Avvocati

  • Toghe&Teglie: gnocchi alla sorrentina

    Ben ritrovati, cari lettori! Sono Emilia De Biase, funzionaria amministrativa della Corte d’Appello di Milano specializzata in piatti tradizionali della mia terra d’origine: la Campania.

    Quella che vi suggerisco questa settimana ricetta facile facile per la quale vale la pena partire dall’inizio (mica vorrete usare gli gnocchi di Giovanni Rana?):

    lessate in acqua salata delle comunissime umilissime patate (calcolare un paio di patate almeno per ciascun commensale) facendo mantenere una consistenza soda (non sfrantummata, come si dice dalle mie parti).

    Lasciatele raffreddare e, solo dopo, sbucciate e schiacciatele con l’apposito attrezzo.

    Ora impastate con farina 00 e un uovo fino a quando il composto non sarà omogeneo, non troppo morbido, ma neppur troppo solidificato.

    Con un coltello staccate dall’impasto dei pezzetti e lavorateli “a salsicciotto” sul piano di lavoro infarinato e ricavatene dei tocchetti che – con un dito – trascinerete uno ad uno sulla farina per creare gli gnocchi, con un apposito incavo (il pollice va benissimo per realizzarlo) in cui in seguito andrà il condimento, lasciando gli gnocchi sul piano infarinato.

    Ancor prima degli gnocchi, però, bisogna aver preparato un bel po’ di sugo: personalmente ne preferisco uno ricco, con lo spezzatino di manzo soffritto e rosolato su tutti i lati con cipolla, in olio evo, aggiunta di una passata di ottima qualità e basilico a spiovere…ma c’è chi invece preferisce un sugo liscio senza carne e col soffritto di aglio e olio. Scegliete voi. Attenzione: questo sugo non deve esser molto tirato e concentrato ma restare abbastanza fluido.

    Torniamo agli gnocchi: lessateli in acqua salata, dopo averli setacciati un po’ per togliere la farina in eccesso. Saranno pronti, ovviamente, quando verranno a galla. Scolateli e se li sentite un po’ molli, docciateli con acqua fredda.

    A questo punto poneteli in una ciotola capiente, versate il sugo sugli gnocchi senza risparmio e mescolate insieme ad abbondante parmigiano, pepe profumato e tanta mozzarella di bufala (non acquosa, per carità: va bene quella rimasta ed “asciugatasi” un po’ dopo un paio di giorni oppure strizzatela dagli eccessi lattiginosi, piuttosto usate mozzarella di latte vaccino, anche se non è la stessa cosa).

    Riempite tanti tegamini di creta quanti sono i commensali, aggiungete qualche foglia di basilico e un’ultima spolverata di parmigiano in superficie.

    Infornate in forno preriscaldato a 220° e sfornate quando vedrete la tipica bella crosticina e sentirete l’aria riempirsi di un profumo…di bontà.

    Servite nello stesso tegamino, ovviamente non bollente, evitando ustioni e gustatevi un bel piatto terrone!

    Saluti e buon anno a tutti!

  • Toghe&Teglie: baccalà alla romana

    Buon 2024 da Attilio Cillario, avvocato lombardo (e distillatore di gin artigianale) del Gruppo Toghe & Teglie: questa volta vi proporrò una ricetta della tradizione romana che ho provato a realizzare senza apportare nessuna variazione e che non abbandonerò più. Saporitissima e tutt’altro che complicata conferma la versatilità di quello che, considerato un pesce povero, in cucina si presta ad una non comune quantità di ghiotte variazioni.

    Per due o tre porzioni procuratevi un filetto di baccalà dissalato e tagliato a cubotti di circa 2 cm, due cipolle, tre o quattro pelati, il doppio di pomodori ciliegini in conserva, una manciata di uvette ed una di pinoli non tostati, una cucchiaiata di prezzemolo e aglio tritati, mezzo bicchiere di vino bianco (con il tradizionale divieto di usare liquidi di oscura origine confezionati in tetrapak).

