autonomia

  • Perché il disegno di legge sull’Autonomia Differenziata deve essere fermato

    Ci voleva l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per esprimere le preoccupazioni della gran parte del Paese per un imminente rischio di “Una separazione delle strade tra territori del Nord e territori del meridione che recherebbe gravi danni agli uni e agli altri”.

    Un appello forte del Capo dello Stato, per ricordare a quanti da mesi sostengono che l’Autonomia Differenziata non si farà mai, che il pericolo è ormai alle porte.

    Basta con le dichiarazioni, ultimo in ordine di tempo Cirino Pomicino, ma preceduto dai Galvagno, Schifani, Meloni, Zaia, Calderoli e migliaia di altri a sostenere la narrazione di LEP uguali per tutti, che il partito dei patrioti alla fine non consentirà questa sciagura, che i soldi non ci sono e quindi non se ne farà nulla e così via,  tentando di sminuire un disegno che invece sta per raggiungere la meta, grazie all’ignoranza sulla pericolosità dei suoi obiettivi, e alla superficialità delle analisi di chi non ha letto la legge o non l’ha capita.

    La verità è che non ci sono, né mai ci saranno LEP uguali per tutti.

    Che l’approvazione di questo disegno di legge consentirà di dare alle regioni ricche le risorse erariali pagate nei loro territori e sottratte allo Stato, che diventerà più povero ed impotente rispetto al resto del territorio nazionale.

    Che le Regioni fragili, avranno LEP finti, calcolati sulla spesa storica, già oggi al di sotto dei costi reali e tali resteranno perché lo Stato, che sarà impoverito, non potrà finanziare gli aggiornamenti dei LEP che, comunque, non potranno esserci prima del 2029.

    Che le regioni ricche, non appena fatta la legge, entro cinque mesi, e quindi al più tardi entro ottobre 2024, avranno via libera sulla determinazione dei costi reali dei LEP, e potranno concedere aumenti di stipendio anche triplicandone gli importi, e procedere ad ogni ulteriore modifica, acquisendo da subito e poi annualmente le risorse erariali dello Stato, alla faccia di chi ancora pensa che dovrebbero passare non meno di due anni per l’approvazione dei decreti legislativi.

    Che questa riforma viola ben 26 norme della Costituzione, che tra l’altro hanno finora consentito di non istituire il Fondo di Perequazione, ed addirittura aggirare gli obblighi di copertura finanziaria della norma, con il truffaldino criterio di rinviare la quantificazione dei LEP al momento della elaborazione delle Intese e non nella fase di approvazione della legge.

    Che ci sono ben 42 manipolazioni in 11 articoli di legge, che evidenziano la superficialità e mala fede nella elaborazione di una riforma, che passerà alla storia come la prima legge della Repubblica Italiana che discriminerà legalmente i diritti costituzionali degli italiani in base allo Ius domicili (cioè in base alla residenza), piuttosto che allo Ius civitatis (e cioè in base ai principi di uguaglianza garantiti dal diritto di cittadinanza).

    Le forzature sono state continue e perniciose sin dall’inizio, ed in ultimo con l’arroganza del potere di violare le regole parlamentari, imponendo la ripetizione della votazione su un emendamento dell’opposizione, che non doveva essere approvato.

    Perché sin dall’inizio questa fretta di approvare una riforma di tale rilevanza, con forzature gravi delle regole parlamentari e prepotenza ingiustificata?

    Questa corsa disperata all’approvazione prima delle elezioni europee è la spia che, qualunque questione riguardi la politica italiana, l’unico vero interesse è finalizzato alla caccia ai voti, e non al rispetto dei diritti e delle regole, che dovrebbero costituire la garanzia e la base delle decisioni al servizio dei cittadini di uno Stato di diritto e democratico.

