Avvocati

  • Toghe&Teglie: polpette di salsiccia e broccoli

    Bentrovati, cari lettori, da Maurizio Condipodero, avvocato della sezione Reggina di Toghe & Teglie: a voi sono già noto per la saporita semplicità della mia cucina ispirata ai prodotti ed alle tradizioni del territorio e nemica giurata della prova costume. Non mi smentirò nemmeno questa volta: finalmente, alle mie latitudini, la temperatura si è abbassata da 32 a 30 gradi segnando l’arrivo dell’autunno e allora la mia proposta della settimana è misurata proprio sulla ritrovata mitezza del clima e su alimenti di stagione…che sono sempre i migliori e più freschi.

    Procuratevi allora della carne trita mista di manzo e maiale e della salsiccia morbida da cucina non troppo piccante (detto da me…!): pulite la salsiccia dal budello, sminuzzatela e impastatela con la trita in rapporto circa di 2/3 – 1/3 e formate delle polpettine che, volendo, passerete nel pane grattugiato. Secondo il mio amico e conterraneo Giuseppe Barreca.

    In una padella dai bordi alti fate soffriggere dell’aglio mondato della camicia, del peperoncino “serio” in un giro di olio evo versato con generosità. Tanto – come si è detto – siamo in autunno e la prova costume è lontana…

    Come dite, avete prenotato un viaggio a Miami per Natale? E quello è profondo Sud…se non ci siete mai stati non sapete cosa vi aspetta a tavola: costine di maiale alla griglia ricoperte di salse saporosissime ma di dubbia dieteticità, contorno di purè mantecato con panetti di burro interi, spinaci saltati con la panna e anelli di cipolla fritti, tacos – che sono delle specie di piadine – ripieni di chili, un macinato di carne stufata piccantissima. Eppure in spiaggia ci vanno lo stesso.

    Andiamo avanti con la ricetta, eravamo rimasti alla padella con il soffritto: nel momento in cui l’aglio prende colore aggiungete i broccoli, precedentemente lavati in acqua corrente, e dopo aver aggiunto un bicchiere d’acqua coprite con un coperchio e fate andare a fuoco moderato.

    Di tanto in tanto girateli ed a metà cottura aggiungete le polpettine di salsiccia, o se preferite, della semplice salsiccia tagliata a tocchetti.

    Quasi al termine aggiungete mezzo bicchiere di vino rosso e dopo l’evaporazione dell’alcol spegnete il fuoco.

    Per le quantità, chi mi conosce, sa come la penso: il sentimento prima di tutto.

  • In attesa di Giustizia: doppio binario

    La fondazione Einaudi ha rilanciato una raccolta di firma, una di più non guasta, per sostenere la separazione delle carriere la cui disciplina costituzionale langue in commissione alla Camera: ipotesi di riforma ampiamente trattata in questa rubrica ed il cui solo accenno è sufficiente a rinfocolare asperrime polemiche tra Associazione Nazionale Magistrati e chiunque osi sostenerla, foss’anche al bar sotto casa: il “Sindacato delle Toghe” è come un rete protettiva elettrificata dell’Ordine Giudiziario e chi tocca i fili muore.

    Eppure, è la ragionevolezza fondata sulla quotidianità che suggerisce una riforma intesa a riequilibrare (o, almeno, provarci) le forze in campo nel processo penale delineando meglio la figura del giudice terzo, super partes, e di parti – appunto – poste su un piano di parità, come nel processo civile in cui sono entrambe avvocati; questa rubrica  si interessa di  emblematici, ma tutt’affatto rari, casi di squilibrio ed il materiale disponibile sarebbe abbondante anche per un quotidiano, non solo per un settimanale e raccogliendo un po’ di idee proprio sugli accadimenti che hanno maggiormente interessato l’opinione pubblica negli ultimi giorni, si potrebbe giungere ad un significativo corollario: se un funzionario dello Stato, incidentalmente donna, magistrato ed autrice di un provvedimento giudiziale controverso, viene ripresa con probabile consapevolezza ad una manifestazione di piazza – quindi in un luogo pubblico – mentre insulta, minaccia e sbraita contro le Forze dell’Ordine e protesta contro leggi che dovrebbe tutt’al più interpretare non si può far sapere ed è violazione della privacy, dossieraggio… ferma restando, ovviamente, la presunzione di imparzialità nel giudizio, ci mancherebbe altro!

