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  • Gli italiani sono attratti dall’auto 100 volte più che dalla bicicletta

    L’Italia investe per l’auto quasi 100 volte di più di quello che investe per la bici: 98 miliardi di euro contro 1. E questo solo per l’automotive e le infrastrutture stradali, senza contare la riduzione delle tasse sui carburanti (accise) e i sussidi a questi.

    Il risultato è che le città italiane hanno in media appena 2,8 chilometri di ciclabili per abitante, contro i 14 di Amsterdam e gli 8 di Copenhagen. Eppure, basterebbe spendere 3,2

    miliardi di euro in sette anni, 500 milioni all’anno da qui al 2030, per dare all’Italia una rete di ciclabili al livello dell’Europa. I numeri li ha dati un rapporto dal titolo eloquente, “L’Italia non è un paese per bici”. L’hanno preparato le ong ambientaliste Clean Cities, Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta), Kyoto Club e Legambiente.

    Quello che esce dallo studio è il ritratto di un Paese  stregato dall’automobile, dove tutte le politiche della mobilità da 60 anni a questa parte sono incentrate sul mezzo privato, dove la bicicletta è vista come un giocattolo per il weekend, non come un mezzo di trasporto ecologico e sostenibile.

    I 2,8 km di piste ciclabili per abitante sono in realtà la media fra alcune città del Nord a livelli scandinavi (Modena, Ferrara e Reggio Emilia hanno dai 12 ai 15 km per abitante) e molte città del Sud a livello africano, con 0 km di ciclabili.

    Le ciclabili sono cresciute del 20% tra il 2015 e il 2020, ma oltre un terzo dei comuni non ha costruito un solo chilometro in più, o ne ha addirittura rimossi alcuni. Le disparità territoriali sono grandissime: nella top 10 ci sono solo città del Nord, mentre in coda alla classifica si trovano quasi solo città del Centro-Sud.

    Secondo il rapporto, per colmare il gap con il resto d’Europa, alle città italiane servirebbero 16.000 km di ciclabili in più rispetto al 2020, per arrivare un totale di 21.000 km al 2030.

    L’investimento dovrebbe essere di almeno 3,2 miliardi di euro nell’arco dei prossimi 7 anni, pari a 500 milioni di euro all’anno. Non sono pochi soldi, ma sono appena il 3,5% di quelli già stanziati per l’auto e le sue infrastrutture. E sono molto di più di quanto predisposto fino ad ora per la ciclabilità.

    Le quattro organizzazioni che hanno presentato il rapporto chiedono al Parlamento e al Ministero delle Infrastrutture di approvare un piano straordinario di investimenti per la ciclabilità nella prossima legge di bilancio, con uno stanziamento di mezzo miliardo di euro l’anno fino al 2030.

  • L’auto elettrica rende superfluo un Cipputi ogni tre

    Il 35% dei posti di lavoro del settore dell’automotive in Europa “è minacciato dall’elettrico”, per questo “il governo italiano e l’Europa devono intervenire per rendere questa transizione accettabile, il che non significa pagare la cassa integrazione, ma vuol dire per il lavoratore vedere trasformato il proprio lavoro e non perderlo”. A chiederlo sono Fiom, Fim, Uilm che si uniscono a queste parole di Luc Triangle, segretario generale IndustriAll Europe, il sindacato europeo con cui hanno organizzato una due giorni sul futuro dell’industria automobilistica europea, alla luce della transizione ecologica e della decisione europea di fermare la produzione di motori endotermici entro il 2035.

    L’industria dell’automotive “rappresenta in Europa 2,6 milioni di posti di lavoro, e nel complesso più di 13 milioni di posti di lavoro. Ciò fa di questo settore uno dei più importanti in Europa e in Italia. Il futuro di questo settore è a rischio”, afferma Triangle. “L’Europa non può permettersi di lasciare andare la sua industria automobilistica, sarebbe un disastro sociale, l’Europa – continua Triangle – ha bisogno di un’industria automobilistica forte, per creare le giuste condizioni nella transizione”.

    In Italia sono circa 250 mila le lavoratrici e i lavoratori coinvolti, di cui 168 mila riguardano la filiera della componentistica. Le trasformazioni del settore automotive, spiegano i sindacati, devono essere “accompagnate da interventi di politiche industriali”, perché come afferma Rocco Palombella, segretario generale Uilm, “la transizione non creerà nuovi posti di lavoro, ossia ne creerà di nuovi, ma se ne perderanno tantissimi, si parla della perdita del 50% nella componentistica”.

