Avvocati

  • Toghe&Teglie: tortino di alici

    Cari lettori, buona settimana da Francesco Maria Palomba, avvocato della vivace sezione reatina di Toghe & Teglie: questa volta la mia intenzione è quella di ingolosirvi con un sapido piatto che coniuga sapori di terra e di mare, non particolarmente difficile da preparare e di notevole effetto scenico se seguirete le regole di impiattamento.

    Questi i passaggi operativi e le dosi – una volta tanto, almeno in parte, indicate – sono per sei persone.

    Iniziamo dal tortino: procuratevi 1 kg. di alici fresche, pulite e diliscate, ½ litro di salsa di pomodoro leggermente salata (meglio se fatta in casa: quella che si conserva in bottiglia…), circa 250 grammi di pan grattato aromatizzato con un battuto di uno spicchio d’aglio, maggiorana fresca, timo fresco,  pepe macinato e olio.

    Ora oleate una teglia alta circa 5 cm. e disponete a strati alternati le alici, la salsa di pomodoro, il pan grattato aromatizzato ed un giro d’olio fino a comporre 4/5 strati e infornate a 180 gradi per circa quarantacinque minuti, poi terminate con cinque minuti a forno ventilato.

    Nel frattempo che il tortino è in forno, dedicatevi alla crema di broccoli: sbollentate un broccolo, scolatelo e tenete da parte un po’ di acqua di cottura; tagliatelo a pezzi e frullatelo con un minipimer aggiungendo un poco di olio evo, due acciughe dissalate e mezzo spicchio di aglio ed, all’occorrenza, sale ed acqua di cottura per rendere la crema fluida, morbida – come si vede nella foto – ma non liquida.

    Tostate adesso delle fette di pane integrale o di grano duro alte circa 1,5 cm e a breve sarete pronti per impiattare.

    Per l’impiattamento fate una base con la crema di broccolo tiepida, ponetevi sopra la fetta di pane integrale tostato e un pezzo di tortino della stessa misura della fetta, guarnite, infine, sbriciolandovi sopra del peperone crusco…non ne avevamo parlato? E va bene, serve anche quello…ve l’ho detto adesso.

    Buona fine d’agosto a tutti.

  • In attesa di Giustizia: Perry Mason e il cliente povero

    Chi non conosce Perry Mason e non ha mai visto almeno un telefilm della serie interpretata da Raymond Burr? Avvocato di straordinaria fortuna e bravura, nel suo destino c’era solo la difesa di innocenti ingiustamente accusati ma che venivano tutti assolti nel mentre che il vero colpevole veniva scoperto e la giustizia trionfava grazie anche all’abilità del fido investigatore, Paul Drake.

    Tutto molto bello ed anche molto glamour; i clienti di Perry Mason sono sempre stati bellocci (o bellocce), stilosi e benestanti che possono permettersi una difesa competente, impegnata, a tutto campo, che però costa ed è una cosa per classi abbienti. E chi è privo di disponibilità si accontenti del public defender.

    Da noi no! Da noi la giustizia sarà anche lenta ma l’articolo 24 della Costituzione che dice che è un diritto inviolabile e che per i non abbienti sono assicurati i mezzi per difendersi. Insomma, a ben vedere non è proprio così: chiariamo subito che il concetto di non abbiente, per poter fruire del patrocinio a spese dello Stato, è legato attualmente al limite reddituale di 12.838,01 euro (a famiglia!) e come avvocato si può scegliere quello che vuole…tra coloro che si trovano in un apposito elenco in cui i Perry Mason, diciamo così, non sono la maggioranza. Si aggiunga che un “virgola 02” fa la differenza: oltre quella soglia il difensore se lo deve pagare direttamente il cliente.

    Vero è anche che ci sono molti professionisti che vedono il loro impegno come una missione ed in taluni casi sono disponibilissimi ad assistere applicando tariffe minime se non gratuitamente…ma lo Stato, no, lo Stato non fa sconti e se si supera quello “01”, tanto per cominciare, le copie degli atti se le deve pagare l’accusato mentre con il gratuito patrocinio sono esenti da costi.

