Armi

  • Pyongyang medita di far saltare le strade verso la Corea del Sud

    La Corea del Nord ha posto le forze militari schierate al confine con la Corea del Sud in stato di massima allerta, dopo aver accusato Seul di aver inviato droni sui cieli di Pyongyang. Lo stato maggiore dell’esercito nordcoreano ha ordinato ai reparti di artiglieria al confine di “prepararsi ad aprire il fuoco” nell’eventualità di nuove violazioni dello spazio aereo nazionale, secondo quanto riferito ieri dall’agenzia d’informazione ufficiale del Nord, “Korean Central News Agency” (“Kcna”). Pyongyang, che accusa la Corea del Sud di “provocazioni belliche”, sostiene che Seul abbia inviato droni sui cieli di Pyongyang per tre volte dall’inizio di ottobre, e che questi ultimi abbiano sganciato sulla capitale nordcoreana volantini di denuncia del governo guidato da Kim Jong-un. Lo stato maggiore congiunto delle Forze armate sudcoreane ha affermato in una nota di essere a conoscenza delle attività militari nordcoreane oltreconfine, e di essere pronto a rispondere a qualunque provocazione.

    Le Forze armate della Corea del Nord hanno annunciato la scorsa settimana ulteriori lavori di fortificazione del confine tra le due Coree, e l’interruzione fisica di tutti i collegamenti stradali e ferroviari transfrontalieri tra i due Paesi, già in disuso a causa delle tensioni in atto nella Penisola coreana. L’annuncio, rilanciato dall’agenzia di stampa ufficiale “Korean Central News Agency” (“Kcna”), presenta le misure come una risposta alle esercitazioni militari congiunte intraprese da Corea del Sud e Stati Uniti in prossimità del confine, e alla decisione degli Usa di schierare “assetti nucleari strategici” nella Penisola coreana. Nella nota dello Stato maggiore dell’Armata del popolo coreano in cui si annuncia il taglio totale delle vie di collegamento tra i due Paesi, le forze armate affermano che le misure hanno carattere esclusivamente difensivo, e accusano la Corea del Sud di aver causato “una situazione critica nella quale il rischio di innescare un conflitto è in continuo aumento”.

    Il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, ha dichiarato nei giorni scorsi che il Paese accelererà ulteriormente gli sforzi tesi ad affermarsi come “superpotenza militare dotata di armi nucleari”, e ha ribadito che la dottrina di Pyongyang non esclude l’uso delle armi atomiche in caso di aggressione. Lo ha riferito ieri l’agenzia di stampa ufficiale “Korean Central News Agency” (“Kcna”), che ha rilanciato parti di un discorso tenuto dal leader nordcoreano presso l’Università nazionale della difesa a lui intitolata. Kim ha nominato espressamente il presidente della Corea del Sud, Yoon Suk Yeol, accusandolo di essere “in combutta con gli Stati Uniti per destabilizzare la regione”: “Yoon Suk Yeol ha pronunciato commenti privi di gusto e volgari in merito alla fine della Repubblica (Popolare Democratica di Corea, la Corea del Nord) in un suo recente discorso, e questo dimostra che è del tutto consumato dalla sua cieca fiducia nella forza dei suoi padroni”, ha dichiarato il leader nordcoreano riferendosi agli Stati Uniti.

    “Ad essere sinceri, non abbiamo assolutamente alcuna intenzione di attaccare la Corea del Sud”, ha aggiunto Kim. “Ogni qual volta ho enunciato la nostra posizione sull’uso della forza militare, mi sono espresso al condizionale: se i nemici proveranno ad usare la forza contro il nostro Paese, le Forze armate della Repubblica utilizzeranno tutta la forza offensiva (di cui dispongono) senza alcuna esitazione. Questo non preclude l’utilizzo di armi nucleari”, ha ribadito il leader della Corea del Nord, aggiungendo che “i nostri passi per affermarci come superpotenza militare e nucleare accelereranno”.

