Avvocati

  • Toghe&Teglie: tuorlo fritto su crema di patate

    Mancavo da un po’ di tempo e sono contento di tornare da voi, cari lettori, sono Enrico Ghezzi, avvocato milanese del Gruppo Toghe & Teglie e voglio ingolosirvi con questa mia preparazione che non è emula di quella di Cracco: modestia a parte va molto oltre.

    Primo step: prendete un contenitore o un piatto fondo che possa andare in freezer e cospargete all’interno uno strato abbondante di pan grattato e separate i tuorli dagli albumi procedendo delicatamente: io metto il tuorlo sul palmo della mano e lascio che scivoli via tutto l’albume. Successivamente adagiate il tuorlo nel contenitore predisposto con il pan grattato e ricopritelo completamente con altro pan grattato.

    Ora posizionare in frigorifero per almeno tre ore i tuorli ricoperti di pan grattato e prima di procedere con la frittura anche 10/15 minuti in freezer.

    Secondo step: per la crema di patate mettete in una casseruola un giro di olio evo, del cipollotto tritato fine e fate soffriggere, poi aggiungete le patate tagliate a cubetti, sale, pepe q.b. e fate rosolare a fuoco basso per qualche minuto, poi coprite con del brodo vegetale e fate cuocere, sempre a fiamma moderata, per una mezz’ora circa. A cottura ultimata, inserite tutto in un bicchiere da minipimer (aggiungendo un goccio di latte intero o altro brodo per migliorare la consistenza se necessario) e frullate fino ad ottenere un composto omogeneo.

    Terzo step: tagliate la focaccia, preferibilmente una non troppo alta e spugnosa, a listarelle e fatela tostare in una padella con un filo di olio evo.

    Siamo alle battute finali: prima di assemblare il piatto scaldate la crema di patate e, ovviamente, friggete i tuorli in olio di semi per un minuto o poco più: il tuorlo deve rimanere bello fondente. A questo punto mettete la crema di patate sul fondo del piatto (meglio una fondina, una cocotte o una scodella) e adagiatevi sopra il tuorlo fritto sulla crema, guarnite con i crostini di focaccia ed arricchite cospargendo l’uovo con scaglie di parmigiano o altro formaggio stagionato o semi stagionato a piacimento…avendo a disposizione del tartufo ancora meglio!

    Cracco, scansate! Davvero niente male…

    A presto.

  • Toghe&Teglie: gamberoni all’uovo infornati

    Cari lettori, spero che non vi siate stufati delle mie proposte: sono Massimiliano D’Alessandro avvocato, pescatore, cuoco e cinofilo della sezione tarantina di Toghe & Teglie e quella della settimana è una ricettina nata da un personale esperimento che, vi assicuro, è venuto benissimo e vi farà fare un’ottima figura…anche con voi stessi se non avete ospiti.

    Dunque, procuratevi i gamberoni (non è indispensabile andarli a pescare come faccio io!) con l’unico accorgimento di pulirli molto bene, sfilando anche lo sgradevole intestino dalle code, e metteteli in una coppetta con olio evo lasciandoli a macerare senza esagerazione mentre vi preparate per il resto.

    Scolate e inserite le code di gamberi con ancora un po’ di olio in appositi stampini da forno a fondo semisferico, due per ciascuno, uno all’incontrario dell’altro come a formare il numero 69. Ora posatevi un uovo intero sopra, spolverate con semi di sesamo e iniziate la cottura in forno caldo a 180 gradi sinché i bordi dell’uovo non si abbrustoliscono come si vede nella foto.

    Servite adagiando preferibilmente su una fetta di pane rigorosamente cafone, eventualmente abbrustolito lasciando croccante ma morbido l’interno, oppure nel piatto…con qualche scaglietta di tartufo – quando è stagione, che con l’uovo si sposa perfettamente – questi gamberoni sono imperdibili,

    Volendo, ho pensato che questo ben di Dio si potrebbe impiattare su delle scrocchiarelle…cosa sono? Prendete della carta forno e stendetevi sopra formaggio grattugiato non troppo sapido e stagionato e dei taralli sbriciolati, adagiatevi sopra delle cime di broccoli precedentemente lessati ed asciugati schiacciandoli con il fondo di un bicchiere. Un giro d’ olio e via , in forno a 220 gradi,  sinché non diventa croccante…Tutto qui, ovviamente le scrocchiarelle sono da preparare prima dei gamberoni all’uovo e da tenere al caldo, altrimenti rischiate di far nascere i pulcini.