    Che sarà mai, per qualche fotocopia? Facile a dirsi: ma ci sono processi composti da fascicoli monumentali e i costi non sono quelli della tipografia sotto casa ma elevatissimi anche ora con gli strumenti a disposizione, anche quando si tratta semplicemente di chiedere una copia informatica che si fa in una manciata di minuti su un dischetto o una chiavetta e l’operazione, per banale che sia, ve la dovete fare voi portandovi il supporto da casa.

    Senza scomodare casi di imputati privi di grossi problemi economici, come quelli per il crollo del Ponte Morandi che per ottenere la copia del fascicolo avrebbero dovuto sborsare oltre 750.000 € – a testa, sia ben chiaro, ma che hanno dovuto comunque organizzare una raccolta fondi per fare copia integrale da condividere successivamente insieme ai costi – è emblematica la vicenda di P.D. che andiamo a raccontare.

    Questo sventurato – non importa se colpevole o innocente: tra l’altro non lo sappiamo essendo ancora sotto processo – ha limiti di reddito che non gli consentono di ottenere il gratuito patrocinio ma non è sicuramente un uomo ricco e l’indagine che lo ha coinvolto si basa quasi del tutto su intercettazioni telefoniche il cui prezzo di copiatura dei files audio è stato calcolato in 59.000 euro, che in tasca non ci sono; il costo industriale, al netto delle chiavette che si deve comperare il difensore sarà qualche decina di euro ma le casse dello Stato sono esauste e se quello è il prezzo…quello si paghi. Oppure niente intercettazioni. Ma senza (e senza soldi per procurarsele) uno come fa a difendersi se non sa da cosa? L’avvocato di P.D. ha portato la questione fino in Cassazione sostenendo che in tal modo si realizza una mutilazione del diritto di difesa e la Cassazione, quella che grazia il Presidente che decide un processo senza avere ascoltato il difensore perché stressato (è un esempio di cui la rubrica si è occupata la settimana scorsa) ha risposto che non c’è nessuna violazione, nessuna sanzione processuale legata al fatto che l’imputato, per mancanza di risorse,  non potesse procurarsi i supporti magnetici delle registrazioni effettuate a suo carico. Oltretutto – nella sentenza non è scritto proprio così ma il senso è questo – l’avvocato avrebbe ben potuto munirsi di cuffiette ed andare ad ascoltarsele, gratis in questo caso, trascorrendo lietamente alcune settimane nella cancelleria dove il Pubblico Ministero le aveva graziosamente messe a disposizione. Certo, come no. Perry Mason non abita qui in compenso c’è il cliente povero e, forse, almeno in una certa misura hanno ragione gli americani quando dicono che è meglio essere ricchi, bianchi e colpevoli piuttosto che neri, poveri e innocenti.

  • Toghe&Teglie: pici con guanciale, fave e pecorino

    Ben ritrovati, cari lettori gourmet de Il Patto Sociale! Sono Andrea Schietti. Avvocato milanese del Gruppo Toghe & Teglie, spesso – credo meritatamente – presente in questa rubrica; sto trascorrendo gli ultimi giorni di vacanza in Toscana e, dopo essermi dilettato a Panarea con gamberi di Mazzara ed altre delizie di mare, sto passando a preparazioni forse più adatte all’autunno che verrà. Appunto, verrà: ma a voi chi lo impedisce di prepararvi un piatto come quello che vi propongo anche adesso, alla fine di agosto? Facile e saporitissimo.

    Procuratevi, quindi, dei pici – un formato di pasta tipico dell’entroterra toscano – sostanzialmente degli spaghettoni fatti a mano – o un formato simile di pasta lunga che trattenga bene il condimento, scalogno, guanciale, fave e pecorino.

    Togliete la cotenna al guanciale e tagliatelo a listarelle o cubetti e mettetelo in padella a sfrigolare nel suo grasso senza aggiunta di olio; affettate sottilmente lo scalogno e buttatelo nella mischia facendo rosolare per qualche minuto a fuoco moderato/basso.

    Prima di ciò avrete tolto le fave dai baccelli, le avrete sbucciate e tuffate in abbondante acqua bollente per cinque minuti. Scolate e tenete da parte l’acqua che userete per cuocere la pasta, regolandola di sale grosso all’impiego successivo.

