrive queste righe considera molto dannoso e con delle gravi conseguenze il lobbismo occulto a sostegno di certi autocrati in difficoltà. Come il primo ministro albanese, ma non solo. Ed egli condivide l’opinione che i lobbisti sono e/o rappresentano i nuovi dittatori. La storia ci insegna.

  • Messinscene e collaborazioni occulte a sostegno di un autocrate

    Ci sono molte persone nel mondo, ma ci sono ancora più volti, perché ognuno ne ha diversi.

    Rainer Maria Rilke

    Il 22 luglio scorso, in un sontuoso palazzo ad Istanbul, è stato firmato l’accordo tra la Russia e l’Ucraina sull’esportazione del grano ucraino dal porto di Odessa e altri due circostanti. L’accordo prevede lo sblocco dell’esportazione di circa 25 milioni di tonnellate di grano ucraino ed è stato sottoscritto dal ministro della Difesa russo e dal ministro delle Infrastrutture ucraino. Ma lo hanno fatto separatamente: una significativa testimonianza quella dei grandi disaccordi tuttora presenti tra le due parti coinvolte in un sanguinoso conflitto militare dal 24 febbraio scorso. Durante la sottoscrizione dell’accordo erano presenti l’anfitrione, il presidente turco e il Segretario Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), come garanti dell’accordo. Ebbene, proprio un giorno dopo il porto di Odessa, da dove dovevano partire le navi con il grano, è stato bombardato con dei missili russi! Immediate sono state le dure reazioni da parte dei massimi rappresentanti istituzionali dell’Ucraina e dell’ONU, nonché dei singoli Paesi occidentali che hanno condannato la violazione dell’accordo. Mentre da parte della Russia nessun commento sull’attacco. Ma loro hanno comunque negato ogni loro diretto coinvolgimento. Lo ha confermato il ministro turco della Difesa tramite una dichiarazione pubblica. Il ministro turco ha affermato che “…Nel nostro contatto con la Russia, i russi ci hanno detto che non avevano assolutamente nulla a che fare con questo attacco e che stavano esaminando la questione molto da vicino e in dettaglio”. Ed era un esame cosi “molto da vicino e in dettaglio”, mentre da tutte le parti la Russia veniva accusata della violazione unilaterale e irresponsabile dell’accordo che, neanche un giorno dopo, la Russia è stata costretta ad ammettere proprio quello che avevano negato prima. E cioè è stato affermato, tramite i portavoce del ministero degli Esteri e della Difesa, che l’attacco missilistico da parte delle forze armate russe c’è stato, ma non contro i depositi di grano, bensì contro delle infrastrutture miliari ucraine sul porto di Odessa! Bella scusa, che invece accusa. Accusa proprio la consapevole negazione dell’attacco missilistico sul porto di Odessa, intenzionalmente e come al solito fatta dalle istituzioni della Federazione russa domenica 24 luglio. Lo stesso giorno dal Cairo, dove ha partecipato ad un incontro degli ambasciatori della Lega Araba in Egitto, il ministro degli Esteri russo, nonostante un giorno prima la Russia negava del tutto un attacco missilistico sol porto di Odessa, ha garantito che “…la Russia manterrà i suoi impegni sull’export di cereali a prescindere dalla revoca o meno delle restrizioni applicate a Mosca.. Trasmettendo così un messaggio “tra le righe”, secondo il quale l’accordo sull’esportazione del grano continuerà, ma i Paesi occidentali “devono rimuovere gli ostacoli che si sono creati da soli”, riferendosi così alle sanzioni poste.

    Ovviamente e giustamente quanto sta accadendo in Ucraina dal 24 febbraio scorso, sta attirando tutta la dovuta multidimensionale attenzione pubblica ed istituzionale a livello internazionale. Ed è giusto che sia così. Ovviamente però che quello che sta accadendo in Ucraina durante questi mesi, come ci insegna la “logica della ragionevolezza e dell’oggettività”, non si può paragonare alle “faccende di casa” di qualsiasi singolo Paese sempre durante questi mesi, compresa l’Albania. Di certo però che il simbolismo di quello che è successo dopo la firma del accordo sull’esportazione del grano, prima con la negazione dell’attacco missilistico da parte della Russia, poi, in meno di un giorno, con l’affermazione dell’attacco, ma non degli obiettivi bombardati, potrebbe adattarsi benissimo all’atteggiamento del tutto non affidabile, menzognero e truffaldino del primo ministro albanese. Come in tanti casi di accordi ufficialmente presi e firmati, in presenza dei “garanti internazionali” e poi ignorati, cambiati a suo piacimento e finalmente approvati in parlamento con i voti della sola maggioranza governativa. Sono molto significativi, come dimostrazione, due tra tanti casi. Quello delle votazioni, a settembre 2016, delle leggi base per sostenere gli emendamenti costituzionali della riforma di giustizia, che hanno violato palesemente il consenso raggiunto tra tutte le parti e confermato con tutti i voti del parlamento soltanto due mesi fa, il 17 luglio 2016. Ma anche il caso delle leggi in sostegno dell’accordo sulla riforma elettorale, raggiunto tra le parti il 5 giugno 2020 e poi violato con i voti della maggioranza governativa e di alcuni deputati “dell’opposizione di facciata” il 5 ottobre 2020. E tutto ciò è stato voluto ed ordinato direttamente dal primo ministro e/o da chi per lui. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito e a più riprese sia del caso delle leggi della “riforma” del sistema di giustizia, che di quelle della riforma elettorale. Il primo ministro, fatti accaduti e che stanno accadendo, fatti ampiamente documentati, fatti pubblicamente noti ed ufficialmente denunciati e depositati alla mano, risulta essere un bugiardo, un ingannatore innato e del tutto inaffidabile. La sua inaffidabilità ha tanti elementi in comune, come ci insegna anche la “logica della ragionevole ed oggettiva proporzionalità”, con l’inaffidabilità del dittatore russo e/o di chi vicino a lui, che hanno messo in atto quanto è accaduto tra il 22 e il 24 luglio scorso con l’accordo del grano.

    Domenica scorsa, il 24 luglio, in Albania è stato messo in atto un ulteriore, pericoloso e preoccupante passo verso il consolidamento della dittatura sui generis. Una dittatura, questa, camuffata soltanto da una facciata pluralistica, che si sta restaurando da alcuni anni in Albania. Una dittatura sulla quale il nostro lettore da anni è stato informato e si sta di continuo informando oggettivamente, dati e fatti alla mano, dall’autore di queste righe. Il 24 luglio scorso in Albania si è svolta la cerimonia dell’insediamento del nuovo Presidente della Repubblica. La sua elezione, il 4 giugno scorso, con solo 78 voti, uno in più da quelli controllati con mano di ferro dal primo ministro, ha testimoniato il necessario appoggio che doveva avere una persona “sopra le parti”, come è stato descritto dal primo ministro il nuovo Presidente della Repubblica. Il nostro lettore è stato informato di questa elezione del 4 giugno scorso. L’autore di queste righe scriveva che si è trattato di “un’elezione basata sul nome risultato dalle ‘proposte chiuse in una busta’ dei deputati della maggioranza. Una scelta “affidata” dal primo ministro ai suoi ubbidienti deputati, ma che in realtà era esclusivamente una scelta sua. E non poteva essere diversamente. L’incognita riguardava solo il nome. Ma l’identikit della candidatura era ben chiaramente disegnato. E prima di tutto doveva avere la fiducia del primo ministro e doveva ubbidire a lui. Anche perché ci sono delle “sfide” da affrontare nel prossimo futuro”. E poi aggiungeva: “Le cattive lingue stanno parlando e dicendo tante cose durante questi ultimissimi giorni sull’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Ma anche di lui stesso, di certi suoi “problemi” con la giustizia e dell’“appoggio” arrivato per la sua selezione ed elezione da oltreoceano. Hanno parlato del “linguaggio del corpo” che, secondo gli specialisti, fanno del nuovo presidente una persona molto riconoscente al primo ministro e che, perciò, potrebbe essergli anche molto ubbidiente”. (Vergognosa, arrogante e sprezzante ipocrisia dittatoriale in azione; 8 giugno 2022). Con l’insediamento del nuovo Presidente della Repubblica, il 24 luglio scorso in Albania il primo ministro sembrerebbe sia riuscito finalmente a controllare anche l’ultima istituzione rimasta fuori dalle sue “dirette influenze”; quella della Presidenza della Repubblica. Un obiettivo tanto ambito e finalmente raggiunto. Una soddisfazione per il primo ministro, ma anche per altri suoi simili nei Paesi vicini e con i quali il primo ministro albanese è in “ottimi rapporti di amicizia”. Sono alcuni accordi internazionali che adesso potrebbero andare avanti senza difficoltà. Uno dei quali è quello con la Grecia e riguarda le aree marine nel mar Ionio, come ha espressamente auspicato il ministro degli Esteri greco pochi mesi fa, riferendosi proprio all’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Chissà perché?! Ebbene, durante il suo primo discorso da Presidente della Repubblica, niente è stato detto sui reali e drammatici problemi che da anni stanno affrontando gli albanesi, compresa la diffusa povertà, la criminalità organizzata, la galoppante corruzione e tanti altri. Niente è stato detto del pauroso e preoccupante spopolamento del paese. Niente è stato detto anche della politica estera dell’Albania e i rapporti con i Paesi vicini. Niente di tutto ciò. Chissà perché?! Le cattive lingue, durante queste ultime ore, stanno dicendo convinte che il discorso letto dal presidente della Repubblica durante la cerimonia del suo insediamento è stato scritto da un “opinionista”, un convinto sostenitore delle “politiche” del primo ministro albanese. E si sa ormai, le cattive lingue in Albania difficilmente sbagliano.