    Buon divertimento ai fornelli, a presto!

  • Toghe&Teglie: cotolette “alla marescialla”

    Buona settimana a tutti i lettori, sono Saverio La Grua, il “Senatore” del Gruppo Toghe & Teglie, così soprannominato un po’ per questioni anagrafiche e un po’ per i miei trascorsi da Parlamentare. Stiamo entrando nel periodo quaresimale ma non per questo deve farsi penitenza tutti i giorni: ecco allora un piatto saporito, una cotoletta farcita non di mia creazione, il cui nome sembra evocativo di qualche pellicola anni ’60 con Sofia Loren ma – in realtà – non è così e non so spiegarvi l’origine del nome…che, in fondo, conta poco! Badiamo, piuttosto alla realizzazione.

    Per preparare due cotolette alla marescialla prendete quattro fette di lacerto o di lonza un po‘ sottili, tre patate di formato medio, due uova, prezzemolo, quattro fette di provola – anche affumicata va bene, se piace il gusto più deciso – e quattro di prosciutto cotto, burro, sale e parmigiano grattugiato q.b.; per un numero maggiore di commensali basta raddoppiare le dosi.

    Bollite le patate e appena cotte schiacciatele in una ciotola nella quale avrete già messo dei pezzetti di burro. Aggiungete abbondante prezzemolo tritato, parmigiano, sale e, se volete, una macinata fresca di pepe nero.

    Ora mescolate alacremente fino a quando si sarà sciolto il burro e formate un purè: è vietato usare quello in busta anche perché il composto deve restare di una certa consistenza e non essere una sorta di budino.

    Stendete una fettina della carne, battetela un po’ e dopo averla salata ricopritela con il purè di patate lasciando liberi i margini e stendetevi sopra le fette del prosciutto e della provola per poi ricoprire con l’altra fetta di carne facendo in modo di farne combaciare i bordi, sigillandoli con le dita.

    Infarinate leggermente la cotoletta, passatela nell’uovo che avrete prima sbattuto e salato e quindi nel pangrattato che deve ricoprirne anche i lati.

    Friggetele cotolette in olio di semi di girasole, girandola piu’ volte fino ad ottenere una perfetta doratura e servite ben calde.

    Voi dite che assomiglia ad una valdostana? Macchè! Intanto nella valdostana non c’è il purè, il formaggio è – ovviamente – la fontina e poi…quanti sofisimi! Chiamatela come vi pare purchè sia realizzata a regola d’arte e soddisfi il palato.

    A presto.

  • Toghe&Teglie: il risotto ai mirtilli

    Buona settimana ai lettori gourmet de Il Patto Sociale: già mi avete conosciuto, sono Francesco Toschi Vespasiani, avvocato fiorentino del Gruppo Toghe & Teglie, e questa settimana cercherò di ingolosirvi con questa ricetta di un risotto che è da mangiarsi con gli occhi prima ancora che assaporandolo!

    Procuratevi de riso Carnaroli in dose adeguata per i commensali (a regola: due pugni per ciascuno più “uno per la pentola) dei mirtilli (io ne ho messi abbondanti, circa 250 grammi per tre persone), della fontina od altro formaggio morbido – ottimo anche qualche formaggio trentino alle erbe – dello speck, indicativamente tre/quattro fette a testa ma la quantità varia secondo i gusti badando a non eccedere per non mascherare il sapore del mirtillo.

    Preparate a parte del brodo vegetale con carota, sedano, prezzemolo e cipolla lasciandolo in ebollizione per la cottura del riso evitando che la rallenti o arresti se a temperatura inadeguata. Preparare i mirtilli schiacciandoli un poco da crudi e lasciarne alcuni interi per finale guarnizione.

    Fate soffriggere una cipolla oppure dello scalogno e poi tostate il riso per almeno tre minuti. Ora portatelo a cottura aggiungendo man mano il brodo vegetale, via via che si asciuga in modo da non fare attaccare il riso; aggiungete dopo 6/7 minuti i mirtilli in modo che cuociano assieme al riso e si disfino dando al tutto il colore viola e il loro sapore.