    Scolate al dente anche perché è necessario un passaggio finale nella padella del condimento, a fuoco acceso e vivace, diluendo con un poco di acqua di cottura al fine di facilitare la contestuale mantecatura con pecorino romano grattugiato, badando a non utilizzarne uno troppo sapido per evitare di coprire gli altri sapori.

    Impiattate senza dimenticare una seconda spolverata leggera di pecorino e di pepe macinato fresco al momento.

    Cosa evitare per evitare di trasformare il tutto in un piatto da mensa sottufficiali dell’Armata Rossa anni ‘50: spaghettini (buoni solo per una minestrina ospedaliera), fave in barattolo di età indefinibile, mix di formaggi ignoti grattugiati già pronto, l’aggiunta di odori non previsti (aglio, rosmarino, alloro ecc.) e, soprattutto, di annegare i pici stappando qualcosa che non sia un eccellente rosso:  non necessariamente un Chianti,  magari anche un Montefalco.

    Alla prossima, un caro saluto a tutti.

  • In attesa di Giustizia: noli inspicere

    Non giudicare. Non giudicare significa comprendere: finchè giudichi non potrai comprendere gli altri e neppure te stesso. “Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati: perdonate e sarete perdonati”, così si legge nel Vangelo.

    Giudicare è un tormento ed anche con la più elevata attenzione non sempre si sfugge all’errore, fisiologico nella giustizia terrena.

    Viene allora da chiedersi perché mai debba essere chiamato a rispondere in sede disciplinare il povero giudice Ernesto Anastasio del Tribunale civile di Santa Maria Capua Vetere solo perché non deposita le sentenze alla cui redazione doveva provvedere e non lo ha fatto da un paio d’anni pur avendo trattato le relative cause: sarà, forse, una stretta osservanza del precetto contenuto nelle Scritture? E allora, come criticarlo?

    La ragione è un’altra: voleva fare il poeta, non il magistrato e lo attesta nella sua perizia, disposta dal C.S.M., il Prof.  Ferracuti docente di Psicopatologia forense alla Sapienza…”l’uomo non vive l’attuale lavoro come una forma di espressione di sé e siccome pensa che non è quello che davvero avrebbe voluto fare lo boicotta”.

    Anastasio, a sua volta, ha così giustificato il suo (non) agire: “Vivo questa situazione di dissidio interiore. Il problema è grave, non sta bene che un giudice faccia tutto questo macello, non credo che morirò magistrato, non mi pare plausibile”. Intanto, però, chiede di continuare a fare il giudice di Sorveglianza a Perugia dove nel frattempo è stato trasferito. E qualcuno, a Santa Maria Capua Vetere ha ereditato il suo ruolo ed alcune decine di sentenze da scrivere relative a procedimenti che non ha trattato: immaginate i capolavori che ne usciranno.

    La soluzione, tuttavia, sembra a portata di mano: basterebbe autorizzare Anastasio a scrivere le sentenze in tetrametri trocaici, endecasillabi, rime baciate; il problema sarebbe risolto con soddisfazione di tutti.

    Una decisione, invece, l’hanno presa le Sezioni Unite della Cassazione (il nostro massimo organo giudicante) e hanno pure scritto la motivazione riferita ad un caso che questa rubrica ha già trattato: quello del Presidente del Tribunale di Asti che aveva pronunciato una condanna ad undici anni di reclusione senza avere ascoltato l’arringa difensiva, poi aveva stracciato il dispositivo, e senza neppure giustificarsi, dato la parola all’avvocato.

    Ecco, le Sezioni Unite hanno annullato anche lo scappellotto (un blando ammonimento) che la Sezione Disciplinare aveva inflitto al solo Presidente mentre gli altri due giudici del Collegio erano andati indenni da qualsiasi sanzione: quasi che non fosse cosa loro contribuire al rispetto di una regola processuale non opinabile. Poverello! Anche per questo magistrato è risultato salvifico l’esito di una perizia medica: era stressato e la ridicola – altro termine non sarebbe idoneo a definirla – sentenza della Cassazione parla di inadeguata valorizzazione e controdeduzione delle circostanze stressogene da parte del Consiglio Superiore che già si era coperto di ridicolo per il ricordato tenore della sua decisione.

    Enzo Tortora, dall’alto della sua esperienza, aveva ragione quando affermò che in Italia esistono tre categorie di persone che non rispondono delle proprie azioni: i minori di quattordici anni, i pazzi ed i magistrati.