    Procediamo! Tagliate sottili le cipolle e fatele stufare in una pentola di coccio con una generosa dose di olio evo; aggiungete i pelati schiacciati e i ciliegini interi, fate cuocere per qualche minuto, inserite le uvette che avrete in precedenza ammollate ed il vino bianco. Lasciate andare ancora qualche minuto a fuoco dolce, spegnete la fiamma e tenete il tutto da parte.

    Ora friggete in abbondante olio i cubotti di baccalà dopo averli infarinati e sbattuti per eliminare la farina in eccesso: devono friggere fino a dorarsi facendo una bella crosticina che è un particolare fondamentale.

    A frittura ultimata rimettete sul fuoco il sughetto, magari aggiungendo un po’ d’acqua se troppo ristretto, portate a bollore e immergetevi i cubotti fritti, girandoli delicatamente per farli insaporire e ammorbidire, per due o tre minuti.

    Completate la preparazione controllando la sapidità, inserendo i pinoli, ed infine la spolverata di aglio e prezzemolo. Spegnete il fuoco subito dopo, lasciate insaporire brevemente e sarete pronti per andare a tavola.

    Un caro saluto e buon appetito a tutti.

  • Toghe&Teglie: risotto al Castellaccio

    Buone Feste da Manuel Sarno, avvocato milanese fondatore del Gruppo Toghe & Teglie; in questi giorni tocca a me, con la responsabilità di curatore della rubrica, proporre qualcosa di gustoso mentre i miei colleghi e amici spignattano a più non posso ma, tutti presi da altre deliziose incombenze del periodo, mi hanno lasciato “in riserva” con le ricette, sebbene io stesso sia impegnato nelle analoghe piacevolezze del periodo: l’acconto IRPEF, il saldo IMU, l’IVA, la Cassa Previdenza…

    Eccovi, allora, quella che può essere considerata una variante del risotto allo zafferano (da non confondere con quello alla milanese che prevede la presenza dell’ossobuco e l’impiego del midollo al posto del vino nella cottura del riso) frutto di un paio di scoperte in gastronomia ed enoteca: il Castellaccio, un formaggio ideale per la mantecatura, prodotto con latte di vacca Frisona nel cuore della Franciacorta e lasciato maturare nelle migliori barriques usate per produrre i vini locali dopo essere stato unto esternamente con olio evo e ricoperto di rosmarino.

    La seconda scoperta è stata il Nautilus, un Blanc de Noirs realizzato con vitigni della zona di Cividate Camuno, la cui particolarità risiede nell’affinamento per 60 mesi nelle profondità del lago d’Iseo a temperatura e pressione costanti senza aggiunta di zuccheri.

    Nonostante l’aspetto all’impiattamento, quello proposto non è – dunque – quello che può sembrare dalla foto: un risotto in cui c’è molto di bresciano.

    Passiamo alla preparazione: due pugni a testa di riso Carnaroli di ottima qualità, più uno “per la pentola”, brodo (suggerisco quello vegetale fatto in casa con patata, zucchina, carota) q.b., cipolla bianca o scalogno tagliata molto fine, burro chiarificato per il soffritto iniziale e un bicchiere di Nautilus ogni due/tre porzioni il resto servirà a dissetarvi durante il pranzo. Il Castellaccio dovrà essere pronto all’impiego, prima mondato della crosta di rosmarino e poi tagliato a cubetti per la mantecatura finale.

    Preparate il risotto come di consueto utilizzando preferibilmente una padella larga e bassa in alluminio che garantisce una cottura più uniforme: soffritto, tostatura del riso sfumando con il vino, copertura con il brodo caldo e prosecuzione a fuoco moderato mescolando di quando in quando con un mestolo di legno.

    Giunti a due terzi della cottura, inserite gradualmente una metà del Castellaccio a tocchetti e – se necessario – allungate con un po’ di brodo e vedrete il vostro riso assumere da subito il caratteristico aspetto “ad onda” ed una bustina di zafferano ogni due/tre porzioni (volendo potrete diluirlo precedentemente nel brodo).