    Un privato cittadino, giornalista, uomo, incidentalmente compagno del Primo Ministro, se registrato sul luogo di lavoro ma in momenti non specificatamente attinenti al suo impiego è un pirla e può essere serenamente e candidamente sputtanato a reti unificate, anzi, è un bene per la democrazia.

    Ma passiamo al “sommerso”: il Supremo Consesso, l’autorevole Corte di Cassazione, con una sentenza di qualche mese addietro, insegna che integrano gli estremi del reato di oltraggio le espressioni e gli apprezzamenti denigratori della reputazione e del prestigio rivolti direttamente alla persona del magistrato da un avvocato anziché ad atti e provvedimenti. Questo perché tutti gli atti ed ogni condotta nel processo devono rispecchiare il dovere di correttezza anche nelle forme espressive usate dalle parti. E gli avvocati sono una parte processuale; vediamo, invece, cosa ne pensa il C.S.M. a proposito di analoga situazione a parti invertite.

    La “cattedra disciplinare” (insultare un avvocato non è reato: tutt’al più una violazione deontologica) ha stabilito che non integra l’illecito della grave scorrettezza il comportamento del P.M. che, nel corso di un’udienza, perda la calma e profferisca frasi ingiuriose nei confronti di un difensore laddove le circostanze e la mancanza di strepitus fori – come dire, fuori da quell’aula nessuno ne saprà mai nulla – in ordine alla intemperanza verbale, le immediate scuse e la ripresa dell’udienza consentono di ritenere il fatto di scarsa rilevanza.

    Doppio binario, cerchiobottismo? Macchè, altro non si tratta che di un principio generale espresso dalla notissima legge applicata in letteratura, precisamente nella “Fattoria degli animali”: tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri.

    Da questa, che può considerarsi alla stregua di una fonte normativa primaria, può, dunque, distillarsi l’interpretazione e la concreta declinazione riassunta nella massima di esperienza attribuita al leggendario Marchese Onofrio del Grillo: “mi dispiace, ma io so’ io e voi non siete un c****”.

    Dica il cittadino in attesa di Giustizia, come ed in che modo (salvo abbonarsi al Patto Sociale), gli sia consentito di conoscere le modalità di attuazione della giurisdizione ed esprimere il proprio controllo e giudizio in merito come previsto dall’articolo 101 della Costituzione.

  • Toghe&Teglie: hallaca

    Buona settimana e ben trovati a tutti! Sono Alberto Zappa, non sono un avvocato ma sono il responsabile della comunicazione e delle relazioni esterne del Gruppo T&T nel quale anche coloro che hanno un ruolo fuori dai palazzi di giustizia devono saper cucinare: come il sottoscritto o il fotografo ufficiale, Ioris Premoli. Questo è il mio esordio su Il Patto Sociale con una specialità del Venezuela: un po’ complessa da realizzare ma se vi capitasse di invitare a cena una ragazza venezuelana fareste un figurone, lo dico per esperienza.

    La preparazione della hallaca si suddivide in tre fasi: 1) Preparazione dello stufato per il ripieno, 2) Preparazione della “massa” e sistemazione delle foglie 3) Confezione e cottura.

    Per ottenere 20/25 hallacas (che si possono conservare sottovuoto) procuratevi 750 gr. di polpa di vitello, 750 gr. di carne di maiale, 750 gr di pollo, uno spicchio d’aglio, quattro cipolle, ½ porro, origano, cinque peperoni dolci un bicchiere di vino rosso, 150 gr. di olive senza nocciolo, 100 gr. di capperi, un barattolo di sottoaceti sgocciolati e lavati, 100 gr. di uvetta sultanina, olio di oliva, 50 gr. di passata di pomodoro.