    Il futuro del settore dell’automotive, “deve essere un tema centrale del governo: occorrono azioni chiare e risolutive, in cui si capisca cosa loro vogliono fare. Questa non è una discussione domestica, ma va affrontata in Europa con tutti gli Stati”, dice Palombella, perché “o si riesce tutti insieme o si soccombe tutti insieme”. E’ d’accordo Michele De Palma, segretario generale Fiom, per il quale i sindacati devono essere uniti in Europa. “Serve un piano strategico e straordinario finanziato dall’Europa che poi abbia una declinazione nazionale”, aggiunge, e in Europa “non ci deve essere competizione tra lavoratori e imprese, ma cooperazione”. “Come sindacato dei metalmeccanici, unitariamente, rilanceremo al nuovo governo l’idea di dare al tavolo automotive più profondità, più strumenti, più politiche – conclude Roberto Benaglia, segretario generale Fim – in modo da permettere sia una forte riconversione del settore ma soprattutto, usando lo slogan europeo: ‘nessuna transizione si fa senza di noi’, consentire la migliore tutela occupazionale degli oltre 70mila lavoratori diretti coinvolti che rischiano di perdere il posto di lavoro”.

  • Lamborghini cresce ancora e pensa alla Borsa

    Continua la crescita di Lamborghini, che si mette alle spalle i migliori 9 mesi di sempre e si prepara a sbarcare in Borsa. Il fatturato in questo periodo ha raggiunto 1,93 miliardi di euro, in aumento del 30,1% rispetto al 2021. Le consegne da gennaio a fine settembre raggiungono le 7.430 unità (+8% rispetto allo stesso periodo del 2021) e tutte e 3 le macro-regioni in cui la Casa di Sant’Agata Bolognese è presente (America, Asia Pacifico ed Europa-Middle East-Africa) sono cresciute proporzionalmente. Il mercato di riferimento continua ad essere quello degli Usa (+8%), seguito da Mainland China-Hong Kong e Macao (+5%), Germania (+16%), UK (+20%) e Giappone (+26%).

    Anche il risultato operativo ha fatto registrare un incremento del 68,5%, attestandosi a 570 milioni. Il corrispondente Return on Sales (RoS) ha raggiunto il 29,6%, superando il 22,8% raggiunto nello stesso periodo del 2021. “Questi dati in costante aumento dimostrano tutta la solidità di Lamborghini oggi. Abbiamo un portafoglio ordini che copre già il primo trimestre del 2024 e questo ci permette di lavorare con

    serenità guardando, in modo ponderato, alle sfide che il futuro ci impone, come il prossimo passaggio all’ibrido dal 2023», commenta Stephan Winkelmann, presidente e ad della Casa di Sant’Agata Bolognese, dopo che Lamborghini ha celebrato a settembre l’addio al V12 termico puro in attesa della fase di trasformazione epocale che prenderà avvio il prossimo anno con l’ibridizzazione di tutta la gamma entro il 2024.

    Intanto il costruttore italiano di auto di lusso sta sviluppando una strategia per presentarsi agli investitori sul mercato azionario, da ben prima che la casa madre Volkswagen chiedesse a ciascuno dei suoi marchi di elaborare una ipotesi di quotazione. Non solo Porsche, dunque, sta preparandosi all’Ipo. “Abbiamo lavorato su questo aspetto con altre agenzie al fine di creare chiarezza”, ha detto Winkelmann in un’intervista. «Come marchio lo abbiamo fatto per molto tempo, per mostrare il valore che abbiamo. Fino a qualche tempo fa, non era così noto”, ha aggiunto secondo quanto riferisce Bloomberg.

  • La tempesta lmperfetta

    Dall’inizio della pandemia il nostro sistema economico e sociale è sottoposto ad una serie di problematiche  per le quali nessun governo precedentemente aveva pensato e tanto meno posto in essere delle strategie di contrasto. Ogni governo degli ultimi 30 anni ha, infatti, continuato ad aumentare la spesa pubblica corrente ed il debito come se questi fattori fossero assolutamente ininfluenti all’interno di una strategia di sviluppo economico.

    Successivamente la pandemia con l’inflazione e contemporaneamente la carenza di materia prime per la nostra industria di trasformazione hanno posto ancor più sotto stress il nostro sistema industriale ed economico e di conseguenza anche quello occupazionale e sociale.

