Balcani

  • Riunione del Consiglio europeo di Sofia

    Il Consiglio europeo, vale a dire l’incontro al vertice dei Capi di Stato o di Governo dei Paesi membri dell’Unione europea, alla presenza dei leader dei sei partner dei Balcani occidentali – Albania, Bosnia-Erzegovina, Serbia, Montenegro, ex Repubblica jugoslava di Macedonia e Kosovo – si è riunito a Sofia il 17 maggio scorso, concludendo i suoi lavori con una dichiarazione congiunta relativa al sostegno inequivocabile alla prospettiva europea dei Balcani occidentali. “Oggi abbiamo ribadito il nostro impegno reciproco a favore della prospettiva europea per l’intera regione. Come ho dichiarato durante la mia recente visita nella regione – ha dichiarato il presidente Donald Tusk – l’Unione europea è, e rimarrà, il partner più affidabile per l’insieme dei Balcani occidentali. E in termini molto concreti abbiamo discusso di come migliorare i collegamenti con la regione dei Balcani occidentali e al suo interno”.

    E’ stato adottato anche il “programma delle priorità di Sofia”, allegato alla dichiarazione, nel quale sono delineate nuove misure per una cooperazione rafforzata con la regione. Si tratta in particolare del rafforzamento del sostegno allo stato di diritto e alla buona governance, di un maggiore impegno per la sicurezza e la migrazione, dello sviluppo socioeconomico con particolare attenzione ai giovani, dell’incremento della connettività, di un’Agenda digitale per i Balcani occidentali e del sostegno alla riconciliazione e alle relazioni di buon vicinato nei Balcani occidentali. “Non vedo per i Balcani occidentali – ha aggiunto Tusk –  altro futuro se non l’UE. Non c’è alternativa, non esiste un piano B. I Balcani occidentali sono parte integrante dell’Europa e fanno parte della nostra comunità”. Ed ha continuato: “Abbiamo discusso su come migliorare i collegamenti con e all’interno della regione dei Balcani occidentali, ovvero le connessioni umane, economiche, digitali e infrastrutturali. Ad esempio – ha continuato il Presidente del Consiglio Ue – abbiamo concordato di raddoppiare Erasmus-più per consentire a un maggior numero di giovani di studiare nell’UE”, di lavorare “per l’abbassamento delle tariffe di roaming” e di cercare di “creare condizioni più favorevoli per gli investimenti privati ​​fornendo migliori garanzie bancarie”. Nonostante l’incoraggiamento che i leader europei hanno espresso ai Paesi dei Balcani occidentali per proseguire il cammino delle riforme orientate all’Ue, non sembra ci sia molto spazio per un ingresso imminente dei sei Paesi nel blocco dell’UE. Secondo la “Strategia europea per i Balcani occidentali”, diffusa dalla Commissione europea lo scorso febbraio, Serbia e Montenegro dovrebbero essere tra i primi, “entro il 2025”, a entrare, mentre per gli altri quattro Paesi l’ingresso potrebbe essere previsto per più tardi. Il tutto a condizione che siano soddisfatte una serie di condizioni che riguardano la legalità, lo stato di diritto, la lotta alla corruzione, etc. E proprio su questi punti, e anche su altre varie motivazioni, più o meno legate alle specificità o alle problematiche nazionali dei Paesi europei, sembra che si concentri lo scetticismo dei leader – e quello, più velato, dello stesso presidente della Commissione  Jean-Claude Juncker. Negli ultimi 15 anni”, ha detto Macron ai giornalisti durante il summit di Sofia, si è percorsa  una strada che “ha indebolito l’Europa, pensando tutto il tempo che sarebbe dovuta essere allargata”. Dopo l’allargamento a Est avvenuto nel 2004, che ha visto l’ingresso di dieci Paesi in un colpo solo, con situazioni economiche e sociali molto differenti tra loro, e con non pochi problemi riguardanti la coesione, non sembra giunto il momento di aprire nuovamente e immediatamente le frontiere a nuovi Paesi, che tra l’altro presentano situazioni problematiche riguardanti la legalità, la corruzione e lo stato di diritto. Le condizioni non sono ancora mature per avere garanzie in ordine a questi punti. Lo stato di diritto se non c’è, o se è traballante, non può essere realizzato con un colpo di bacchetta magica. La corruzione, come in Albania ad esempio, non può essere cancellata con una dichiarazione di buona volontà. Una posizione più attenuata è stata espressa dal Ministro Gentiloni per il “rapporto speciale” che l’Italia ha con i Balcani, “basato su storia, economia e geografia” oltre al fatto che il nostro Paese è “uno dei principali partner economici (della regione) insieme alla Germania”.  Nonostante tutti i distinguo sull’imminenza o meno dell’ingresso – e quelli riguardanti una proroga nel tempo sono maggioranza – la strategia dell’UE resta confermata: i sei Paesi partner dei Balcani hanno una sola prospettiva: l’Europa. Prima risolveranno i loro punti critici, meglio sarà per tutti.