    La scorsa settimana l’opinione pubblica albanese è stata informata della dichiarazione come persona “non gradita” dell’ex presidente della Repubblica (1992-1997), allo stesso tempo ex primo ministro (2005-2013) e attuale dirigente del ricostituito partito democratico, il maggior partito dell’opposizione in Albania. Lo ha reso noto venerdì scorso, 22 luglio, il diretto interessato durante una conferenza stampa. Dopo essere stato dichiarato persona “non gradita” il 19 maggio 2021 dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, senza dare nessuna informazione concreta, chiesta ufficialmente da alcuni membri del Congresso, sulla quale si basava una simile decisione, la settimana scorsa la stessa decisione è stata presa dal Home Office (ministero degli Interni; n.d.a.) e sottoscritta dal segretario di Stato per gli affari interni del Regno Unito. Ma in questo caso almeno, come ha detto il diretto interessato, si faceva riferimento a due accuse. Una, generica, riguardava i “legami con dei gruppi della criminalità organizzata e dei criminali, che hanno rappresentato un pericolo per la sicurezza pubblica in Albania e nel Regno Unito” e che lui, il diretto interessato, poteva essere “pronto ad usare questi legami per avanzare le sue ambizioni politiche”. L’altra accusa riguardava quella di corruzione dovuta ai rapporti con un cittadino britannico che, secondo l’accusa, l’ex primo ministro “aveva difeso quando contro di lui [del cittadino britannico] sono state pubblicate delle prove incriminanti”. Nel caso degli Stati Uniti l’ex primo ministro ha ormai denunciato il Segretario di Stato statunitense per calunnia. Il nostro lettore è stato informati di questa vicenda a tempo debito (Eclatanti e preoccupanti incoerenze istituzionali, 24 maggio 2021; Irritante manipolazione della realtà, 7 giugno 2021). Mentre il caso reso noto la scorsa settimana è ancora in corso. Ma venerdì scorso, durante la sua conferenza stampa il diretto interessato, l’ex primo ministro e attuale dirigente del ricostituito partito democratico albanese ha trattato in dettagli le due accuse fatte nei suoi confronti dal Home Office, dando anche le sue spiegazioni sulla falsità di simili accuse. Allo stesso tempo, come aveva fatto anche con il Dipartimento di Stato, ha chiesto, sfidando Home Office a rendere pubblica almeno una prova concreta in sostegno delle accuse fatte. E se non potevano far pubbliche delle prove, di consegnare quelle prove, se vi fossero, presso le istituzioni della giustizia in Albania. Tutto rimane da seguire.

    Nel frattempo però l’attuale dirigente del ricostituito partito democratico rappresenta l’unica sola preoccupazione seria per il primo ministro. Lo sta dimostrando spesso lui, nolens volens¸ in queste ultime settimane. Soprattutto dopo la massiccia protesta del 7 luglio scorso, della quale il nostro lettore è stato ormai informato (La ribellione contro le dittature è un sacrosanto diritto e dovere; 12 luglio 2022). Riferendosi alla sopracitata decisione del Home Office, tutto fa pensare a delle messinscene e collaborazioni occulte al sostegno di un autocrate. Di colui che è fiero di avere come “amico” George Soros e come suoi consiglieri ben pagati Tony Blair e sua moglie.

    Chi scrive queste righe è convinto che la dichiarazione di persona “non gradita” dell’ex primo ministro è la solita messinscena ben ricompensata. Il tempo, quel gentiluomo, lo dimostrerà. Come ha dimostrato che ci sono molte persone nel mondo, ma ci sono ancora più volti, perché ognuno ne ha diversi.

  • Corruzione scandalosa e clamoroso abuso di potere

    Quello che c’è di scandaloso nello scandalo è che ci vi si abitua.

    Simone de Beauvoir

    Sir John Emerich Edward Dalberg-Acton, conosciuto però meglio come Lord Acton, è stato un noto storico e politico britannico del XIX secolo. Grazie alle sue capacità, alla sua formazione scolastica al St. Mary’s College, noto seminario cattolico, nonché alla sua propensione per la storia, essendo anche un poliglotta, si distinse soprattutto come un rispettato sostenitore del cattolicesimo liberale. Con i suoi articoli e le sue lettere, pubblicate su The Times, Lord Acton prese parte al dibattito sui rapporti tra la Chiesa cattolica e il liberalismo. Si distinse molto anche durante la crisi in cui si trovò la Chiesa in seguito al sostegno che il Papa Pio IX diede al dogma dell’infallibilità papale, schierandosi pubblicamente contro quella decisione. Tra le tante sue pubblicazioni è nota anche una lettera che Lord Acton scrisse al noto storico Mandell Creighton il 5 aprile 1887. Creighton era un eminente professore di storia ecclesiastica all’Università di Cambridge e Canonico di Windsor. Quella lettera era parte di un lungo scambio di opinioni tra Lord Acton e Mandell Creighton, il quale era propenso però a un relativismo morale acritico nel riguardo delle alte autorità della Chiesa Cattolica arrivando fino al punto di sostenere che bisognava “chiudere un occhio” sulla corruzione e/o sugli abusi dei papi e di altri, mentre Lord Acton è stato sempre molto critico rispetto alla corruzione e agli abusi di chiunque fosse, papi compresi. Riferendosi all’Inquisizione e alle sue drammatiche e crudeli ripercussioni, ma soprattutto al ruolo dei papi e delle alte autorità ecclesiastiche, Lord Acton scriveva al professor Creighton: “…Questi uomini istituirono un sistema di persecuzione, con un tribunale speciale, funzionari speciali, leggi speciali. […] Hanno inflitto, per quanto potevano, pene di morte e dannazione a tutti coloro che vi si opponevano”. E poi proseguiva, scrivendo “…quello che mi stupisce e mi disabilita è che tu parli del Papato non come se esercitasse una giusta severità, ma come se non esercitasse alcuna severità […], ma ignori, neghi anche, almeno implicitamente, l’esistenza della camera di tortura e del rogo”. In seguito Lord Acton esprimeva il suo fermo convincimento, il quale ormai, anche dopo più di un secolo, rimane molto attuale e significativo. Lord Acton scriveva: “…Il potere tende a corrompere e il potere assoluto corrompe assolutamente. I grandi sono quasi sempre uomini cattivi, anche quando esercitano influenza e non autorità: ancor di più quando si aggiunge la tendenza o la certezza della corruzione per autorità. Non c’è eresia peggiore di quella che l’ufficio santifichi il detentore di esso”. Una convinzione, quella di Lord Acton, tuttora attuale e che rapporta il comportamento dei “grandi”, di quegli che esercitano poteri istituzionali nel mondo di oggi e che non sono più i papi ai quali si riferiva il noto storico britannico nella sua lettera del 5 aprile 1887 inviata a Mandell Creighton.

    La scorsa settimana è stato pubblicato il rapporto dell’Eurostat sulla corruzione in Europa, che si riferiva al periodo 2015-2021. L’analisi prendeva in considerazione non solo i dati riguardanti i Paesi europei, ma anche una combinazione delle inchieste e le valutazioni sulla corruzione basati su 13 fonti diverse. Ebbene, da quel rapporto l’Albania e la Russia risultavano essere i due Paesi con gli indici di corruzione maggiormente peggiorati in Europa. Dai risultati di quel rapporto risultava che l’Albania e la Russia erano i due Paesi con la più alta percezione sulla diffusione della corruzione nel sistema pubblico. In più risultava che l’Albania aveva avuto un peggioramento dell’indice della corruzione anche in riferimento a se stessa durante il periodo 2015-2021. Ma nel rapporto si evidenziava che i sistemi efficaci della giustizia rappresentano una precondizione nella lotta contro la corruzione. Dal rapporto risultava che la corruzione causa, oltre al grande danno finanziario, anche un danno sociale, legato soprattutto al reale rafforzamento delle attività della criminalità organizzata. Il rapporto dell’Eurostat evidenziava la stretta correlazione tra l’indice della corruzione e la percezione dell’indipendenza del sistema della giustizia. L’Albania rappresenta un significativo esempio, che testimonia come nei Paesi con un sistema di giustizia non indipendente, se non addirittura controllato, la diffusione della corruzione è molto alta.

