archeologia

  • Sfilata di moda davanti alle rovine ateniesi al British Museum innesca un caso diplomatico

    La Grecia ha espresso reiterate proteste per una sfilata che si è tenuta il 18 febbraio a Londra, in occasione della Settimana della moda, dinnanzi ai fregi del Partenone di Atene custoditi al British Museum. Il designer Erdem Moralioglu ha scelto l’imponente cornice della sala espositiva di queste prestigiose opere d’antiquariato per presentare la sua nuova collezione di marchi di moda, ispirati alla cantante greca Maria Callas. “Organizzando una sfilata di moda nella sala espositiva dove sono esposti i fregi del Partenone, il British Museum, ancora una volta, dimostra di non avere rispetto per i capolavori dello scultore Fidia”, ha dichiarato la ministra della Cultura greca, Lina Mendoni, in un comunicato. “I responsabili del British Museum svalutano e insultano non solo il monumento, ma anche i valori universali che rappresenta. Le condizioni di esposizione delle sculture nella Galleria Duveen si stanno deteriorando di giorno in giorno. È tempo che questo reperto di architettura rubato e il lavoro maltrattato tornino a risplendere sotto la luce dell’Attica”, ha aggiunto la ministra.

    La Grecia chiede da decenni la restituzione di questo fregio di 75 metri staccato dal Partenone, che è uno dei pezzi centrali esposti al British Museum. Le autorità di Londra, tuttavia, sostengono che le sculture furono “acquisite legalmente” nel 1802 dal diplomatico britannico Lord Elgin, che le vendette al British Museum. La Grecia sostiene, invece, che furono oggetto di “saccheggi” mentre il Paese era sotto il dominio ottomano. L’ultimo capitolo dello scontro fra Londra e Atene ha avuto luogo lo scorso novembre quando l’incontro bilaterale previsto a Londra tra il primo ministro Rishi Sunak e l’omologo greco, Kyriakos Mitsotakis, è stato annullato dal capo del governo britannico in seguito a una dichiarazione rilasciata dal premier ellenico all’emittente radiotelevisiva “Bbc” relativa proprio alla restituzione dei fregi del Partenone.

  • Torna alla luce antica strada lastricata di Segesta

    Torna alla luce l’antica strada lastricata che tagliava Segesta. Nel corso del cantiere di scavo, condotto dall’Università di Ginevra all’interno del Parco archeologico regionale, sono stati scoperti diversi lastroni dell’antica strada che fu utilizzata fino al periodo medievale. Ne ha dato notizia l’assessorato regionale dei Beni culturali e dell’identità siciliana.

    Si tratta di un ritrovamento eccezionale che permetterà di riscrivere l’ampiezza dell’abitato di età ellenistica, ma già nell’orbita romana, in attività sino all’epoca medievale, come denunciano importanti frammenti di ceramica. Ma gli archeologi sperano in altro: si intuisce che la strada prosegua ben oltre e potrebbe condurre ad un’agorà. Sul posto stanno lavorando, a supporto di tecnici ed esperti, anche i giovani richiedenti asilo del centro Casa Belvedere di Marsala, che ha stretto un accordo di archeologia solidale con il Parco di Segesta e l’Università di Ginevra.

    Siamo nell’area della cosiddetta Casa del Navarca, nell’Acropoli sud dell’insediamento, in un sito dove si svolsero delle prime indagini nel 1992, ma lo scavo venne ricoperto. Nel 2021 si è ripreso a lavorare ed è venuta alla luce un’importante pavimentazione unica nel suo genere, una sorta di antico gioco illusorio a tessere romboidali a tre colori, “sectilia” marmorei (bianco, celeste e verde scuro) che raffigurano una sequenza concatenata di cubi dall’effetto tridimensionale. Una visione che ricorda moltissimo i Mondi impossibili creati a fine ‘800 da Escher. Ma anche due mensole in pietra a forma di prua e una scritta di benvenuto: sono stati questi ritrovamenti a far finora ipotizzare agli archeologi che questa fosse l’abitazione del navarca Eraclio, ricchissimo armatore citato da Cicerone nelle Verrine. La casa doveva essere una sorta di sito di avvistamento – come dimostra una torre medievale – visto che da quassù lo sguardo arriva fino all’odierna Castellammare. Ma è un’ipotesi di cui gli archeologi, la direttrice dello scavo Alessia Mistretta ed Emanuele Canzonieri, non sono convinti.

    La direzione del parco archeologico di Segesta segue da vicino i lavori che stanno consentendo di rivelare ciò che si aspettava da tempo, permettendo di cominciare a scoprire l’antica città di Segesta. Nei decenni gli archeologi hanno scoperto i simboli più importanti, ma poco si sa della città che si è capito essere stata elegante, raffinata, con decorazioni, mosaici, affreschi, sculture. L’intento, adesso, è finalmente scoprire in quale direzione Segesta aveva i suoi assi viari. Dal 25 aprile sono possibili, con il supporto del concessionario dei servizi aggiuntivi, CoopCulture, anche visite guidate a cantiere aperto.

