aziende

  • La crisi economica rappresenta l’elemento di “coesione” nazionale

    Novecentoquindici sono i chilometri che costituiscono la distanza tra lo stabilimento Bosch di Bari e quello di Quero, in provincia di Belluno. Queste due realtà economiche e occupazionali, tuttavia, risultano molto più vicine di quanto la lunga distanza possa far pensare. Entrambi gli stabilimenti, infatti, rientrano all’interno di un articolato piano di ristrutturazione industriale e conseguente riduzione del personale che la tedesca Bosch sta attuando per affrontare la crisi del settore Automotive.

    In questo drammatico contesto sociale esplode per l’ennesima volta la questione di una presunta legittimità relativa al progetto di autonomia regionale, per la quale il 22 ottobre 2017 era stato istituito un referendum nel quale la maggioranza dei veneti dimostrò il proprio consenso.

    Da allora sono passati sette anni caratterizzati da:

    . il covid

    . l’esplosione dei costi energetici

    . perdita del potere di acquisto delle famiglie per l’inflazione esogena

    . inflazione dei beni alimentari

    . la guerra Russo Ucraina

    . il PNRR

    . la consueta esplosione della spesa pubblica

    . crescita esponenziale del debito pubblico

    . la conseguente crescita dei costi di   servizio al debito

    . inflazione relativa alla crescita della tassazione sui carburanti e bollette energetiche

    . la crisi arabo israeliana

    . le elezioni statunitensi

    Ed ancora oggi, dopo sette anni, ci si ritrova al punto di partenza con la solita contrapposizione politica, per di più  relativa alla interpretazione di quanto deciso dalla Corte Costituzionale (la cui sentenza verrà pubblicata a dicembre), mentre una pletora di esponenti istituzionali continuano a contrapporsi semplicemente in ragione degli schieramenti politici ed ora più che mai si dimostrano lontani dalle allarmanti aspettative della Working Class, quella che negli Stati Uniti ha votato Donald Trump.

    Sarebbe carino capire se per le quaranta famiglie di Quero, poco più di tremila anime in provincia di Belluno, a 109 chilometri da Cortina d’Ampezzo sede delle prossime olimpiadi invernali del 2026, sia più importante la diatriba giuridica che dimostra come il progetto iniziale presentato dalla regione sia, ancora oggi, soggetto ad una serie di sette correzioni fondamentali da parte della Corte Costituzionale, oppure il mantenimento del proprio posto di lavoro. In più, dopo  venti mesi di sospensione dalla realtà, di fronte alle continue e consecutive flessioni della produzione industriale, oltre un anno e mezzo, l’intero mondo della politica nazionale e veneta, come tutte le associazioni di categoria tanto industriali quanto sindacali, hanno dimostrato di  sottostimare negli effetti immediati come nel medio termine.

    Ora, invece, siamo all’interno di una crisi senza precedenti dal dopoguerra ad oggi e che potrà avere degli effetti talmente devastanti molto simili a quelli  di un conflitto nucleare.

    Francamente vedere ancora una volta tutti questi personaggi che da oltre sette anni continuano a rimpallarsi le  responsabilità relative  ad un possibile mancato raggiungimento della autonomia del Veneto diventa veramente non solo stucchevole ma soprattutto insultante per quelle persone che stanno perdendo al posto di lavoro.

    Il vero problema ora non è più l’autonomia ma la competenza di chi l’ha proposta come di chi l’ha combattuta in questi termini, entrambi espressione  di un mondo e di un  modello politico completamente assenti ed ignoranti della realtà circostante.

    Il  mondo del lavoro si trova ora in una situazione di una difficoltà senza precedenti, mentre la politica, per nulla interessata, continua a  considera la propria contrapposizione politica primaria rispetto al futuro delle famiglie investite dalla crisi economica ed occupazionale.

    In ultima analisi è decisamente paradossale come, più della contrapposizione squisitamente ideologica tra favorevoli e contrari al progetto di autonomia regionale, il vero elemento di coesione del territorio italiano venga rappresentato dalla crisi economica ed occupazionale.