    Se si trattasse semplicemente della sceneggiatura di un film sull’evasione fiscale, sulle attività illecite o temi del genere, tutti sarebbero stati concordi che all’autore non mancavano una spiccata immaginazione e una spinta di fantasia. Ma in realtà non si tratta per niente della sceneggiatura di un film. Si tratta, invece, di un clamoroso scandalo corruttivo realmente accaduto in Albania. Di uno scandalo convintamente documentato ed ufficialmente denunciato, da alcuni anni e a più riprese, presso le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. Si tratta di uno scandalo che, nel caso fosse stato verificato, anche in minima parte, in un normale Paese dove funziona il sistema della giustizia, e cioè uno dei tre poteri indipendenti di uno Stato democratico, avrebbe causato non solo l’immediata caduta del governo centrale e di alcune amministrazioni locali, ma anche una vasta inchiesta giudiziaria per consegnare alla giustizia tutte le persone coinvolte, nessuna esclusa. Quello scandalo accaduto in Albania, sul quale, soprattutto durante quest’anno sono pubblicate e depositate tante prove documentarie, comunemente noto come lo scandalo degli inceneritori, di tre inceneritori, uno dei quali nella capitale, riguarda delle vere e proprie “concessioni” corruttive per degli impianti che da anni vengono pagati con dei milioni dalle casse dello Stato, cioè con dei milioni del denaro pubblico e non dai privati. Strane “concessioni” quelle. E non sono solo le tre concessioni degli inceneritori, ma bensì la maggior parte delle concessioni “generosamente offerte” in questi ultimi anni in Albania dallo Stato ai privati. Privati che presentano soltanto la richiesta per “sviluppare” un progetto, ma che non pagano niente; semplicemente approfittano enormi guadagni sanciti con delle “leggi speciali” e/o con delle decisioni governative. Così è stato anche nel caso dei tre inceneritori. Milioni di euro pagati ma che però, dati e fatti alla mano, adesso anche documentati ed ufficialmente depositati, non sono stati spesi per la costruzione degli impianti. Perché non ci sono degli impianti. E men che meno degli impianti funzionanti. Nel caso della capitale non esiste proprio niente! Ma da anni gli abitanti pagano una tassa supplementare per affrontare i costi dell’inceneritore, i cui lavori non sono mai stati avviati! Si tratta di uno scandalo che coinvolgerebbe tante persone, alcune molto altolocate, compreso il primo ministro, alcuni sindaci, compreso quello della capitale ed altri funzionari dell’amministrazione pubblica, centrale e locale. Un significativo ruolo in questo scandalo sembrerebbe lo abbia avuto il segretario generale del Consiglio dei ministri, un fedelissimo del primo ministro, noto come la sua eminenza grigia. Il nostro lettore è stato informato in questi ultimi mesi di diversi scandali, compreso quello dei tre inceneritori. Così come è stato informato anche delle “abilità” dell’eminenza grigia del primo ministro e dei suoi legami con esponenti della criminalità organizzata, sia in Albania che in Italia (Misere bugie ed ingannevoli messinscene che accusano, 4 aprile 2022; A ciascuno secondo le proprie responsabilità, 26 aprile 2022; Diaboliche alleanze tra simili corrotti, 9 maggio 2022; Da quale pulpito arrivano quelle minacciose prediche, 16 maggio 2022).

    In Albania ormai da alcuni anni si sta parlando dello scandalo dei tre inceneritori. Sono state fatte delle denunce pubbliche, soprattutto da esponenti di un partito dell’attuale opposizione. L’anno scorso è stata costituita anche una commissione parlamentare per indagare e verificare tutto quello che si sapeva allora sulle “concessioni” dei tre inceneritori. Tutto si concluse con un rapporto e poi niente. Nessuna indagine avviata però dalle istituzioni del “riformato” sistema della giustizia in Albania, nonostante il rapporto della commissione parlamentare dava delle indicazioni, sulla base delle quali si potevano aprire diverse inchieste. Niente! Tranne due arresti, quello di un ex ministro dell’ambiente due anni fa, rappresentante di un partito di coalizione governativa e l’altro, l’anno scorso, dell’ex segretario del ministero dell’ambiente, anche quello rappresentante dello stesso partito della coalizione governativa nel periodo che sono state avviate le procedure delle tre “concessioni” degli inceneritori. Si tratta di un partito che ormai sta all’opposizione. Ragion per cui loro due, gli “illustri arrestati” si potevano “consegnare” alla giustizia, per dimostrare sia la “volontà” politica del primo ministro per non “ostacolare” le indagini, sia la “determinazione” del sistema “riformato” della giustizia per condannare i “veri responsabili”. Cosa che fa ridere anche i polli. Perché in Albania tutti sanno, almeno quegli che ragionano incondizionati e con il proprio cervello in base ai fatti accaduti da anni ormai, pubblicamente noti e non solo quelli relativi agli inceneritori ma anche di tanti altri, che i veri responsabili non sono e non possono essere quei due arrestati. I veri responsabili sono ben altri e molto più altolocati. Partendo dal primo ministro in persona. Ma lui e la sua ben organizzata e potente propaganda hanno fatto di tutto per “annebbiare” l’effetto delle denunce e delle accuse pubbliche basate sui fatti d’allora. Il primo ministro, per dimostrare la “bontà” degli inceneritori, ha cercato di convincere tutti che si trattava di progetti in difesa dell’ambiente e della pulizia delle città. Si perché, oltre alle tre città dove si dovevano costruire gli inceneritori anche altre, circostanti, dovevano portare a bruciare i propri rifiuti. Ma tutto dietro dei pagamenti che oltrepassavano le capacità di pagamento dei rispettivi comuni. Fatto di per se che ha creato e sta tuttora creando dei grossi problemi finanziari. Ma soprattutto non risolve niente, perché i rifiuti non si bruciano non avendo ancora degli inceneritori funzionanti e neanche costruiti. Nonostante ciò il primo ministro, per convincere della “bontà” delle concessioni degli inceneritori ha, addirittura, organizzato in pompa magna li dove si doveva costruire e fare funzionare uno degli inceneritori, anche delle riunioni del consiglio dei ministri nella primavera del 2018. Lo ha rifatto di nuovo nel autunno del 2020 con delle strutture del partito durante la campagna elettorale per le elezioni del 25 aprile 2021.

    Mentre quanto sta emergendo in queste due ultime settimane fa veramente rabbrividire. Dati e fatti inconfutabili che dimostrano e testimoniano senza ombra di dubbio una corruzione scandalosa e degli abusi clamorosi del potere, partendo dai massimi livelli politici ed istituzionali. Dati e fatti che porterebbero fino allo stesso primo ministro, al sindaco della capitale, al segretario generale del Consiglio dei ministri, nonché a diversi attuali ministri ed alti funzionari delle istituzioni pubbliche. Dai dati documentati risulta che quanto sta emergendo in queste due ultime settimane, come ormai testimoniano anche i diretti interessati, dei pensionati, alcuni ultra novantenni, persone che non riescono a mettere insieme pranzo e cena e, addirittura, anche una persona defunta, sono stati, senza saperlo, proprietari milionari di alcune “ditte fantasma” che servivano semplicemente per far circolare i milioni per dei lavori mai fatti negli inceneritori. “Strano” però il silenzio del primo ministro sugli inceneritori. Da due settimane nessun commento, neanche un leggero “cinguettio” in rete. Proprio lui, che non lascia perdere un’occasione per intervenire, dalla mattina alla sera. E come lui anche i soliti “rappresentanti internazionali. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe poteva riempire tante altre pagine, informando il nostro lettore di questo scandalo e del clamoroso abuso di potere tuttora in corso. Auspicando però che non si avveri, nel caso dei cittadini albanesi, quanto affermava Simone de Beauvoir. E cioè che loro non si devono abituare allo scandalo in corso. Ma anche a tanti altri. Devono, invece, reagire determinati, tenendo sempre ben presente la convinzione di Lord Acton, secondo la quale il potere tende a corrompere e il potere assoluto corrompe assolutamente.

  • La ribellione contro le dittature è un sacrosanto diritto e dovere

    La disobbedienza, agli occhi di chiunque abbia letto la storia,

    è la virtù originale dell’uomo. È attraverso la disobbedienza che il

    progresso si è realizzato, attraverso la disobbedienza e la ribellione.

    Oscar Wilde

    Sono tanti, tantissimi gli insegnamenti della storia dell’umanità, i quali ci testimoniano che i regimi totalitari, le dittature non si affrontano, non si combattono e non si vincono con dei comportamenti e mezzi democratici. La storia, quella grande e infallibile maestra, da secoli ormai ci insegna che le dittature si sconfiggono e si sradicano solo e soltanto con la disobbedienza, con le rivolte e con la ribellione degli oppressi. Siano quelle classiche, oppure le “dittature moderne” camuffate sotto le apparenze ingannatrici di pluralismo e di democrazia. Ovunque i sacrosanti diritti vengono meno, il dovere di disobbedire e di ribellarsi diventa, altresì, sacrosanto e giustificato. Se adesso ci sono dei Paesi evoluti, dove funziona lo Stato democratico, dove si garantisce quella che Montesquieu, nel 1748, chiamava la divisione dei poteri e dove quella divisione è reale e funziona, è anche perché in alcuni di loro e nel corso dei secoli, i diritti sono stati difesi con determinazione. Quanto è accaduto in Francia dal 1789 in poi né è una significativa testimonianza. Ma anche quanto è accaduto, prima ancora, in Inghilterra. Molto significativa è stata la disobbedienza al re Giovanni da parte di un gruppo di nobili, ormai noti anche come i “nobili ribelli”, che si sopo opposti al re e alla dinastia dei Plantageneti che controllava tutto e tutti. Era il 15 giugno del 1215 quando i “baroni ribelli” hanno presentato al re Giovanni un documento allora chiamato Magna Carta libertatum (Grande Carta della libertà; n.d.a.) e comunemente nota come Magna Carta. Proprio così, da allora i “baroni ribelli” pretendevano che alcuni diritti fossero stati rispettati. Il re, dopo alcune resistenze, cercando anche l’appoggio del Papa Innocenzo III, è stato costretto ad accettare le richieste dei “baroni ribelli”. Richieste che prevedevano e dovevano garantire la tutela dei diritti della chiesa, la protezione dei civili dalla detenzione ingiustificata, il funzionamento di una rapida giustizia e la limitazione dei diritti di tassazione feudali della monarchia. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. Ma se in Inghilterra adesso la monarchia, rappresentata da settant’anni ormai dalla regina Elisabetta II, rispetta i diritti e la divisione dei poteri, è anche grazie a quello che fecero i “baroni ribelli’, circa otto secoli fa. Un significativo esempio del funzionamento della democrazia nel Regno Unito è stato dato anche la scorsa settimana. Giovedì scorso, 7 luglio, il primo ministro è stato costretto a dare le proprie dimissioni, non solo come capo del governo, ma anche come dirigente del Partito conservatore. Lui è stato accusato di ammettere, dopo averlo negato prima, che un suo fedelissimo, l’ex vice capogruppo parlamentare del partito conservatore, era stato indagato in passato “per comportamento inappropriato nei confronti degli uomini”. Ma sul primo ministro pesavano anche le clamorose sconfitte durante le ultime due elezioni di circoscrizione. Non è stato da meno neanche il cosiddetto “scandalo delle multe”, legato a varie multe prese per i festeggiamenti a Downing Street durante la chiusura dovuta alla pandemia, nonché le accuse di aver mentito in Parlamento. Una significativa dimostrazione che testimonia come i politici eletti e rappresentanti del popolo, esercitando con grande responsabilità il loro potere conferito, riescono a costringere il capo del governo a dimettersi. E lo hanno fatto in tanti, ministri e altri rappresentanti del governo, i quali da lunedì scorso, dando le proprie dimissioni, hanno chiesto anche al primo ministro di fare altrettanto. E tutto questo perché nel Regno Unito le regole della democrazia funzionano e si rispettano.