  • Notizie in breve per ricordare a chi dimentica

    Ogni giorno Mosca fa volare i suoi missili sulle centrali nucleari ed energetiche dell’Ucraina, il rischio di un disastro nucleare è sempre più reale e gli ucraini, nell’inverno, sono al gelo e senza luce, per Putin ogni mezzo è lecito per distruggere la popolazione che invece, insieme al proprio esercito, gli resiste dando prova di un attaccamento alla patria e di un coraggio degno di  ogni onore.

    Steven Seagal, l’ex popolare attore americano, ormai bolso e grasso e che ha preso la cittadinanza russa ha nuovamente dichiarato, dopo quanto già detto all’inizio della guerra di aggressione di Putin contro l’Ucraina, di essere pronto a morire per Putin, il suo presidente. Speriamo vada presto in Russia e che le tv italiane smettano di trasmettere i suoi vecchi e ridicoli film.

    Molte fonti confermano che soldati nord coreani stanno già combattendo contro l’Ucraina ed altre migliaia si stanno addestrando in Russia, lo zar macellaio continua ad usare gli esseri umani, russi o di qualunque nazionalità, come carne da cannone pur di tentare di sfiancare i coraggiosi soldati ucraini che, ad oltranza, difendono  la loro patria e la loro identità.

    L’India, secondo notizie statunitensi, sarebbe il secondo maggior fornitore della Russia per tecnologie soggette a restrizione, così anche l’India alimenta sempre più la macchina da guerra di Putin attraverso microchip e macchine utensili particolari, il primo paese a supportare Putin è la Cina, l’India contribuisce con circa un quinto della tecnologia sensibile che invia a Putin per la sua sciagurata guerra.

    Putin si è rifiutato di rispondere alla telefonata del cancelliere tedesco, la sua arroganza prima o poi dovrà pagare un prezzo.

    Ancora un delitto pesa su Putin: è morta, durante il trasferimento da un carcere all’altro, anche la giovane reporter ucraina catturata da Mosca nel 2023.

    Ancora una volta, fortunatamente, fallisce il test, sarebbe il quarto, per il super missile di Putin, l’area di lancio si è trasformata in un immenso cratere.

  • Sottomarino cinese fa un buco nell’acqua e a Taiwan arrivano i giapponesi

    Il primo sottomarino d’attacco a propulsione nucleare cinese di classe Zhou sarebbe affondato la scorsa primavera. Fonti anonime hanno detto al “Wall Street Journal” che l’incidente sarebbe avvenuto presso un cantiere navale vicino alla città di Wuhan, tra la fine di maggio e l’inizio di giugno. La Cina sta sviluppando la nuova classe di sottomarini a propulsione nucleare nel quadro di un importante programma militare per la modernizzazione e l’espansione della sua Marina. I funzionari statunitensi che hanno parlato al quotidiano non hanno saputo dire se il sottomarino avesse a bordo del combustibile nucleare quando è affondato. Una eventualità che esperti non legati al governo federale hanno però definito “probabile”. La produzione di sottomarini nucleari cinesi viene solitamente portata avanti presso la città di Huludao, nel nord-est del Paese, ma il governo avrebbe recentemente iniziato a spostare le attività relative ai sottomarini nucleari d’attacco ai cantieri navali Wuchang Shipyard, a Wuhan.

    Il sottomarino affondato, ha scritto il “Wall Street Journal”, è stato costruito dalla società China State Shipbuilding Corporation. Alcune immagini satellitari ottenute dal quotidiano mostrano il sottomarino ancorato a un molo lungo il Fiume Azzurro verso la fine di maggio. Altre immagini, risalenti all’inizio di giugno, mostrano gru galleggianti impegnate a recuperare il relitto dal fondo del fiume. “L’incidente rallenterà i piani della Cina per espandere la sua flotta di sottomarini nucleari: è significativo”, ha detto Brent Sadler, ex ufficiale della Marina Usa che ora lavora come analista alla Heritage Foundation.