  • Fallimento (vergognoso) di una visita a Berlino

    Non ho mai conosciuto un uomo che, vedendo i propri errori,
    ne sapesse dar colpa a se stesso.

    Confucio

    Il 25 aprile scorso il primo ministro albanese era a Berlino. Una visita ufficiale, per tentare di trovare ed avere l’appoggio della cancelliera e delle istituzioni tedesche per l’apertura dei negoziati per l’Albania come Paese candidato all’adesione nell’Unione europea. Decisione quella, che spetta al Consiglio europeo e che verrà presa a fine giugno prossimo. Ma viste le non poche dichiarazioni e prese di posizione da parte di alcuni rilevanti esponenti politici, sia di singoli Paesi che di quelli vicini alla cancelliera Merkel, le aspettative non sono per niente rassicuranti per il primo ministro albanese, il quale è consapevole che una mancata decisione positiva del Consiglio europeo gli potrebbe costare molto caro, politicamente parlando. Ragion per cui, da arrogante e volgarmente offensivo qual’è in patria, a Berlino ha sfoggiato l’altra faccia della sua personalità. E cioè quella del vigliacco leccapiedi di fronte ai potenti e quelli che non controlla, ma che gli servono. In questa sua seconda veste, durante un’intervista prima dell’incontro con la Merkel, ha detto “…È normale che quando un capo di un governo balcanico viaggia verso Berlino si senta come un pellegrino che incontrerà il Papa”. Un “pellegrino” sulla cui coscienza però peserebbero tante, ma tante malefatte e peccati, difficilmente assolvibili dal “Papa” Merkel.

    Per la cronaca, il 17 aprile scorso, a Strasburgo, la Commissione europea raccomandava al Consiglio europeo l’apertura dei negoziati con l’Albania, come Pease candidato all’adesione nell’Unone europea. Lo stesso giorno, durante la plenaria del Parlamento europeo, il Presidente francese Macron, ha fatto capire che non è tempo adesso per l’allargamento dell’Unione. Dichiarazione che ha messo in imbarazzo il primo ministro albanese (Patto Sociale della scorsa settimana). Perciò ha tentato di avere almeno “una buona parola” dalla tedesca Merkel, per poi sperare in un voto positivo per l’Albania, sia del Bundestag (Parlamento federativo) che del Bundesrat (Consiglio federativo). Purtroppo il soggiorno berlinese è stato tutt’altro che rassicurante per il primo ministro albanese.

    Il 25 aprile scorso, durante una congiunta conferenza stampa con il primo ministro, la cancelliera tedesca ha messo subito in chiaro che “ci sono un numero di precondizioni per aprire i negoziati”. Ricordando però che nel frattempo si devono adempire anche “alcune condizioni per l’inizio dei negoziati dell’adesione”. Si tratta proprio di quelle ben note “cinque condizioni” poste dal 2013 all’Albania dalle istituzioni dell’Unione europea. Ma la cancelliera ha parlato, per la prima volta, anche di “un numero di precondizioni”. Voci di corridoio dicono che si tratterebbe di richieste concrete e inderogabili, indirizzate al primo ministro albanese nell’ambito della lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione. Ma questa volta si chiedono prove concrete e non soltanto belle parole. Sarà un miracolo se tutto ciò si avverasse nell’arco di due mesi, quando il Consiglio europeo dovrà decidere. E il primo ministro lo sa benissimo. Ragion per cui, durante la stessa conferenza stampa, ha cercato di ingannare, dichiarando senza battere ciglio “Noi abbiamo fatto dei progressi incredibili” (Sic!). Chi sa di quale realtà virtuale si tratta? Di certo non dell’Albania. Per poi proseguire con le sue ormai solite allusioni e “minacce geopolitiche”, riferendosi alla Russia, alla Turchia e al radicalismo islamico. Facendo così leva su quando dichiarava il presidente della Commissione europea da Strasburgo il 17 aprile scorso (Patto Sociale n.307). “Minacce” espresse esplicitamente soprattutto durante un’intervista, poche ore prima dell’incontro con la Merkel, rilasciata dal primo ministro all’agenzia Reuters. Secondo lui, negando “all’Albania un giorno l’adesione nell’Unione europea, si potrebbe alimentare il radicalismo islamico in questo Stato balcanico, mettendo in pericolo la stabilità regionale. Non lasciate [spazi] vuoti che potrebbero essere riempiti da altri Stati!”. Parla, come suo solito, di minacce e non di meriti, non di criteri adempiti e non di riforme realmente attuate con verificabili risultati. Chi conosce la vissuta realtà albanese capisce bene anche il perché.