    Le sentenze se non si condividono si impugnano, è questa una regola aurea degli avvocati ma a fronte di una come quella in commento l’indignazione è tale che deve trovare uno sfogo: se possibile (ma non lo è) sarebbe stato meglio affidarne la redazione ad Anastasio, se non altro non avrebbe mai visto la luce.  Chi è in attesa di Giustizia si auguri di non trovare mai sulla sua strada un giudice stressato, uno che – invece che ad occuparsi di processi gravi – dovrebbe essere adibito (beninteso a parità di stipendio non sia mai che non riesca a mettere insieme il pranzo con la cena) ad ammortare cambiali smarrite: tanto non ne circolano quasi più. Voi dite, invece, due pedate e fuori dall’Ordine Giudiziario? Beh, come darvi torto?

  • Toghe&Teglie: involtini agli agrumi

    Buon Ferragosto, cari lettori de Il Patto Sociale! Sono Manuel Sarno, fondatore del Gruppo Toghe & Teglie e questa settimana dovrete sopportarmi anche in questa rubrica oltre che “In attesa di Giustizia”. Un periodo di meritato riposo in Sicilia mi ha suggerito una preparazione che, essendo riuscita piuttosto bene, mi sento di segnalarvi: altro non è che una variante degli involtini alla palermitana dei quali, peraltro, ne esistono una quantità a partire dalla carne scelta per realizzarli. In origine è quella di vitello – che personalmente preferisco ed ho utilizzato anche questa volta – ma si può impiegare tranquillamente di pollo o suino.

    Premetto che i quantitativi sono “a muzzo” o “a sentimento”, secondo tradizione.

    Procedete acquistando delle fettine di carne che avrete cura di far tagliare molto sottili ed in modo da avere una lunghezza che consenta l’arrotolamento ed una larghezza di circa tre/quattro dita: dipende dalle dita di chi.

    Mettetevi, poi, ai fornelli fate intiepidire appena una padella prima di versarvi un cucchiaio di olio evo (non bisogna esagerare altrimenti si realizza un fritto e non un soffritto) facendolo leggermente scaldare  anch’esso per poi aggiungere della cipolla finemente tritata, uno spicchio d’aglio – che in seguito toglierete – e della mollica di pane sbriciolata (a scelta, vanno bene anche dei taralli ridotti quasi in polvere) aggiustando di sale e pepe.

    Fate andare a fuoco moderato finchè la mollica non risulterà abbrustolita e croccante e togliete dal fuoco versando il tutto a raffreddare in una ciotola inserendo poi del prezzemolo tritato, caciocavallo o formaggio simile, non troppo stagionato, sminuzzato e parmigiano max. 24 mesi.

    Prima di impastare quello che sarà il ripieno, grattugiatevi sopra della scorza di limone non trattato o di arancia, badando a non esagerare evitando che vada a coprire gli altri profumi e sapori.

    Impastate il tutto, stendete le fettine di carne sul piano di lavoro, posizionatevi sopra il ripieno, arrotolate e chiudete i bordi laterali, dopodichè passate ciascun involtino, senza intriderlo, in olio evo e poi nel pangrattato.

    Ora “infilzate” gli involtini a due a due, tre a tre…dipende dalle dimensioni (ma non devono essere troppo grandi: poco più che dei bocconcini) con degli spiedini di legno e adagiateli su carta forno in una teglia senza aggiunta di altri condimenti.

    In forno preriscaldato a 200° per un minimo di un quarto d’ora/venti minuti – regolatevi con il formarsi della crosticina – girandoli almeno una volta e nel frattempo dedicatevi a preparare una fresca insalata di contorno.

    Per dissetarvi suggerisco una eccellente “Birra dello Stretto” ghiacciata: non è facile da trovarsi al di là di Scilla e Cariddi ma val la pena ordinarne una cassa, ve la spediranno senza problemi.

    Buon proseguimento e buon appetito a tutti!