    Non è affondato invece il cacciatorpediniere della Forza marittima di autodifesa del Giappone che, secondo quanto riferito dal quotidiano nipponico “Nikkei” citando fonti anonime della Difesa giapponese, ha navigato per la prima volta attraverso lo stretto di Taiwan. Il cacciatorpediniere Sazanami avrebbe navigato attraverso lo stretto assieme a navi delle marine militari di Australia e Nuova Zelanda, diretto verso sud dalle acque del Mar Cinese Meridionale: unità delle marine militari dei tre Paesi condurranno esercitazioni congiunte.

    Sempre in chiava di contenimento della Cina, i ministri della Difesa di Stati Uniti, Regno Unito e Australia si sono visti il 26 settembre a Londra nell’ambito dell’accordo trilaterale di sicurezza Aukus, Le discussioni in merito alle esportazioni sensibili senza licenza puntano a facilitare l’assemblaggio dei sottomarini in Australia, permettendo al Regno Unito di esportare componenti per sottomarini per un valore di miliardi di sterline, secondo il ministero della Difesa britannico. Il programma dei sottomarini Aukus impiegherà secondo le previsioni di Londra più di 21.000 persone nel Regno Unito, e genererà 7.000 nuovi posti di lavoro.

    “Come partner Aukus, restiamo uniti in un mondo sempre più instabile,” ha dichiarato in una nota il segretario alla Difesa britannico John Healey. “Questo è un partenariato che aumenterà i posti di lavoro, la crescita e la prosperità nei nostri tre Paesi, oltre a rafforzare la nostra sicurezza collettiva”. In questo ambito, le aziende britanniche Amiosec, Roke Manor Research e Autonomous Devices, così come l’Università di Liverpool, sono state selezionate dall’Agenzia per la difesa e la sicurezza del Regno Unito come beneficiarie di 2 milioni di sterline (2,67 milioni di dollari) di finanziamenti per sviluppare soluzioni di puntamento e protezione elettromagnetica. L’Australia punta a dotarsi di una flotta di sottomarini a propulsione nucleare operativa a partire dai primi anni del 2030, come parte del primo pilastro dell’accordo Aukus. I tre Paesi mirano anche ad avere una presenza a rotazione di sottomarini statunitensi e britannici in Australia occidentale già dal 2027. I tre Paesi hanno stabilito il partenariato di sicurezza nel settembre 2021 per rafforzare la sicurezza e la stabilità nell’Indo-Pacifico. Per celebrare il terzo anniversario dell’intesa, i tre Paesi hanno annunciato di aver avviato consultazioni con Canada, Nuova Zelanda e Corea del Sud per individuare aree di collaborazione nell’ambito del “secondo pilastro” dell’accordo, che si concentra sullo sviluppo di capacità tecnologiche avanzate per la difesa e sul rafforzamento dell’interoperabilità tra le rispettive forze armate.

  • Sostenere Kiev con tutto quello che occorre

    Se su Kiev arrivano i missili russi, è bene che a Kiev siano mandati i missili occidentali per colpire i depositi di armi in Russia.

    Come sempre, l’Europa e gli Stati Uniti si rimpallano la decisione sull’invio di armi a Kiev e sull’utilizzo di queste armi anche in territorio russo, al fine di poter minare l’avanzata delle truppe di Putin e la continua distruzione di abitazioni civili in Ucraina. Dall’altro canto Putin a metà settembre ha firmato un decreto per aumentare il numero dei militari, che ora arrivano a 1,5 milioni di unità. Intanto continuano gli attacchi alle centrali ucraine per infiacchire sempre più la popolazione, da tempo ormai periodicamente privata di riscaldamento e/o di luce. Basti ricordare, ad esempio, gli attacchi di droni russi agli impianti di Sumy.

    Sono inoltre frequenti i sorvoli da parte di aerei russi nei cieli di Paesi Nato, salvo poi ritirarsi rapidamente. Si tratta di operazioni mirate a testare l’allerta dei Paesi europei.