    Dopo la sopracitata dichiarazione della raccomandazione positiva della Commissione per il Consiglio europeo sull’apertura dei negoziati con l’Albania, la ben nota Deutsche Welle tedesca ha intervistato il presidente della Commissione per gli Affari dell’Unione Europea del Bundestag tedesco. Lui, Gunther Krichbaum, noto per essere una persona vicina alla Merkel, ha dichiarato tra l’altro che “l’Albania ha ancora molto da fare nella lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata”. Subito dopo quest’intervista, alcuni media controllati dal primo ministro albanese hanno iniziato una campagna diffamatoria, contro il deputato tedesco. Una campagna risultata subito come totalmente infondata, basata su calunnie e notizie false. Come nel novembre 2016, così anche nell’aprile 2018. E guarda caso, lo stesso accusato e gli stessi accusatori (Patto Sociale n. 245). Le reazioni istituzionali e politiche in Germania sono state immediate, con delle conseguenze pesanti per il presunto autore e regista della campagna stessa, il primo ministro albanese. La prima riguardava il rifiuto, da alcuni deputati del Bundestag, dell’invito per la cena ufficiale, all’onore del primo ministro, offerta dall’ambasciatore dell’Albania a Berlino la sera del 24 aprile scorso. Fatto grave e messaggio chiaro e premonitorio.

    Nella mattinata del 25 aprile il primo ministro albanese aveva un’udienza nella Commissione per gli Affari dell’Unione Europea del Bundestag. Udienza durante la quale alcuni deputati, di varie appartenenze politiche e ben informati, hanno argomentato perché il primo ministro non stava dicendo la verità, dandogli del bugiardo. Dopo l’udienza, il presidente della sopracitata Commissione ha dichiarato di aver detto “anche molto personalmente (al primo ministro albanese; n.d.a.) che l’apertura dei negoziati è prematura. Gli sforzi ad oggi per le riforme non bastano”.

    Nel frattempo è stata cancellata la visita a maggio, in Albania, di una delegazione del Bundestag. Si tratterebbe di una visita informativa, per raccogliere dati, nell’ambito del processo dell’adesione dell’Albania nell’Unione europea. Un altro fatto grave e un altrettanto messaggio chiaro e premonitorio. Purtroppo potrebbe non essere l’ultimo fino a fine giugno, quando il Consiglio europeo deciderà sull’apertura dei negoziati con l’Albania. Periodo in cui il primo ministro cercherà, in attesa di un probabile terzo rifiuto da parte del Consiglio europeo, di passare la colpa a “certi deputati tedeschi” e/o a chi sa qual’altro. Una nuova strategia propagandistica per passarla liscia anche questa volta.

    Chi scrive queste righe pensa che il primo ministro, invece di arrampicarsi sugli specchi, ha l’obbligo istituzionale, almeno una volta, di assumere le proprie responsabilità. E riconoscendo i propri errori, magari ne sapesse finalmente, traendo consiglio da Confucio, dar colpa anche a se stesso.

  • Soltanto per merito

    I mediocri del “Politically Correct” negano sempre il merito.
    Sostituiscono sempre la qualità con la quantità.