    Nel frattempo, in un padellino antiaderente e con un filo d’olio sul fondo, scaldate le fette di speck che avrete preventivamente ridotte a listelline per il senso della lunghezza e fatele arrostire fino a quando il grasso non si sarà sciolto e le listelline diventate delle chips croccanti.

    A questo punto aggiungete, se gradita, una piccola noce di burro ed alla fine, a riso quasi cotto aggiungete il formaggio prescelto per farlo sciogliere.

    Servite il riso nei piatti guarnendoli con mirtilli a crudo e le chips di speck, oltre a petali di fiori di montagna edibili essiccati per guarnizione.

    Buon appetito, a presto su questa pagina!

  • Toghe&Teglie: brocioloni alcamesi

    Cari lettori, sono Marco Siragusa, avvocato della sezione trapanese di Toghe & Teglie, il fortunato prescelto nel Gruppo per proporvi un piatto realizzato secondo la ricetta – tipica alcamese – che mia madre, dai suoi 74 anni, non voleva saperne di condividere neppure con me conservandola gelosamente: i brocioloni che allietano la tavola per il pranzo della domenica.

    Ingredienti: due fette di fesa di vitello da 300/400 grammi, mortadella, caciocavallo, uva passa, mollica (in Sicilia non ce la facciamo mancare mai), uova, pinoli, cipolla, marsala e qualcos’altro che vedremo strada facendo con dosaggi sempre “a sentimento”.

    Pensando al numero dei commensali, va da sé che due brocioloni, realizzati con altrettante fette di carne di quel peso e con il ripieno che scoprirete, possono sfamare più di un paio di persone…non ho detto questo ma tenete conto che dalle nostre parti tendiamo, generalmente, ad essere generosi nelle porzioni.

    Andiamo, allora, a realizzare questa delizia: tagliate la carne in due parti uguali e battetela in modo da ottenere fette larghe e dalla forma rettangolare, facendo attenzione che non si strappi. Ora preparate tre uova sode e dopo che si saranno raffreddate dividetele a dischetti.

    Salate la carne e adagiatevi sopra due fette di mortadella, l’uovo sodo affettato, il caciocavallo a cubetti dopo averlo sezionato a bastoncini ed un po’ di scalogno.

    Prima di chiudere ogni brociolone aggiungete la mollica (preparata come suggerito in seguito) e sigillate con del filo da cucina in modo che il ripieno non fuoriesca

    Ecco, parliamo della mollica e di come dovrà essere preparata, a parte ed in precedenza: grattate mezza cipolla e mettetela a rosolare in qualche cucchiaio d’olio buono in una capiente padella. Appena si sarà dorata aggiungete la mollica sbriciolata, l’uvetta e i pinoli e continuare a mescolare con un cucchiaio di legno su fuoco moderato fino ad ottenere un composto omogeneo, togliere dal fuoco e lasciate raffreddare prima di unirla al resto della imbottitura.

    Con i brocioloni pronti, fate imbiondire dell’altra cipolla con olio evo in un tegame ampio, adagiatevi la carne sfumando col marsala ed aggiungete salsa di pomodoro (la migliore è quella preparata in casa e conservata nelle bottiglie di vetro…) e 3/4 cucchiai di estratto di pomodoro con un po’ d’acqua, un pizzico di sale e fate cuocere a fuoco lento per un paio d’ore aggiungendo a metà cottura delle patate sbucciate e tagliate a spicchi, diluendo – se necessario – con integrazione di salsa e (poca) acqua: il sugo deve rimanere abbastanza denso.

    Come avrete notato serve un po’ di pazienza per la preparazione, uno dei motivi per cui è un “piatto della domenica” quando c’è più tempo da dedicarvi e non solo per la bontà.

    Saluti a tutti, a presto!

  • Toghe&Teglie: supplì al telefono

    Mi presento subito ai lettori: sono Pamela Battaglia, new entry romana del Gruppo Toghe & Teglie che, dopo solo una settimana, mi ritrovo a rappresentare in questa rubrica con la mia ricetta dei supplì che, va immediatamente chiarito, non sono la stessa cosa degli arancini (o arancine, a seconda della “costa” siciliana di produzione) sebbene vi rassomiglino; la differenza principale è nella farcitura che nella versione classica degli arancini prevede il ragù di carne, piselli e mozzarella mentre il tradizionale supplì romano viene condito con semplice salsa di pomodoro e mozzarella filante per ottenere l’ ”effetto telefono”.