    1) Preparazione dello stufato:

    Tagliate finemente o tritate le carni, la cipolla, il porro e l’aglio. In una pentola grande e profonda versate dell’olio d’oliva; aggiungete la cipolla con l’aglio e fate soffriggere per alcuni minuti aggiungendo la carne: ora fate cuocere per dieci minuti a fuoco moderato mescolando per amalgamare bene. Lasciate procedere la cottura per altri 10/15 minuti aggiungendo il vino, lasciandolo evaporare per poi aggiungere la passata di pomodoro.  Avanti ancora con la cottura per un’ora; quando l’olio arriverà in superficie, lasciate raffreddare.

    2) Preparazione della massa e sistemazione delle foglie:

    Nel frattempo si preparano le foglie e l’impasto con due pacchetti di farina di mais (“Harina Pan”), cinque cucchiaiate di olio della preparazione dello stufato riscaldato con aggiunta della spezia “Onoto” per dare il colore giallo. Per taluni ingredienti, come si intuisce, è necessario trovare un negozio specializzato in cibi e spezie…

    Aggiungete acqua tiepida sufficiente per ammorbidire il composto e sale q.b.. in un recipiente in cui avrete messo la farina, e l’olio; impastate fino ad ottenere una massa morbida, fate riposare per mezz’ora ed in seguito formate delle palline di 5-6 cm di diametro.

    Per l’involucro vi serviranno: sei grandi foglie di platano o di banana. filo da cucina (spezzoni da un metro).

    3) Passiamo alla confezione e cottura finale:

    Lavate molto bene le foglie, asciugatele con un panno e tagliatele in quadrotti da 30×30 cm, circa due spanne abbondanti per lato. Bagnate le mani nell’olio preparato in precedenza ed ungete il centro della foglia e stendetevi una pallina dell’impasto formando dei cerchi da 15 cm. circa. Nel centro dell’impasto già steso, mettete un mestolo dello stufato e decorate con altri ingredienti: un’oliva spezzettata, anelli di peperoni, sottaceti, capperi, uva sultanina. Piegate la foglia in modo che l’impasto contenga tutti gli ingredienti come un pacchetto e chiudetela in modo che tutto rimanga molto compatto, legando col filo da cucina.

    Per finire mettete le hallacas in una pentola con acqua bollente per 30 minuti, toglietele lasciatele brevemente asciugare. Quindi servite in tavola al momento e quelle in eccesso potranno essere conservate in frigorifero o in congelatore. Prima di un successivo consumo riscaldatele in acqua bollente.

    Sì, capisco, la ragazza venezuelana deve essere molto carina, altrimenti si fa prima ad andare in un buon ristorante…ma la soddisfazione non è la stessa!

    Alla prossima!

  • Toghe&Teglie: gnocchi di susine

    Cari lettori, sono Eleonora Bergamini che, dopo un imprevisto e rapidissimo esordio in questa rubrica (ero entrata a far parte da pochi giorni del Gruppo Toghe & Teglie), torno a voi con una ricetta che non è mia originale ma sicuramente insolita: alzi la mano chi ha già provato questa specialità che – tra l’altro – è tanto facile da realizzare perché in fondo basta saper fare gli gnocchi quanto sorprendente per i vostri ospiti a cui potrete rivelare solo dopo l’assaggio quale sia il segreto di un primo (ma volendo può essere anche dessert) dai sapori sapientemente miscelati.

    Procuratevi, ovviamente, delle susine non troppo grosse (una decina per altrettanti gnocchi), pulitele, dividetele a metà e togliete il nocciolo.

    Ora fate imbiondire in padella ed a fuoco moderato dell’ottimo burro di alpeggio cui aggiungerete 3/4 cucchiai di pan grattato; fuori dal fuoco aggiungete un cucchiaino di zucchero e uno di cannella.

    Riempite con il pangrattato le prugne e mettetele da parte. Intanto avrete fatto lessare un mezzo chilo abbondante di patate da gnocchi, quelle a pasta bianca, farinose, pronte da schiacciare e, orsù, schiacciatele!