    La scorsa settimana sono ricominciate con forza e determinazione le proteste in Sri Lanka. Era dal marzo scorso che i manifestanti pacifici chiedevano le dimissioni del presidente del Paese e di suo fratello, il primo ministro. Proteste quelle di marzo e aprile scorso che hanno costretto il presidente a “convincere” suo fratello, il primo ministro, a dare le dimissioni. Proteste che però non si sono placate con quelle dimissioni. Anzi! Durante le proteste della scorsa primavera era accaduta una cosa del tutto inattesa. Hanno protestato insieme anche i rappresentanti dei diversi gruppi religiosi del Paese e cioè i buddisti, i musulmani, gli induisti e i cattolici. Una cosa inattesa quella perché le profonde divisioni ed i conflitti tra le varie comunità religiose hanno causato in passato anche dei violenti scontri tra di loro e dei loro sostenitori. Dopo le proteste della passata primavera, la scorsa settimana sono state annunciate nuove proteste pacifiche. Proteste che si sono svolte sabato scorso. Migliaia di manifestanti, arrivati nella capitale da tutte le parti dello Sri Lanka, hanno circondato il palazzo presidenziale ed altri edifici governativi. Il motivo della protesta era sempre lo stesso; la peggiore crisi finanziaria che da tempo sta affliggendo il Paese e la mancanza della liquidità in moneta straniera, che ha reso impossibile l’importazione di carburante, di cibi essenziali e di medicine. Una crisi dovuta agli abusi di potere e alla continua corruzione ai più alti livelli istituzionali, a partire dal presidente dello Sri Lanka e della sua famiglia. Una vera e propria dinastia quella, che annovera sette fratelli i quali hanno avuto degli incarichi importanti politici ed istituzionali. Famiglia che spesso è stata accusata di abuso di potere, di corruzione e di nepotismo. Il solo fatto che nell’aprile scorso lo Sri Lanka aveva, come presidente e come primo ministro, due fratelli né è una molto significativa ed inconfutabile testimonianza di tutto ciò. Sabato scorso, per dissuadere i manifestanti pacifici, sono stati usati gas lacrimogeni e cariche delle truppe speciali, ma niente è servito a fermare la determinazione dei cittadini. Sabato scorso i manifestanti sono riusciti finalmente a passare i cordoni di sicurezza militare e di polizia che circondava gli edifici tra i più importanti del Paese, tra cui la casa del Presidente, quella del primo ministro, data poi alle fiamme, ed il ministero delle Finanze. Durante la giornata sono state annunciate sia l’allontanamento dalla capitale ad uno “sconosciuto posto sicuro” del presidente, sia la sua disponibilità a dimettersi il 13 luglio prossimo. In seguito, nel pomeriggio di sabato scorso, anche il primo ministro ha dato le sue dimissioni dall’incarico avuto dal presidente tre mesi fa. Un altro significativo esempio che dimostra come la disobbedienza popolare contro un regime corrotto si possa trasformare in proteste. Ed in seguito, durante sabato scorso, anche in ribellione. Nel frattempo, dalle immagini trasmesse dai media e in rete, si vedevano gli ambienti lussuosi della casa presidenziale. E si vedevano anche decine di manifestanti che si tuffavano nella piscina del presidente. Dalle immagini si evidenzia molto chiaramente il lusso esagerato nel quale viveva la famiglia presidenziale, mentre la gente soffriva la fame. Adesso, dopo quanto è accaduto sabato scorso in Sri Lanka, rimane da seguire, nel prossimo futuro, ma anche oltre, come si evolveranno sia la situazione politica, sia quella economica e finanziaria nel Paese asiatico.

    La scorsa settimana, e proprio la sera di giovedì 7 luglio, nella capitale dell’Albania si è svolta una massiccia protesta pacifica. Decine di migliaia di cittadini, arrivati da tutte le parti del Paese, hanno riempito la viale principale della capitale, quella che porta all’edificio del Consiglio dei Ministri. Un edificio che quel giorno, dietro ordini ben precisi, era stato “sigillato” con delle porte e finestre metalliche per paura di essere preso d’assalto. Ma non era quella l’intenzione degli organizzatori della protesta. Almeno non quella volta, la sera di giovedì scorso. La protesta è stata organizzata dal maggior partito dell’opposizione, il ricostituito partito democratico. Il primo partito di opposizione che, dal dicembre 1990, ha organizzato tutte le proteste contro la dittatura comunista che hanno portato poi alla caduta del regime. Un partito però, che, sfortunatamente e vergognosamente, per alcuni anni era diventato “un’impresa familiare” della persona che dal 2013 aveva usurpato la direzione del partito ed una “stampella” del primo ministro. Un partito che poi, dal settembre 2021, ha cominciato un impegnativo percorso di ricostituzione. Un processo quello che nonostante la ricostituzione delle strutture locali e centrali del partito, continua ancora. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò nei mesi precedenti.

    I cittadini che hanno partecipato alla protesta massiccia e pacifica di giovedì scorso nella capitale albanese avevano tanti e ben validi motivi per disobbedire e protestare. Da anni in Albania si sta soffrendo una grave e preoccupante realtà. Realtà determinata da una galoppante corruzione che sta coinvolgendo tutti quegli che gestiscono la cosa pubblica. Partendo dal primo ministro e dai suoi “fedelissimi leccapiedi”. Realtà causata da un pauroso abuso di potere da parte di tutti quelli che esercitano dei poteri pubblici. Partendo dal primo ministro e dai suoi “fedelissimi leccapiedi”. Realtà che ha determinato, tra l’altro in questi ultimi anni, un continuo flusso demografico verso altri paesi dell’Europa. Si tratta soprattutto di giovani, di persone istruite e professionalmente abili, che lasciano tutto e tutti e vanno via, in cerca di una vita migliore. Solo in questi ultimi anni, dati ufficiali alla mano, i richiedenti asilo in diversi Paesi europei provenienti dall’Albania sono tra i primi, insieme con i siriani e gli afgani. Mentre in termini relativi, e cioè tenendo presente il numero complessivo della popolazione, gli albanesi diventano i primi. Il che ormai sta provocando degli effetti drammatici e non solo demografici, ma anche economici ed altro. Solo questo fatto verificato e facilmente verificabile rappresenta una pesante accusa per il malgoverno. L’Albania si sta paurosamente spopolando! Solo questo fatto dovrebbe essere un assordante campanello d’allarme per tutte le persone responsabili, per tutti gli albanesi patrioti. Solo questo fatto dovrebbe essere un buon motivo, non solo per protestare, ma per ribellarsi contro il nuovo regime restaurato in Albania. L’autore di queste righe ha spesso informato il nostro lettore di questa preoccupante realtà e delle sue paurose conseguenze, che hanno già cominciato ad evidenziarsi.

    Nonostante la vera, vissuta e sofferta realtà albanese, il primo ministro continua a governare. Ovviamente non sarebbe il caso di paragonare la realtà albanese con quella del Regno Unito, dove il primo ministro il 7 luglio scorso ha rassegnato le proprie dimissioni. Ma il primo ministro albanese non ha nessuna intenzione di dimettersi. Come hanno fatto sabato scorso il presidente ed il primo ministro dello Sri Lanka, paragonabili con il loro simile in Albania per il modo di abusare del potere. E guarda caso, sia in Albania che in Sri Lanka, tutte le fallimentari riforme sono state promosse e sostenute da una persona (e/o da chi per lui), da un multimiliardario speculatore di borsa statunitense e fondatore delle Fondazioni della Società Aperta. Quelle economiche promosse in Sri Lanka nel gennaio 2016. Mentre, allo stesso tempo, si promuovevano la “riforma” del sistema della giustizia ed altre “iniziative” in Albania. Ma anche nei Balcani occidentali.

    L’11 luglio, Papa Francesco ha inviato un messaggio ai partecipanti alla Conferenza della Gioventù dell’Unione europea che si sta svolgendo a Praga. Riferendosi alla guerra in Ucraina, il Pontefice ha detto: “Ora dobbiamo impegnarci tutti a mettere fine a questo scempio della guerra, dove, come al solito, pochi potenti decidono e mandano migliaia di giovani a combattere e morire. In casi come questo è legittimo ribellarsi!”.