    Importante è non impiegare parmigiano nella mantecatura finale perché altererebbe il sapore di questo straordinario ed originale formaggio: a cottura quasi terminata (stimando un minuto circa residuo) aggiungete il resto del Castellaccio, una piccola noce di burro chiarificato e – volendo – una spruzzata di Raspadura che contribuisce alla cremosità senza modificare i sapori. Fate fondere il tutto ed ultimate la mantecatura a fuoco spento lasciando riposare alcuni istanti mentre vi preparate per il servizio per il quale sono ideali piatti piani, battendo con il palmo della mano sul fondo per distribuire uniformemente il risotto.

    Ed ora a tavola, brindando con lo spumante suggerito che sorprenderà il palato ed i commensali contribuendo ad accompagnare perfettamente il vostro risotto.

    Buon tutto a tutti!

  • Toghe&Teglie: torta al cacao con bagna al rhum

    Buone Feste a tutti da Anna Paola Klinger, avvocata lagunare del Gruppo Toghe & Teglie con una certa qual passione per i dolci che anche questa settimana condividerò con voi lettori.

    La mia proposta, devo dirlo subito, è davvero facile da realizzare, piuttosto veloce e calorica quanto basta per affrontare i rigori dell’inverno!

    Procuratevi e montate bene quattro uova con 200 grammi di zucchero semolato e poi aggiungete 200 grammi di farina, 60 grammi di cacao amaro, una bustina di lievito, 120 ml. di latte intero e 100 grammi di burro fuso raffreddato.

    Se piacciono (e a chi non piacciono tra i destinatari di una torta al cacao?) non fate mancare l’inserimento di una generosa manciata di gocce di cioccolato.

    Impastate bene il tutto, inserite in una tortiera ed infornate a 170 gradi per 35 minuti.

    Abbiamo già quasi finito: lasciate raffreddare a temperatura ambiente e quando la torta vi si sarà allineata dividetela con attenzione in senso longitudinale ed inzuppate leggermente entrambe le metà con la bagna al rhum che avrete preparato mentre la torta raffreddava.

    Come si fa? In un pentolino mettete 300 grammi di acqua, unitevi 150 grammi di zucchero e mescolate con la frusta. Ora ponete il pentolino sul fuoco basso e continuate a mescolare fino a completo scioglimento dello zucchero; spegnete ed aggiungete il rhum una parte del quale evaporerà per il calore. Mescolate anche mentre lasciate raffreddare. Questione di una decina di minuti in tutto e la vostra bagna è pronta.

    Dopo l’aggiunta della bagna, arricchite ulteriormente la torta farcendola con una composta di arance amare e richiudete le due metà…ma non dimenticatevi della glassa!

    Per la glassa, scaldate 200 ml. di panna liquida con 15 grammi burro ed un cucchiaino di miele. Quando è calda, spegnere il fuoco e scioglieteci dentro 150 grammi cioccolato fondente 85%: a caldo colate sulla torta e guarnite con scaglie di mandorle e buccia di arancia, magari candita nello zucchero e rhum.

    Buone Feste a tutti!

  • Toghe&Teglie: dolcetto o aperitivo?

    Buone Feste a tutti i lettori, ebbene sì: ormai ci siamo ed il periodo natalizio è costellato di eventi – famigliari e non – in cui sono la cucina e la ghiottoneria a farla da padroni. Eccomi, allora, a farvi una proposta che è sicuramente di facilissima esecuzione. A proposito! Non m sono ancora presentata: sono Tania Mannino di Toghe & Teglie, eccezione tra tanti togati sono manager di una multinazionale con pregressi studi di giurisprudenza, mi occupo di contratti con grandi aziende e sono la compagna di vita del fondatore del Gruppo.

    Passiamo alla ricetta, rispondendo per prima cosa ad una domanda: perché mai i cesti natalizi sono sempre stracolmi di datteri come se fossero una prelibatezza introvabile nel rimanente periodo dell’anno oppure un frutto che in qualche modo ricorda le origini dei Re Magi? Mistero: dopo si può dire che scompaiono dal mercato e nel frattempo sono in gran parte ammuffiti nelle loro scatole: troppo dolci e anche appiccicosi per essere dei frutti e sovrabbondanti rispetto ai preferiti dolciumi classici della stagione: panettone, pandoro, torrone, croccante…

    Bene: trasformateli nell’accompagnamento di un aperitivo o in un dessert particolare a tutto tondo, facilissimo.