  • Poste Italiane e la speculazione finanziaria

    Gli scandali del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia convinsero il mondo della politica della necessità di privatizzare il sistema bancario. In teoria la scelta sembrava inevitabile e persino corretta, ma non teneva nella giusta considerazione l’impatto delle volontà di speculatori con interessi di corto raggio.

    Una miopia che ha determinato nel 2023 ad avere oltre 3.300 comuni privi di uno sportello bancario, cioè 41,5% dei comuni italiani, con un gravissimo disservizio per l’utenza e conseguente aumento dei costi.

    All’interno di un sistema privato, infatti, il servizio reso alla comunità non può che presentare i connotati di un costo anche quando venga sostenuto da un ritorno economico a carico dell’utenza.

    Quindi nella annosa questione relativa alle privatizzazioni rimane fondamentale valutare quanto sia necessario tener conto dell’obiettivo finale di un investitore privato, che difficilmente si identifica con quello di assicurare un servizio alla comunità.

    Tornando ai tempi nostri, la scelta definita “strategica” di privatizzare Poste Italiane assume dei connotati decisamente simili in rapporto a quanto avvenuto per il sistema bancario, ma probabilmente con una conseguenza molto più importante rispetto allo stesso sistema bancario.

    Attualmente lo Stato detiene il 29,26% delle Poste attraverso il Ministero dell’Economia ed il 35% con la Cassa Depositi e Prestiti (CDP). La quota che verrà messa sul mercato nei prossimi anni sarà relativa a quel 29,6%, i cui valori attuali risultano tra i quattro e mezzo (4,5) ed i cinque (5) miliardi.

    La giustificazione addotta dall’attuale Ministro dell’Economia e dall’intera maggioranza è quella di utilizzare queste risorse finanziarie aggiuntive per una riduzione del debito pubblico. Francamente andrebbe ricordato come i cinque miliardi ridurrebbero di poco più del 6,3% la sola spesa corrente per un anno dei soli interessi sul debito pubblico (79 miliardi) .

    Ovviamente, a maggior ragione, i cinque miliardi appaiono decisamente influenti se confrontati con l’ammontare del debito pubblico che si attesta a 2.872 miliardi e persino in rapporto alla spesa corrente pubblica annuale che è di oltre 1100 miliardi.

    Da questa semplice confronto di cifre si può immaginare come le motivazioni possano essere diverse e probabilmente molto più torbide ed inconfessabili per una classe politica e governativa che dovrebbe pensare ad accrescere il patrimonio di un paese invece di liquidarlo.

    Seguendo quindi lo storytelling governativo, avvenuta la cessione del 29% lo Stato, attraverso Cassa Depositi e Prestiti, manterrebbe la maggioranza relativa, ma non più assoluta, di Poste Italiane.

    All’interno, quindi, di questo rinnovato equilibrio delle quote azionarie sarebbe sufficiente un semplice accordo tra gli altri azionisti, magari rappresentati da qualche fondo privato estero, che non solo potrebbero porre in minoranza lo Stato italiano, ma soprattutto assumere un ruolo operativo in previsione di una modifica della strategia e degli obiettivi di Poste Italiane.

    Nel caso in cui venisse adottato lo schema utilizzato per il sistema bancario non sembra difficile immaginare , successivamente alla creazione di una nuova maggioranza azionaria, con un CdA espressione proprio del nuovo equilibrio il quale, legittimamente, potrebbe disinvestire nel settore “core” delle Poste Italiane in vista di una cessione ad un concorrente privato, tipo Amazon, del servizio di recapito della posta.

    Una volta ultimata l’operazione e liberi da questo servizio a bassa redditività, i nuovi azionisti potrebbero concentrarsi sul vero business che rappresenta già oggi il vero obiettivo, il quale è rappresentato dall’ammontare del risparmio privato dei cittadini depositato presso le casse di Poste Italiane. Una risorsa finanziaria che ad oggi viene quantificata in trecentodiciotto (318) miliardi di risparmi.