  • Toghe&Teglie: pollo marinato al miele

    Buona settimana e buone vacanze a tutti, buon rientro a chi le ha già fatte: sono Anna Paola Klinger, veneziana del Gruppo Toghe & Teglie e manco da qualche tempo in questa rubrica: devo il mio ritorno ad un piatto che può non sembrare estivo ma, prima di illustrarvelo, rispondete ad una domanda: voi in questa stagione vi cibate solo di insalata di riso, vitello tonnato, gigantesche coppe di frutti di bosco? La parmigiana di melenzane la freezate per scongelarla sotto Natale insieme al risotto con i frutti di mare?

    Fatta chiarezza con onestà intellettuale e buona pace degli esiti della prova costume, mettetevi alla prova con questo delizioso polletto: me lo dico da sola ma lo sperimenterete di persona, è proprio buono!

    Dunque, procuratevi, ovviamente, un pollo. Ho detto un pollo, non il cadavere di una creatura allevata con oscure miscele chimiche, trucidata, avvolta nel cellophane come in un sacco mortuario ed ostesa sugli scaffali di un supermercato con qualche marchio la cui pubblicità di una singola confezione costa di più della buon’anima.

    La creatura deve essere – o meglio, doveva essere in vita – ruspante e la carne, saporita e consistente, deve faticare a staccarsi dall’osso: quindi recatevi in una macelleria o polleria di buon livello e procedete con l’acquisto; già che ci siete potreste evitarvi la fatica facendovi tagliare il pollo a pezzi…

    …pezzi che, giunti a casa, metterete a marinare almeno una mezz’ora in una ciotola con due spicchi d’aglio, due o tre cucchiai di miele (io uso quello di acacia), abbondante curcuma e mezzo bicchiere di vino bianco (vige sempre il divieto assoluto di avvelenare le pietanze con Tavernello e simili).

    Il tutto va mescolato con le mani prima di lasciarlo ad insaporire.

    Per la cottura è perfetto un wok, come suggeriva Saverio La Grua la settimana scorsa è un utensile molto versatile, nel quale verserete un poco di olio evo ed un porro affettato sottile; inserite poi il pollo e fate rosolare la pelle, ricoprite con il sughetto della marinatura e procedete a fuoco moderato e con il wok coperto, per mezz’ora e inserendo, senza esagerare, della salsa di soia rabboccandola man mano che si consuma.

    Dopo la prima mezz’ora fate andare per altrettanto tempo con il wok scoperto ed a cottura ultimata impiattate cospargendo con scaglie di zenzero appena grattugiate.

    Non male eh? Avete messo un buon bianco a ghiacciare? Si accompagna perfettamente…

    A presto!

  • In attesa di Giustizia: il sacro fuoco della giustizia

    Temo che questo possa essere l’ultimo appuntamento con la rubrica “In attesa di Giustizia” perché l’attesa è finita: non tanto grazie alla Riforma Cartabia le cui ombre si allungano sempre più minacciose sulle flebili luci che ne rischiarano gli articolati, quanto agli esempi di indomabile efficienza di chi esercita la giurisdizione.

    O, forse, no.

    Siamo a Catania, una Catania soffocata dal caldo e divorata dalle fiamme che hanno avvinto non solo l’aeroporto ma interi comprensori urbani: ciononostante i baluardi della legalità non smettono di profondere furore intellettuale coniugato a diuturno impegno e accade questo…

    Gianluca Costantino è un avvocato etneo che risiede proprio in una delle zone più colpite dalle fiamme, la sua casa ne è circondata, i trasporti pubblici sono paralizzati, quelli privati rischiosi e l’Avvocato ha udienza penale:riesce, tuttavia, a mandare una mail con la richiesta di rinvio di un’udienza per legittimo impedimento e trova anche un collega che si presenta in aula per sostituirlo e sostenere le ragioni di differimento.

    Niente da fare, il Giudice è inflessibile perché nella sua amministrazione arde il sacro fuoco della giustizia e la macchina non si può fermare per varie ragioni: la prima è rappresentata dal nemico di sempre, la prescrizione del reato che si avvicina e la seconda consiste nel fatto che il rinvio avrebbe imposto ai polpastrelli dei funzionari di cancelleria, ormai piagati a furia di spedire notifiche via pec, di farne altre a coloro che dovrebbero essere avvisati del rinvio; a tacer di questo, nel provvedimento di diniego si legge altresì che l’istanza non è documentata né attesta l’assolutezza dell’impedimento: Costantino poteva, magari, vestirsi con una tuta ignifuga per adempiere al suo dovere e sarebbe stato utile allegare all’istanza il file di un telegiornale recente con i Canadair che sorvolano l’abitazione del professionista.