    Mentre il governo Draghi parlava, nel 2021,  di un nuovo boom economico simile a quello degli anni sessanta, il nostro Paese è arrivato all’esplosione inaspettata della guerra in Ucraina già con il prezzo del gas a +537% e da questo primato si sono poi succedute le terribili conseguenze della crisi economica ed energetica all’interno di un’economia di guerra.

    Gli altri governi della stessa Unione europea stanno optando per sostanziali e complessive politiche fiscali finalizzate alla riduzioni delle tasse, viceversa quello italiano continua con la  discriminante, ed  anche  umiliante, politica dei Bonus per la necessaria presentazione del certificato ISEE.

    In un simile contesto emerge l’incapacità di elaborare una politica fiscale complessiva che abbia la doppia funzione di attutire per i consumatori l’impatto dell’inflazione esogena (1), cioè  determinata da fattori esterni (carenza e aumento dei costi delle materie prime e dei prodotti energetici), alla quale si aggiungono  i terribili effetti (2) di una politica monetaria della Bce incapace di comprendere perfino la diversa  genesi inflattiva europea e la conseguente politica monetaria (infatti la Cina ha abbassato i tassi d’interesse).

    Molti commentatori indicano questa sintesi di fattori economici, monetari e sociali come la “tempesta perfetta” sottintendendo la sostanziale irresponsabilità delle classi politiche e governative nazionali.

    Una definizione calzante, forse, per i vertici Istituzionali, governativi e politici, degli altri paesi ma non certamente per il nostro.

    Non va dimenticato, infatti, come la percezione di questa crisi non venga assolutamente dimostrata da determinate autorità politiche, anche  locali, le quali continuano nella propria gestione ideologica delle città come se questi terribili eventi, come la crisi economica ed energetica, rappresentassero un’occasione più che una disgrazia.

    Andrebbe ribadito ancora una volta come all’interno di un periodo di una complessa  crisi  come l’attuale, ogni risorsa economica umana e professionale dovrebbe essere lasciata libera  con l’obiettivo di creare le condizioni favorevoli ad una ripresa il più possibile veloce ed immediata eliminando ogni vincolo burocratico di ogni tipo e sorta.

    La scellerata scelta, invece, del sindaco di Milano, Sala, di impedire l’ingresso nella città alle autovetture euro 5 diesel va esattamente nella direzione opposta , confermando da una parte di non essere in grado di comprendere gli effetti devastanti per il tessuto industriale economico ed occupazionale derivanti dalla guerra come della pandemie e dall’inflazione. In più lo stesso sindaco dimostra di essere vittima di un narcisismo ideologico che pone la sua figura come le proprie decisioni al di sopra del problematico contesto storico.

    Un’unica persona come il  sindaco  mette così a rischio, o quanto meno in difficoltà, la complessa movimentazione di persone e  cose, e quindi di idee ed iniziative per oltre trecentomila (300.000) persone, nella sola area di Milano. Per cui il nostro Paese non si trova a subire solo i terribili effetti di  una tempesta derivante da fattori indipendenti dal controllo governativo, politico ed istituzionale, ma ne aggrava le conseguenze con l’opera irresponsabile di autorità governative anche locali.

    In questo periodo, sempre a causa di una sostanziale incompetenza e soprattutto di un approccio ideologico considerato superiore, alla stessa tragica unicità del momento storico economico,  le diverse classi politiche anche locali continuano per la propria strategia ideologica, prive di ogni collegamento con il contesto storico ed economico.

    Emergere chiaro perciò per quale motivo il nostro Paese subisca gli  effetti più disastrosi legati al succedersi della pandemia e della guerra.

    In quanto alla tempesta perfetta si aggiunge l’imperfetto operato dal governo e dei sindaci, i quali  si rivelano di una  assoluta impermeabilità alle difficoltà espresse, anche dai propri concittadini , Introducendo vincoli alla movimentazione urbana (Milano stop euro 5) o magari aumentandosi i propri emolumenti (Padova), e soprattutto non ponendosi neppure il dubbio  se, in un contesto di eccezionale gravità, non sarebbe il caso di riporre nella fondina i propri obiettivi ideologici,e dare la massima priorità ad una ripresa economica sostenuta anche dalla eliminazione di quanti più possibili vincoli burocratici e normativi anche nella semplice movimentazione urbana.