    Aggiungete sale q.b., un tuorlo d’uovo e un po’ di farina bianca e impastate in modo da ottenere un composto morbido ma senza lavorare troppo la farina: giusto per amalgamare.

    A questo punto fate delle “pallette” di patate, appiattitele, e metteteci al centro le susine avvolgendole per formare con ognuna una palla più grande: insomma, uno gnoccone.

    Cuocete questi gnocchi come quelli normali in acqua salata bollente finchè non vengono a galla e conditeli con burro, salvia ed ancora pangrattato fatto imbiondire nel burro, o come vi piacciono…ecco, magari il sugo di pomodoro non è l’ideale: però, se avete voglia, sperimentate! La cucina è anche questo.

    A presto!

  • In attesa di Giustizia: macro ematurie

    Cosa saranno mai le macro ematurie? Chiedetelo ai giudici, quelli che le sanno tutte, anche più dei medici, o almeno così credono: sono versamenti di sangue nelle urine ed è dovuta intervenire la Cassazione per chiarire quale sia il perimetro entro il quale una Corte d’Appello può sindacare la gravità di questa o altra patologia e se ne derivi l’impossibilità di presenziare ad un’udienza.

    Non importa più di tanto sapere dove si sono svolti i fatti perché taluni comportamenti arroganti si manifestano indifferentemente ovunque; siamo, comunque, in una sede di Corte d’Appello, e perviene ad una sezione l’istanza di rinvio di un procedimento da parte di un avvocato che giustifica la sua impossibilità ad essere presente con un certificato medico che attesta “dolori a tipo colica renale con macro ematuria e necessaria permanenza a casa per sottoporsi a terapie domiciliari per almeno due giorni”; le Loro Eccellenze, quand’anche non avessero studiato il greco al liceo classico, nel dubbio, non avrebbero avuto difficoltà a “googlare” cosa sono le macro ematurie, scoprendo che si tratta di presenza consistente di sangue nelle urine mentre la “colica renale” non richiede competenze linguistiche essendo ben noto cosa e quanto dolorosa sia.

    Con la concretezza tipica dei grandi giuristi questi tre saggi magistrati hanno colto l’essenza del problema risolvendolo con una decisione tranchant: trattasi di certificato di comodo perchè non accompagnato da riscontro diagnostico strumentale ed altresì perché le coliche renali, notoriamente, determinano conseguenze fisiche non fronteggiabili in pochi giorni. Periti dei periti…

    Peraltro, un “certificato di comodo” dovrebbe, appunto, far comodo a qualcuno nel determinare un rinvio dell’udienza ma la Corte non spiega neppure quale potrebbe essere l’infingarda e sottintesa intenzione dell’avvocato: non certo guadagnare tempo per la prescrizione perché in questi casi il rinvio determina la sospensione del tempo necessario a prescrivere. E allora? Era una bella giornata e voleva andare al mare, aveva sonno, non aveva studiato il processo? Invece nulla di nulla, a dimostrazione di come ci si compiaccia nel dimostrare l’arroganza di un dilagante potere e la pochissima considerazione della difesa, del diritto di difesa; i lettori forse ricorderanno – è di poche settimane fa – analoga vicissitudine di un avvocato catanese impossibilitato a recarsi in tribunale perché stava andando a fuoco la zona circostante la sua abitazione ma…non aveva documentato l’assoluta impossibilità di sfidare le fiamme.

    Il processo, pertanto, si è celebrato senza il difensore, con uno di ufficio raccattato all’ultimo momento ma sentenza e decisione sul rinvio che la precede sono stati impugnati in Cassazione…Cassazione che, già in passato, era dovuta intervenire – addirittura a Sezioni Unite – per affermare che è rilevante l’impedimento del difensore determinato da serie, imprevedibili ed attuali ragioni di salute debitamente documentate e tempestivamente comunicate. Un principio che dovrebbe essere ovvio ma evidentemente non lo era per tutti.