    Il diritto di difesa, come si vede, non è poi una garanzia così assoluta ma ad assetto variabile e la decisione del Tribunale di Catania propone solo un interrogativo – e non ci sono parole migliori – cioè se sia frutto di crassa ignoranza piuttosto che di schietta malafede.

    Per i lettori, infatti, è opportuno ricordare la regola in base alla quale il corso della prescrizione viene sospeso se un differimento del processo è determinato da impedimenti o esigenze dell’imputato o del suo difensore. Ma se anche così non fosse, la domanda da porsi è se l’incolumità di un avvocato possa valere meno della prescrizione di un reato che, se è da ritenersi prossima durante il giudizio di primo grado non può essere che frutto di inerzia del P.M. durante la fase delle indagini oppure di malfunzione, congestione, inefficienza del Tribunale…ah, già, la risposta è sì: uno di meno.

    Parliamo ora delle notifiche con cui il Giudice temeva di onerare la cancelleria oltre il sopportabile: tanto per cominciare, l’avviso di un rinvio non deve essere fatto a chi è presente in udienza (nel nostro caso neppure all’avvocato impedito a presenziare essendosi fatto sostituire da un collega) perché riceve contestualmente notizia della data successiva. Viceversa, nel caso in cui non si presenti qualcuno che, invece, deve partecipare all’udienza – per esempio un testimone – la notifica è nuovamente ed in ogni caso dovuta.

    Allora, di cosa stiamo parlando? Se la vicenda non fosse surreale, verrebbe da pensare di essere su “Scherzi a Parte” e ad uno scherzo di cattivo gusto: indigna – come scrive in una nota ufficiale il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania – la mortificazione del diritto di difesa e sarebbe interessante sapere se identica decisione sarebbe stata adottata se analogo impedimento avesse coinvolto un Giudice o un P.M..

    Sarebbe interessante, altresì, conoscere – se mai commenterà l’accaduto – l’opinione del Sindaco di Catania, Enrico Trantino, avvocato penalista di lungo corso. Concludendo, soccorre alla memoria il pensiero di Tito Livio richiamato, proprio in Sicilia, dal Cardinale Pappalardo ai funerali di Carlo Alberto Dalla Chiesa: “Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata”. Ma quelli erano i tempi delle guerre puniche.

  • Toghe&Teglie: dinner cocktail con lo spritz caprese

    Affezionati (spero…) lettori, buona settimana a tutti voi da Massimiliano D’Alessandro: ebbene sì, ancora io, l’avvocuoco tarantino del Gruppo Toghe & Teglie di ritorno con una proposta che, mi sembra, sia nuova per questa rubrica.

    L’idea mi è venuta dopo aver letto sul numero scorso la ricetta del tramezzino con insalata di gamberi di Giuseppe Barreca e dopo aver anche letto da qualche altra parte che è ideale da servire in occasione di un dinner cocktail: a questo punto io, che sono un ragazzo semplice, pescatore e cinofilo, mi sono chiesto cosa fosse scoprendo che è un aperitivo dove i partecipanti si abboffano come alla cena di Capodanno.

    E così ho pensato: “mo’ ve lo servo io il dinner cocktail” con la ricetta – semplice ma non è detto che sia velocissima – del beveraggio e qualche ispirazione per la parte “solida”.

    Parliamo dello spritz caprese, mai sentito? Eppure è una variante molto godibile, fresca, di quello classico.

    Procuratevi del limoncello di buona qualità, non pretendo che sia preparato in casa ma sarebbe meglio, in fondo per un litro circa bastano cinque limoni grandi, non trattati (preferibilmente della Costiera Amalfitana), alcool puro a 95°, 600 grammi di zucchero e 750 ml. di acqua.