    Questo ammontare di risorse finanziarie potrebbe cosi essere utilizzato come leva finanziarie per il conseguimento dei più disparati obiettivi speculativi finanziari. Sempre all’interno di questa ipotesi potrebbe risultare funzionale per l’acquisizione a prezzi stracciati di una parte di quel patrimonio immobiliare italiano,  il cui valore fosse decaduto in quanto i proprietari non fossero stati in grado economicamente di armonizzarsi alle direttive Green imposte dalla Commissione Europea.

    Uno scenario decisamente disastroso in quanto determinerebbe l’effetto paradossale di una depatrimonializzazione del settore immobiliare privato italiano la cui acquisizione speculativa, quindi a prezzi molto inferiori alla valutazioni precedenti l’attuazione della direttiva europea, risulterebbe finanziata dalle risorse finanziarie dello stesso risparmio privato italiano.

    La storia ci ha insegnato come la cessione degli asset strategici, qualora gestiti per il conseguimento di interessi puramente speculativi, diventi veicolo di riduzione del patrimonio nazionale, come per le vittime innocenti nel caso di Autostrade e la tragedia del ponte Morandi.

    Con la sostanziale privatizzazione di Poste Italiane l’esito finale non sarà diverso,forse anche peggiore.

  • I ceo aziendali finiranno commissariati dall’intelligenza artificiale?

    L’intelligenza artificiale commissarierà dirigenti e amministratori delegati di aziende e società? G42, colosso con sede ad Abu Dhabi (attivo in settori che vanno dalle tecnologie alle comunicazioni, dalla farmaceutica all’intelligenza artificiale) ha lanciato BoardNavigator presentandolo come un ‘secondo pilota’ che affiancherà chi guida grandi imprese aiutandoli a scegliere le migliori strategie. Secondo i suoi sviluppatori, si tratta di «un compagno del consiglio di amministrazione con I. A. che trasformerà la strategia e la governance aziendale» e «sarà disponibile per le organizzazioni di tutto il mondo, analizzerà grandi set di dati privati e pubblici per supportare i membri del consiglio di amministrazione nei loro processi decisionali».

    Costruito pensando alla sicurezza del servizio Azure OpenAI di Microsoft, BoardNavigator risponderà alle esigenze specifiche delle singole organizzazioni utilizzando i dati dell’organizzazione per garantire privacy, pertinenza e accuratezza. «BoardNavigator sarà in grado di elaborare decenni di dati aziendali interni, informazioni finanziarie combinate con tendenze e indicatori di mercato esterni che aiuteranno a navigare nelle complessità delle risoluzioni aziendali, attraverso capacità analitiche superiori», evidenzia l’agenzia stampa emiratina Wam dando notizia della prima azienda che lo metterà alla prova: International Holding Company (IHC), società di investimento multisettoriale e globale già quotata alla Borsa degli Emirati Arabi Uniti. Sarà la prima organizzazione complessa ad adottare BoardNavigator in tutte le attività del Consiglio di amministrazione.

    All’atto pratico, si tratta di vedere cosa succederà quando i dirigenti dovranno optare tra varie scelte, seguendo o meno il ‘secondo pilota’. Cosa succederà se seguendo i suoi consigli le performance aziendali no fossero quelle attese? Il secondo pilota diventerà di fatto un elemento di valutazione della performatività dei dirigenti aziendali?

    “Aiden Insight”, come è stato chiamato da IHC, sarà utilizzato nelle riunioni del consiglio di amministrazione di IHC come strumento decisionale, offrendo approfondimenti in tempo reale per informare le discussioni e guidare le decisioni. In tale veste, Aiden Insight sarà responsabile dell’osservazione delle riunioni del consiglio di amministrazione dell’IHC, fornendo analisi dei dati, valutazione del rischio e supporto alla pianificazione strategica in modo sicuro e conforme. Secondo Tahnoun bin Zayed Al Nahyan, Presidente di IHC, «Aiden Insight ci fornirà analisi dei dati e approfondimenti strategici senza precedenti, garantendo che IHC rimanga in prima linea negli sviluppi del settore e continui a fornire valore ai nostri azionisti».