    Ecco perché questa legge va fermata prima del voto delle elezioni europee, per consentire la verifica della compatibilità degli obiettivi con l’interesse generale del Paese, per eliminare o correggere le ripetute manipolazioni soprattutto in materia costituzionale e finanziaria, per garantire i diritti costituzionali a tutti i cittadini, ma anche perché, se fosse approvato prima dell’8 e 9 giugno, oltre a dare la prova di una coalizione di governo sotto ricatto, costretta all’approvazione dalle minacce di una Lega disperata, non ci sarebbero più i margini per impedire l’assalto alla diligenza dello Stato, in quanto, già dal prossimo mese di ottobre, inizierebbero i trasferimenti delle risorse erariali dallo Stato alle Regioni sottoscrittrici delle Intese e, quindi, l’avvio del processo di implosione dello Stato e la fine dell’Unità Nazionale.

    E il conseguente addio ai sogni di gloria del Premierato.

    In tal caso, con la legge approvata prima delle elezioni, gli elettori italiani, e soprattutto meridionali, dovrebbero valutare seriamente di negare il consenso elettorale ai partiti della coalizione di governo e ricordarlo con estrema chiarezza nei giorni dell’8 e 9 giugno.

  • L’Autonomia Differenziata legalizza la discriminazione territoriale degli italiani

    E’ giunto il momento di dire basta alle manipolazioni e alle bugie, alla luce del testo del Senato sull’Autonomia Differenziata, che si presenta perfino peggiorata rispetto al disegno di legge iniziale.

    In primo luogo che fine hanno fatto gli emendamenti di FdI che “avrebbero migliorato la legge Calderoli e confermato il diritto alla parità sui LEP?” Spariti, nelle parti che avrebbero dovuto garantire LEP uguali per tutti, mentre rimangono solo le affermazioni di pura propaganda, prive di contenuti reali.

    In realtà la riforma è stata incredibilmente peggiorata nelle parti che penalizzeranno il Sud, ma farà pagare un prezzo altissimo anche al Nord.

    Per raggiungere l’obiettivo della “scissione dei ricchi” e consentire alle Regioni sottoscrittrici delle Intese di tenersi le risorse erariali nel proprio territorio, Calderoli ha creato il sistema dei “due binari a velocità differenziata”, che sono il vero strumento con cui si sancisce con legge dello Stato la discriminazione dei diritti degli Italiani del Sud, e non solo.

    Infatti, premesso che non è mai stata prevista alcuna uguaglianza dei cittadini sui LEP, anche perché non ci sarebbe mai stata la disponibilità finanziaria per garantirli, quantificata in non meno di 80-100 miliardi l’anno, la discriminazione che crea i Paria nel nostro Paese è nella modalità mortificante con cui il Disegno di legge stabilisce, in base alla ricchezza, i “due binari a velocità differenziata”. E quindi, con il “binario dell’Alta velocità”, garantire il conseguente diritto delle Regioni sottoscrittrici delle Intese di gestire da subito ed in totale autonomia, nonché rinnovare ogni anno, i LEP; mentre, con il “binario dei treni regionali”, le altre Regioni non sottoscrittrici delle Intese saranno condannate a ben altre tempistiche e, soprattutto per lungo tempo, e forse per sempre, alla spesa storica.

    Ma come funziona il sistema dei “due binari a velocità differenziata”? Semplice, le regioni firmatarie delle Intese, appena definita la procedura e pubblicati i disegni di legge di approvazione delle Intese, da subito, grazie al combinato disposto degli articoli 3, 5 e 8 del disegno di legge, potranno definire i propri LEP e operare il loro assalto alla diligenza delle risorse erariali dello Stato. E potranno aumentarne il valore, modificarli e inserire nuovi LEP con cadenza annuale. Questo, come è noto, provocherà la riduzione delle risorse erariali statali e, quindi, la fine di ogni principio di solidarietà e di perequazione, in pratica la fine dell’Unità Nazionale. Come un ritorno al passato, all’Italia preunitaria. Le altre Regioni, non sottoscrittrici delle Intese, invece dovranno attendere l’adozione dei decreti legislativi, quindi 24 mesi dall’approvazione della riforma, e cioè verso marzo-aprile 2026, e che saranno basati sulla Spesa Storica dei costi e fabbisogni Standard, mentre le regioni ricche avranno aumentato i loro LEP già per due anni consecutivi. Ma non finisce qui, perché l’aggiornamento dei costi e fabbisogni standard, per le regioni non sottoscrittrici delle Intese, è previsto a cadenza triennale e a condizione che prima o contemporaneamente alla emissione dei decreti DPCM siano stati emessi i decreti di stanziamento delle risorse per consentire tali aggiornamenti. Il che vuol dire che, se non ci saranno tali disponibilità finanziarie (cosa del tutto probabile), non ci sarà neanche l’aggiornamento. Un po’ come, parafrasando i condannati all’ergastolo, “fine attesa mai”. Ma ciò che in assoluto appare indecente è la inaccettabile disparità tra Regioni che avranno tutto con cadenza annuale, a differenza di decine di milioni di italiani, non solo del Sud, che dopo i 24 mesi iniziali, dovranno attendere almeno altri tre anni, e cioè non prima di marzo-aprile del 2029, l’aggiornamento dei LEP, ma solo se a quella data ci saranno anche le necessarie risorse a copertura dei costi di aggiornamento. Questa non è una riforma, ma una condanna alla marginalizzazione di quasi la metà della popolazione italiana, che non può e non deve subire questa mortificazione.