    La Corte di Cassazione ha fatto giustizia in solo un annetto di questo più recente scempio osservando che la qualificazione del certificato come “di comodo” non risultasse confermata da alcun elemento e che si sarebbe dovuta valutare la serietà dell’impedimento sulla scorta della certificazione rilasciata da uno specialista senza nulla in più pretendere in considerazione della repentina insorgenza del male. Una bacchettata finale è stata data osservando che le considerazioni svolte circa le conseguenze di una colica renale sono prive di qualsiasi riscontro scientifico.

    Giudici che si improvvisano biologi, medici, per quanto muniti solo dei personali pregiudizi, che puntano dritti alla meta dell’agognata celebrazione di un processo senza tanti orpelli, senza il fastidio di ascoltare il difensore: una giustizia così non è quella che ci si aspetta ed è confortante che sia stata ricacciata in un angolo dalla Corte Suprema perché, francamente, è essa stessa a generare un malore: dà la nausea.

  • Toghe&Teglie: cipolle rosse in agrodolce

    Buon autunno a tutti! Sono ancora una volta Massimiliano D’Alessandro, cuoco prestato all’avvocatura della sezione tarantina di Toghe & Teglie. Ultimamente le mie preparazioni sembra che stiano spopolando tra gli amici del Gruppo e, così, eccomi di nuovo a proporvi una delle mie recenti preparazioni, una conserva di facile ma lunga preparazione che consiglio – una volta che ci si mette all’opera – di produrre in abbondanza e non pensarci più per un po’.

    Queste cipolle in agrodolce sono ottime sia come completamento di un’insalata che come contorno e non stonano neppure come arricchimento di un aperitivo: assicuro che sono buonissime, però assicuratevi di non avere impegni sociali o di lavoro che impongono distanza ravvicinata perché sono come le ciliegie e una tira l’altra con gli effetti collaterali immaginabili. Prive di controindicazioni, invece, se avete in programma solo delle conference calls.

    Procediamo! E questa volta avrete anche indicazioni puntuali sui quantitativi: procuratevi e tagliate a fettine sottili ma non troppo 1 chilo di cipolle rosse e mettetele a macerare in una coppa o ciotola con delle foglie di alloro e 200 ml. di aceto di mele; coprite con la pellicola e lasciate riposare quattro ore.

    Trascorso il tempo indicato, versate mezzo chilo di zucchero, rimestate bene e ricoprite nuovamente lasciando riposare per altre cinque ore (e siamo a nove più quelle dedicate alla spesa, alla organizzazione, taglio delle cipolle ecc..: vi avevo avvisato!).

    Le cipolle, però, non devono restare crude e quindi mettete il composto in una padella capiente, bassa e ampia, e cuocete a fuoco basso/medio per 40 minuti rigirando di quando in quando.

    Intanto che le cipolle cuociono preparate i contenitori; servono i boccacci con chiusura ermetica: colmateli a cottura ultimata con le cipolle senza aggiungere null’altro, chiudete e subito dopo capovolgete lasciando fare il sottovuoto per una notte…e siamo a un giorno e mezzo per la preparazione di base ma da quello successivo potranno essere girati e conservati, sempre che non iniziate subito la degustazione, il che è molto probabile.

    A presto per sbizzarrirci ancora insieme ai fornelli!

  • Toghe&Teglie: pan di zucca e cioccolato

    Sono Marina Cenciotti del Gruppo Toghe & Teglie, cari lettori, e sono emozionatissima perché questo è il mio esordio nella rubrica di ricette: io, di solito, mangio e con mio marito (Ivan Vaccari, “Ayatollah della carbonara”, lo conoscete bene) ai fornelli non c’è da lamentarsi né da rischiare l’anoressia.

    Spero che il mio suggerimento per un dolce tipicamente autunnale, ottimo da realizzare conservandolo per la colazione, sia di vostro gradimento e cercherò di sorprendervi subito con l’indicazione di ingredienti e quantità!

    Dunque: 200 grammi di zucca (io l’ho cotta al vapore ma va bene anche in forno), 210 grammi di farina 00, 15 grammi di bicarbonato, 7 grammi di sale, 7 grammi di lievito per dolci, 15 grammi di cannella, un pizzico di noce moscata e di zenzero.