    Putin insiste a bombardare palazzi residenziali, facendo morti e feriti, ma inorridisce se i droni ucraini, finalmente, riescono a colpire i suoi depositi di armi. Secondo Kiev, la Russia sta preparando attacchi alle centrali nucleari ucraine e molti sembrano aver dimenticato che Mosca ha sequestrato da ormai molto tempo una centrale atomica in Europa, ricattando così il mondo intero.

    Intanto tra le vittime continuano ad annoverarsi bambini e i missili balistici russi continuano a essere lanciati anche sul porto di Odessa. Kramatorsk come vari villaggi nella regione di Kherson sono stati ulteriormente presi di mira.

    Ancora: il cannibale di Volgograd, condannato per omicidio e cannibalismo e poi graziato dal presidente russo e mandato a combattere in Ucraina è tornato nella sua città, in convalescenza. Molti russi sono preoccupati per il ritorno a casa di vari criminali graziati dal Cremlino purché andassero a combattere al fronte. Le notizie, si sa, arrivano frammentate ma pare che oltre 50 russi siano morti per mano di questi delinquenti arruolati come soldati una volta che hanno potuto fare ritorno dal fronte alle proprie abitazioni.

    Il 22 settembre sembra che il supermissile russo Sarmat sia esploso nel suo sito di lancio e che questo tipo di esplosioni sia già avvenuto in altre occasioni. Questo lascia sperare che le tanto minacciate superarmi di Putin non siano sempre così efficienti come lui afferma.

    Resta il fatto che Putin utilizza armi che gli arrivano dai suoi sanguinari alleati, dall’Iran e dalla Corea del Nord ma la Cina cosa fa veramente?
    Anche se il Consiglio europeo continua a sostenere in modo risoluto l’indipendenza, integrità e sovranità dell’Ucraina mentre i confini riconosciuti a livello internazionale, lo zar del Cremlino aumenta l’escalation della sua aggressione, in spregio alle nuove sanzioni adottate dalle Ue verso Bielorussia, Iran e Corea del Nord quale risposta al loro sostegno a Putin. Le sanzioni comunque non sembrano per ora essere quel deterrente risolutivo che si sperava, anche perché molti continuano a praticare esportazioni tramite triangolazioni e questo la dice lunga sulla moralità e correttezza di molti paesi

    I mass media, almeno in Italia, hanno ridotto molto la copertura informativa su quanto sta avvenendo in Ucraina, ma è bene che ciascuno di noi cerchi di informarsi il più possibile perché la scellerata determinazione di Putin di proseguire in questa guerra sanguinosa, che ha portato ad autentici massacri e stragi di civili (bimbi inclusi), resta una minaccia per tutti noi e non è il momento di tentennamenti o indifferenza.

    Salvini e Orban, una parte del Pd e il M5s per parte loro continuano a parlare della necessità di fermare la guerra senza indicare proposta diversa dalla resa dell’Ucraina e della sua conquista da parte di Putin.

    A chi parla di pace dovrebbe essere chiesto di presentare progetti concreti, non a scapito degli ucraini; a chi parla di diplomazia va ricordato che ad oggi, purtroppo, le feluche non sono state in grado di imbastire con Putin neppure l’avvio di una trattativa. A chi vuole seriamente la pace non resta che la strada di sostenere Kiev con tutto quello che occorre, sia per riconquistare il proprio territorio, invaso dai russi, che per garantire alla popolazione civile il massimo della sicurezza e quei sistemi energetici necessari per poter affrontare l’inverno.