    G42 intende inizialmente implementare BoardNavigator nei settori in cui vanta competenze significative, tra cui energia, salute, finanza e tecnologia. Successivamente, prevede di espandere la portata dello strumento a diversi settori e mercati, garantendo un’applicabilità diffusa e un impatto positivo nel tempo.

  • Il Leviatano fiscale lamenta mancati introiti per circa 1800 miliardi dalle multinazionali della rete

    Nel corso del 2022, il complesso giro d’affari delle prime 25 aziende del web a livello globale ha raggiunto la cifra di 1.792 miliardi di euro, equivalente al 90% del prodotto interno lordo italiano. La stragrande maggioranza dei proventi è stata generata da Usa e Cina: il 70% del fatturato delle aziende WebSoft proviene da imprese statunitensi, il 26% da quelle cinesi e solo il 4% da gruppi con sede in altre nazioni. Questi dati emergono dall’indagine annuale condotta dall’Area Studi di Mediobanca sui principali gruppi mondiali attivi nel settore Software & Web e basata sui dati relativi ai primi 9 mesi del 2023 e al periodo triennale compreso tra il 2019 e il 2022, riguardanti le prime 25 aziende WebSoft internazionali per quanto concerne i ricavi (di cui 11 hanno sede negli Stati Uniti, 10 in Cina, 2 in Germania e una ciascuna in Giappone e Corea del Sud).

    Le imprese WebSoft, come spiega il Wall Street Journal Italia riportando l’analisi, sono le grandi società attive nell’ambito di Internet, nello sviluppo di software e nei servizi online, inclusi social media e motori di ricerca. Mediobanca solitamente le suddivide in 4 macro-aree: E-commerce, produzione di software, servizi internet e media, trasporti e cibo a domicilio.

    Nel corso degli anni, queste aziende hanno attirato l’attenzione non solo per il loro ruolo ormai quasi “sociale” data la dimensione (basti pensare che, a fine 2022, la forza lavoro delle WebSoft contava quasi quattro milioni di persone in tutto il mondo e che la loro capitalizzazione di mercato aggregata ha raggiunto a novembre 2023 quota 8.767 miliardi di euro, il 9,5% del valore complessivo delle borse mondiali, oltre dieci volte l’intera Borsa Italiana), ma anche per la loro capacità di pagare imposte ridotte, spesso operando in paradisi fiscali o comunque in Paesi dove vige una tassazione agevolata. Caratteristica che ha portato i governi di tutto il mondo a lavorare per definire una regolamentazione che possa mettere la parola fine a tutta la serie di agevolazioni fiscali di cui godono questi giganti del Web.

    Proprio a proposito di tasse, l’evidenza più interessante emersa dall’indagine di Mediobanca è che, nel 2022, circa un terzo dell’utile ante imposte delle maggiori WebSoft mondiali è stato tassato in Paesi a fiscalità agevolata, con conseguente risparmio fiscale di 13,6 miliardi di euro nel 2022 e di 50,7 miliardi cumulati nei quattro anni 2019-2022. La tassazione media si attesta al 15,1% nel 2022, inferiore all’aliquota teorica del 21,9%, calcolata in base al Paese di residenza delle multinazionali del Web. Nel periodo 2019-2022, la tassazione in Paesi a fiscalità agevolata ha determinato per Tencent, Microsoft e Alphabet un risparmio fiscale rispettivamente di 19,2 miliardi di euro, 12,3 miliardi di euro e 7,1 miliardi di euro.

    Guardando all’Italia, dal 2024 dovrebbe diventare operativa anche nel nostro Paese la Global Minimum Tax che porterà ad applicare l’aliquota del 15% sugli utili realizzati dalle multinazionali con fatturato annuo superiore a 750 milioni.
    Le WebSoft presidiano l’Italia tramite società controllate, ubicate in gran parte al Nord, soprattutto a Milano e provincia. Il fatturato aggregato delle filiali italiane dei giganti del WebSoft, che contano circa 26.400 lavoratori dei quali 16.250 di Amazon, ha raggiunto 9,3 miliardi di euro nel 2022, con 162 milioni versati al fisco italiano, per un tax rate effettivo del 28,3%. Considerando anche l’accantonamento per il pagamento della Digital Service Tax, il tax rate salirebbe al 36%.