    Prendete i vostri datteri, tagliateli longitudinalmente, eliminate il nocciolo e posateli in attesa della guarnizione che li renderà speciali.

    In una ciotola versate della crema di gorgonzola e del mascarpone (grosso modo 2/3 di gorgonzola e 1/3 di mascarpone) e miscelate con vigorose mestolate, usando una posata di legno e tanto olio di gomito, fino a rendere omogenea e morbida la crema così ottenuta.

    Ora, aiutandovi con un cucchiaino, riempite ogni dattero con il composto e – assicuro che ci sta molto bene – guarnite ognuno con un pezzo di gheriglio di noce come si vede nella foto.

    A vostra scelta potranno essere serviti insieme ad un aperitivo o a fine pasto (in questo caso può essere preferibile l’impiego di un gorgonzola non eccessivamente sapido o una percentuale maggiore di mascarpone).

    Più facile (e veloce) di così…e addio ai datteri ammuffiti.

    Ciao a tutti, alla prossima.

  • In attesa di Giustizia: il carcere è anche questo

    Con queste parole, la voce incrinata, il Direttore di San Vittore, meritatamente insignito dell’Ambrogino d’oro, ha congedato il pubblico esterno e i detenuti presenti per la tradizionale proiezione della Prima della Scala nella Rotonda dell’istituto penitenziario interrotta durante il secondo atto: un’impiccagione nel quinto reparto e chi conosce un po’ i movimenti del carcere aveva già capito l’allarme, le corse, l’agitazione.

    Un ennesimo suicidio che come ognuno ha ragioni proprie e va rispettato in quanto dramma unico e l’aggettivo “ennesimo” vale solo a sottolineare uno sgomentevole dato quantitativo: sessantasei da inizio anno, ma che contribuisce a farci sentire tutto il peso della attuale situazione delle carceri. Lo aveva detto proprio il Direttore parlando di una situazione drammatica con oltre mille detenuti che non rallentano l’impegno per andare avanti, continuando a credere in un lavoro di grande sacrificio e, ovviamente, nella necessità di portare dentro al carcere la società per momenti di riflessione. Un contributo in tal senso lo diede prima della pandemia proprio il Gruppo Toghe & Teglie, che cura in queste pagine la rubrica di cucina, con due cene aperte ad un pubblico esterno, nel giardino della sezione femminile, eventi dal titolo simbolico “A Tavola con la Speranza”.

    La contraddizione è esplosa in occasione di una ricorrenza in cui va tutto bene, o si finge che così sia, pur consapevoli – e soprattutto noi avvocati lo siamo – che dietro alle cancellate dei reparti ci sono  disperazione,  sovraffollamento,  materassi per dormire per terra, i blindi chiusi, la carenza di igiene, una vita invivibile che aggiungono pene a quella della privazione della libertà andando in senso opposto al progetto di rieducazione dei condannati che dovrebbe essere coltivato nell’interesse comune, nell’ottica di un recupero non solo di esseri umani ma di quella sicurezza che – a parole – sembra stare a cuore a tutti.

    Sessantasei vite umane, un atroce conteggio che non può essere liquidato come un arido bilancio consuntivo di fine anno quando è in conto l’esistenza di persone affidate alla cura di uno Stato che dovrebbe restituirle migliori alla collettività: un elenco che si allunga inesorabilmente, nell’indifferenza di governi che guardano al pianeta carcere con cinica indifferenza, spesso utilizzandolo come emblema di una recuperata incolumità dei cittadini nella salvifica funzione di discarica sociale meramente afflittiva.

    Ora vi è solo da augurarsi che questo evento drammatico, verificatosi in un momento particolare, sia in grado di scuotere le coscienze di chi continua a credere che le carceri possano essere stipate all’inverosimile, e non solo nell’interesse della popolazione detenuta in senso stretto.