    Se a ciò si aggiunge che tale riforma ha almeno dieci violazioni della Costituzione, prima fra tutti l’abolizione del Fondo di Perequazione imposto dall’Articolo 119, terzo comma della Costituzione, e che non risulta dimostrata la copertura finanziaria del provvedimento, come evidenziato nel dossier della Camera, si ha evidente l’impossibilità di approvare una norma che non si comprende e, alla luce di tali carenze, come possa essere stata approvata dal Senato. L’approvazione di questa riforma in pratica, nel violare svariati principi costituzionali, contabili, etici e di ragionevolezza oltre che di doverosa e umana solidarietà, sarebbe la prima norma di legge della Repubblica italiana a sancire legalmente il principio della discriminazione su base territoriale dei cittadini italiani, e questo sarebbe un reato da Corte Internazionale di Giustizia. In ogni caso appare evidente che nessun parlamentare eletto nelle Regioni non sottoscrittrici delle Intese, di qualsiasi componente politica, può ignorare tali gravissime penalizzazioni dei diritti costituzionali dei cittadini del Sud, e non solo, e quindi operare con doverosa coscienza nel rispetto dei suoi doveri costituzionali, di rappresentanza e difesa dei cittadini italiani e dei territori a rischio di gravissima discriminazione dei loro diritti Costituzionali.

  • Le gravi responsabilità del governo sull’Autonomia differenziata

    L’intervista su La Sicilia del 7 gennaio scorso del Ministro del Mare Musumeci, finalizzata a esaltare, senza argomenti convincenti, quanto “il Presidente Meloni abbia a cuore tutto il Sud”, avrebbe lasciato indifferenti i siciliani, abituati alla coniugazione al futuro dei verbi della politica, se non fosse per l’omissione di un tema fondamentale per pesare realmente il futuro del Sud, e cioè l’assoluto silenzio sull’Autonomia Differenziata.

    Come mai l’unico Ministro residente siciliano nulla dice su questo tema?

    Facendo torto al Premier, che invece il 5 gennaio ha dichiarato, dopo lunghi silenzi in merito, la buona novella e cioè che “l’Autonomia si tiene perfettamente con il premierato” e soprattutto, dopo avere spiegato una contorta quanto inesistente tesi sulla funzione della riforma, concludere con l’affermazione “Questo è il tema dell’Autonomia. E io penso che può essere anche un volano per il mezzogiorno”.

    Quindi Musumeci non crede, in contrasto con il Premier, che l’Autonomia Differenziata sia un volano per il mezzogiorno e non la cita tra le mirabilie del governo per il Sud? O sa che non solo non è un volano, ma che grazie all’accordo FdI – Lega, sul Premierato in cambio dell’Autonomia Differenziata, si sta consentendo l’approvazione di un disegno di legge che abolisce il Sud e con esso il futuro dei 20 milioni di meridionali, e farà danni anche al Nord, solo per soddisfare le strategie della casta leghista, affamata di consensi, che evaporeranno in proporzioni gigantesche quando gli italiani capiranno e subiranno  le gravissime conseguenze  di questa scellerata riforma?