    P.S. In relazione, poi, all’impatto delle auto: 11.08.2022 https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-colpevole-immaginaria-lautomobile/

  • Calano del 24% le vendite di auto elettriche

    Altro che boom delle auto elettriche. In Italia se ne vendono sempre meno. A luglio le immatricolazioni di elettriche pure e ibride sono crollate del 24% rispetto allo stesso mese del 2021. Secondo l’associazione di settore Motus-E, le cause sono la limitazione degli incentivi decisa dal governo e la mancanza di veicoli, per la crisi delle materie prime. Ma pesa anche lo scarso numero di colonnine di ricarica in autostrada, presenti solo in 59 stazioni su 506.

    A luglio 2022, secondo Motus-E le vendite di auto con possibilità di ricarica (somma di BEV, elettriche pure, e PHEV, veicoli ibridi plug-in) si sono attestate a 8.670 unità, facendo segnare un calo del 24,15% rispetto allo stesso mese del 2021, quando le immatricolazioni sono state 11.431.

    Le auto elettriche pure registrano un calo delle vendite pari al 29,30%, per un totale di 3.605 unità immatricolate. Le vendite delle ibride plug-in segnano una diminuzione del 20,01%, con un totale di 5.065 unità immatricolate nel mese. La quota di mercato delle auto alla spina si ferma al 7,88%.

    “Luglio 2022 è il primo mese in cui non si registrano immatricolazioni dovute alle consegne delle auto elettriche incentivate con ecobonus 2021 – spiega Motus-E -. A questo va aggiunto l’effetto della mancanza di prodotto, ovvero delle vetture, drammaticamente legato alla crisi di materie prime, e l’inadeguatezza del sistema di incentivi”.

    Motus-E denuncia “la limitazione dell’Ecobonus al solo canale privato”, escludendo le aziende, e “gli attuali limiti di prezzo”, scesi da 45 a 35.000 euro (più Iva) per le elettriche e da 50 a 45.000 euro per le ibride plug-in. “Stiamo perdendo almeno un 70% della domanda ipotetica di questi veicoli”, denuncia l’associazione. Tanto è vero che il Mise sta pensando di estendere gli incentivi ai redditi sotto i 30.000 euro col Decreto Aiuti bis.

    Ma a frenare il passaggio all’auto elettrica in Italia c’è anche la scarsità delle colonnine di ricarica in autostrada. Secondo il sito specializzato in mobilità elettrica InsideEVs, su 506 stazioni di servizio operative in autostrada, solo 59 (11,6%) dispongono di colonnine, per un totale 254 punti di ricarica. Ma i numeri si riducono a 38 stazioni di servizio (7,5%) e 172 punti di ricarica se si considerano solo le colonnine cosiddette ad “alta potenza” (da 150 a 350 kW), quelle necessarie per ricaricare in tempi ragionevoli (15-30 minuti a seconda del modello).

    Le poche colonnine poi sono concentrate al Nord e spariscono al Sud. Se Emilia Romagna e Lombardia, ma anche Valle d’Aosta e Umbria, dispongono di più di un’area di servizio attrezzata ogni 100 km, Basilicata, Molise e Sicilia non offrono ancora nessuna stazione.

  • La Commissione autorizza l’acquisizione del controllo esclusivo dei grossisti affiliati della Fiat in Rep. Ceca, Ungheria e Slovacchia da parte del gruppo Emil Frey

    Ai sensi della normativa europea sulle fusioni, la Commissione europea ha approvato l’acquisizione del controllo esclusivo di tre affiliate della FCA Italy S.p.A. (“Fiat”) in Cechia, Ungheria e Slovacchia da parte del gruppo svizzero Emil Frey. Le affiliate della Fiat operano nella distribuzione all’ingrosso di veicoli nuovi, accessori e pezzi di ricambio, nonché nell’assistenza alla clientela dei marchi Fiat. Il gruppo Emil Frey si occupa a livello mondiale della distruzione all’ingrosso di veicoli passeggeri e commerciali. Dopo aver valutato le sovrapposizioni orizzontali tra le attività delle due imprese, la Commissione ha concluso che l’acquisizione proposta non avrebbe creato problemi di concorrenza. L’operazione è stata esaminata secondo la normale procedura di controllo delle concentrazioni. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito web della Commissione dedicato alla concorrenza, nel registro pubblico dei casi, con il numero M.10745.