    Oltre alla malizia nella fiscalità, le big del WebSoft si contraddistinguono per una crescita a doppia cifra, una considerevole capitalizzazione di mercato e la mancanza di interferenze da parte di azionisti eccessivamente influenti. Riguardo a quest’ultimo aspetto, diverse aziende WebSoft, tra cui Alphabet, Facebook e le società cinesi JD.com e Baidu, hanno adottato una struttura a voto multiplo, suddividendo le azioni in categorie multiple con diritti differenziati. Tale sistema consente ai fondatori di mantenere il controllo completo dell’azienda senza detenere la maggioranza del capitale sociale.

  • Addii senza fine, Piazza Affari sempre più magra

    Non si arresta l’emorragia di società in uscita da Piazza Affari. La tendenza che il disegno di legge Capitali, una volta approvato dal Parlamento, proverà a fermare incoraggiando le aziende a quotarsi in Borsa e a restarci, ha toccato il suo record negativo l’anno scorso quando la Borsa di Milano ha registrato il maggior numero di addii e il peggior saldo tra entrate e uscite dal 2010.

    In 15 hanno lasciato il listino principale a fronte di solo 6 nuovi ingressi. Il dato è contenuto nella relazione annuale della Consob e conferma il ‘dimagrimento’ della Borsa. Se nel 2010 poteva contare su 272 quotate italiane, nel 2022 sono scese a 220 (-19%).

    Dalla fotografia sull’attività svolta nell’ultimo anno dall’authority di vigilanza sui mercati finanziari emerge poi che le sanzioni irrogate dalla Commissione sono state pari nel complesso a 5,2 milioni di euro, il valore più basso dal 2005.  Ridotta anche la platea dei destinatari, nel complesso 65 soggetti, il minimo dal 2001. Si tratta di numeri lontani dal record di multe da 43 milioni del 2007 per sanzionare i ‘furbetti del quartierino’ protagonisti della stagione delle scalate bancarie e di quella a Rcs, nonché l’equity swap Ifil-Exor sulle azioni Fiat. Se si guarda all’ultimo anno le sanzioni più salate sono invece legate al crac dell’ex unicorno delle bioplastiche Bio-on (1,67 milioni) e all’insider trading nell’opa Snaitech (1,05 milioni).

    Sul calo delle multe incide fra l’altro il mutato approccio della Consob per disinnescare in anticipo, attraverso il dialogo con i soggetti vigilati, i comportamenti illeciti. In linea peraltro con l’idea promossa anche dal governo di una vigilanza non solo sanzionatoria.

  • Chinese factories boom while Japan’s are in reverse

    Manufacturers in Asia’s two biggest economies are performing very differently after the pandemic.

    Factory activity in China expanded last month at the fastest pace in more than a decade, official figures show.

    However, in Japan manufacturing activity shrank in February at the fastest pace in over two years.

    Firms around the world are balancing reopening as Covid restrictions ease against rising costs of everything from energy to workers’ wages.

    China’s manufacturing purchasing managers’ index (PMI) rose to 52.6 from 50.1 in January, according to China’s National Bureau of Statistics. It was the highest monthly reading since April 2012.

    PMIs are a measure of economic trends which provide businesses, central banks, governments and investors important information about current and future business conditions.

    The PMI is shown as a number from 0 to 100. A reading above 50 shows expansion in activity compared to the previous month. A number below 50 indicates contraction. The further the figure is away from 50 the greater the amount of change.

    China’s much better-than-expected performance came after the strict coronavirus measures in the world’s second largest economy were eased late last year.

    The country saw one of its worst years in nearly half a century in 2022 due to widespread lockdowns and outbreaks of Covid-19.

    Meanwhile, in Japan a private manufacturing PMI fell to 47.7 in February from January’s 48.9, marking the fastest fall since September 2020.

    The data underscored the major issues faced by businesses in the country – which is the world’s third largest economy – including a global slowdown, the soaring cost of raw materials and calls for firms to raise wages for their workers to help ease a cost of living crisis.