  • Difendere un paese aggredito è un dovere politico e morale

    Orban si scandalizza per le dichiarazioni di Borrell il quale ha correttamente sostenuto come sia giusto che gli ucraini usino le armi degli alleati per difendersi dagli attacchi russi, anche in territorio russo.
    Ovviamente Orban non ha mai contestato al suo amico Putin di aver invaso uno stato indipendente e di continuare la sua feroce guerra utilizzando anche armi iraniane, nord coreane e di chi sa quali altri paesi sanguinari e dittatoriali.
    Perciò gli ucraini per difendersi, sempre secondo Orban, non devono usare le armi degli alleati, anzi nessuno deve dare armi all’Ucraina mentre Putin può prendere armi da chi vuole e continuare ad usarle contro uno stato sovrano ed indipendente al quale ha dichiarato  guerra ormai da più di due anni e mezzo!
    Come sempre una doppia verità, per Orban l’aggressore, Putin, va difeso e l’aggredito, il popolo ucraino, va lasciato alla mercé dello zar.
    L’Europa, lo sappiamo, ha molti problemi gravi ed irrisolti ma ha anche la sfortuna, in un momento così difficile e pericoloso per la vita di tutti, di avere un presidente, grazie a Dio solo per sei mesi, come Orban, un personaggio che ha già dimostrato in troppe occasioni di avere come obiettivo solo il proprio tornaconto e l’amicizia con Putin ne è una ulteriore dimostrazione.
    Diceva una vecchia canzone “Avanti ragazzi di Buda, avanti ragazzi di Pest, il sole non sorge più all’est”, speriamo che gli ungheresi capiscano il valore della libertà di tutti i popoli e che difendere un paese aggredito è un dovere politico e morale.

  • Guerre lunghe e mercanti di armi

    La capacità di Kiev di penetrare in territorio russo, anche se sfiancata da più di due anni di una guerra condotta da Putin con particolare durezza ed efferatezza, dimostra inequivocabilmente la fermezza degli ucraini nel voler difendere la loro terra e gli errori dei loro alleati che non hanno fornito prima armi sufficienti ad impedire l’avanzata russa.
    Se l’Ucraina avesse avuto per tempo le armi di cui ora dispone i russi non sarebbero avanzati così tanto come hanno potuto fare per l’impossibilità degli ucraini di potersi difendere con mezzi adeguati.
    Coloro che vogliono sinceramente la pace vogliono il rispetto del diritto internazionale e della sovranità degli Stati e  per questo sanno che se una nazione si deve difendere da un aggressione l’unica strada per contenere le vittime ed i danni è dare risposte forti ed immediate.
    Chi crede nella pace sa che è meglio una battaglia breve e violenta, che porti ad un accordo, mentre invece le guerre che si trascinano portano migliaia di morti in più, distruzione di interi territori non solo per gli edifici rasi al suolo ma per la contaminazione del terreno causata dai tanti ordigni bellici esplosi ed abbandonati
    Le guerre lunghe portano a ferite profonde che per molti sarà difficile rimarginare anche negli anni, le guerre lunghe giovano solo ai mercanti di armi, a certe contorte visioni politiche, spesso portano a sconfitte dolorose.
    Putin, come tutti i dittatori, vede in una guerra lunga la possibilità di far vincere la forza numerica del colosso che governa, un colosso però che sempre più ha bisogno di alleanze sporche per incrementare la propria macchina bellica con nuovi strumenti di morte.
    È stato un grave errore degli alleati dell’Ucraina non aver ascoltato subito le richieste di Zelenskiy, più armi date nell’immediatezza dell’invasione avrebbero portato meno morti, stragi, sofferenze, distruzioni e Putin sarebbe stato costretto prima a finire il massacro che ha iniziato.
    I veri guerrafondai, dittatori e non, sono coloro che trascinano le guerre nel tempo e arricchiscono i fabbricanti di armi e gli speculatori.
    Se vogliamo la pace giusta diamo all’Ucraina quanto le serve ancora e impegniamo quelle diplomazie che fino ad ora sono state inconcludenti o assenti per motivi di incapacità o di bieco interesse.