     Oriana Fallaci

    Il 17 aprile scorso il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, durante la seduta plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo, dov’era presente anche il Presidente francese Emmanuel Macron, ha spiegato finalmente la ragione per la quale la Commissione europea ha raccomandato al Consiglio dell’Unione europea l’apertura dell’Unione ai Paesi dei Balcani occidentali

    In quella sede Juncker ha dichiarato che “Se non apriamo le porte [dell’Unione] per i Paesi di quella regione tragica e complicata e se non mostriamo loro una prospettiva europea, [allora] vedremmo ritornare le guerre, esattamente come nel 1990”. Per poi aggiungere “Non voglio il ritorno della guerra nei Balcani, perciò noi dobbiamo aprirci nei loro confronti”.

    Riferendosi a queste dichiarazioni di Juncker, risulterebbe che l’unica vera ragione dell’apertura dell’Unione ai Paesi dei Balcani occidentali ha e avrà a che fare solo e soltanto con le congiunture geopolitiche e la sicurezza nella regione e non, come si dovrebbe, con i meriti e gli adempimenti degli obblighi e delle condizioni poste a ciascuno dei Paesi balcanici. Sarebbe il caso però di ricordare, tra l’altro, che le condizioni storiche e geopolitiche che hanno causato quelle guerre soltanto nell’ex Jugoslavia erano ben diverse da quelle di oggi.

    Il Presidente francese Macron, trattando lo stesso argomento, e cioè l’allargamento dell’Unione ai Paesi dei Balcani occidentali, ha ribadito che anche lui non sarebbe contrario all’avvicinamento dei Paesi dei Balcani occidentali al progetto europeo, ma, secondo lui, non è questo il momento che questi diventino parte dell’Unione. Macron ha dichiarato di sostenere “l’allargamento [dell’Unione] soltanto se prima ci sarà una profonda riforma della nostra Europa”. Per poi ribadire chiaramente di non volere “che i Balcani guardino verso la Turchia o la Russia”, ma di non volere “nemmeno un’Europa, che funziona con difficoltà con i 28 Paesi oggi e 27 domani, la quale possa decidere che noi acceleriamo per diventare domani 30 oppure 32 [Paesi] con le stesse regole”.

    Lo stesso giorno, e sempre da Strasburgo, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, riferendosi all’allargamento dell’Unione ai Paesi dei Balcani occidentali, informava ufficialmente che “Oggi la Commissione raccomanda al Consiglio [dell’Unione europea] di decidere sull’apertura dei negoziati […] con l’Albania e l’ex repubblica jugoslava della Macedonia”.

    Mentre il 18 aprile scorso Federica Mogherini, durante una conferenza stampa con il primo ministro albanese a Tirana, spiegando le ragioni per le quali la Commissione europea ha deciso una simile raccomandazione, ha ribadito che “nei Balcani occidentali la politica dell’allargamento dell’Unione europea […] è riconciliazione e pace. Le relazioni del buon vicinato, del coordinamento e della cooperazione nella regione [dei Balcani] sono un elemento essenziale delle ragioni perché noi siamo riuniti insieme nell’Unione”.

    Perciò le prevalenti ragioni della raccomandazione per l’allargamento sono sempre le ragioni della stabilità, della sicurezza dei confini dell’Unione europea, nonché quelle geopolitiche. Ma i meriti dove stanno? Perché se si trascurano i meriti e i veri interessi dei cittadini dei Paesi balcanici, anche i problemi che preoccupano i due alti rappresentanti della Commissione europea, non solo non si risolverebbero, ma addirittura potrebbero aumentare. Perché gli scontri potrebbero ritornare nei singoli Paesi balcanici, ma adesso non più tra di loro, come negli anni ‘90, ma bensì tra le criminalità organizzate, per spartire e dominare i traffici illeciti e i mercati delle armi, delle droghe e della prostituzione. Un simile scenario in Albania bisogna prenderlo seriamente in considerazione, fatti e dati alla mano.

    Tornando alla sopracitata conferenza stampa del 18 aprile scorso a Tirana, la Mogherini dichiarava anche di sentirsi ”particolarmente orgogliosa di essere in condizione oggi di portare a Tirana la decisione che la Commissione europea ha preso ieri, di dare [una] raccomandazione positiva per la prima volta nella storia dell’Albania a che il Consiglio europeo avvii i negoziati per l’adesione dell’Albania all’Unione Europea”.