    L’Autonomia Differenziata infatti non perdona, nella versione del disegno di legge Calderoli, perché basta capire come funzionerà davvero, per non avere dubbi sul collasso dello Stato e del Paese, altro che difesa della Patria.

    Non è un caso che ci sia una congiura del silenzio nel Paese e non ci sia né dibattito, né aggiornamento alcuno sul tema nei media nazionali e locali.

    Pochi cittadini sanno che l’Autonomia Differenziata è stata inserita tra i disegni di legge collegati alla manovra finanziaria, senza che esista alcun collegamento tra i due provvedimenti, ma unicamente per accelerare i tempi di approvazione.

    Che a gestire i Livelli Essenziali di Prestazioni ed i relativi costi, saranno le commissioni paritetiche delle singole regioni, che potranno modificare o inventare nuovi LEP, avendo come unico limite le disponibilità erariali della propria regione.

    Ciò significa che le commissioni paritetiche tenteranno di trattenere nei propri territori la quasi totalità delle disponibilità erariali, e ciò a discapito dello Stato che non potrà più avere e gestire le risorse per consentire l’espletamento delle sue funzioni e garantire i principi fondamentali di solidarietà all’intero Paese.

    Che per evitare che anche pochi euro sfuggissero alle Regioni ricche per scopi solidali, nella legge non è previsto il Fondo Perequativo, sancito dall’articolo 119, terzo comma della Costituzione.

    Che, sia il Servizio di Bilancio del Senato, che l’ultimo rapporto sulla finanza pubblica, hanno nel tempo evidenziato l’insostenibilità finanziaria del disegno di legge Calderoli, mentre appare scandalosa l’approvazione di un ordine del giorno che  accetta il principio delle “Gabbie Salariali” in rapporto al costo della vita nelle varie regioni, il che è un evidente strumento di distrazione di massa, fornito per creare un atterraggio, il più morbido possibile, all’Autonomia Differenziata, il cui vero obiettivo è di fatto proprio l’aumento delle retribuzioni, con il trattenimento delle disponibilità erariali delle regioni ricche, e di conseguenza mandare a gambe in aria l’intero Paese.

    Questo è il portato dell’Autonomia Differenziata, che farà danno anche al Nord, il cui mercato principale è il Mezzogiorno, che privato di risorse, non potrà più comprare, e perché gli aumenti delle retribuzioni potranno effettuarsi solo sulle attività collegate ai LEP, e ciò creerà fortissime tensioni sociali anche nelle regioni ricche.

    Davanti a questo scenario il silenzio dei parlamentari del centrodestra è drammatico e assolutamente inaccettabile nel Paese e soprattutto al Sud.

    Nessuno di costoro a tutt’oggi ha avuto il coraggio di prendere posizione e la situazione è che non solo il Sud non lo difende nessuno, ma è l’intero Paese che rischia di implodere e di vedere la fine della stessa Unità Nazionale.

    Ma davvero si può accettare, in cambio di una modifica costituzionale come il Premierato, una riforma come l’Autonomia Differenziata che rischia di distrugge il futuro di decine di milioni di persone, senza una ragione diversa dal puro egoismo?

    Non c’è alcun rapporto ragionevole in questa intesa e quando i cittadini se ne accorgeranno i responsabili di questo scempio saranno chiamati a rendere conto.

    Ed un’ultima considerazione al Premier Meloni: un Premier ancorché eletto dal popolo, ma senza denari, a che serve?

  • Il tallone di Achille dell’Autonomia Differenziata è l’incostituzionalità

    Non ci vuole un dottorato in diritto costituzionale per capire che l’impianto giuridico dell’Autonomia Differenziata è una selva di violazioni della Carta Costituzionale, impossibile da attuare specialmente sul terreno della gestione delle risorse.

    Cionondimeno, fino ad oggi, pur a fronte di dubbi e qualche incidente velocemente insabbiato, come l’analisi del Servizio Bilancio del Senato, che appunto ne metteva in discussione lo scorso maggio l’insostenibilità finanziaria e il conseguente rischio di vulnerare il principio di equità ed eguaglianza dei diritti dei cittadini, ha potuto continuare senza troppe scosse il suo iter.