    Infatti, oltre ai carcerati non si deve dimenticare tutto il personale, civile ed in divisa, tutti quelli che entrano in carcere anche solo per dare una mano, e che fanno sì che San Vittore – e come San Vittore tutti gli altri Istituti non uno escluso – ogni giorno stia in piedi, nonostante un destino avverso. La cosiddetta società civile dovrebbe mobilitarsi ed esserci, fare proposte in ogni occasione in cui si parli dei progetti positivi che in carcere malgrado tutto esistono, evitando che i penitenziari restino invisibili ai più: strutture lontane dagli occhi e dal pensiero di chi non se ne vuole occupare.

    Ed è a costoro che si deve ricordare che una detenzione dignitosa è un diritto e che devono essere attivati gli strumenti affinché condizioni disumane cessino e prima ancora che sia definitivamente abbandonata la visione carcerocentrica di una giustizia penale che guarda poco o nulla alla effettiva dissuasione e meno ancora al fattore rieducativo della pena proseguendo nello sterile percorso di affrontare ogni emergenza con l’introduzione di nuovi reati o inasprendo le pene per quelli già previsti mentre non si può continuare a fare finta di niente, non più.

  • Toghe&Teglie: la ribollita

    Buone Feste, cari lettori! Sono Donatella Cungi avvocato della nota consorteria Toghe & Teglie, milanese con ascendenze tosco brasiliane: già, proprio un bel mix e questa settimana sono stata prescelta per rappresentare il Gruppo non con la picanha, neppure con una cotoletta impanata ma con una mia versione, per la verità molto classica, della ribollita, tradizionale piatto della cucina toscana, quella cosiddetta povera ma molto gustosa.

    Armatevi di cipolla, carote, sedano ed uno spicchio d’aglio e metteteli a soffriggere preferibilmente in una pentola di coccio con olio di quello buono.

    Poi aggiungete delle patate mondate della buccia e tagliate a tocchetti di grandezza a scelta e due cucchiai di concentrato di pomodoro, arricchite con un altro giro di olio e regolate di sale e pepe.

    Avanzate di qualche minuto nella cottura prima di inserire anche una mezza verza tagliata fine e una quindicina di foglie di cavolo nero (la mia preparazione era per tre/quattro persone) e ci sta un altro giro di olio.

    A parte avrete nel frattempo cotto dei fagioli cannellini con aglio e salvia e con il cui brodo dovrete diluire le verdure senza far mancare l’ennesimo giro d’olio.

    A questo punto passate 3/4 dei fagioli e aggiungete la crema così ottenuta unitamente a 2-3 mestoli di cannellini interi. Lasciate andare, sempre a fuoco moderato, per un’ora poi spegnete e fate riposare.

    Durante il riposo della ribollita prendete una pirofila e metteteci pane toscano (senza sale) raffermo sul fondo sul quale andrete a versare la minestra (non troppo asciutta, mi raccomando!) poi ancora pane e ancora zuppa, olio (sì non deve mancare mai e peggio per il giro vita), sale e pepe ad aggiustare.

    Il tutto va passato in forno preriscaldato a 180 gradi a ribollire per mezz’ora. Se piace si può aggiungere mezzo peperoncino ed il vero trucco è non avere fretta nella preparazione e lasciarla riposare più che si può prima dell’infornata finale.

    Ricetta lunga da realizzare ma non laboriosa e l’impresa merita.

    Stappate per tempo, facendolo respirare, un ottimo rosso toscano e…buon pranzo a tutti!

  • Toghe&Teglie: risotto rape e gorgonzola

    Buona settimana a tutti i lettori, sono Pietro Adami, veronese, uno dei fondatori del Gruppo Toghe & Teglie che tra poco compirà dieci anni: i primi veri freddi suggeriscono piatti a più elevato contenuto calorico che, chissà come mai, sono sempre i più gustosi ed a voi propongo questo risottino frutto della mia personale inventiva; su questa ricetta ragionavo da un po’, immaginando come potesse risultare la combinazione dei sapori, infine mi sono deciso ed il risultato è stato più che soddisfacente, almeno per il mio palato…ed il vostro? Beh, provare per credere.