    Qualcuno ricordi all’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza che infatti non è la prima volta che si raccomanda l’apertura dei negoziati per l’Albania come Paese candidato all’adesione nell’Unione europea. Per due volte il Consigolio europeo ha rimandato quando si raccomandava dalla Commisione. La prima volta nel dicembre 2013, la seconda a fine 2016. Con l’auspicio, adesso, che non si avveri il detto “non c’è due senza tre”. Anche perché attualmente singoli Paesi dell’Unione hanno espresso riserve e perplessità. Riserve e perplessità legate alla criminalità organizzata, sempre in pericolosa crescita in Albania, alla corruzione galoppante a tutti i livelli delle strutture statali e dell’amministrazione pubblica, ai traffici illeciti dei stupefacenti ecc. Le sopracitate dichiarazioni del Presidente  Macron potrebbero essere state basate su simili riserve e perplessità.

    Circa un mese fa il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, riferendosi alla realtà albanese, dichiarava che “il traffico delle droghe è una piaga aperta che si deve curare. Bisogna strappare dalle radici le ragioni che hanno portato ad una [simile] situazione drammatica”. Negli ultimi anni sono state tante le dichiarazioni pubbliche, fatte da importanti autorità di diversi Paesi, nonché dai rappresentanti delle specializzate istituzioni e di importanti media internazionali. Dichiarazioni e constatazioni che evidenziavano l’allarmante situazione in Albania. Pochi giorni fa, nel Rapporto per il 2017 del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, erano tante le constatazioni che descrivevano realmente quanto sta succedendo in Albania. Ognuna delle qualli basterebbe per far riflettere bene prima della decisione del Consiglio dell’Unione europea, dopo la terza raccomandazione positiva della Commissione. Una, tra le altre, affermava che “La corruzione è diffusa in tutte le strutture del governo… Nonostante il governo avesse i meccanismi per indagare e condannare gli abusi e la corruzione, la corruzione nella polizia (di Stato; n.d.a.) continua ad essere un problema”. Serie e fondate preoccupazioni sulla situazione in Albania sono state ufficilamente espresse, durante gli ultimi giorni, anche dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale.

    Chi scrive queste righe è fortemente convinto, e lo ha sempre espresso su “Il Patto Sociale”, che l’adesione dell’Albania nell’Unione europea si dovrebbe fare solo e soltanto per merito! Non si devono più chiudere gli occhi, le orecchie e la bocca, da chi di dovere, come nella ben nota allegoria delle tre scimmie. Dando così spazio ad altri e ulteriori abusi da parte della classe politica corrotta in Albania. Bisogna importare ed esportare meriti e valori prima di qualsiasi altra cosa. Bisogna importare ed esportare democrazia.

  • Stabilità a scapito della democrazia

    L’unico stato stabile è quello in cui tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge.

    Aristotele

     Parlando dello stato dell’Unione nel 2017, il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, durante il suo discorso ufficiale, ha reso nota la visione del futuro europeo per i Paesi dei Balcani occidentali. Egli ha dichiarato che “…Se vogliamo che nel nostro vicinato regni maggiore stabilità, dobbiamo anche mantenere prospettive di allargamento credibili per i Balcani occidentali”.

    Perciò la visione della Commissione europea per i Paesi dei Balcani occidentali è quella di Paesi stabili. Il che significa far sì che si verifichino meno problemi possibili in quei territori, costi quel che costi. Il che significa, perciò, che tra l’obiettivo strategico della stabilità e quello della democrazia, la scelta è stata quella della stabilità. Basandosi, però, nelle esperienze degli ultimi decenni, relative ai sostegni e/o agli interventi internazionali in determinati Paesi e/o regioni del mondo, due sono gli approcci geopolitici adottati: quello dell’instaurazione di una democrazia istituzionale, oppure quello di garantire la stabilità, permettendo ai locali di governare con una mano forte. Scegliendo la stabilità potrebbe garantire, a breve e medio termine, meno problemi e preoccupazioni per le istituzioni dell’Unione europea. Sia per quanto riguarda l’adempimento dei sacrosanti interessi di sicurezza dei Paesi membri dell’Unione, che per il raggiungimento degli obiettivi preposti dall’Unione europea, nell’ambito della Strategia dell’allargamento. Ma a lungo termine cosa accadrà? Perché la storia ha dimostrato che non sempre la scelta della stabilità, a scapito della democrazia, ha minimizzato i problemi. Anzi, la storia ci insegna che si sono generati più problemi di quelli che si prevedeva fossero “azzerati” con la scelta della stabilità. Basta riferirsi a quanto sta succedendo, da tempo ormai, nella regione del Medio oriente, nell’Africa settentrionale, o in determinati Stati dell’America centrale e quella latina. Ragion per cui bisogna tenere presente che non sempre la scelta della stabilità, invece che della democrazia, sia una scelta lungimirante.