    Però si tratta di una barca che galleggia grazie ad una enorme bolla d’aria, ma con grandi buchi nella carena, priva di vela e senza motore, inevitabilmente destinata ad affondare appena evaporerà la bolla di bugie, falsità e irreparabili anticostituzionalità che la caratterizzano.

    Ad aiutare a fare chiarezza, hanno senz’altro contribuito le dimissioni dal Comitato per l’individuazione dei LEP e del fabbisogno di quattro dei suoi più autorevoli componenti, che ne hanno rilevato appunto l’incostituzionalità, con la violazione in merito proprio al rispetto dei termini sanciti per garantire in tutto il territorio nazionale i diritti civili e sociali a tutti gli italiani e nella esigenza di eliminare, o quanto meno ridurre, le distanze tra regioni ricche e fragili del Paese.

    I quattro saggi Amato, Bassanini, Gallo e Pajno, ritengono che non solo l’impostazione della legge non consente di adempiere a tali fondamentali obiettivi, ma anche che le modalità per stabilire i costi dei LEP non prevedono meccanismi per valutare una definizione puntuale del costo degli stessi, tale da assicurare standard adeguati anche nei territori che oggi ne sono sprovvisti e, conseguentemente, della definizione dei maggiori costi che, appunto, non sono previsti.

    Ma, soprattutto, secondo i quattro dimissionari, rimangono irrisolti alcuni problemi di fondo come l’incoerenza di consentire alle commissioni paritetiche regionali il diritto di decidere i nuovi LEP, e i relativi costi standard, materia per materia e con il solo vincolo della disponibilità delle risorse erariali nel proprio territorio, senza che prima venga costruito l’intero complesso dei LEP per i diritti civili e sociali in tutta Italia, onde evitare il rischio dell’esaurimento delle risorse a disposizione.

    Inoltre eccepiscono l’inconcepibile esclusione del Parlamento nel ruolo centrale che gli compete, come organo di elaborazione dei costi standard dei LEP.

    Una esclusione del Parlamento che viola l’art. 117 lett. m) della Costituzione (competenza legislativa esclusiva), ma anche perché spettano al Parlamento – e non alle commissioni paritetiche regionali – le decisioni sulla allocazione delle risorse pubbliche.

    Fin qui le corrette valutazioni dei quattro dimissionari che danno uno spaccato ben preciso alla incostituzionalità del disegno di legge sull’Autonomia Differenziata, ma nei fatti c’è molto di più.

    Infatti, oltre alla citata violazione degli art. 116 e 117, secondo comma lett. m) della Costituzione, risultano ulteriori violazioni gravi della Carta Costituzionale, tra cui quella dell’art. 117, comma 2 lettera e) che sancisce la legislazione esclusiva dello Stato in merito alla perequazione delle risorse finanziarie; nonché quella ancora più inaccettabile, dell’art. 119, comma 3 e cioè l’eliminazione di fatto del Fondo Perequativo.

    Quest’ultima violazione, in pratica sostituisce il Fondo Perequativo con le parole “Misure Perequative”, ricorrendo dunque a una locuzione generica, peraltro riportata solo nel titolo dell’articolo 9 del ddl Calderoli, che di fatto elimina ogni forma di solidarietà delle regioni ricche nei confronti delle regioni fragili, anche perché  prevede di “perequare” attraverso l’individuazione dei Fondi strutturali dell’Unione Europea e quelli della coesione nazionale, da sempre già disponibili per le regioni fragili. Quindi una perequazione inesistente, ma con l’aggravante di un aumento della platea che fino ad oggi ha avuto accesso a tali risorse, per l’estensione alle regioni fragili del Centro e del Nord.

    Insomma una legge fortemente anticostituzionale, che viola le norme di corretta gestione della contabilità pubblica, laddove non prevede alcun monitoraggio dei flussi finanziari Stato-Regioni, man mano che le commissioni paritetiche delibereranno in merito ai nuovi LEP e stabiliranno in maniera autonoma e arbitraria, unicamente in base alle rispettive disponibilità erariali, i nuovi costi standard, il cui effetto sarà il veloce prosciugamento delle disponibilità finanziarie dello Stato, che verrà inevitabilmente svilito nel suo ruolo e, con esso, ogni principio di reale valore patriottico a discapito della stessa Unità Nazionale.