    Chi scrive queste righe è fermamente convinto che la ribellione contro le dittature è un sacrosanto diritto e dovere. La storia, quella validissima maestra, ci insegna che nessuna dittatura è stata vinta con dei mezzi democratici. Le dittature si rovesciano con la ribellione. L’autore di queste righe non smetterà mai di ricordare la convinzione di Benjamin Franklin, secondo il quale ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio. Condividendo anche quando scriveva Oscar Wilde e cioè che è attraverso la disobbedienza che il progresso si è realizzato, attraverso la disobbedienza e la ribellione.

  • Volgarità e arroganza verbale di un voltagabbana in difficoltà

    Il bisogno di avere ragione è segno di una mente volgare.

    Albert Camus

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato delle decisioni prese il 23 giugno scorso dai capi di Stato e di governo dei Paesi dell’Unione europea. Parte attesa delle decisioni erano anche quelle sul percorso dei diversi Paesi balcanici. Il Consiglio europeo decise, tra l’altro, di non avanzare i processi con la Serbia, l’Albania e la Macedonia del Nord. Per la Serbia, perché non aveva fatto progressi con le riforme e i requisiti precedentemente posti dalle istituzioni europee, ma anche per l’ambiguo atteggiamento nei confronti della Russia, dopo l’aggressione militare in Ucraina, avviata il 24 febbraio scorso. Proprio quella che il dittatore russo, anche dopo centotrentuno giorni di ineffabili crudeltà e di tante vittime innocenti ed inermi, compresi molti bambini, continua con irritante cinismo a classificarla come “un’operazione speciale militare”! Un ambiguo atteggiamento, perché la Serbia ha aderito alle risoluzioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che condannano quell’agressione e tutte le derivanti conseguenze. Ma, allo stesso tempo però, non ha mai aderito alle restrizioni poste dall’Unione europea alla Russia, nonostante le ripetute richieste e le forti critiche fatte dai massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea. Restrizioni che sono obbligatorie anche per la Serbia, essendo un Paese candidato ad aderire all’Unione. Mentre per la Macedonia del Nord e l’Albania, il blocco del processo europeo è stato dovuto al veto posto dalla Bulgaria alla Macedonia. E siccome il Consiglio europeo aveva precedentemente deciso di trattare insieme la Macedonia del Nord e l’Albania o si doveva andare avanti con il processo insieme oppure il blocco dei negoziati con uno dei due Paesi bloccava anche quelli con l’altro. L’autore di queste righe aveva informato di tutto ciò il nostro lettore. Così come lo aveva informato anche della conferenza con i rappresentanti dei media, dopo le decisioni prese dal Consiglio europeo. Una conferenza quella, prevista e svolta nel pomeriggio del 23 giugno scorso, negli ambienti del Consiglio europeo. Una conferenza alla quale sono stati presenti solo il presidente serbo, il primo ministro albanese e quello macedone. Mancavano però i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea che, come è stato “ufficialmente chiarito”, era legata semplicemente alla “mancanza di tempo”, dovendo loro, in seguito, partecipare alle successive discussioni del Consiglio europeo sulla dichiarazione come “Paesi candidati” dell’Ucraina e della Moldavia. Il nostro lettore è stato inoltre informato delle dichiarazioni critiche dei tre partecipanti alla conferenza con i media. Il presidente serbo ed il primo ministro macedone, per motivi diversi, sono stati “cautamente critici” con le istituzioni dell’Unione europea e con singoli Stati membri. Mentre il primo ministro albanese ha dimostrato una insolita, ingiustificata e ingiustificabile arroganza e volgarità verbale contro tutti. Con una ineffabile sfacciataggine lui ha detto: “Permettetemi di esprimere il profondo rammarico per l’Unione europea. Mi dispiace per loro e spero che potremmo aiutarli” (Sic!). Il primo ministro albanese, riferendosi alle ripetute decisioni del Consiglio europeo di non convocare la prima conferenza intergovernativa e di non aprire i negoziati con l’Albania come “Paese candidato”, ha considerato, recitando come un attore drammatico, come uno “spirito deformato dell’allargamento [dell’Unione europea], uno spirito totalmente deformato” quello delle istituzioni dell’Unione europea. Chissà se tra quelle istituzioni lui annoverava anche la Commissione europea, le cui valutazioni e suggerimenti sull’Albania sono “tutto rose e fiori”?! Valutazioni e suggerimenti che dal 2014 ad oggi, dati e fatti accaduti in Albania alla mano, risultano essere del tutto fuori realtà. Valutazioni e suggerimenti che, secondo le cattive lingue, sono state suggerite e richieste ai massimi rappresentanti della Commissione europea da certe organizzazioni lobbistiche oltreoceano e che sono state profumatamente ricompensate. E in Albania, si sa, le cattive lingue sanno molto, ma veramente molto, e difficilmente hanno sbagliato in questi ultimi anni. Il primo ministro albanese non ha risparmiato, durante il suo lunghissimo discorso, oltre tutti i limiti previsti in simili conferenze stampa, neanche i dirigenti europei. Dirigenti che, secondo lui, sembrano essere “una congregazione di sacerdoti che discutono del sesso degli angeli, mentre le mura di Costantinopoli crollano”.

    Uno degli “obiettivi” dei suoi attacchi verbali era anche il veto bulgaro alla Macedonia del Nord. Veto che il primo ministro albanese ha dichiarato essere veramente “una disgrazia”. E poi, con la dovuta drammatica teatralità, ha dichiarato che “…Questa questione della Bulgaria è una vergogna. Un Paese della NATO (North Atlantic Treaty Organization – L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord; n.d.a.) che prende in ostaggio due altri paesi della NATO (Albania e Macedonia del Nord; n.d.a.), mentre nel cortile dell’Europa c’è una guerra sotto gli occhi dei 26 [altri] Paesi che sono totalmente impotenti insieme”. Per poi aggiungere, in modo da rendere tutto “in accordo” anche con la preoccupazione generale, che “l’aggressione russa contro l’Ucraina sta avendo così un aiuto molto generoso e non richiesto da un Paese della NATO, la Bulgaria, per destabilizzare un altro Paese della NATO, la Macedonia del Nord”. Ovviamente, dopo simili dichiarazioni, non potevano non reagire ufficialmente le istituzioni bulgare. Il ministero degli Esteri della Bulgaria, in una sua dichiarazione ufficiale, ha specificato che “…Attendiamo che il primo ministro albanese adatti i suoi mezzi espressivi con una lingua che sia più propria ad un politico di un Paese candidato all’adesione nell’Unione europea.”. Aggiungendo anche che “I politici vanno via, le nazioni restano”. Nella dichiarazione ufficiale del ministero degli Esteri bulgaro, riferendosi al primo ministro albanese, si ribadisce che “…non è la prima volta che ascoltiamo [simili] aspre ed offensive qualifiche, non provocate, da un capo di governo. I “calcoli biliari”, in un così basso registro verbale, non si possono più giustificare dalla natura e dalle capacità europee della comunicazione”. Con le sue dichiarazioni arroganti, con una inaudita ed eclatante volgarità verbale, il primo ministro albanese durante la sopracitata conferenza stampa, ha però e soprattutto voluto alzare consapevolmente il “polverone” del “blocco dei negoziati per colpa del veto bulgaro”, per coprire la vera e vissuta realtà albanese. Una realtà quella che riconosce come diretto e principale responsabile, almeno istituzionalmente e da quasi nove anni ormai, proprio il primo ministro del Paese. L’autore di queste righe scriveva la scorsa settimana per il nostro lettore che “…Nel frattempo, per quanto riguarda l’Albania, bisogna porsi alcune dirette e semplicissime domande. Ha esaudito l’Albania tutte le 15 condizioni sine qua non poste dal Consiglio europeo il 25 marzo 2020? Ha rispettato, come obbligatorio, quanto prevede l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con l’Unione europea, firmato dall’Albania il 12 giungo 2006 in Lussemburgo? Ha rispettato l’Albania i Criteri di Copenaghen? Ebbene, dati e fatti accaduti, documentati e ufficialmente rapportati dalle istituzioni specializzate internazionali, comprese anche quelle dell’Unione europea alla mano, la risposta è netta ed una sola. No!” (Volgari arroganze verbali balcaniche e verità che accusano; 28 giugno 2022).

    Durante quella conferenza con i rappresentanti dei media nel pomeriggio del 23 giungo scorso, il primo ministro albanese si è offerto ed ha fatto “l’avvocato” della Serbia e del suo presidente. E lo ha fatto proprio negli ambienti del Consiglio europeo, dove erano ancora riuniti tutti i capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’Unione. Una sfida diretta per tutti loro, visto che si stava trattando non solo il caso dell’Ucraina e della Moldavia, che quel giorno sono stati dichiarati “Paesi candidati” all’adesione nell’Unione europea. Ma si stava soprattutto discutendo sulle ulteriori misure e sulle decisioni da prendere nell’ambito della guerra in Ucraina. Il primo ministro albanese ha cercato di giustificare e di difendere l’ambiguo atteggiamento e i “tentennamenti” della Serbia nei confronti della Russia. Nel pomeriggio del 23 giugno scorso, durante quella conferenza con i rappresentanti dei media, ha fatto “l’avvocato” del suo “carissimo amico”, il presidente serbo, il quale si trovava in condizioni non molto “adatte” nei confronti degli anfitrioni europei. Si perché si trattava di una difficile ed imbarazzante, ma ormai difficilmente evitabile posizione, come quella del presidente serbo, dovuta ai “tentennamenti” della Serbia nei confronti della Russia, dopo la crudele aggressione in Ucraina. Con quelle dichiarazioni arroganti, aggressive e del tutto improprie, il primo ministro albanese, molto probabilmente, ha cercato di dare però delle ulteriori prove e garanzie di “amicizia e fedeltà” non solo al presidente serbo. Ha voluto dare chiari messaggi di “profonda devozione e sentito riconoscimento” anche a delle “persone molto potenti” oltreoceano che stanno dietro loro due. Anche di questo fatto il nostro lettore è stato informato a tempo debito. Soprattutto quando ha trattato l’iniziativa Open Balkans (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022; Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto, 13 giugno 2022 ecc…).