    The figures came a day after Japanese government data showed the country’s factories, notably car makers and computer chip producers, cut output in January at the fastest rate in eight months.

  • La Commissione approva una modifica al regime italiano di sostegno alle imprese del Friuli Venezia Giulia

    La Commissione europea ha approvato una modifica a un regime italiano esistente a sostegno delle imprese attive nella Regione Friuli Venezia Giulia nel contesto della guerra della Russia contro l’Ucraina.

    La Commissione ha approvato il regime iniziale nell’agosto 2022. Nell’ambito del regime, gli aiuti assumono la forma di i) aiuti di importo limitato; ii) sostegno alla liquidità sotto forma di garanzie; iii) sostegno alla liquidità sotto forma di prestiti agevolati; e iv) aiuti per i costi aggiuntivi dovuti ad aumenti eccezionalmente marcati dei prezzi del gas naturale e dell’energia elettrica. L’Italia ha notificato le seguenti modifiche al regime esistente: i) un aumento di bilancio di 240 milioni di €; ii) una proroga del regime fino al 31 dicembre 2023; e iii) un aumento dei massimali di aiuto, in linea con il quadro temporaneo di crisi modificato il 28 ottobre 2022.

  • La Commissione approva un regime italiano da 96 milioni di € a sostegno delle imprese in Lombardia

    La Commissione europea ha approvato un regime italiano da 96 milioni di € a sostegno delle imprese della regione Lombardia nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina. Il regime è stato approvato nell’ambito del quadro temporaneo di crisi per gli aiuti di Stato, adottato dalla Commissione il 23 marzo 2022 e modificato il 20 luglio 2022.

    La misura sarà accessibile a tutte le imprese attive in Lombardia, indipendentemente dalle loro dimensioni e dall’attività svolta. Sono tuttavia esclusi gli enti creditizi e gli istituti finanziari, nonché le imprese attive nei settori dell’agricoltura primaria e della pesca. Questo provvedimento fa seguito ad altri regimi italiani a sostegno dei settori dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca e dell’acquacoltura, come quello approvato dalla Commissione il 18 maggio 2022 (SA.102896).

    Il regime mira a garantire che le imprese colpite dall’attuale crisi geopolitica e dalle conseguenti sanzioni e controsanzioni continuino a disporre di liquidità sufficiente, in modo da poter proseguire l’attività economica in questo difficile contesto. Nell’ambito del regime, i beneficiari ammissibili avranno diritto a ricevere aiuti di importo limitato sotto forma di sovvenzioni dirette, garanzie e prestiti.

    La Commissione ha constatato che il regime è in linea con le condizioni stabilite nel quadro temporaneo di crisi. In particolare, l’aiuto i) non supererà i 500 000 € per impresa; e ii) sarà concesso entro il 31 dicembre 2022.

    La Commissione ha concluso che il regime italiano è necessario, adeguato e proporzionato per porre rimedio al grave turbamento dell’economia di uno Stato membro, in linea con l’articolo 107, paragrafo 3, lettera b), TFUE e con le condizioni stabilite nel quadro temporaneo di crisi. Su queste basi la Commissione ha approvato la misura di aiuto in conformità delle norme dell’Unione sugli aiuti di Stato.

    Fonte: Commissione europea

  • Il nuovo film del 2023: “The retourn of relocations”

    Già dal mese di gennaio del nuovo anno 2023, caratterizzato dalle conseguenze determinate dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, le imprese italiane, soprattutto quelle  industriali  ed  esponenti del Made in Italy,  si presenteranno alle fiere internazionali con le proprie collezioni e le gamme di prodotti dei quali è già ora difficile preparare un listino prezzi in considerazione della imprevedibilità degli effetti dell’escalation dei costi energetici.

    Operando sempre all’interno di questa problematica situazione  va comunque ricordato  come, già da anni, il Made in Italy sconti i costi burocratici assolutamente anticompetitivi che nessuna crescita della produttività industriale potrà mai compensare. A questa diseconomia strutturale  per le  imprese italiane si aggiunga, già dopo la pandemia, l’esplosione dei costi energetici e delle materie prime, successivamente amplificati dalla guerra.