    Fonte: Commissione europea

  • Il 55% dei siti web di intermediazione di autonoleggio controllati viola il diritto dell’UE

    La Commissione europea e le autorità nazionali di tutela dei consumatori hanno pubblicato i risultati di un controllo a livello europeo di siti web di intermediari di autonoleggio. Coordinate dalla Commissione, le autorità di dieci Stati membri, più la Norvegia, hanno controllato 78 siti web di intermediazione di autonoleggio, compresi siti web di compagnie aeree, per verificare se i principali intermediari operanti in Europa rispettino le norme dell’UE a tutela dei consumatori. Nel complesso, solo il 45% dei siti è risultato conforme alle norme dell’UE.

    In quasi un terzo dei siti web non è chiaro se i consumatori debbano contattare l’intermediario o la società di noleggio in caso di domande o reclami. Inoltre il 28% dei siti non menziona esplicitamente il nome della società di intermediazione, e quasi la metà non fornisce informazioni chiare su quanto incluso nell’assicurazione. Le autorità hanno riscontrato problemi anche in relazione alle informazioni sui prezzi: ad esempio erano incomplete quelle sui costi obbligatori (ad es. supplementi per “giovane conducente” o “riconsegna in altra località”).

    Le autorità nazionali contatteranno gli operatori interessati affinché rettifichino i loro siti web e, se necessario, per avviare azioni di contrasto in linea con le rispettive procedure nazionali.

  • La Francia indaga quattro colossi mondiali dell’auto per il Dieselgate

    Svolta nel dossier legato al Dieselgate, lo scandalo legato alla manipolazione dei dati sulle emissioni dei gas tossici nei motori diesel. Quattro colossi mondiali dell’auto – Volkswagen, Renault, Peugeot e Citroen – sono finiti sotto esame in Francia, con potenziali multe di diversi miliardi di euro e la prospettiva di un possibile risarcimento dei proprietari dei veicoli potenzialmente ‘truccati’. “Se ci sarà un processo penale, tutti gli acquirenti di nuovo modelli appartenenti a questi marchi potrebbero costituirsi parte civile” e chiedere eventuali risarcimenti, suggerisce alla France Presse Raphaël Bartlomé, dell’associazione in difesa dei consumatori, UFC-Que Choisir.

    Renault, Volkswagen e Stellantis, la nuova casa madre di Peugeot, Citroën e Fiat-Chrysler, respingono in toto le accuse. Tutto ha inizio nel 2015. In seguito ai rilievi dell’agenzia ambientale Usa, Volkswagen riconosce di aver truccato 11 milioni di veicoli con uno speciale software capace di far apparire le proprie auto meno inquinanti rispetto a quanto non fossero in realtà. Uno scandalo assoluto. Oltre che una truffa molto pericolosa, incluso, per la salute delle persone e degli animali, che indusse la giustizia francese a vederci più chiaro anche su altri marchi automobilistici. Dopo 5 anni di inchiesta, la giustizia francese ha dunque deciso di iscrivere Volkswagen, Renault, Peugeot e Citroën nel registro degli indagati, con simili accuse di truffa a danno dei consumatori. Fiat-Chrysler (Fca) è invece convocata per inizio luglio. Una situazione che apre la strada ad un eventuale processo oltre che un possibile risarcimento dei proprietari dei veicoli, il cui valore crollò ai tempi dello scandalo, 6 anni fa. All’epoca, quando il Dieselgate occupava tutte le prime pagine dei giornali e all’Eliseo c’era Francois Hollande, il governo francese fece nominare una commissione di esperti per vederci più chiaro. La commissione riscontrò alcune “anomalie” sulle emissioni inquinanti di diversi marchi. A fine 2016, l’Ufficio anti-frode di Parigi (DGCCRF) riscontrò scarti abissali, fino al 377%, tra le performance di alcuni modelli diesel di Renault, al momento dell’omologazione in laboratorio e le reali condizioni di utilizzo su strada. In Francia, secondo la DGCCRF, sono potenzialmente centinaia di migliaia i veicoli coinvolti: 950.000 di Volkswagen, 900.000 di Renault e 1,9 milioni di Peugeot e Citroën (PSA), venduti tra il settembre 2009 e settembre 2015.

  • Brembo riparte raddoppiando gli utili e conseguendo ricavi record

    Brembo festeggia il suo sessantesimo anno di vita con un primo trimestre robusto. La società presieduta da Alberto Bombassei riparte dopo gli effetti della pandemia e mette a segno ricavi record a 675,1 milioni (+17,2%) e un utile netto più che raddoppiato a 61,4 milioni (+106%). Piazza Affari ha accolto in modo positivo i risultati con il titolo che ha chiuso in rialzo dello 0,86 a 10,58 euro.