    Ecco perché è fondamentale fermare questo disegno di legge e puntare ad una sua profonda modifica, con l’introduzione di criteri di equilibrio, monitoraggio, perequazione e garanzia di sostanziale parità dei LEP e dei costi standard per tutti gli italiani, nel rigoroso rispetto delle norme costituzionali.

    *Presidente di Europa Nazione

  • I ripetuti volteggi degli indirizzi politici del Presidente della Regione Siciliana e l’autonomia differenziata

    Nell’arco degli ultimi cinque mesi il Presiedente della Regione Siciliana ha cambiato più volte linea politica fino ad autoproclamarsi “leghista del sud”, unicamente per posizionarsi furbescamente quale punto di riferimento del sud diversamente Salviniano. Il risultato sperato non è però stato raggiunto per indisponibilità della Lega a cogliere positivamente l’offerta autoreferenziale di Musumeci, perché ha richiesto la preliminare garanzia di totale discontinuità da chi lo circonda.

    La Lega sa bene che Musumeci è prigioniero di una coalizione che comprende quasi tutti i potentati politici responsabili dei fallimenti dei governi della regione degli ultimi venticinque anni e di avere volutamente ignorato la centralità del Parlamento regionale e la sua influenza nei rapporti di forza che condizionano le scelte politiche, diventando un ostaggio della maggioranza della sua maggioranza, esattamente come il suo immediato predecessore. Per questo è interessante capire perché Musumeci avrebbe scelto la Lega quale referente politico, considerato che appena cinque mesi prima le aveva disconosciuto giustamente la matrice di partito di destra, perché manca del requisito fondamentale di nutrire alcun sentimento nazionale, essendo geneticamente legata a logiche territoriali incompatibili con il concetto di nazione, ma semmai di tribù. E quindi in che modo potrebbe costituire un referente a tutela degli interessi del sud? Ed infatti non può esserlo, tant’è che Salvini, incurante di essere stato gratificato da milioni di voti anche nel sud Italia, continua imperterrito a fare il capo della Lega Nord con la sua assillante richiesta di concessione dell’“Autonomia Differenziata”, che altro non è che una truffa per favorire illegalmente gli interessi delle regioni del nord a discapito di quelle meridionali, nel silenzio e nella complicità di FdI e appunto del Presidente della Regione Siciliana, ambedue disponibili a sacrificare il Sud in cambio di una alleanza conveniente ai fini di futuri successi elettorali.