    Il nome, infatti deriva dal fatto che per mangiarlo caldo (il che è obbligatorio), il supplì va aperto in due e la mozzarella fusa crea un filo tra le due parti facendolo sembrare la cornetta di un telefono…quelli di una volta!

    Procediamo adesso con la preparazione che prevede un classico risotto: soffritto con poca cipolla e un filo d’olio, aggiungete il riso e fatelo tostare, sfumate con vino bianco e quando è evaporato aggiungete insieme il brodo e della ottima passata di pomodoro e del basilico.

    Proseguite così fino a cottura, ultimata la quale aggiungete del parmigiano grattugiato non troppo stagionato (ma la scelta sulla stagionatura va, comunque, a gusto personale anche se si dovrebbe evitare di coprire la delicatezza di sapore della mozzarella).

    Spegnete il fuoco, versate il risotto in una teglia bassa, spandendolo per farlo raffreddare; quando sarà ben freddo, inumidite le mani, prendete il risotto, dividetelo porzionando “a misura” per realizzare i singoli supplì e aggiungete in centro la mozzarella (ben scolata, preferibilmente fior di latte) e procedete ad impastarli dando la tipica forma allungata. Passate ora prima nella farina, poi nel rosso d’uovo, infine nel pangrattato e friggete in olio bollente.

    Posate su un piatto con carta da cucina assorbente per asciugare l’eccesso di unto e lasciate che i vostri commensali si avventino su queste delizie mentre sono ancora ben calde raccomandando solo di evitare le ustioni.

    Un po’ come fanno i milanesi con il riso al salto, qualsiasi risotto che avanza, in realtà, si può trasformare in supplì, ed è – quindi – un’ottima soluzione per dare nuova vita alle vostre pietanze.

    Grazie per l’attenzione, al Patto Sociale per l’ospitalità, ai miei nuovi amici di T&T per l’apprezzamento e…alla prossima!

  • In attesa di Giustizia: la fabbrica dei reati

    Lo scorso fine settimana si sono tenute le cerimonie di apertura dell’Anno Giudiziario: per prima a Roma e subito dopo in tutti gli altri capoluoghi di Corte d’Appello. In un momento dedicato alla sintesi del lavoro svolto nei diversi territori, i dati sulla produttività degli Uffici sono stati commentati con l’accompagnamento di una sorta di fil rouge rappresentato dalla diffusa (e comprensibile) lamentazione sulle carenze di organico tanto della magistratura quanto delle funzioni amministrative.

    Il Ministro della Giustizia ha rassicurato che – con il concorso già in essere per 400 posti – e quelli prossimi venturi entro un paio d’anni le scoperture relative a giudicanti e requirenti saranno colmate: beato lui che ci crede ancora mentre, con qualche lodevole eccezione come il Distretto di Perugia, il piatto piange e si consolidano pendenze ed arretrati che – viceversa – si sarebbero dovuti abbattere con le riforme approvate per conseguire gli agognati fondi del PNNR. Tanto per la cronaca, Roma è in testa a questa classifica di demerito. Dimentica, però, il Guardasigilli che proprio la sua proposta di istituire un Collegio Giudicante per decidere sulle richieste di arresto assicurando maggiori garanzie agli indagati ha suscitato le perplessità della Ragioneria dello Stato perché non si sa bene dove rovistare in fondo alla cavagna per pagare gli stipendi del maggior numero di giudici necessario che andrebbero a sommarsi a quelli già oggi mancanti.

    In tutto questo, e se ne è già trattato in precedenti occasioni, il legislatore esita a dare il via libera ad una corposa ed ancor possibile depenalizzazione, che libererebbe da penosi incombenti la Polizia Giudiziaria e sgombrerebbe Procure e Tribunali dalla gestione di una moltitudine di “reati nani” che riguardano comportamenti di nessun allarme sociale e nessun disvalore meritevole della sanzione penale, tutt’al più di una multa al pari del divieto di sosta: dall’esercizio abusivo della professione di custode di condominio alla falsificazione del marchio “salame di Varzi”, tanto per fare un paio di esempi (ma sono centinaia).