    Nei primi tre mesi del 2021 tutti i segmenti in cui il gruppo opera hanno avuto un andamento positivo: il settore auto è in crescita del 13,1%, le applicazioni per motocicli del 40,5% (+33,4% a parità di perimetro di consolidamento), quelle per veicoli commerciali del 31,6% e le competizioni del 3,3% rispetto allo stesso trimestre del 2020. “Siamo entrati nel sessantesimo anno di Brembo con un risultato particolarmente incoraggiante”, afferma Bombassei. “I dati del primo trimestre 2021 – aggiunge – mostrano infatti una ripartenza robusta e confermano il trend che ha caratterizzato gli ultimi 3 mesi del 2020. Nella storia di Brembo non avevamo mai registrato ricavi così alti in un primo trimestre, che crescono non solo rispetto allo stesso periodo del 2020, ma anche e soprattutto rispetto al 2019”.

    Il gruppo ha registrato vendite in crescita in Italia del 20,9%, in Germania del 6,1%, in Francia del 27,6% e nel Regno Unito del 6,2%. L’India cresce del 31,2%, la Cina del 97,4 (+100,9% a cambi costanti; +39,6% rispetto al primo trimestre 2019) e il Giappone del 20,0%. Il mercato nordamericano (Stati Uniti, Messico e Canada) è in avanza del 5,9%, mentre quello sudamericano (Brasile e Argentina) è in calo del 21,1% ma cresce, a cambi costanti, del 3,3%.

    Con i risultati dei primi tre mesi tornati al periodo pre-covid, e gli ordini per il secondo trimestre consentono al gruppo di Brembo di guardare al futuro con ottimismo. C’è ancora una fase “complessa e di incertezza per il covid e per le materie prime ma siamo fiduciosi di riuscire a fare bene per tutto l’anno”, sostiene Matteo Tiraboschi, vicepresidente esecutivo.

    Con il vento in poppa sul fronte dei risultati e le recenti acquisizioni di Sbs Friction in Danimarca e J.Juan in Spagna, Brembo punta a crescere ancora. Il 2021 “è partito bene. Abbiamo fatto delle operazioni delle acquisizioni di aziende leader nel loro segmento. E’ chiaro che andremo avanti nel cercare tutto ciò che può creare valore per Brembo”, conclude Tiraboschi.

  • Nel 2030 saranno elettriche 8 auto ogni 10 in circolazione

    Entro il 2030 i veicoli totalmente elettrici (Bev) costituiranno oltre l’80% di tutti i mezzi elettrici venduti. Sarà la Cina, insieme ad altri Paesi asiatici, a recitare il ruolo da protagonista, arrivando a detenere fino alla metà (49%) di tutto il mercato mondiale dei veicoli elettrici. E’ questa la fotografia scattata dall’ultimo report di Deloitte Electric Vehicles – Setting a course for 2030.

    La ricerca stima per il 2030 fino a 25,3 milioni di vendite. Un dato significativo rispetto alle vendite delle auto a propulsione sia elettrica sia a combustione interna (Phev), che dovrebbero fermarsi a 5,8 milioni entro lo stesso periodo. Secondo Deloitte, il rimbalzo dei consumi atteso dopo la crisi scatenata dal Covid-19 permette di prevedere una nuova crescita anche per i veicoli con motore a combustione interna (Ice), destinata a protrarsi fino al 2025 (81,7 milioni) prima di subire un calo su tutto il mercato nel quinquennio successivo.

    Nonostante le stime attuali non indichino come probabile un ritorno ai livelli di vendita pre-pandemia prima del 2024, la previsione globale per i veicoli elettrici rimane ottimistica e vede un notevole tasso di crescita, pari al 29%, per il prossimo decennio. Le vendite sarebbero destinate a salire da 2,5 milioni di veicoli del 2020 a 11,2 milioni nel 2025 fino ai 31,1 milioni entro il 2030.

    Ormai il percorso di transizione verso i veicoli elettrici è “irreversibile. La velocità di questa transizione, invece, può variare e dipenderà soprattutto dalla capacità di produttori e rivenditori di eliminare le paure che ancora frenano i consumatori”, afferma Giorgio Barbieri, responsabile automotive di Deloitte Italia. Per quanto riguarda il mercato globale, la Cina e gli Paesi asiatici saranno i protagonisti con una quota di mercato del 49%. L’Europa avrà il 27% e gli Stati Uniti il 14%.

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