    La truffa è iniziata con la sottoscrizione di una intesa inedita e non disciplinata da nessuna normativa vigente tra il Presidente del Consiglio Gentiloni e i presidenti delle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia e Romagna (da cui l’adesione del PD), con cui veniva stabilito, in violazione delle leggi vigenti, l’assegnazione alle Regioni richiedenti di decine di materie di competenza statale e delle relative risorse. Per capire la truffa, occorre inquadrare quale è l’attuale normativa che disciplina la materia e perché l’intesa tra Gentiloni ed i tre Presidenti di Regione è una grave forzatura del tutto illegittima e truffaldina. La norma sul trasferimento di materie dallo stato alle regioni è prevista dalla costituzione ed è subordinata, nella sua attuazione alla preliminare obbligatoria definizione dei “livelli essenziali di prestazione” (lep), della determinazione dei costi standard dei servizi da trasferire e della fissazione dei criteri di gestione del “Fondo Perequativo delle Regioni”, al fine di garantire la necessaria equità nella ripartizione delle risorse e assicurare la solidarietà tra tutti i territori dello stato, in un quadro di riequilibrio tra regioni ricche e povere. Cosa ha impedito a Lombardia e Veneto di realizzare l’autonomia differenziata con la normale procedura vigente? Solo un piccolo dettaglio: non si è mai raggiunta l’intesa per la determinazione dei “livelli essenziali di prestazione”, per la fissazione dei costi standard dei servizi da trasferire e, fino ad ora, non c’è traccia del fondo perequativo delle regioni. Quindi, senza alcuna modifica delle leggi vigenti, e data l’irragionevole incapacità di raggiungere intese in materia, ecco il colpo di scena: la decisione di capovolgere di fatto e illegalmente la normativa, procedere con una intesa inedita tra vertici esecutivi (governo nazionale e presidenti delle regioni richiedenti) all’assegnazione delle materie di competenza richieste, rinviando ad un futuro ipotetico e del tutto irrealistico le decisioni che per 18 anni non sono state raggiunte e che, una volta scappati i buoi, è prevedibile non si raggiungeranno mai. E questo è tanto vero che l’accordo prevede infatti che, qualora non si dovesse raggiungere l’intesa sui costi standard entro i tre anni successivi al trasferimento delle materie dallo stato alle regioni non ci sarebbe nessuna conseguenza, perché i servizi dovrebbero comunque essere garantiti a costi pari alla media nazionale. Se a questa clausola si aggiunge la disposizione che garantisce il diritto di Lombardia e Veneto di trattenere tutti gli eventuali surplus di finanziamenti ottenuti per i pagamenti dei servizi, si ha chiaro il disegno di Salvini, Fontana e Zaia di ottenere un lasciapassare per pagarsi i costi dei servizi anche a valori molto più alti della media nazionale e in tal modo trattenere il più possibile delle proprie entrate tributarie a fronte delle maggiori spese, ovviamente a discapito delle regioni più disagiate che non ne avrebbero le possibilità per le loro minori entrate fiscali e per la mancanza delle eventuali integrazioni in assenza del fondo perequativo regionale. L’obiettivo finale che persegue Salvini non è formalmente di rapinare le regioni meridionali, ma di raggiungere tale risultato attraverso l’autorizzazione all’aumento esponenziale delle spese delle regioni ricche, i cui maggiori consumi esauriranno le risorse per la solidarietà nazionale e sarà la fine del patto repubblicano che tiene unita l’Italia. Una vera e propria secessione economica di fatto, messa in atto e sollecitata in maniera assillante da quello stesso leader della Lega che ha preso milioni di voti al Sud e che non ha alcuna remora a condannare i suoi elettori alla definitiva marginalità economica e sociale, con servizi scolastici, sanitari e di qualsiasi altra natura da terzo mondo. Ecco perché occorre impedire assolutamente l’approvazione del progetto attuale di Autonomia Differenziata e rinunciare anche al “passaggio parlamentare” che, lungi dall’essere una “riparazione alla truffa dell’accordo verticistico”, rischia di esserne solo una ipocrita legalizzazione. L’unica strada è quella di annullare integralmente la procedura-truffa e pretendere il pieno rispetto delle leggi vigenti in tema di Autonomia e conseguentemente di mantenere l’ordine naturale delle cose a partire dalla preliminare definizione dei “LEP”, dei costi standard dei servizi e della istituzione del fondo perequativo regionale, per onorare la corretta Autonomia Regionale che, per soddisfare il bene comune, deve contribuire al rafforzamento del principio costituzionalmente garantito dell’Unità Nazionale, valore sacro, irrinunciabile e non negoziabile.

    * Già sottosegretario per i Beni e le Attività Culturali

  • L’Autonomia Differenziata e i suoi segreti

    Nella complessa vicenda dell’Autonomia Differenziata c’è la chiara sensazione che si stia preparando la “patacca” alle regioni centro-meridionali, malgrado le ripetute assicurazioni sul presunto mantenimento del rispetto dei principi di equità nella distribuzione delle risorse in “pedissequa applicazione del dettato costituzionale”.

    Dov’è il trucco?

    Tutto nella procedura, che è stata letteralmente capovolta dalle regioni referendarie con l’avallo iniziale del Governo Gentiloni e a seguire del governo giallo-verde che, nel vuoto legislativo, hanno concordato un inedito iter, non supportato da nessuna norma, che consentirebbe ad esecutivo nazionale e regioni di decidere su questioni delicatissime, tagliando fuori il Parlamento da ogni ruolo e sancendo l’inizio della fine dello Stato Unitario. In una Repubblica Parlamentare come è l’Italia l’emarginazione del potere legislativo senza una formale modifica della costituzione cos’è se non un vero e proprio Golpe?

    Ma soprattutto perché?