    Optando però per la stabilità, le istituzioni dell’Unione europea sembra abbiano deciso di “chiudere un occhio” a quello che accade e/o accadrà realmente nei singoli Paesi dei Balcani occidentali. Permettendo così ai già problematici dirigenti politici locali di continuare a governare indisturbati, diventando, perciò, dei piccoli despoti. Cosa che ormai si sta verificando. Riferendosi alle diverse realtà vissute attualemente nei Balcani, un simile atteggiamento da parte delle istituzioni europee appoggia, nolens volens, i regimi totalitari che si stanno costituendo nei singoli Paesi della regione.

    Sempre parlando dello stato dell’Unione nel 2017, il Presidente della Commissione europea non poteva, però, non sottolineare anche i gravi problemi che si sono verificati e che “…nei negoziati i Paesi (dei Balcani occidentali; n.d.a.) candidati all’adesione devono conferire la massima priorità allo Stato di diritto, alla giustizia e ai diritti fondamentali”. Il che significa che nelle Istituzioni europee sono consapevoli di quelle priorità che risulterebbero essere, innanzitutto, le vere preoccupazioni e le reali sfide da affrontare e, possibilmente, vincere nei singoli Paesi dei Balcani occidentali. In un simile contesto però, sembrerebbe esserci mancanza di coerenza tra quanto dichiarava Juncker sulla “maggiore stabilità” che dovrà regnare nei Balcani occidentali e le “massime priorità” sopracitate. Perché il funzionamento dello Stato di diritto, della giustizia indipendente, incontrollata e incondizionata, nonché il rispetto e la tutela dei diritti fondamentali sono garantiti solo e soltanto in una società dove sono instaurate e funzionano le istituzioni democratiche. Mentre la stabilità non sempre significa e presuppone anche una vera e funzionante democrazia. Anzi! Perché lo Stato di diritto, la giustizia e i diritti fondamentali vengono regolarmente e continuamente ignorati e calpestati dai dirigenti politici totalitari che governano in alcuni Paesi dei Balcani occidentali. Perché le tante esperienze attuali che si segnalano da quella regione dimostrano che le connivenze tra la “stabilità” socio-politica e le istituzioni democratiche sono problematiche e spesso si escludono l’un l’altra. Ecco perché, tenendo ben presente quello che realmente accade in determinati Paesi dei Balcani occidentali, potrebbero sembrare privi di coerenza, quanto ribadiva il Presidente della Commissione europea, parlando dello stato dell’Unione nel 2017.

    Mancanza di coerenza evidenziata anche dalla stessa strategia dell’Unione europea per l’allargamento dell’Unione ai Paesi dei Balcani occidentali. Strategia presentata e discussa il 6 febbraio scorso a Strasburgo, in una seduta del Parlamento europeo. Strategia, nella quale si evidenziava, tra l’altro, che “… I politici dei sei Paesi – Albania, Bosnia, Kosovo, Macedonia, Montenegro e Serbia – devono prendere con più serietà l’attuazione del dominio della legge, la lotta contro la corruzione, la sconfitta della criminalità organizzata”. Il che significa e conferma quello che ormai si sa benissimo. E cioè che coloro che governano in quei Paesi non sono dei “santi”. Anzi! Perciò sarà difficile che essi possano rispettare e “…conferire la massima priorità allo Stato di diritto, alla giustizia e ai diritti fondamentali”. Mentre loro potrebbero facilmente gioire e trarre enormi vantaggi dall’attuazione della scelta strategica, secondo la quale bisogna che “…nel nostro vicinato [dell’Unione] regni maggiore stabilità”.