    Poi ancora: 120 ml. di olio di semi, 70 grammi circa di latte, 100 grammi di zucchero di canna, 140 grammi circa di zucchero bianco, due uova e…gocce di cioccolato fondente a volontà.

    Detto questo, procurati ed ordinati gli ingredienti, la preparazione è piuttosto semplice.

    In una prima ciotolina setacciate ed unite alla farina, le spezie, il bicarbonato e il sale.

    In una seconda dovrete mischiare ed amalgamare bene l’olio con lo zucchero e dopo aggiungere in sequenza la zucca, le uova e il latte continuando a mescolare per creare un composto omogeneo.

    Siamo alla fine: ora unite anche la farina e datevi da fare con un mestolo di legno per ottenere un impasto cremoso in cui, alla fine, aggiungerete le gocce di cioccolato.

    Versate il tutto in una terrina foderata come vedete nella foto e mettete in forno ventilato a 180 gradi per una cinquantina di minuti.

    Voilà…a presto!

  • Toghe&Teglie: spatzle, che passione!

    Ben ritrovati, cari lettori! Sono Angela Masala, avvocato del Gruppo Toghe & Teglie: nonostante le mie origini “miste” sardo-lucchesi, questa settimana vi propongo un ghiotto piatto tipico trentino, gli spatzle, che ho imparato a realizzare perché sono sentimentalmente legata ad un altro appartenente al gruppo che è un miscuglio tosco-trentino e non gli garbano solo la ribollita e la chianina alla brace.

    Come tutti sapete si tratta di gnocchetti a base di spinaci, uova, farina e acqua e, se non avete occasione di andare in Trentino per acquistarne di eccellenti già pronti in qualche ottima gastronomia, sono semplici anche da fare, vi spiegherò subito come.

    Lessate degli spinaci in poca acqua salata (non ricominciamo con le lamentele sulle quantità esatte: pensate che io usi la bilancia? Si va ad occhio e sentimento), scolateli e strizzateli, poi tritateli aggiungendo uova e farina. Facciamo che per tre/quattro porzioni servono 900 grammi di spinaci, 300 di farina e tre uova; impastate il tutto fino a rendere il prodotto ben amalgamato.

    Ora passate il vostro impasto in uno schiacciapatate per dare più facilmente la forma “a gnocchetto” e siete pronti per andare ai fornelli.

    Come si fa con gli gnocchi normali, versate gli spatzle in acqua salata già a bollore, scolateli quando verranno a galla con una schiumarola e metteteli per cinque minuti in una padella dove avrete già fatto soffriggere bene, con abbondante burro di alpeggio, dello speck tagliato a listarelle non troppo spesse e lunghe; sfumate con vino bianco e regolate con sale, pepe, noce moscata ed erba cipollina.

    Impiattate e servite ben caldi non prima di aver asperso generosamente i piatti con formaggio grana…badate bene che vi è una eccellente produzione di grana trentino che può essere, come si dice, “la morte sua” ma anche un parmigiano con 24/26 mesi di stagionatura va benissimo.

    Un calice di Ferrari brut per brindare alla riuscita della ricetta e siete pronti per andare a tavola!

    A presto, un caro saluto

  • Toghe&Teglie: carbonara estiva

    Buona settimana a tutti i lettori, sono Ivan Vaccari del Gruppo Toghe & Teglie: romano e considerato un vero ayatollah della carbonara (in questa rubrica ho pubblicato la “mia” ricetta che è poi quella tradizionale), questa volta voglio proporvi una variazione sul tema, che ho definita “estiva” in mancanza di meglio e per fare onore all’ingrediente in più, i fichi, che a gennaio sono difficili da trovare.

    Allora, la premessa: ho “inventato” il piatto durante le vacanze ed ho messo a tavola cinque persone, in Salento, col guanciale trovato per miracolo già tagliato (io lo avrei fatto più spesso: non devono essere fettine o cubetti sottili) e pecorino romano già grattugiato: pazienza, non si può avere tutto lontano da casa…ma i fichi erano molto buoni.