    Durante quella conferenza stampa nel pomeriggio del 23 giungo scorso, il primo ministro albanese è diventato un “agguerrito avvocato” della Serbia e del suo presidente. Ben consapevole del suo “arduo impegno”, vista l’ambiguità dei rapporti delle Serbia con la Russia e con l’Unione europea, lui ha cercato di giustificare la “posizione difficile” della Serbia. Perché, secondo il primo ministro albanese “…la Serbia si trova in una realtà completamente diversa”. Aggiungendo che aveva cercato di spiegare ai capi di Stato e di governo il 23 giungo scorso, nella sessione per i Balcani occidentali durante il vertice del Consiglio europeo, che “…si tratta di un Paese (la Serbia; n.d.a.) dove la popolarità di Vladimir Putin è di 80% e di un Paese dove l’opinione pubblica non è così orientata a correre dietro Bruxelles”. Per poi ribadire che “…la Serbia semplicemente non è nella posizione di realizzare così tanto e così presto e che portarla ai limiti produrrebbe l’effetto contrario”. Per poi concludere con una “minaccia” per i capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’Unione europea, presenti nel vertice di Bruxelles del Consiglio europeo, il 23 giungo scorso. Il primo ministro albanese ha ribadito che “…noi (Serbia, Albania e Macedonia del Nord; n.d.a.) non vogliamo una guerra, noi non abbiamo bisogno di un conflitto, di uno spargimento di sangue e di tensioni nella nostra regione. Perciò vogliamo camminare avanti nella direzione che abbiamo scelto […]. Ci sono molti colpi con i quali loro (i massimi dirigenti europei; n.d.a.) si devono confrontare, così che non devono provocare un altro colpo.”!

    Nel frattempo, durante questi ultimi giorni ci sono altri sviluppi che potrebbero determinare nel futuro il percorso europeo dei Paesi dei Balcani occidentali. Dopo il diretto coinvolgimento del presidente francese, la Bulgaria ha tolto il veto alla Macedonia del Nord. Adesso spetta ai massimi rappresentanti politici macedoni di decidere sulla proposta bulgara per il veto. Ieri il presidente della Macedonia del Nord, riferendosi alla revoca del veto da parte della Bulgaria, ha dichiarato che “non è né un trionfo storico e neanche un fallimento.”. Mentre l’opposizione macedone si oppone fortemente al testo della proposta bulgara della scorsa settimana. Tutto rimane da vedere.

    Chi scrive queste righe informerà il nostro lettore di tutti gli sviluppi che riguardano i Balcani occidentali. Così come farà anche per gli ultimi comportamenti di quel voltagabbana in difficoltà, quale è il primo ministro albanese, e legati al rapporto con i giornalisti e la libertà di espressione. Perché lui vuol avere sempre ragione. Ma il bisogno di avere ragione è segno di una mente volgare.

  • Volgari arroganze verbali balcaniche e verità che accusano

    Con la faccia tosta si va a cavallo e in carrozza.

    Proverbio

    “Si dicono menzogne l’uno all’altro, labbra bugiarde parlano con cuore doppio. Recida il Signore le labbra bugiarde, la lingua che dice parole arroganti”.  Queste parole del terzo e quarto versetto del Salmo 12 dell’Antico Testamento vengono comunemente attribuite al re Davide. Parole che non hanno mai perso il loro valore. Parole che potevano descrivere benissimo anche la falsità e l’arroganza delle dichiarazioni fatte nel pomeriggio del 23 giungo scorso, negli ambienti del Consiglio europeo a Bruxelles, durante la conferenza stampa del presidente serbo, del primo ministro albanese e quello macedone. Una conferenza svoltasi dopo la discussione e le decisioni prese dal Consiglio europeo sui Paesi dei Balcani occidentali, alla quale non hanno partecipato, come previsto, i rappresentanti dell’Unione europea. Parole quelle del Salmo 12/3-4, che potevano descrivere anche una naturale reazione di tutti coloro che conoscono la realtà balcanica e, soprattutto, conoscono chi sono e cosa rappresentano i tre partecipanti alla conferenza stampa. Soprattutto colui che in più era “arrogante verbalmente” e che, in qualche modo, ha rappresentato anche i due altri: il primo ministro albanese. Proprio colui per il quale mentire, ingannare, fare l’arrogante con i deboli e il leccapiedi con persone importanti è un vizio innato.

    Il 23 giungo scorso, a Bruxelles si è svolto il vertice del Consiglio europeo. Durante questo vertice, tra l’altro, si è discusso anche del percorso europeo dei Paesi dei Balcani occidentali. Di nuovo i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri dell’Unione europea hanno deciso di non avanzare i processi dei negoziati con la Serbia, l’Albania e la Macedonia del Nord. Il Consiglio ha deciso di rinviare di nuovo la convocazione della prima conferenza intergovernativa sia per l’Albania che per la Macedonia del Nord. La convocazione di quella conferenza rappresenta il primo atto, dopo il quale il Paese interessato può considerarsi, a tutti gli effetti, come “Stato candidato”. Mentre per la Serbia il Consiglio europeo ha riconosciuto ufficialmente lo stato del “Paese candidato” già il 1o marzo 2012. Dopo il vertice, come sopracitato, alla conferenza stampa del presidente serbo, del primo ministro albanese e di quello macedone non erano presenti, come previsto, i rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea. Chissà se si è trattato di un “messaggio in codice” per i tre partecipanti balcanici. Si è “ufficialmente chiarito” però, che la non presenza dei rappresentanti dell’Unione europea a quella conferenza stampa è stata “per mancanza di tempo”, dovendo loro, in seguito, partecipare alle successive discussioni del Consiglio europeo sulla dichiarazione come “Paesi candidati” dell’Ucraina e della Moldavia. Durante quella conferenza stampa i dirigenti balcanici, sentiti “offesi”, hanno “tuonato” come mai prima contro le decisioni prese dal Consiglio europeo, contro la stessa Unione europea e determinati singoli Stati membri dell’Unione. Il più “agguerrito” è stato il primo ministro albanese che, con le sue arroganze verbali, ha fatto anche “l’avvocato” della Serbia, nonostante il presidente serbo non avesse risparmiato le sue critiche verso i rappresentanti dell’Unione europea. Il più “moderato” di tutti e tre è stato il primo ministro macedone.

    Le ragioni, almeno quelle formali, che hanno motivato i membri del Consiglio europeo a decidere per il non avanzamento dei percorsi europei della Serbia sono diverse da quelle per l’Albania e la Macedonia del Nord. La Serbia, nonostante abbia aderito alle risoluzioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che condannano l’attuale aggressione della Russia contro l’Ucraina, non ha però aderito alle sanzioni imposte alla Russia dall’Unione europea. Un obbligo per la Serbia, che non è stato rispettato. Il che ha causato una espressa reazione da parte dell’Unione europea contro la Serbia. E siccome la situazione causata dalla guerra in Ucraina, iniziata con l’aggressione russa il 24 febbraio scorso, ha da mesi preso tutta l’attenzione delle istituzioni dell’Unione europea e dei singoli Stati membri, l’atteggiamento istituzionale dell’Unione nei confronti della Serbia non poteva non riflettere anche questo inaccettabile e molto criticato “tentennamento” della Serbia ad aderire alle sanzioni poste alla Russia. Lo stesso presidente del Consiglio europeo aveva già evidenziato che il vertice della settimana scorsa del Consiglio non poteva non tenere presente sia l’attuale situazione creatasi per la guerra in Ucraina, sia le sanzioni contro la Russia. Il che ha messo il presidente serbo un po’ in difficoltà e lo ha costretto a non essere molto critico nei confronti delle istituzioni dell’Unione europea durante la sopracitata conferenza stampa, dopo il vertice del Consiglio europeo, nel pomeriggio del 23 giugno scorso. Ma quello che non ha però potuto fare il presidente serbo, lo ha fatto il suo “amico e avvocato”, il primo ministro albanese. Anche perché ormai ci sono tante ragioni e cause comuni tra loro due, come sono non poche anche le “somiglianze caratteriali” e quelle delle realtà politiche e delle “alleanze e connivenze occulte” nei due rispettivi Paesi. Poi, dal 2019 loro due, il presidente serbo e il primo ministro albanese, sono i sostenitori convinti dell’iniziativa Open Balcans. Iniziativa della quale il nostro lettore è stato dettagliatamente informato, anche in queste ultime settimane.