    Per soprammercato, mentre il sovraffollamento carcerario torna ad essere un’emergenza, quella che può definirsi “la fabbrica dei reati” sforna a ciclo continuo nuove e fantasiose fattispecie di delitto che hanno come capostipite l’inutilissimo e confuso decreto anti rave party cui hanno fatto seguito l’omicidio nautico, l’abbandono scolastico, la resistenza passiva a Pubblico Ufficiale e molte altre ancora che trovano i loro spunti opportunistici nei più disparati fatti di cronaca contribuendo solo ad abbassare, se esistesse, il PIL del diritto penale liberale di cui Carlo Nordio è sempre stato un alfiere…ma qualcuno, evidentemente rema contro e – pochi lo sanno, poco se ne sa ed ancor meno se ne parla – il suo Capo di Gabinetto, un Magistrato chiamato a quel ruolo cruciale per la dimostrata capacità organizzativa del Tribunale di cui era Presidente, ha rappresentato l’intenzione di dimettersi anche per le continue ingerenze del suo vice.

    Nel frattempo, l’Associazione Nazionale Magistrati, invece di offrire un contributo costruttivo, sembra preoccupata solo di criticare l’operato del Guardasigilli, preoccupata essenzialmente di scongiurare la separazione delle carriere.

    A proposito di ANM: in questi giorni si è conclusa la revisione del processo in favore di Beniamino Zuncheddu (anche di questa vicenda si è occupata la rubrica) che, con 33 anni di carcere da innocente ha conquistato il triste Guinness dei Primati di settore e che dovrebbe essere nominato senatore a vita diventando la memoria per il nostro futuro perché, come dice Primo Levi, chi dimentica il passato è condannato a riviverlo e nessuno vuole che si ripetano vicende come quelle di Enzo Tortora e Beniamino Zuncheddu. Ma a costui, risultato vittima di conclamata insipienza, incompetenza, inadeguatezza di chi lo aveva malamente giudicato, l’ANM non chiede scusa, difendendo la bugia secondo cui la responsabilità dei giudici mortificherebbe la loro indipendenza, sempre pronta a protestare se si prova a negare alla magistratura un potere assoluto ed incondizionato che schiaccia gli individui nella morsa tra la fabbrica dei reati e quella parodia di Stato di diritto che siamo diventati.

  • Toghe&Teglie: gnocchi di zucca e ricotta con crema di Parmigiano

    Cari lettori de Il Patto Sociale, siete pronti per il regime detox post natalizio? Spero di no per voi perché questa ricetta non aiuterebbe…Sono Pietro Adami, veronese, uno dei fondatori del Gruppo Toghe & Teglie, ed ecco cosa vi propongo per continuare a far festa in quattro persone.

    In tutto vi serviranno 250 grammi di ricotta, 200 grammi di zucca al forno, 100-150 grammi di parmigiano grattugiato, una manciata di farina, della salsiccia non troppo piccante, un po’ di panna e condimento classico.

    Cominciamo dalla preparazione degli gnocchi: mettete da parte della farina tipo 0 q.b. che servirà in seguito (regolatevi sulla quantità, successivamente, impastandola con la zucca ed aggiungendone fino a raggiungere consistenza adeguata del panetto creato: non deve attaccarsi l’impasto alle mani); ora pulite la zucca – quella mantovana, possibilmente – affettatela e mettetela in un sacchetto da freezer, aggiungete 2-3 cucchiai di olio, sale, pepe ed un cucchiaio di zucchero di canna. Chiudete il sacchetto ed agitatelo mescolando ed ungendo così in modo omogeneo tutti i pezzi di zucca.

    Svuotate il sacchetto direttamente su una piastra e infornate a 180 gradi per circa 10-15 minuti (fino a quando riuscite a tagliare in due la polpa senza sforzo, con la forchetta). Fate raffreddare ed eliminate le bucce.

    A questo punto stendete la zucca sul piano di lavoro e aggiungete la ricotta, un po’ formaggio grana, salando anche a proprio gusto, e poi aggiungete la farina un po’ alla volta seguendo le indicazioni date all’inizio per l’impasto.