    Perché il vero obbiettivo della Lega e dei suoi governatori non è l’Autonomia Differenziata, ma realizzare il sogno leghista primigenio della “scissione economica di fatto”, trattenendo la quasi totalità delle risorse fiscali nei propri territori, senza alcun vincolo di riequilibrio né di solidarietà su base nazionale.

    Infatti, le norme vigenti che sono state volutamente aggirate, impongono prima di qualsiasi attribuzione di nuovi poteri alle regioni, di definire i livelli essenziali di prestazione (lep), i costi standard dei servizi da trasferire e la fissazione dei criteri per il fondo perequativo regionale, e cioè l’ABC del federalismo, proprio per garantire equità nella ripartizione delle risorse e solidarietà tra tutti i territori dello stato.

    A fronte dell’assenza di qualsiasi norma di attuazione della procedura prevista, l’Autonomia Differenziata è la “furbata” che tenta di capovolgere i tempi e le modalità a garanzia dell’Unità del Paese, stabilendo di dare luogo al passaggio delle competenze dallo Stato alle regioni con semplici intese bilaterali tra Governo Nazionale e singoli Presidenti di Regione, rinviando l’approvazione dei costi standard entro i tre anni successivi al trasferimento dei poteri.

    Come dire che intese impossibili da raggiungere da 18 anni a questa parte, dovrebbero miracolosamente essere sancite a posteriori, e soprattutto, dopo avere ottenuto il premio delle agognate competenze.

    Ma l’aspetto truffaldino più evidente è che, in base all’attuale contenuto dell’Autonomia Differenziata, a parte la clausola che garantisce il diritto di Lombardia e Veneto di trattenere tutti gli eventuali surplus di finanziamenti ottenuti per i pagamenti dei servizi, se entro i tre anni non si riuscisse a concordare i costi standard (non ci credono neanche loro), nessun problema perché dovrebbero essere comunque garantiti i servizi a costi pari alla media nazionale. Ciò vuol dire che le regioni ricche potranno pagarsi i costi reali dei servizi anche a valori molto al di sopra della media nazionale, grazie alle proprie cospicue entrate tributarie, mentre le regioni più povere potrebbero non avere le risorse neanche per pagare i costi al valore della “media nazionale”, anche perché nulla dice il provvedimento circa il fondo perequativo tra le regioni, di cui nessuno parla, mentre è chiaro che più spese avranno le regioni ricche, meno risorse resteranno per la solidarietà.

    Questa è la verità sull’Autonomia Differenziata che dimostra, oltre al tradimento delle reali intenzioni manifestate da Salvini agli italiani del centro-sud, cui aveva promesso di costruire una lega nazionale, che la Lega non è un partito di destra perché è priva del sentimento nazionale, al posto del quale ha l’istinto tribale della ottusa tutela degli interessi dei territori di origine, e perché non capisce, a causa della visione miope della politica sovranista e anti UE, che in un mondo ostaggio delle tre superpotenze, un Paese da solo non ha nessuna prospettiva di reale indipendenza.

    Per fortuna l’imminente tornata di elezioni europee ha consigliato il rinvio dell’approvazione di questo provvedimento, che deve essere assolutamente fermato, non per l’autonomia in se, ma per le conseguenze devastanti che investirebbero il Paese.

    Ciò che rimane è l’amara considerazione di come una fascia crescente di elettori del Sud si sia potuta convincere che la lega potesse diventare interlocutore politico a difesa degli interessi meridionali e nazionali, mentre continuava a pensare che il “prima gli italiani” si riferisse a quelli del nord, e solo se avanza qualcosa anche agli “utili idioti” degli italiani del sud.

    Anche per questo appare sbagliata la posizione del vice governatore siciliano Gaetano Armao e dell’intero governo regionale che non può, per motivi di colleganza politica e di oggettiva sudditanza con la Lega, condividere e perfino esaltare una strategia di fortissima penalizzazione dell’Isola, e ritenere l’Autonomia Differenziata una “grande opportunità”, invece di opporsi con tutte le forze alla realizzazione di un disegno esiziale per la Sicilia e per ciò che fino ad oggi è stata l’Italia, per come l’abbiamo conosciuta e amata.

    *Già Sottosegretario ai Beni e alle Attività Culturali

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