    Procuratevi delle rape già cotte, lessate, per velocizzare il processo e ponetele in una terrina dove rilasceranno il loro liquido (che a differenza della rapa in sè, ha meno retrogusto di … terra) e conservatelo.

    A questo punto ripassate in un’ampia padella della cipolla tritata finemente con un filo d’olio e mezzo bicchiere di lambrusco (sì, proprio lambrusco!) ed una volta appassita la cipolla, aggiungete il riso (due pugni a testa più uno “per la pentola”: e con le spannometriche quantità abbiamo appena iniziato) e l’acqua delle rape mescolando il tutto a fiamma alta fino a completo assorbimento.

    Ora, fiamma spenta del tutto e riposo per 5-10 minuti.

    Riaccendete il fuoco e proseguite come per un normale risotto, diluendo con brodo di verdure (possibilmente non quello già pronto nel cartone…) ed a metà cottura aggiungete mezzo cucchiaio di miele a porzione e regolate di sale.

    A fine cottura inserite – senza eccedere, a seconda della sapidità – del gorgonzola, fatelo sciogliere e mantecate a fiamma bassa, spegnete e spolverate con del prezzemolo sminuzzato.

    Tutto un po’ strano, eh? Eppure…garantisco per il risultato.

    A presto!

  • Toghe&Teglie: veggie burger

    Buona settimana ai lettori che dovranno accettare il fatto che sia nuovamente una mia preparazione a monopolizzare la rubrica: sono Massimiliano D’Alessandro, avvocato civilista della sezione pugliese del Gruppo Toghe & Teglie, ispirandomi a Jessica Rabbit, mi viene da dire che non sono poi così bravo, è il curatore della rubrica che mi sceglie e mi fa apparire così.

    A proposito! Non si pensi che un tarantino doc possa bestemmiare un piatto realizzato rigorosamente con prodotti della mia terra, un nome che sa di nouvelle cousine anglofona se non – peggio che mai – di ricetta salutista a tutti i costi, magari ispirata, con rigore da ordine monastico cartusiense, ad uno specifico regime alimentare: tutta colpa, pure in questo caso, del curatore della rubrica!

    Chiarisco subito che io preferisco usare i broccoli ma – sfortunatamente – il mio verduraio di fiducia ne era sprovvisto e mi ha raccomandato un cavolfiore: il risultato finale è stato tutt’altro che disprezzabile per cui, se vorrete, potrete provare entrambe le versioni restando immutato il procedimento.

    Ordunque: lessate il cavolfiore o i broccoli (non troppo per evitare lo sfaldamento che riduce tutto ad una pappa), metteteli in un tritatutto, frullatore, robot da cucina – insomma, quello che avete – ed aggiungetevi parmigiano, pangrattato (ma il meglio sono dei taralli sbriciolati che danno una “spinta” in più rispetto al semplice pangrattato), sale, pepe e sminuzzate il composto. Quantità? Ma stiamo scherzando? Si va “a sentimento”.

    Ora formate delle pallotte che, volendo, potete ripassare nel pangrattato (o tarallo sbriciolato), schiacciatele, apritele e mettete in centro un pezzetto di mozzarella fiordilatte o altro formaggio a vostra scelta che diventi filante con la cottura, richiudete e schiacciate dando la forma di un hamburger.

    Per la cottura, spennellate una ampia padella con olio (poco ma buono!) e fate andare gli hamburger qualche minuto per lato, impiattate e, volendo, potrete decorarli ed arricchire il sapore con guacamole, salmone o qualunque altra cosa ispirata dalla vostra fantasia creativa e dalla combinazione corretta dei sapori.

    Statt’ bun!

  • In attesa di Giustizia: una storia (un’altra) di ordinaria ingiustizia

    Sembra di dover constatare che sia stato tirato il freno a mano ai fieri propositi riformatori del Ministro Nordio: la Giustizia deve dare la precedenza alla qualsiasi, tanto è vero che nel progetto di legge finanziaria non le viene riconosciuta una dotazione degna di questo nome…intanto accade di tutto e la rubrica, questa settimana, offrirà al pubblico ludibrio il caso degli avvocati – uno in particolare, un giovane praticante – di un indagato per falso in una pratica di voluntary disclosure, strumento messo a disposizione dei contribuenti per regolarizzare la posizione fiscale.