    Basterebbe tenere presente la vissuta realtà albanese per rendersi conto di quanto sopra. Perché l’Albania rappresenta un eloquente esempio dell’approccio sbagliato da parte delle istituzioni dell’Unione europea. Almeno in questi ultimi anni. Sarebbe sbagliato e poco lungimirante, se si decidesse sull’apertura dei negoziati con l’Albania come Paese candidato basandosi su altri “criteri”, ingorando i meriti. I meriti dovrebbero essere l’unico criterio. Una simile scelta sarebbe nell’interesse, sia dell’Albania, che della stessa Unione europea. Ogni altro criterio che punterebbe alla stabilità a scapito della democrazia, nel caso dell’Albania, aiuterebbe soltanto all’instaurazione di un regime totalitario. Lo sta dimostrando molto bene anche quanto sta accadendo in questi ultimi giorni, testimoniando l’arroganza totaliatria del primo ministro. Ci sono sviluppi in corso che saranno seguiti e riferiti in seguito.

    Sono tante le ragioni perché chi scrive queste righe continua ad essere convinto di quanto aveva scritto prima (Patto Sociale n.269). E cioè che “…Un Paese democratico, nonostante problemi passeggeri, può ritornare ad essere stabile. Perché la stabilità è parte integrante della democrazia, mentre il contrario non è sempre vero e fattibile. Cioè, la stabilità non sempre presuppone la democrazia. Ci sono tanti esempi di Paesi stabili ma non democratici. Basta riferirsi alle dittature”. Aristotele, dall’antichità, ci ammonisce ricordandoci che l’unico stato stabile è quello in cui tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge.

  • Quel silenzio che ha causato tanto male…

    Finché possiamo dire quest’è il peggio,
    vuol dir che il peggio ancora può venire

    W. Shakespeare (da “Re Lear”)

    Il 6 febbraio scorso, il Parlamento europeo a Strasburgo ha discusso, in Sessione plenaria, la Strategia dell’Unione europea per l’allargamento con i Paesi dei Balcani occidentali. Nella Strategia si evidenziavano, tra l’altro, anche “…chiari elementi della cattura dello Stato, compresi anche i legami con la criminalità organizzata e la corruzione a tutti i livelli del governo e dell’amministrazione, nonché un forte intreccio degli interessi pubblici con quelli privati”. Tutto questo, secondo il documento “suscita una sensazione di impunibilità e di ineguaglianza”.

    Come al solito le reazioni dei rappresentanti politici in Albania sono state tante e diverse. L’opposizione e la maggior parte degli analisti politici, considerando l’adesione nell’Unione europea un bene per il Paese, mettono in evidenza però, che la realtà albanese è allarmante e non potrebbe permettere, per il momento, un simile passo positivo. Mentre il primo ministro e altri rappresentanti della maggioranza, trovandosi in grosse difficoltà dai continui scandali in corso, stanno cercando di far credere che presto la Commissione europea chiederà l’apertura dei negoziati con l’Albania, come paese candidato all’adesione. Lo ha fatto anche in precedenza in questi ultimi anni, rimanendo sempre smentito dai fatti. Così come, qualche volta, hanno oltrepassato i loro diritti istituzionali anche alcuni alti rappresentanti dell’Unione europea (Patto Sociale n.284; 290; 292; 293 ecc.)! Il primo ministro e la propaganda governativa, in questi giorni sta cercando di convincere che ha fatto tutto il necessario per il progresso del processo europeo dell’Albania e che se questo non avviene ancora, per l’ennesima volta, la colpa è e sarà soltanto dell’opposizione, dei giornalisti e dei media del “cassonetto delle immondizie” (Sic!), come chiama lui ormai tutti i suoi oppositori.

    Il primo ministro sta cercando di convincere che l’adesione dell’Albania nell’Unione europea è una priorità sua e del suo governo. Ma nel frattempo bisogna mettere bene in evidenza un fatto ormai noto pubblicamente. Nel nuovo governo albanese, costituito lo scorso settembre, non c’è più il ministero dell’Integrazione europea. Ministero che è stato costituito una ventina di anni fa, quando cominciò il processo dell’adesione dell’Albania nell’Unione europea. Per essere sempre stato, in seguito, parte attiva di tutti i governi. Tranne questo attuale. Bella priorità, quella dell’adesione, per il primo ministro! Che nel frattempo sta strizzando l’occhio ad altri “alleati”, quelli dell’Est. Erdogan compreso, e seguendo il suo esempio.