  • Dagli Usa aiuti militari per 500 milioni di dollari alle Filippine

    Gli Stati Uniti hanno deciso di destinare 500 milioni di dollari di aiuti militari alle Filippine per “rafforzare la cooperazione nel campo della sicurezza” con il loro “più antico alleato nella regione”. Lo ha annunciato il segretario di Stato Antony Blinken, durante il suo viaggio a Manila assieme al capo del Pentagono Lloyd Austin mentre restano forti le tensioni con la Cina nel Mar Cinese Meridionale. Blinken e Austin hanno partecipato al Dialogo ministeriale 2+2 a Camp Aguinaldo con gli omologhi, rispettivamente Enrique Manalo e Gilberto Teodoro, al termine del quale è stato annunciato un investimento che il capo della diplomazia di Washington ha definito “generazionale”, in grado di modernizzare forze armate e Guardia costiera di Manila.

    “Questo livello di finanziamento non ha precedenti e invia un chiaro messaggio di sostegno alle Filippine da parte dell’amministrazione Biden-Harris, del Congresso e del popolo americano”, ha detto da parte sua il segretario alla Difesa Austin. Stando a quanto reso noto dagli Stati Uniti, 125 milioni di dollari andranno alla costruzione e al miglioramento delle basi militari in cui Manila ha consentito lo stazionamento di truppe Usa sulla base dell’Accordo rafforzato per la cooperazione in materia di difesa. A Manila Blinken ha anche garantito che, qualsiasi cambiamento vi sarà a Washington dopo le elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre, gli impegni degli Stati Uniti nei confronti delle Filippine non saranno modificati.

    “Abbiamo un Trattato di mutua difesa per il quale gli Stati Uniti si sono impegnati. Questo impegno durerà”, ha assicurato il segretario di Stato. Lo stesso messaggio è arrivato anche da Austin: “Potete scommettere sul fatto che questo sostegno continuerà”. Manalo, da parte sua, ha parlato di un’alleanza, quella con gli Usa, che ha “tenuto alla prova del tempo”. Blinken e Austin sono reduci da incontri ministeriali a Tokyo, inclusa una riunione dei capi della diplomazia del Quad, durante i quali hanno espresso la loro “seria preoccupazione riguardo alla situazione nel Mar Cinese Meridionale”, teatro di dispute territoriali tra la Cina e le Filippine che negli ultimi mesi sono culminate in diversi incidenti tra le imbarcazioni dei due Paesi, con l’impiego di cannoni ad acqua e veri e propri abbordaggi da parte della Guardia costiera di Pechino. “Continuiamo a esprimere la nostra viva preoccupazione per la militarizzazione (…) e per le manovre coercitive e intimidatorie nel mar Cinese meridionale”, hanno dichiarato il segretario di Stato Usa Antony Blinken e gli altri tre ministri degli Esteri del quartetto in un comunicato congiunto, con un riferimento implicito alla Cina.

    Le Filippine “continueranno a far valere i loro diritti” sulle aree del Mar Cinese Meridionale oggetto della disputa territoriale con la Cina, ha invece chiarito il ministero degli Esteri filippino, dopo l’annuncio il 21 luglio di un accordo con Pechino per evitare scontri durante le operazioni di rifornimento dell’avamposto militare di Manila presso la secca di Second Thomas. Il ministero ha anche smentito, contrariamente a quanto suggerito da Pechino, che “l’accordo provvisorio” annunciato ieri obblighi Manila a “notificare preventivamente” alla Cina gli invii di rifornimenti verso l’avamposto, che si trova sul relitto della nave Brp Sierra Madre. “I principi e gli approcci stabiliti nell’accordo sono stati raggiunti attraverso una serie di attente e meticolose consultazioni tra entrambe le parti che hanno aperto la strada a una convergenza di idee senza compromettere le posizioni nazionali”, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri filippino Teresita Daza. “Le dichiarazioni (del ministero degli Esteri cinese) in merito alle notifiche preventive e alle conferme sul posto non sono dunque accurate”.