    L’ideale è uno spaghettone e come per la carbonara classica suggerisco un formato ruvido che tenga bene il condimento: Voiello, senza dannarsi l’anima alla ricerca, ne propone di tipologia e qualità adeguata.

    Mettete a bollire l’acqua.

    Tostate del pepe e fate spurgare il guanciale, ovviamente senza olio, nella stessa padella e quando è rosolato, levatelo conservandolo in un contenitore con un po’ di grasso.

    Nel frattempo vi sarete occupati dei fichi: regolatevi in base a dimensione e dolcezza dei frutti alcuni dei quali serviranno come guarnizione: io ne ho impiegati quindici perché erano piccoli, tenendone da parte tre per l’impiattamento. Sbucciateli e tagliateli a pezzetti.

    Quando mancano alcuni minuti alla cottura al dente della pasta suggerita, considerando che dovrete scolarla prima perchè ne servono tre di “risottatura” e mantecatura, rimettete il guanciale ed i fichi nella padella a fuoco medio: è il tempo giusto di dar loro un legame.

    Ora scolate la pasta e, sempre a fuoco medio, risottatela nella padella con il suo condimento.

    Dimenticavo! Contemporaneamente, in una ciotola a parte, avrete preparato anche una salsina con il pecorino, il grasso tenuto da parte ed un poco di acqua di cottura della pasta (basta mescolare il tutto con un mestolo di legno per un minuto, amalgamando bene): è da aggiungere nell’ultimo minuto o poco più dedicato alla risottatura  per mantecare il tutto rendendo il piatto cremoso.

    A questo punto potete servire, decorando con i fichi tenuti alla bisogna e, magari con una spolverata finale di pecorino.

    In questa specie di carbonara manca l’ovo? Avete ragione…ma l’ovo con i fichi non ci sta bene per gnente (con la “g”): questo piatto è un gioco di sapori ed occhio a dosarli che si coprono facilmente. I fichi soprattutto se troppo maturi sono molto dolci e possono alterare l’equilibrio ed anche il pecorino – che aiuta molto – non deve essere troppo sapido.

    Dite che così sembra più una variazione della gricia? Chiamatela come vi pare, tanto una carbonara non è di sicuro però è molto buona: parola di Ivan Vaccari che della carbonara è “l’Ayatollah”.

  • In attesa di Giustizia: la vecchia guardia va in pensione ma non si arrende

    Non importa se sono state decine di migliaia i cittadini che hanno firmato  l’iniziativa di legge popolare per la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e pubblici ministeri, non importa neppure se alla Camera sono già in esame quattro diversi disegni di legge sia di maggioranza che di opposizione su questo argomento: la grave colpa per queste iniziative e la responsabilità sul loro possibile percorso parlamentare (che avrà inizio il 6 settembre) viene fatta ricadere su un uomo solo, come se fosse l’uomo solo al comando anche se così non è, Carlo Nordio, Ministro della Giustizia che – per la verità – è da sempre sostenitore di questa riforma.

    Una vecchia guardia composta da oltre trecento magistrati in pensione ha sottoscritto un appello inviato al Guardasigilli avvertendolo dei pericoli cui si andrebbe incontro se la separazione delle carriere diventasse realtà, chiedendo di fermare il percorso parlamentare: tra di loro vi sono giudici, P.M., civilisti e penalisti, molti dei quali sono nomi noti come l’ex Procuratore Generale della Cassazione, Giovanni Salvi, che da P.M. ha a lungo indagato sulla strage di Ustica, o Francesco Greco, ex Procuratore Capo a Milano dove è stato componente storico del Pool “Mani Pulite”.

