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  • I teenager praticano autolesionismo per esprimersi

    L’autolesionismo prende piede tra i ragazzi italiani, tra i 12 e i 18 anni, con un’accelerazione dopo il Covid. Il 70% di chi compie atti come tagliare, incidere, ferire la pelle, gambe e braccia con lamette, coltelli affilati, temperini, punte di vetro, lattine usate ha un’età compresa tra i 12 ai 14 anni (nella maggioranza dei casi scelgono di ferirsi le braccia con la lametta). Il 19% di loro riesce a smettere di tagliarsi, ma solo grazie al supporto di uno psicoterapeuta. Fortunatamente, si tratta di un disturbo della personalità perlopiù transitorio, che scompare al termine dell’adolescenza, quando si è tra i 20 e i 25 anni.

    A spingere a farsi male è spesso il proposito di scacciare un chiodo con un altro chiodo, più precisamente di controllare e interrompere un dolore mentale o un’angoscia troppo forti: molti preferiscono il dolore fisico al dolore mentale e ferendosi fanno in modo che il dolore fisico prenda il posto di quello mentale. Per alcuni adolescenti tagliarsi è addirittura un modo per percepire di esistere ed essere vivi: meglio un dolore fisico che non sentire niente o sentirsi vuoti e inutili. Tagliarsi dà l’illusione di un sollievo, a volte addirittura euforia, come se dai tagli fuoriuscissero finalmente le emozioni che non si riescono a tollerare dentro di sé: la disperazione, la tristezza, il sentirsi rifiutati, la solitudine e la rabbia.

    L’autolesionismo può anche costituire una forma di comunicazione del proprio disagio. Attraverso le ferite, infatti, la propria sofferenza appare evidente agli occhi degli altri: il proprio corpo viene utilizzato come una lavagna attraverso cui far percepire a tutti che si esiste e come ci si sente.

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