  • Sequestrate a Princeton antichità dall’Italia

    Un vaso di bucchero di oltre 2600 anni fa è tra gli undici oggetti del Princeton University Art Museum elencati in un ordine di sequestro del Manhattan District Attorney. Sei di questi oggetti, datati tra 680 e 580 avanti Cristo, tra cui il kantharos di bucchero con decorazioni incise, erano stati prestati al museo dall’antiquario romano Edoardo Almagià.

    Il nome di Almagià è stato citato più volte dalle autorità italiane e americane in casi di sospetto traffico di antichità, in particolare nel 2011 quando Princeton aveva restituito all’Italia antichità greco-romane ed etrusche. “Il museo sta collaborando con le autorità. L’inchiesta è in corso e avremo ulteriori commenti al momento opportuno. Siamo grati che nuove informazioni ci hanno permesso di dar seguito alle nostre responsabilità, dando un esempio in materia di etica del collezionismo”, ha detto adesso Stephen Kim, vice direttore per le comunicazioni del Princeton Art Museum.

    I sei oggetti del prestito sono vasi e fiasche più una placca di terracotta e una tegola incisa con parole del Corano. In una dichiarazione al Daily Princetonian l’antiquario ha detto che gli oggetti venivano dalla collezione della sua famiglia: «Mi spiace che li abbiamo consegnati. Non ne avevano diritto». In tutto gli oggetti sequestrati a Princeton hanno, secondo la procura, un valore di 200 mila dollari. Almagià, nato a Roma, è un ex allievo dell’ateneo americano che ha vissuto e lavorato a New York a partire dagli anni ‘80. Nel 2010, in un’intervista al Princeton Alumny Weekly, l’antiquario aveva detto di avere smesso di commerciare nel 2002, dopo la firma dell’accordo con l’Italia “stupidamente accettato dagli Stati Uniti” che a suo avviso aveva “criminalizzato e distrutto il mercato delle antichità”.

    Alla fine del 2021, 150 oggetti collegati al Almagià provenienti da musei, gallerie e collezioni private statunitensi erano stati restituiti all’Italia dalla procura newyorchese. All’epoca l’antiquario aveva minimizzato il reato: «Si spendono troppi soldi a criminalizzare i galleristi quando gli stessi soldi potrebbero essere usati per riparare i musei italiani dove tanti oggetti simili sono a rischio».

  • Chichen Itza: Archaeologists discover scoreboard for ancient Maya ball game

    Archaeologists in Mexico have uncovered an intricately carved stone they believe was used as a scoreboard for pelota, a ball game played by the Maya hundreds of years ago.

    The circular stone was found at the Chichen Itza archaeological site and is thought to be at least 1,200 years old.

    At its centre are two players in elaborate headgear surrounded by hieroglyphic writing.

    Experts are now analysing the writing to decipher its possible meaning.

    The 40kg-stone (88lb) was found by archaeologist Lizbeth Beatriz Mendicut Pérez in an architectonic compound known as Casa Colorada (Red House).

    Casa Colorada is the best preserved of the buildings surrounding the main plaza in the pre-Columbian city of Chichen Itza.

    Experts believe the stone would have adorned an archway at the entrance to the compound during the late 800s or early 900s.

    It was found face down half a metre underground, where it is thought to have fallen when the archway collapsed.

    Mexico’s National Institute of Anthropology and History (INAH) said the 40kg-stone (88lb) constituted a precious and unusual find.

    “It is rare to find hieroglyphic writing at this Maya site, and even rarer to find a complete text. This hasn’t happened in 11 years,” archaeologist Francisco Pérez Ruiz explained.

    A team of experts in iconography, led by Santiago Sobrino Fernández, has identified the two central figures as pelota players, one of whom wears a feather headdress and the other – presumed to be his opponent – wears what is known as a “snake turban”.

    The man with the snakes slithering around his head also appears to be wearing the protective gear typical of pelota players.

    Pelota is a team game played with a heavy ball made from rubber in a ballcourt. It is thought to be 3,000 years old and was played across Mesoamerica.

  • In Egitto riemerge la ‘Città d’oro perduta’

    Dalle sabbie del sud dell’Egitto, a Luxor, è emerso per caso un nuovo affascinante pezzo di archeologia: un insediamento di oltre 3.000 anni fa asseritamente senza precedenti a livello di dimensioni e soprattutto con una fama tra gli specialisti che ha consentito di ribattezzarlo subito “la città d’oro perduta”. E connotarlo con almeno tre misteri archeologici.

    Il ritrovamento di “Aten” sulla sponda occidentale del Nilo è stata fatta da una missione egiziana guidata da Zahi Hawass, ex ministro delle Antichità e archeologo superstar. In linea con una dichiarata politica di rilancio del languente turismo egiziano attraverso l’archeologia, l’insediamento è stato presentato in maniera oltremodo evocativa con il nome di “città d’oro perduta” anche se per ora non sono stati rinvenuti oggetti preziosi. In ulteriori scavi la missione però “si aspetta di scoprire tombe inattinte piene di tesori”, segnala il ministero delle Antichità.