    Lasciate riposare il composto per 15-20 minuti fuori dal frigo, avvolto nel domopak, e nel frattempo spellate e sbriciolate la salsiccia in un tegame facendola soffriggere a fuoco lento nel suo grasso aggiungendo, se gradita, una fogliolina di salvia; al termine della cottura eliminate l’eccesso di grasso liquefatto.

    Ora, a fuoco spento, aggiungete poi un po’ di panna da cucina ed il parmigiano grattugiato mescolando bene (questa è la versione per ottenere una crema al parmigiano: volendo al suo posto si può mettere del gorgonzola dolce).

    Mettete a bollire dell’acqua, salatela, e nel contempo ricavate dei pezzi dal panetto di impasto, rollateli su una spianatoia fino a farne salsicciotti del diametro di un dito.

    Tagliate a coltello realizzando così gli gnocchi e buttateli nell’acqua bollente e riaccendete il fuoco – tenendolo basso – sotto al condimento.

    Dopo 2 minuti da quando gli gnocchi emergono, scolateli con l’apposita schiumarola, impiattate, condite con la crema di formaggio e salsiccia e …addio dieta.

    Noi ci ritroveremo qui quanto prima.

  • Toghe&Teglie: risotto con le carote

    Auguri di buon anno a tutti! Siamo ancora in tempo vero? Io sono Roberto Lo Buglio, avvocato pavese del Gruppo Toghe & Teglie, artigiano della cucina che non può mettersi in competizione con alcuni dei miei amici e colleghi le cui delizie vi vengono proposte ogni settimana…però anch’io devo nutrirmi e quando tutto manca –  soprattutto mia moglie Tiziana, avvocato anche lei, ma anche adeguati rifornimenti in cambusa –  so come arrangiarmi. La proposta di questa settimana è proprio frutto di un’emergenza alimentare affrontata con creativa dignità a dimostrazione che impegno e fantasia ai fornelli possono offrire risultati più che accettabili.

    Immaginate, quindi, di tornare a casa: un frigorifero che, aperto, riflette l’eco della manifestazione di stupore per il suo sconsolante vuoto con l’eccezione di qualche verdura dall’aspetto tutt’altro che invitante tra cui delle carote che, per quanto non siano tra i più appetitosi prodotti della terra, sembrano in un migliore stato di conservazione e c’è anche della cipolla decisamente fresca, del burro ed un cartoccio che racchiude una caciotta (non ammuffita) di Capretto Sardo. In dispensa, in una casa pavese non può mancare, si rinviene del riso di ottima qualità…e allora, via con un risotto improvvisato che, come si vede dalla foto, si presenta anche benino ed è risultato saporito.

    Si parte con il classico soffritto di cipolla olio e burro al quale si aggiunge – per l’occasione – un trito di cubetti di carote: la maggior parte dovrà essere, invece, cotta al forno a 180 gradi e poi tagliata a tocchetti per l’inserimento nel risotto come vedremo in seguito.

    Proseguite secondo il metodo tradizionale, aggiungendo il riso per farlo tostare un paio di minuti e poi sfumate con un bicchiere di vino bianco da far evaporare prima di aggiungere gradualmente, con un mestolo, brodo di verdura procedendo nella cottura. Sebbene la ricetta tradizionale preveda il brodo, nella mia desolante condizione non avevo né il brodo né gli ingredienti per farlo e ho proceduto usando semplice acqua bollente salata per non arrestare la cottura: posso garantire che il risultato non delude e pare che sia una variante ammessa dai cultori della cucina contemporanea.

    A due terzi di cottura inserite le carote passate al forno tagliate a tocchetti come il Caprino Sardo che le seguirà a ruota facendo amalgamare bene gli ingredienti.

    A cottura ultimata ed a fuoco spento si può aggiungere un goccio di latte, mescolando bene, per dare maggiore cremosità: lo dico perché avevo anche quello ed ho pensato di usarlo prima che inacidisse e il risultato è stato anche in questo caso apprezzabile. Aggiunta di parmigiano? Non saprei, quello proprio non lo avevo…se volete potete provare.

    Buona fortuna ai fornelli!