    La settimana scorsa, subito dopo la presentazione della Strategia dell’Unione europea per l’allargamento con i Paesi dei Balcani occidentali, tra le tante reazioni, c’è stata anche quella di una nota giornalista albanese, inviata da anni di una televisione nazionale presso le istituzioni dell’Unione europea a Bruxelles. Le sue dichiarazioni, rese pubbliche da alcuni media in rete, erano veramente forti e accusatorie. Ragion per cui, sono state “censurate” dai media controllate dal primo ministro albanese. Tra l’altro, la giornalista accusava pubblicamente la Delegazione dell’Unione europea in Albania di non aver informato le istituzioni a Bruxelles e/o a Strasburgo di quanto sta succedendo in Albania in questi ultimi anni. Secondo la giornalista “…l’Albania è diventata il principale produttore e fornitore della cannabis in Europa e gli ufficiali dell’Unione europea non sapevano niente! Com’è possibile che non ci sono state informazioni per la situazione della droga in Albania uno o due anni prima? È mancata l’informazione, non è stata trattata adeguatamente, oppure non è stata trasmessa con [la dovuta] serietà? Questo non lo so. Ma questa è la verità e questa è stata dichiarata dall’Unione europea (riferendosi alla sopracitata Strategia; n.d.a.)…”. Commentando la situazione attuale in Albania e i rapporti con le istituzioni dell’Unione europea, la giornalista ha, altresì, dichiarato che “… è stata preannunciata la costituzione di commissioni comuni, [con rappresentanti] da tutte le istituzioni europee, a livello di esperti, per vedere cosa sta succedendo e com’è la situazione sul territorio [in Albania]… Questa [cosa] accade per la prima volta e sembra aver a che fare con il fatto che non si ha [più] fiducia in quello che si rapporta; addirittura non c’è [più] fiducia neanche nella Delegazione dell’Unione europea [in Albania]”.

    Sono molto pesanti queste accuse nei confronti della Delegazione e della sua titolare. Nonostante sia passata circa una settimana, non c’è stata nessuna reazione e smentita da parte della diretta interessata o di chi per lei! Le accuse della giornalista sono pubbliche e altrettanto pubblica e immediata doveva essere stata anche la smentita da parte della diretta interessata, nel caso fossero false. Ad oggi nessuna smentita è stata ancora fatta. Ragion per cui, fino a prova contraria, bisogna credere a quanto dichiarava la giornalista. Non si sa, però, che non informare correttamente le istituzioni dell’Unione europea sulla vissuta realtà albanese è stata una scelta personale della rappresentante dell’Unione in Albania, oppure è stato chiesto a lei un simile atteggiamento. Comunque sia, adesso non può essere più una sua scelta personale, bensì un obbligo istituzionale chiarire fino in fondo e definitivamente queste accuse. Perché tacere su queste cose e, soprattutto, non informare con responsabilità istituzionale su quello che accade in Albania comporta anche un grave danno per il Paese e i suoi cittadini.

    E se veramente la Delegazione dell’Unione europea in Albania non ha correttamente informato le apposite strutture a Bruxelles e/o a Strasburgo, allora due sono le ragioni. O la Delegazione, compresa anche chi la rappresenta, non è in grado, per vari motivi, di fare il proprio lavoro. Oppure, perché chi firma tutte le informazioni ufficiali con il logo della Delegazione dell’Unione europea in Albania potrebbe avere determinate ragioni (forse occulte) di nasconde le vere verità e di deformare pesantemente la realtà, ribadendo soltanto “successi immaginari” in Albania. Il che, però, farebbe molto piacere al primo ministro.

    Chi scrive queste righe sostiene fermamente l’idea dell’Europa concepita ed attuata dai Padri Fondatori (Patto Sociale n.260 ecc.). Egli ritiene che se, auguratamente, verrà un giorno in cui l’Albania sarà parte integrante dell’Unione a pieno titolo, senz’altro questo accadrà soltanto se la realtà e la situazione in Albania sarà sana e prospera, senza corruzione e cannabis, senza criminalità organizzata che condiziona e/o è parte attiva della politica. Per il momento, sfortunatamente, gli albanesi stanno soltanto fuggendo sempre più numerosi a cercare asilo in diversi Paesi europei, essendo anche prima, come numero, dei siriani e degli afgani, che scappano da dove si combatte e si muore. Non è questo il modo di andare in Europa! Chi scrive queste righe è convinto che anche il silenzio della rappresentante dell’Unione europea in Albania ha contribuito a causare tanto male.

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