    Invece la ragione che ha causato il rifiuto, da parte del Consiglio europeo del 23 giungo scorso, dei processi europei per l’Albania e la Macedonia del Nord, almeno la ragione formalmente articolata, è stato il veto posto dalla Bulgaria alla Macedonia del Nord. E siccome il Consiglio europeo ha deciso precedentemente di trattare insieme, in modo accoppiato i percorsi europei dell’Albania e della Macedonia del Nord, allora quel veto involve direttamente anche l’Albania. Lo ha confermato, il 23 giugno scorso, il Vicepresidente della Commissione europea e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza. Dopo la decisione presa dal Consiglio europeo, lui non ha nascosto il suo rammarico per la mancata apertura dei negoziati per l’Albania e la Macedonia del Nord. Tutto dovuto al veto posto della Bulgaria. Alla domanda posta a se stesso “se ci sono delle speranze?”, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza ha risposto: “Non so cosa può fare il parlamento in Bulgaria. Ma sembra che non stia andando bene”. Il veto bulgaro riguarda, in principio, le appartenenze nazionali, le lingue e la storia dei due Paesi. Facendo riferimento alla storia, si tratta di due nazioni che prima di diventare parte dell’Impero ottomano, già dal settimo secolo d.C. erano parti integranti dell’Impero bulgaro. La divisione tra i due popoli è avvenuta dopo la seconda guerra balcanica (giugno – luglio 1913; n.d.a.). Poi, dopo la sconfitta del regno della Bulgaria da parte del regno della Serbia, quest’ultimo, in seguito al Trattato di Bucarest (agosto 1913; n.d.a.), si impadronì di quasi tutti i territori che costituiscono l’attuale Macedonia del Nord. L’autore di queste righe ha trattato precedentemente per il nostro lettore le ragioni del veto posto dalla Bulgaria alla Macedonia del Nord. In un articolo proprio di un anno fa, egli scriveva per il nostro lettore che “…La Bulgaria è convinta però della nazionalità bulgara dei macedoni. Tra i due Paesi c’è anche il contenzioso che riguarda alcuni eroi storici della guerra contro l’Impero ottomano. In più la Bulgaria ha ufficialmente chiesto alla Macedonia del Nord di non fare riferimento alla “lingua macedone” ma alla “lingua ufficiale della Repubblica della Macedonia del Nord”. Un’altra richiesta è quella di ottenere garanzie che la Macedonia del Nord non rivendichi più delle proprie minoranze sul territorio bulgaro. Sono queste le condizioni poste dalla Bulgaria alla Macedonia del Nord. Soltanto dopo l’adempimento di tutte queste richieste la Bulgaria toglierà il veto che blocca il percorso europeo della Macedonia del Nord”. Aggiungendo che “…La ragione del veto bulgaro è la richiesta fatta dalla Bulgaria alla Macedonia del Nord di concordare ed accettare ufficialmente che la lingua macedone sia soltanto un dialetto della lingua bulgara e che in Bulgaria non esiste una minoranza macedone”. (Predicano i principi della democrazia ma poi…; 28 giugno 2021).

    Dopo la decisione presa sull’Albania e la Macedonia del Nord il 23 giugno scorso dai capi di Stato e di governo di tutti i Paesi membri dell’Unione, nell’ambito del Consiglio europeo, proprio due giorni dopo, il 24 giugno il parlamento bulgaro, con 170 voti favorevoli, 37 contrari e 21 astensioni ha approvato la revoca del veto che bloccava l’avvio dei negoziati di adesione della Macedonia del Nord all’Unione europea. Ma nonostante ciò, sembrerebbe che adesso sia la Macedonia del Nord a non essere d’accordo con il testo approvato dal parlamento bulgaro. Rimane perciò da seguire come evolverà questo contenzioso tra i due Paesi. Nel frattempo, per quanto riguarda l’Albania, bisogna porsi alcune dirette e semplicissime domande. Ha esaudito l’Albania tutte le 15 condizioni sine qua non poste dal Consiglio europeo il 25 marzo 2020? Ha rispettato, come obbligatorio, quanto prevede l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con l’Unione europea, firmato dall’Albania il 12 giungo 2006 in Lussemburgo? Ha rispettato l’Albania i Criteri di Copenaghen? Ebbene, dati e fatti accaduti, documentati e ufficialmente rapportati dalle istituzioni specializzate internazionali, comprese anche quelle dell’Unione europea alla mano, la risposta è netta ed una sola. No! Il nostro lettore spesso, da anni ormai, è stato informato con la massima oggettività richiesta dall’autore di queste righe di tutto ciò. Cosa che egli continuerà a farlo.

    Non si sa però perché, dopo il vertice del Consiglio europeo del 23 giugno scorso, quasi tutti, quando parlano, scrivano, commentano e analizzano la decisione presa dal Consiglio europeo per l’Albania, fanno riferimento soltanto al veto bulgaro sulla Macedonia. Ma in realtà, anche se quel veto non ci fosse stato, almeno per quanto riguarda l’Albania non si potevano mai aprire i negoziati come “Paese candidato”. Si, perché l’Albania non ha esaudito le 15 condizioni sine qua non poste dal Consiglio europeo il 25 marzo 2020! Anzi, la realtà albanese, quella vera, vissuta e sofferta, sta peggiorando di giorno in giorno. E guarda caso, “stranamente” il primo ministro albanese ha sempre negato l’esistenza di quelle 15 condizioni! In più occasioni non sono stati rispettati gli obblighi previsti dall’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con l’Unione europea. Il caso del porto di Durazzo, del quale il nostro lettore è stato informato a tempo debito, ne è una molto significativa dimostrazione (Clamoroso abuso miliardario in corso; 21 febbraio 2022). Così come l’Albania non ha rispettato quanto previsto dai Criteri di Copenaghen. La vera ragione per la quale all’Albania non si aprono e non si devono aprire i negoziati è la restaurazione ed il consolidamento nel Paese di un nuovo regime totalitario, di una nuova dittatura sui generis, camuffata da un pluripartitismo di facciata. Una realtà questa, della quale il nostro lettore, da anni ormai, e stato informato molto spesso. E nonostante ciò, durante la sopracitata conferenza stampa nel pomeriggio del 23 giugno scorso, il primo ministro albanese, con la sua ben nota arroganza verbale ha attaccato ed aggredito le istituzioni dell’Unione europea. Ma ha anche espresso il “suo profondo rammarico per l’Unione europea”. Aggiungendo che gli “dispiace per loro e spero che potremmo aiutarli” (Sic!). Una ben scelta “strategia”, quella sua, per cercare di coprire tutte quelle drammatiche e allarmanti verità che lo accusano in prima persona, almeno istituzionalmente.

    Chi scrive queste righe promette al nostro lettore di trattare questo argomento nel prossimo futuro.

    Condivide però, nel frattempo, la saggezza popolare secondo la quale con la faccia tosta si va a cavallo e in carrozza. Ed è proprio il caso del primo ministro albanese. Chi scrive queste righe condivide anche la preghiera espressa nel Salmo 12, versetto 4 dell’Antico Testamento; “Recida il Signore le labbra bugiarde, la lingua che dice parole arroganti”. Chissà però se il primo ministro albanese conosce questo versetto? E se si, chissà come si sente?!

  • Messinscena ingannatrice con una conferenza anticorruzione

    Era come un gallo che pensava che il sole sorgesse per ascoltarlo cantare

    George Eliot

    La parabola dei vignaioli malvagi è una tra le tante altre che Gesù raccontava ai suoi discepoli. Una parabola che si trova nei Vangeli di Matteo, Marco e Luca. Gesù racconta di un uomo che aveva piantato una vigna nel suo terreno. Un giorno il proprietario della vigna decise di partire per un viaggio. Diede perciò la vigna in affitto a dei contadini vignaioli. Il che significava che al tempo della raccolta dell’uva loro dovevano tenere una parte della produzione per se e tutto il resto lo dovevano consegnare al proprietario. Ma i perfidi contadini decisero di tenere tutto per se e non dare niente ai servi mandati dal proprietario della vigna. E così fecero. L’evangelista Matteo ci racconta che “…i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono.” (Mt. 21; 35). La stessa sorte subirono anche altri servi mandati dal proprietario della vigna. Poi lui mandò suo figlio per prendere la sua parte della raccolta. “Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.” (Mt.21; 38–39). Poi l’evangelista ci racconta che Gesù domandò ai suoi discepoli: “Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?”. Ed essi risposero: “Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo.” (Mt.21; 38–39). Gesù capì da quella risposta che i discepoli non avevano letto le Scritture e spiegò loro il vero significato della parabola. Facendo riferimento al simbolismo della “pietra” scartata dai costruttori che era diventata una pietra portante, una “pietra d’angolo”, Gesù disse ai discepoli: “…. a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà; e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato” (Mt. 21; 43–44). Ma in realtà Gesù voleva dare un chiaro e perentorio messaggio ai veri peccatori e malvagi; i capi sacerdoti e i farisei. Loro capirono benissimo a chi si rivolgevano quelle parole della parabola. Ce lo racconta l’evangelista. “Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta” (Mt. 21; 45–46).