    Il quadro economico  per i produttori  del Made in Italy risulta così assolutamente insostenibile e senza una possibilità di visione strategica futura: in altre parole, l’intera filiera non è più in grado di attrarre alcuna tipologia di investimenti.

    In questo contesto si ricorda come, per le attività produttive italiane, il costo del gas naturale risulti cresciuto del +1609% (*) mentre quello dell’energia elettrica del +862% (*), del cotone del +88% (*) dell’acciaio del +50% (*).

    Tornando quindi all’appuntamento fieristico, accanto agli stand italiani nella medesima fiera esporranno i concorrenti francesi e tedeschi i quali hanno usufruito del blocco dell’aumento della energia elettrica al +4% i primi, mentre le aziende germaniche, pure nella difficoltà europea, possono avvalersi di forniture del medesimo gas russo ad un costo pari ad 1/3 rispetto a quello imposto alle imprese italiane.

    A questi fattori di maggiore competitività si aggiungono anche gli effetti dell’accordo bilaterale, sempre tra la  Francia e la Germania, che  che prevede appunto lo scambio tra le due realtà economiche di gas in cambio di energia elettrica  a prezzi calmierati.

    In questo contesto catastrofico ovviamente ogni plus relativo all’unicità dei prodotti della filiera  italiana, espressione del Made in Italy e del know how sintesi di eccellenze produttive e professionali, unito al continuo sviluppo di una maggiore competitività e produttività si dimostrerà assolutamente insufficiente a compensare le diseconomie strutturali del nostro Paese.

    La totale mancanza di visione strategica degli ultimi governi che non hanno saputo neppure utilizzare i proventi (gli oltre quaranta miliardi del fiscal drag) per compensare la perdita di competitività delle imprese italiane hanno determinato questo scenario futuro.

    Viceversa, si è optato come strumento di contrasto alla crescita delle bollette la solita elemosina del bonus, delle più disparate ispirazioni, lasciando così per le aziende gli effetti della crisi energetica sostanzialmente invariati.

    Questo nuovo film, sugli schermi il prossimo anno ed intitolato “2023: the retourn of relocation”, vedrà ancora una volta protagonista il fenomeno delle delocalizzazioni produttive incentivate anche dagli insostenibili costi energetici e come attori principali avrà le aziende italiane, le quali, anche  se forti di una buona capitalizzazione ed in grado di riuscire a non sospendere l’attività negli ultimi due anni, non avranno altra soluzione se non delocalizzare a causa della insostenibilità della crisi energetica. Gli spettatori, ovviamente, saranno le decine di migliaia di professionisti che assisteranno all’azzeramento del proprio know how oltre alla cancellazione dei propri posti di lavoro.

    Va ricordato, inoltre, come  per  la realizzazione di questo film si debbano ringraziare tutte le autorità istituzionali, ed in  particolare i Presidenti del Consiglio dal 2020 alla fine del 2022, assieme alle istituzioni di ogni ordine e grado.

    Una menzione particolare, tuttavia, va ai parlamentari tutti, ammesso che conoscessero quanto stavano votando, i quali si sono dimostrati molto più preoccupati di eliminare il tetto ai compensi ad alcuni manager pubblici che delle sorti del ceto produttivo italiano.

    (*) fonte Confindustria

  • Nonostante le sanzioni 13 imprese italiane fanno ancora affari con Mosca

    Risulterebbe che queste aziende continuino ad operare in Russia, quali sono le eventuali sanzioni europee? certo con quello che Putin continua a fare in Ucraina, bombardando case di civile abitazione ed uccidendo cittadini inermi, viene istintivo pensare che almeno noi dovremmo rinunciare ai prodotti di quelle aziende che, nonostante le sanzioni, continuano a fare affari con un paese che ha stravolto e calpestato ogni regola democratica.

    https://www.wallstreetitalia.com/podcast/russia-13-imprese-italiane-si-rifiutano-di-lasciarla-non

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