    Potevano godersi in pace la generosa pensione che lo Stato attribuisce loro, invece hanno ritenuto di riproporre i paventati rischi di questa riforma che, ab immemorabile, è invisa e contrastata con tutte le forze dalla magistratura associata di cui tocca un nervo scoperto; si ipotizza uno stravolgimento della Costituzione che porterebbe con sé la ricaduta antidemocratica della sottoposizione del Pubblico Ministero al potere esecutivo che avrebbe così la facoltà di inibire piuttosto che stimolare le indagini a seconda che attingano alleati od oppositori politici, amici o avversari, potentati o meno: insomma, quello che – secondo Luca Palamara – hanno fatto proprio loro per decenni; c’è, poi, il tema della cultura della giurisdizione: le diverse esperienze sarebbero, infatti, utili ad accrescerla.

    Invero, non è dato comprendere il fondamento di questi timori posto che la nostra Costituzione già disegna una diversità di funzioni – non una separazione delle carriere, compatibile ed ideale con l’attuale sistema accusatorio, perché i Padri Costituenti “guardavano” al modello di processo penale inquisitorio vigente all’epoca –  e, soprattutto, dispone di almeno quattro articoli corrispondenti ad altrettanti paletti volti ad impedire che l’indipendenza della magistratura sia minata dalla sottoposizione all’Esecutivo: nessuno di questi argini ad uno strapotere politico risulta intaccato dalla riforma.

    Quanto alla cultura della giurisdizione, è – appunto – un problema di cultura, di mentalità e non di transito da una funzione (o carriera) ad un’altra: ovviamente avere svolto funzioni giudicanti può essere di grande supporto se si passa a quelle inquirenti poiché il Pubblico Ministero avrà “fatto scuola” di valutazione delle prove e potrà meglio individuare le evidenze utili e sostanziose da ricercare nelle indagini per poi sottoporle al Tribunale. Molti, troppi, sono invece gli esempi di P.M. che transitando alla giudicante hanno mantenuto la mentalità poliziesca dell’inquisitore: Piercamillo Davigo ne è l’archetipo, e questo va decisamente meno bene.

    Lamentano, infine, i firmatari della petizione che il P.M. per legge è obbligato a svolgere indagini in favore dell’indagato e non di rado, in dibattimento, chiede l’assoluzione: il che non potrebbe avvenire se venisse formato alla sola logica dell’accusa. A prescindere dal fatto che sono casi isolati quelli in cui si assiste ad una ricerca delle prove a favore (ne abbiamo, invece, di scoperte e nascoste…) il codice prevede ciò solo al fine di poter scegliere se l’accusa è sostenibile in giudizio oppure no e chiedere quindi l’archiviazione; e vi è da augurarsi che, carriere separate oppure no, il Pubblico Ministero faccia sempre e comunque buon governo dell’equilibrio.

    In buona sostanza non si vedono né rischi ne vantaggi a mantenere unificate le carriere dei magistrati e permane oscuro il motivo di cotanta ostilità che non risieda nella privazione di maggiori chance di passare da una funzione ad un’altra, dal civile al penale e viceversa a caccia di sedi più appetibili, ruoli maggiormente gratificanti e di prestigio a seconda di quali posti si liberino. A pensar male si fa peccato ma, qualche volta, si indovina.

    Concludendo con una provocazione viene da domandarsi perché questi trecento, quando erano giovani e forti nell’esercizio delle loro funzioni, avendo tanto a cuore indipendenza ed equilibrio dei magistrati, cultura della giurisdizione non abbiano mai pensato che una utile separazione delle carriere potesse essere quella tra P.M. e giornalisti che non comporta alcuna modifica costituzionale, sebbene sia materia politicamente e mediaticamente molto sensibile e redditizia visto che su atti ed intercettazioni “dal sen fuggite” si costruiscono fatturati e carriere con pregiudizio della reputazione anche terze persone coinvolte e prima ancora dell’accertamento della responsabilità degli indagati – che, magari non verrà accertata – minando, oltretutto, la “verginità cognitiva” di chi deve giudicare con le anticipazioni del processo e del giudizio possibili facendo zapping tra Chi l’ha visto, i plastici di Porta a Porta, Quarto Grado e la lettura qualche paginata non solo del Fatto Quotidiano ma anche del Corriere della Sera.

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