    Neanche tre mesi dalla sua elezione, Papa Francesco, durante l’omelia nella cappella di Santa Marta in Vaticano, il 3 giungo 2013, si riferì proprio alla parabola dei vignaioli malvagi. L’obiettivo era quello di mettere in evidenza la differenza tra i peccatori, i santi e i corrotti. Un obiettivo che, visto quanto accade nel mondo in cui viviamo, va ben oltre i cristiani della Chiesa, ai quali si rivolgeva il Pontefice. L’obiettivo comprende anche tanti altri e soprattutto quelli che hanno ed esercitano delle responsabilità istituzionali e politiche. Perché dal loro modo di comportarsi quotidianamente con quelle responsabilità si potrebbero fare delle cose buone ed utili. Ma si potrebbero generare tante sofferenze umane, tante ingiustizie e tanti abusi con la cosa pubblica. Durante l’omelia nella cappella di Santa Marta in Vaticano, il 3 giungo 2013, Papa Francesco ha fatto riferimento ed ha commentato proprio la parabola dei vignaioli malvagi. Il Pontefice ha detto che “La parabola, però, ci parla di un’altra figura, di quelli che vogliono impadronirsi della vigna e hanno perso il rapporto con il padrone della vigna”. Che è il Signore. E poi ha sottolineato che “Queste persone si son sentite forti, si sono sentite autonome da Dio. Questi, pian pianino, sono scivolati su quella autonomia, l’autonomia nel rapporto con Dio: ‘Noi non abbiamo bisogno di quel Padrone, che non venga a disturbarci!’”. Papa Francesco era convinto ed ha ribadito perentorio e senza nessun equivoco, che “Questi sono i corrotti!”. Si, sono proprio i corrotti che, per il Santo Padre, “erano dei peccatoti come tutti noi, ma hanno fatto un passo avanti, come se fossero proprio consolidati nel peccato: non hanno bisogno di Dio!”. La ragione, secondo il Papa, è “…perché nel loro codice genetico c’è questo rapporto con Dio. E siccome questo non possono negarlo, fanno un dio speciale: loro stessi sono dio”. Sono proprio quelli, “sono i corrotti”. E poi ha aggiunto che “…Nelle ‘comunità cristiane’ i corrotti pensano solo al proprio gruppo”. E, riferendosi alle Sacre Scritture, il Pontefice ha fatto riferimento ad uno dei “corrotti per eccellenza”, Giuda Iscariota. Secondo il Pontefice Giuda “… da peccatore avaro è finito nella corruzione”. Non solo ma “…i corrotti diventano adoratori di se stessi. Quanto male fanno i corrotti nelle comunità cristiane! Che il Signore ci liberi dallo scivolare su questa strada della corruzione!”. Era convinto Papa Francesco, pronunciando queste parole durante l’omelia nella cappella di Santa Marta, il 3 giungo 2013.

    La corruzione è stata ed è tuttora una piaga sociale puzzolente ed infettiva in diversi Paesi del mondo. Anche in Albania dove, in questi ultimi anni, sta divorando tutto. Purtroppo si tratta di una vera, vissuta, sofferta e molto preoccupante realtà. Da alcuni anni ormai l’autore si queste righe, dati e fatti accaduti, pubblicamente noti e ufficialmente denunciati alla mano, ha informato il nostro lettore di una simile realtà. E, siccome si tratta di una realtà che riguarda chi esercita poteri politici ed istituzionali, partendo dai più alti livelli, tutto diventa molto allarmante. Una realtà quella legata alla galoppante corruzione in Albania, che sta mettendo sempre più in grosse difficoltà il primo ministro, che è anche la persona di massima responsabilità, almeno istituzionale, e la sua potente propaganda governativa. Una realtà che mette in difficoltà anche i soliti “rappresentanti internazionali” in Albania, che purtroppo da anni hanno chiuso “occhi, orecchie e cervello” di fronte ad una simile, soffocante e paralizzante realtà, che si sta pericolosamente evolvendo ogni giorno che passa. Bisogna, a tutti i costi, offuscare la realtà e, se possibile, annientare questa percezione pubblica di una simile realtà. Ragion per cui hanno ideato ed attuato l’ennesima buffonata propagandistica. La hanno denominata la Conferenza nazionale anticorruzione ed è stata la solita messinscena ingannatrice, alla quale hanno partecipato tutti, il primo ministro, i suoi “ubbidienti ministri” ed altri dirigenti istituzionali. Ovviamente non potevano mancare neanche i soliti “rappresentanti internazionali”. Tutto si svolse il 13 giugno scorso, in una grande sala, riempita da “desiderosi partecipanti” dell’amministrazione pubblica, che hanno svuotato tutti gli uffici per essere presenti alla prima Conferenza nazionale anticorruzione!

    Il primo ministro albanese, intervenendo in quella conferenza, ha cercato di ingannare, come sempre e come suo solito, quando si trova in difficoltà. E trattandosi di una realtà ben nota a tutti, anche a quelli che parlano e scrivono in lingue diverse da quella albanese, perciò che non si può nascondere, il primo ministro e/o chi per lui, hanno scelto una ben studiata “strategia d’approccio”. Strategia che trattava la corruzione come un fenomeno a livello mondiale. Ma soprattutto che in Albania la corruzione si presenta come “un sistema dei rapporti del cittadino con lo Stato”! Lo ha detto il primo ministro, durante il suo discorso all’apertura di quella messinscena ingannatrice denominata come la prima Conferenza nazionale anticorruzione. Si proprio così! Mentre in Albania, ma non solo, si sa bene che la corruzione è un cancro che sta divorando tutto il tessuto sociale. In Albania la corruzione realmente, datti e fatti accaduti e che stanno accadendo, fatti documentati, pubblicati e ufficialmente denunciati alla mano, si presenta come consapevole comportamento di colui che ha, esercita ed fa uso abusivo di un potere politico e/o istituzionale della cosa pubblica. In più, e non poteva essere altrimenti, il primo ministro, durante tutto il suo discorso nell’ambito della buffonata propagandistica denominata la prima Conferenza nazionale anticorruzione, ha fatto quello che gli riesce fare senza nessuna difficoltà. E cioè mentire ed ingannare come se niente fosse. Senza batter ciglio, ha parlato di “vistosi successi nella lotta contro la corruzione” (Sic!). E siccome di solito, quando lui si trova in difficoltà, e questo sta accadendo sempre più spesso, lui non riesce a controllare il suo subconscio, anche durante il suo discorso ha parlato del sistema “riformato” della giustizia. La saggezza umana ci insegna che la lingua batte dove il dente duole. E si sa che in Albania il sistema “riformato” della giustizia è ormai controllato personalmente dal primo ministro e/o da chi per lui. Questo è un dato di fatto, pubblicamente noto e che quanto è accaduto e/o sta accadendo anche in questi ultimi giorni, testimonia proprio questa realtà. “Chi lo avrebbe pensato pochi anni fa che la giustizia in questo Paese avrebbe punito delle persone di alto rango?” (Sic!). Così ha detto “orgoglioso” il primo ministro durante il suo intervento. Mentre si sa benissimo che il sistema “riformato” della giustizia tutto potrà fare tranne che punire delle “persone di alto rango”. Non sarà questo forse un “incoraggiamento” che il primo ministro fa a se stesso, visto che nel suo subconscio sono accumulati e stivati tanti incubi dovuti ad altrettante malefatte ed abusi del potere conferito? Anche perché il primo ministro, di fronte ad un sistema di giustizia indipendente, con dei procuratori e giudici veramente professionisti, avrebbe avuto delle grossissime difficoltà, se non impossibile, giustificare tutta la sua ricchezza, almeno quella pubblicamente nota.

    Ma durante quella messinscena ingannatrice denominata proprio come la prima Conferenza nazionale anticorruzione, di successi nella lotta contro la corruzione non ha parlato solo il primo ministro albanese. A lui e alle sue dichiarazioni ha fatto eco anche quanto ha detto l’ambasciatrice statunitense. Ma anche questo ormai non stupisce, nonostante si tratti della corruzione in Albania. Proprio di quella corruzione che nel rapporto ufficiale, per il 2021 sull’Albania, del Dipartimento di Stato statunitense, il diretto datore di lavoro dell’ambascitrice, pubblicato il 12 aprile scorso si affermava che “il governo non ha applicato in maniera effettiva la legislazione che prevede condanne penali per corruzione agli ufficiali pubblici”. Nel sopracitato rapporto sull’Albania per il 2021, si afferma che “…La corruzione è stata diffusa in tutti i settori del governo e gli ufficiali [pubblici] spesso sono stati coinvolti in pratiche corruttive senza essere stati puniti”! In più veniva affermato che “Il livello delle indagini penali per gli ufficiali [pubblici] di alto rango è rimasto basso”. Questo e molto altro ancora è stato evidenziato nel rapporto ufficiale del Dipartimento di Stato statunitense sull’Albania, per il 2021. Mentre l’ambasciatrice statunitense in Albania durante la prima Conferenza nazionale anticorruzione ha detto che “…il governo ha aumentato la sua dedizione nella lotta contro la corruzione” (Sic!). Anzi lo ha considerata come una “stragrande dedizione”! Poi si è messa a pronunciare dei complimenti esagerati e del tutto fuori realtà, anzi, come se fossero pronunciati da qualche “leccapiede” del primo ministro. Come se niente fosse, l’ambasciatrice statunitense ha detto che “…al primo ministro albanese viene richiesto di parlare dell’Ucraina, oppure di altre questioni, perché l’Albania ha un peso”. Si ha un “peso”, ma come un Paese dove la corruzione la fa da padrona. Mentre per l’ambasciatrice la sala riempita, come di solito accade in tutte le dittature e i regimi totalitari, significa che “il governo albanese si è molto dedicato contro la corruzione, in una maniera che sorpassa la precedente dedizione.” (Sic!). A questo punto viene naturale la domanda: chi ha ragione e chi mente ufficialmente, il Dipartimento di Stato o l’ambasciatrice statunitense?! Perché non possono essere vere, allo stesso tempo, tutte è due le valutazioni fatte e pubblicamente espresse.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto molti altri argomenti da trattare con la dovuta oggettività e spiegare che la “dedizione del governo nella lotta contro la corruzione in Albania” fa ridere anche i polli. Invece la prima Conferenza nazionale Anticorruzione svoltasi il 13 giugno scorso in Albania era semplicemente una messinscena ingannatrice. Mentre, anche in questa occasione, il primo ministro sembrava come un gallo che pensava che il sole sorgesse per ascoltarlo cantare.

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