  • In attesa di Giustizia: la parola alla giustizia

    La Corte d’Appello di Brescia ha ritenuto ammissibile l’istanza di revisione del processo per la strage di Erba che ha visto condannati alla pena dell’ergastolo i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi: istanza munita della insolita caratteristica di essere stata proposta non solo dai difensori ma anche dal Sostituto Procuratore Generale di Milano, Cuno Tarfusser.

    La prima udienza si terrà a marzo ed è frutto di un primo vaglio, positivo, sulla mera correttezza formale di presentazione della richiesta: dovrà, poi, valutarsi la sussistenza dei requisiti sostanziali necessari perché si proceda alla revisione vera e propria. Il che, in buona sostanza, significa un nuovo processo alla luce di prove nuove a discarico degli accusati emerse successivamente alla condanna.

    L’Avvocato Generale di Milano (che non è un avvocato ma un Magistrato con funzioni apicali del medesimo Ufficio cui appartiene Cuno Tarfusser), Lucilla Tontodonati, ha espresso un parere scritto negativo sostenendo che non siano state proposte prove nuove, piuttosto, una rivisitazione di quelle già acquisite in precedenza e valutate in tre gradi di giudizio.

    Tale ragionamento può essere condiviso solo in parte considerando che la originaria porzione “scientifica” delle indagini è suscettibile di essere riconsiderata alla stregua della evoluzione degli strumenti di accertamento tecnico oggi – e non allora – evoluti e disponibili e la ricerca della verità su un crimine efferato dovrebbe essere obiettivo primario. Di più: se Olindo e Rosa fossero innocenti significa che ci sono in libertà i colpevoli di quell’orrendo fatto ed è a costoro che dovrebbe riaprirsi la caccia.

    Tra tutte le osservazioni – che sarebbe eccessivamente lungo e complesso riassumere – a sostegno del dubbio, una probabilmente è la più inquietante di tutte: i minuziosi rilievi fatti sulla scena del crimine hanno consentito la raccolta di una quantità di tracce biologiche e merceologiche riferibili a soggetti rimasti ignoti (oltre a quelle delle vittime e dei loro congiunti) ma non ve n’è una sola che conduca a Romano o Bazzi; il che è più inverosimile che sorprendente. Vi sono, poi, le modalità con cui sono stati gestiti gli interrogatori dei coniugi accusati: sia con domande suggestive che con alcune contestazioni apertamente false che non hanno estorto le confessioni ma le hanno indotte in forma acquiescente ai desiderata degli investigatori. Non ultime le perplessità circa il tardivo riconoscimento di Olindo Romano da parte dell’unico testimone, seguito a ripetute descrizioni di un soggetto completamente diverso e la fantomatica macchia di sangue riferibile ad una delle vittime che si assume repertata sulla vettura dell’imputato e riprodotta in una foto che…non la ritrae! Ed il cui destino resterà un mistero nella confusa catena di raccolta, conservazione ed analisi irrispettosa dei protocolli di polizia scientifica.

    A proposito di reperti, non si deve dimenticare che, ufficialmente per errore (un po’ come capitato a Bergamo nella vicenda legata all’omicidio di Yara Gambirasio) sono andati distrutti dei reperti che, guarda caso, la Cassazione aveva ritenuto fruibili dalla difesa per un’accurata analisi scientifica.

    In buona sostanza, un processo che merita ampiamente di essere sottoposto ad una analisi critica, al di là dei rigori formalistici al cui ossequio si intende legare il diniego della revisione.

    Rispetto che sembrerebbe, altresì, dovuto a quella forma di giustizia che si definisce “teorematica” che si realizza quando vi è l’impossibilità di costruire un’ipotesi di accusa su dati empirici verificati e consolidati e, ad un certo punto, prende forma un teorema e tutti gli elementi che lo confortano vengono valorizzati a differenza di quelli che lo smentiscono.

    Come dire che in una gara di tiro con l’arco prima viene scagliata la freccia e poi si disegna il bersaglio intorno al punto di impatto per dimostrare che si è fatto centro.

    Vi sono fatti e – soprattutto misfatti – che reclamano l’individuazione di un responsabile ma un colpevole purchessia non è giustizia e neppure vendetta sociale ma semplicemente una vergogna a cui, se possibile, dando parola alla Giustizia deve porsi rimedio.

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