    Ora pulite bene i limoni, asciugateli e spellateli con un pelapatate badando ad evitare la parte bianca inferiore, poi munitevi di un recipiente di vetro a chiusura ermetica e versatevi l’alcool e le scorze di limone, richiudete e lasciate macerare per un mesetto. Sì, un mesetto, trascorso il quale versate in un tegame l’acqua e lo zucchero. Raggiunto il bollore spegnete il fuoco, versate lo sciroppo così realizzato in una brocca e fatelo raffreddare per poi aggiungerlo nel contenitore in cui sono ancora in attesa, da settimane, le scorze di limone; a questo punto agitate bene e mettete a riposare al buio e lontano da fonti di calore per altri 30/40 giorni trascorsi i quali agitate di nuovo il barattolo e filtrate il liquore ottenuto con un colino raccogliendolo in una bottiglia che poi metterete in frigo o meglio ancora in freezer. Insomma, bastano un paio di mesi per avere la base giusta per il vostro spritz caprese. Il vostro dinner cockatil mettetelo in agenda per ottobre…

    Adesso viene la parte facile, soprattutto se il limoncello lo avete comperato già pronto e lo avete fatto ben ghiacciare: versatelo in una caraffa e diluite con acqua tonica o seltz; in mancanza è accettabile della Lemonsoda, e l’immancabile prosecco in quantità da misurare “a sentimento”, aggiungendolo gradualmente e verificando che il prodotto finale non sia troppo alcoolico. Potete guarnire, al servizio, con altre fette di limone.

    E la parte dinner del cocktail? Beh, stiamo parlando di una versione borbonica dello spritz e potrebbe essere un’insalata di riso con emulsione di prezzemolo, prosciutto crudo a dadini e cubetti di melone, un pesto di limoni (magari ne riparliamo un’altra volta per non complicarvi la vita) da spalmare sui crostini, un babaganousch di melanzane per dare un tocco di internazionalità, delle fise con crema di avocado e gianchetti… ah, sono vietati? Però si trovano, alla peggio vi difendo io. Insomma, sbizzarritevi: tanto, se avete distillato il limoncello in casa, di tempo ne avete avuto per pensare a cosa accompagnarlo.

    Alla prossima!

  • In attesa di Giustizia: violenza chiama violenza

    Recenti, ma purtroppo non inusuali, fatti di cronaca sono lo spunto per la settimanale riflessione sulla Giustizia. La tematica è quella della violenza sessuale, il suo rapporto in termini di prova con principi irrinunciabili del processo penale che ruota, principalmente, intorno ad un presupposto fondante ma altrettanto impalpabile: il consenso.

    ll tema del consenso non può essere relegato ad uno scontro tra opposte linee di pensiero né diventare opportunità per speculazioni di natura politica poichè con il rapporto sessuale si coniuga tramite esiti chiarissimi e parametri condivisi: deve essere esplicito e non equivocabile; il consenso implicito (in un atteggiamento, in un comportamento, peggio che mai in un abbigliamento) è sintomatico di un approccio culturale e sociale indecente ed inaccettabile, che appartiene ad epoche e contesti sociali che sono – o dovrebbero essere – fortunatamente trapassati remoti.

    Ad un consenso esplicito, poi, deve corrispondere una persona in condizioni fisiche e psichiche tali da consentirne la consapevole manifestazione. Questo canone non ha alcuna ragione di essere modificato o derogato se sia stata la vittima stessa a porsi in condizione di incapacità, ubriacandosi o drogandosi perchè un approccio sessuale con una persona in stato di manifesta alterazione, non può trascurare l’ipotesi che il consenso all’atto, ovvero il mancato dissenso, potrebbe essere condizionato proprio da quelle condizioni.

    L’inosservanza di questi criteri discretivi di una libera e consapevole volontà rendono la condotta penalmente rilevante: il che significa che ne entrano in gioco altri ed altrettanto fondamentali del vivere civile, dotati di rango costituzionale equivalente a quello della inviolabilità della libertà e della intangibilità della integrità fisica e morale della persona. Per primo la riferibilità del reato ad un autore che deve essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio. In secondo luogo, l’onere della prova, quanto mai difficile in questi casi, che è a carico a chi accusa. La peculiarità specifica del tema di prova, la difficoltà della sua ricostruzione con le implicazioni psicologiche, culturali, ambientali, sociali che inesorabilmente lo connotano, non possono invertire ma neppure affievolire il rispetto delle due regole cardinali del processo.