    Per una mediaticamente fortunata coincidenza, la fondazione della città risale al regno del grande faraone Amenhotep III: uno dei 22 regnanti egizi, tra cui quattro regine, le cui mummie sono state trasferite sabato scorso al Cairo con una spettacolare traslazione dallo storico Museo di piazza Tahrir a quello da poco inaugurato della Civilizzazione egiziana.

    “Molte missioni straniere hanno cercato questa città e non l’hanno mai trovata”, si è vantato Hawass giustificando implicitamente la legittimità dell’aggettivo “perduta” riferito all’antico centro abitato scoperto dichiaratamente per caso: “abbiamo cominciato il nostro lavoro cercando il tempio funerario di Tutankhamon”, ha ricordato l’archeologo evocando il faraone-icona dell’Egittologia.

    Il rilievo del ritrovamento è stato sottolineato da una docente di egittologia all’Università John Hopkins di Baltimora, Betsy Brian, la quale ha sostenuto che si tratta della “seconda scoperta archeologica più importante” dopo il rinvenimento della tomba di Tutankhamon del 1922.

    “Il Sorgere di Aten”, questo il nome completo dell’insediamento secondo un comunicato del ministero delle Antichità egiziano, inoltre sarebbe la “più grande città mai trovata in Egitto”. Amenhotep III, il nono re della XVIII dinastia, regnò dal 1391 al 1353, e la città fu attiva durante la coreggenza con suo figlio, il famoso Amenhotep IV/Akhenaton.

    Lo studio della “Città perduta”, secondo Brian, “ci aiuterà a gettare luce su uno dei più grandi misteri della storia: perché Akhenaten e Nefertiti decisero di spostarsi” da Luxor, l’antica Tebe, ad Amarna. Oltre a questo enigma, il dicastero ne segnala altri due incontrati dagli archeologi di Hawass: la sepoltura “di una persona” trovata con “i resti di una corda legata ai ginocchi”, in un luogo e posizione “piuttosto bizzarri”; e quella “di una mucca o di un toro” in “una delle stanze” di un edificio. In entrambi in casi sono i corso studi per capirne di più.

    Alla datazione dell’insediamento si è giunti attraverso geroglifici su tappi di ceramica di contenitori di vino ma anche mattoni con il cartiglio di Amenhotep. Gli scavi di Aten erano iniziati solo nel settembre scorso e la città, rimasta inattinta per 3 millenni sotto la sabbia, viene descritta “in buone condizioni di conservazione, con muri quasi completi e stanze piene di strumenti di vita quotidiana”. Un muro a serpentina con un solo punto di accesso testimonia di un sistema di sicurezza in un distretto amministrativo e residenziale con ambienti più grandi e ben strutturati che è ancora in parte sotto terra.

  • Nuovi scavi archeologici confermano il ruolo dei cani come animali da compagnia già nell’antichità

    Il commercio e l’utilizzo di cani come animali da compagnia potrebbero risalire a oltre duemila anni fa. Lo testimoniano dei ritrovamenti in un sito archeologico nel Sud della Spagna, dove i resti di un piccolo cane, originario di un luogo distante migliaia di chilometri, sono stati rinvenuti dagli archeologi dell’Università di Granada, che hanno pubblicato i risultati del loro studio sulla rivista Archaeological and Anthropological Sciences. “I primi cani domestici erano più simili ai lupi e potrebbero essere stati utilizzati come aiuto durante la caccia. Ma con l’Impero romano le cose cambiarono e divenne comune allevare cani di ogni forma, razza e dimensione, compresi piccoli esemplari simili ai moderni Pomerania”, spiega Rafael Martinez Sanchez, ricercatore presso l’Università di Granada. “Plinio il Vecchio ad esempio scrisse che questi cani avevano effetti positivi e venivano usati anche per aiutare le donne ad alleviare i dolori mestruali. Forse il naturalista romano intendeva riportare l’effetto rilassante di un cucciolo sulla pancia”, prosegue il ricercatore.

    Il suo team ha trovato un cagnolino sepolto in un cimitero romano a Sud della Spagna. “Il cranio era molto piccolo, mentre le cavità orbitali erano molto grandi, come i moderni pechinesi. Doveva essere alto circa 22 centimetri. L’analisi dei resti e l’usura dei denti suggeriscono che il cane avesse tra i 2 e i 4 anni al momento del decesso, mentre delle ossa più piccole conservate all’interno dello scheletro indicano che probabilmente si trattava di una madre incinta”, afferma ancora Martinez Sanchez, sottolineando che l’aspetto più interessante della loro scoperta riguarda la provenienza della cagnolina. “Dalle analisi risulta che l’esemplare fosse cresciuto lontano dall’Atlantico, forse in Italia o nel Mediterraneo orientale. I resti degli altri due cani ritrovati invece sembravano essere assolutamente locali”, dichiara l’archeologo, ricordando l’usanza romana di trasportare animali come elefanti, struzzi o macachi e ipotizzando che i nostri antenati commerciassero anche animali domestici esotici. “La frattura dell’osso del collo indica che l’animale è stato ucciso violentemente, probabilmente a seguito della morte del suo proprietario”, conclude il ricercatore.

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