    La Cina “è disposta a consentire” il rifornimento di beni di prima necessità da parte delle Filippine al personale della sua nave da guerra ancorata “illegalmente” nella secca dell’atollo Second Thomas (che Pechino chiama Ren’ai Jao, ndr), ma ribadisce la richiesta a Manila di rimuoverla. Con queste parole il portavoce del ministero degli Esteri cinese ha risposto alla richiesta di commento sull’accordo concluso fra Pechino e Manila sulla gestione delle attività nell’area dell’atollo Second Thomas, rivendicato da entrambi i Paesi. “La Cina ha recentemente avuto una serie di consultazioni con le Filippine sulla gestione della situazione a Ren’ai Jiao e ha raggiunto un accordo provvisorio con le Filippine sul rifornimento umanitario dei beni di prima necessità”, ha dichiarato il portavoce in un comunicato, precisando che “le parti hanno concordato di gestire congiuntamente le differenze marittime e di lavorare per la riduzione della tensione nel Mar Cinese Meridionale”.

    Nel comunicato, Pechino precisa che “Ren’ai Jiao fa parte del Nansha Qundao cinese e che la Cina ha la sovranità su Ren’ai Jiao e sul resto di Nansha Qundao, nonché sulle acque adiacenti”. “Mantenendo la propria nave da guerra a terra a Ren’ai Jiao per decenni consecutivi, le Filippine hanno violato la sovranità della Cina e la Dichiarazione sulla condotta delle parti nel Mar Cinese Meridionale in particolare l’articolo 5 che afferma che le parti dovrebbero astenersi dal azione di abitare sulle isole e sulle scogliere disabitate”. Come secondo punto, ha proseguito il portavoce, Pechino si dice disposta a consentire alle Filippine di assicurare la consegna di beni di prima necessità al suo personale che vive sulla nave da guerra, precisando che la richiesta dovrà essere debitamente comunicata e che le autorità cinesi monitoreranno l’intero processo di rifornimento. Tuttavia, precisa ancora il portavoce, “se le Filippine dovessero inviare grandi quantità di materiali da costruzione alla nave da guerra e tentare di costruire strutture fisse o avamposti permanenti, la Cina non lo accetterebbe assolutamente” e ne impedirebbe l’attuazione.

  • Business e democrazia: la tedesca Rheinmetall apre la sua prima fabbrica di munizioni in Ucraina

    L’azienda tedesca di articoli militari Rheinmetall ha ricevuto il primo importante ordine dal governo ucraino per la costruzione di una fabbrica di munizioni in Ucraina, dando così seguito a quanto era stato annunciato a febbraio 2024 e segnando l’inizio della realizzazione del progetto. L’ordine per il gruppo tecnologico di Düsseldorf Rheinmetall copre l’intera dotazione tecnica della fabbrica fino alla sua messa in funzione. Si tratta di un valore complessivo che si aggira su una cifra nell’ordine delle centinaia di milioni di euro, che sarà registrato come ordine in entrata all’inizio del terzo trimestre del 2024. È previsto che il progetto inizi a breve termine e venga completato entro pochi anni, con l’intenzione di avviare la produzione di munizioni in Ucraina entro 24 mesi. Insieme al partner di joint venture ucraino, Rheinmetall sarà anche responsabile della gestione dell’impianto.

    Armin Papperger, ceo di Rheinmetall AG: «Stiamo traducendo le parole in azioni e, insieme al nostro partner, creeremo un centro di competenza ucraino per le munizioni. L’ordine sottolinea la fiducia nelle capacità di competenza e produzione di Rheinmetall. Siamo grati di poter supportare il Paese nella sua reindustrializzazione e nel rafforzamento della sua capacità di difesa».

    Attualmente sono in corso misure in Ucraina per preparare le infrastrutture necessarie. È in procinto di essere costituita una joint venture tra Rheinmetall e un’azienda statale ucraina per la gestione della fabbrica di munizioni. Questo è stato annunciato durante una discussione a margine della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco a febbraio 2024.

    A giugno 2024, il ceo di Rheinmetall AG, Armin Papperger, e il ministro ucraino per le Industrie Strategiche, Oleksandr Kamyshin, hanno firmato un accordo per espandere la cooperazione strategica alla “Conferenza sulla Ricostruzione dell’Ucraina” a Berlino. Pochi giorni prima, avevano inaugurato una fabbrica di armamenti nell’Ucraina occidentale, gestita dalla joint venture Rheinmetall Ukrainian Defence Industry LLC.