    Nella quotidiana realtà dei giudizi per violenza sessuale non è, purtroppo, infrequente un loro sovvertimento ed è questo è il nocciolo della questione sul quale occorre interrogarsi senza ipocrisie. La percezione della “debolezza” della (presunta) vittima della violenza sessuale, e la forza culturale del (giusto) tema del consenso, determina quella che si potrebbe definire una “autosufficienza probatoria della versione dei fatti” offerta dalla persona offesa. Lo ha raccontato, ripetuto, perché mai dovrebbe mentire? Quindi è successo.

    In tal modo si perviene ad una forma di attendibilità pregiudiziale, si potrebbe dire preconcetta e ad oltranza del “soggetto debole”, che indebolisce sia il principio dell’onere probatorio che quello dell’oltre ogni ragionevole dubbio. E ciò anche attraverso una sorta di stigma di indegnità da attribuire ad ogni tentativo difensivo di metterla in dubbio.

    Tutto ciò ha anche un nome: la confutazione della credibilità della versione accusatoria, viene immancabilmente bollata come “vittimizzazione secondaria”. Una categoria, questa, certamente rilevante sotto il profilo sociologico, ma tanto inconcepibile quanto suggestiva nelle dinamiche del processo penale.

    La parola di uno contro quella dell’altro: quale altra difesa potrebbe avere, allora, un imputato se non insinuando il dubbio, se ve ne sono gli estremi, che la propria versione dei fatti, e non quella della (presunta) vittima, sia quella giusta? Il controinterrogatorio di chi accusa, costituzionalmente normato, serve proprio a questo e laddove soccorrano indicatori di mendacio deve essere anche duro per far risaltare la falsità del dichiarante.

    Il tema del consenso resti, dunque, intangibile: e che sia un consenso esplicito ed inequivocabile al rapporto purchè questo principio di civiltà non diventi il grimaldello volto a pretendere e, talvolta, ottenere, un processo con regole probatorie modificate per i reati di violenza sessuale.

    In tal modo si aggiunge dolore al dolore, violenza alla violenza, ingiustizia all’ingiustizia.

  • Toghe&Teglie: tramezzino con insalata di gamberi

    Buongiorno, buongiorno, amici lettori: sono Giuseppe Barreca, avvocato calabro-mantovano del Gruppo Toghe & Teglie. I miei amici, oltre a riconoscermi una seniority nelle preparazioni a base di baccalà, apprezzano molto le mie proposte di sandwich che possono essere uno spuntino spezza fame, la soddisfazione di una golosità ma anche un pasto leggero se non il componente di un aperitivo arricchito.

    Fatene ciò che volete con quello che vi presento questa settimana ma, soprattutto, fatelo! Facile, goloso, fresco ed adatto alla stagione estiva.

    Questa volta l’indicazione approssimativa delle dosi non sarà davvero un limite: procuratevi per prima cosa dei panini morbidi, possibilmente lunghi e larghi come quello che vedete in fotografa ma – in fin dei conti – saranno il contenuto e la “capienza” (oltre alla qualità del pane) a fare la differenza e non la forma.

    Serviranno inoltre dei cuori di insalata iceberg, basilico fresco, aglio in polvere, olio evo e code di gamberi in numero adeguato alle imbottiture ed al numero dei tramezzini, Heinz Yellow Mustard.

    Ora fate semplicemente bollire i gamberi, limitando la cottura a pochi minuti per mantenerne inalterata la consistenza ed una volta scolati raffreddateli subito con acqua fredda.

    Quindi tagliate il panino nella parte superiore, al centro, e togliete un po’ di mollica per far posto agli altri ingredienti.

    Condite l’insalata in una ciotola con olio, sale, basilico e poco aglio in polvere ed altrettanto fate con i gamberi da insaporire a loro volta inserendoli nella ciotola già usata per l’insalata ed aggiungendo – con la dovuta misura – olio, pepe e poco sale. Mescolate e fateli riposare brevemente nel condimento.

    A questo punto, posizionate uno strato di abbondante insalata nel panino ed al di sopra, con altrettanta generosità, le code di gamberi.

    Guarnizione finale con la Mustard, scelta assolutamente preferibile, in mancanza della quale potrebbe essere accettabile anche della mayo di qualità.

    La bevanda che si abbina perfettamente è un gin tonic leggero.

    Enjoy it

Pulsante per tornare all'inizio