    Ovviamente vengono disposte intercettazioni telefoniche e ambientali, meno ovviamente (anzi, illegalmente) anche tra l’accusato ed i suoi difensori, uno dei quali, scelto probabilmente per sfruttarne, con l’età, la minore esperienza, viene convocato per essere sentito dal magistrato come persona informata dei fatti: del che parla – intercettato – ai colleghi di studio con i quali si confronta condividendo la decisione di opporre il segreto professionale se si tratterà di fatti riguardanti il mandato. Gli inquirenti, dunque, sanno in anticipo di quella decisione. Ciononostante, in esordio dell’interrogatorio, il praticante avvocato viene avvertito dell’obbligo di rispondere secondo verità e gli si pongono varie domande di carattere generale (professione, motivi per i quali ha conosciuto l’indagato ecc.).

    L’interrogatorio si protrae, poi, in termini assai più incalzanti per oltre tre ore e mezza e vi partecipano, oltre al magistrato, quattro inquirenti. Uscito dalla caserma, lo sventurato telefona (sempre intercettato) ai colleghi ed ai genitori, piangendo: richiesto del motivo e continuando a piangere spiega che “c’era un colonnello, altri quattro oltre al pubblico ministero… Mi sono sentito morire. Tre ore e mezza trattato come un delinquente!…Mi hanno rovinato la vita, il pubblico ministero ha detto che mi sto approcciando con disinvoltura alla professione legale, erano cinque contro uno e gliel’ho detto che stavano…inducendo a rispondere cose che non ho detto, né pensato ma che se volevano verbalizzare così che scrivessero addirittura loro! Finirà che mi indagheranno impedendomi anche di sostenere l’esame di Stato”.

    L’ascolto delle registrazioni è inquietante per i toni usati ed il clima creato ad arte:  per ragioni di sintesi non andiamo oltre limitando al rilievo alla violazione evidente dell’art. 188 del codice di procedura penale che vieta metodi lesivi della libertà di autodeterminazione della persona confermata, in questo caso, da una consulenza sugli audio dei professori Pietro Pietrini dell’Università di Lucca e Giuseppe Sartori di quella di Padova, per intenderci, due giganti del settore che così concludono: “I risultati delle analisi effettuate dimostrano come la situazione vissuta abbia creato nel soggetto una condizione di turbamento psichico e alterazione emotivo-affettiva compromettendo la sua libertà di autodeterminazione”. Il che, andiamo avanti, oltre ad integrare il reato di concussione o violenza privata rende per legge inutilizzabili le dichiarazioni rese. Per non farsi mancare nulla, nel giudizio a carico del cliente l’avvocato è stato citato come teste d’accusa e quelle dichiarazioni (inutilizzabili) sono, invece, state acquisite sostenendo che il testimone aveva implicitamente rinunciato al segreto professionale.

    All’obiezione di non essere stato messo nelle condizioni di serenità migliori per rispondere, il Tribunale ha ritenuto che “sono questioni che esulano dall’oggetto del processo”. Vergognatevi se ne siete capaci e questo approccio non da Tribunale della Repubblica ma da caserma di gendarmeria cilena ai tempi dell’indimenticato Generale Augusto Pinochet è stata seguita pure con riguardo alle intercettazioni degli avvocati (vietatissime dagli artt. 103 e 271 del codice di procedura).

    Non è un riconosciuto diritto alla riservatezza che vengono omessi i nomi di coloro che si sono resi responsabili di sopraffazioni di ogni genere ed illegalità assortite frutto di immaginazione interpretativa, ma per tutelare quello di chi ha il diritto all’oblio a non diventare oggetto di curiosità morbose dopo aver patito di sofferenze psicologiche, vittima di una giustizia precipitata in un buco nero nel quale si è annidata calpestando le libertà inviolabili dei singoli.

    Nordio, se ci sei, batti un colpo e, magari: un giro degli ispettori in quella Procura e quel Tribunale non guasterebbe, e non solo quelli del Ministero ma anche quelli della Polizia di Stato.

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