    Il primo Veicolo da Combattimento di Fanteria Lynx di Rheinmetall sarà consegnato alle forze armate ucraine entro la fine dell’anno e la produzione locale inizierà il prima possibile.

  • Il pressapochismo e le sue conseguenze

    Negli ultimi anni abbiamo visto, in troppe occasioni, molti capi di Stato, primi ministro, leader d’opposizione che non sempre sembravano consapevoli delle loro dichiarazioni e relative conseguenze, in altre consapevoli ed in totale spregio delle conseguenze.

    La teoria che l’inquinamento, non solo ambientale, possa avere colpito le capacità di ragionamento ed essere la causa non è stata al momento né suffragata da prove scientifiche ma neppure smentita, certo è che l’inquinamento emotivo ha procurato un’escalation di violenza in ogni strato della popolazione.

    Quello che oggi preoccupa ulteriormente è l’inconfutabile certezza che tutto si va deteriorando anche negli apparati più sensibili, non per nulla nessuno avrebbe potuto immaginare una sconfitta così tragica come quella subita dai servizi d’informazione israeliani il 7 ottobre.

    Che gli Stati Uniti abbiano periodicamente un attentato ad un presidente o ad un leader politico è cosa nota ma non può che stupire come si è compiuto l’atto scellerato, ma altrettanto maldestro, di chi ha sparato a Trump, uccidendo un inerme cittadino, nella disattenzione generale di chi era preposto, sul campo, alla sicurezza.

    I molto gravi attentati terroristi degli ultimi anni, che hanno colpito anche la Russia, e i tanti attentati minori, compiuti da persone già segnalate come pericolose, dimostrano purtroppo uno scadimento sempre più preoccupante dei sistemi di sicurezza.

    Viviamo in una società ad alto rischio ma i rischi maggiori sono dovuti allo scollamento delle istituzioni ed al pressappochismo.

  • Libertà, democrazia e armi

    Come tutti siamo preoccupati per l’escalation della violenza in genere e di quella, in particolare, che colpisce rappresentanti politici: l’attentato a Trump dimostra, una volta di più, come dalla violenza verbale sia brevissimo il passo per arrivare alla violenza fisica.

    Tutti dovrebbero abbassare i toni e comprendere l’urgenza di ritornare a confronti politici corretti cosi come è necessario un maggior controllo sui social quando i loro utenti si scatenano in ingiurie e minacce.

    Dopo avere condannato l’attentato a Trump dobbiamo anche fare una riflessione sull’eccessiva e pericolosa libertà, che c’è negli Stati Uniti, per l’acquisto di armi.

    Il Presidente Biden si è più volte espresso sulla necessità di modificare l’attuale sistema per rendere più difficile l’acquisto di armi, armi che sono vendute liberamente anche quando sono praticamente armi d’assalto.

    Ovviamente i produttori di armi sono sempre stati contrari osteggiando in tutti i modi la proposta di Biden e Trump è sempre stato favorevole alla libera vendita delle armi, non per nulla una possibile candidata ad essere sua vice, se sarà eletto alla presidenza, è una governatrice che in un suo libro si vanta di aver sparato al proprio cane, perché disubbidiente, ed ad una sua capra, perché brutta.

    Oggi forse Trump, sulla sua pelle, potrebbe aver imparato una dura lezione, la libertà di tutti non va d’accordo con la libertà di chiunque di acquistare strumenti per ferire ed uccidere.

    In questi anni gli Stati Uniti hanno pianto decine di morti, ragazzi, studenti, cittadini presi di mira da altri ragazzi e cittadini che, legalmente in possesso di armi da fuoco, hanno sparato per uccidere, per commettere delle autentiche stragi.

    Speriamo che questa riflessione la facciano anche gli americani, Trump in testa, e comprendano tutti che la libertà e la democrazia del proprio Paese si tutela anche regolamentando in modo più severo la vendita di armi da fuoco.

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