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  • Child marriage ban welcomed in Sierra Leone

    Sierra Leone has brought in a new law banning child marriage with much fanfare at a ceremony organised by First Lady Fatima Bio in the capital, Freetown.

    Invited guests, including first ladies from Cape Verde and Namibia, watched as her husband President Julius Maada Bio signed the Prohibition of Child Marriage Act into law.

    Anybody now involved in the marriage of a girl aged under the age of 18 will be jailed for at least 15 years or fined around $4,000 (£3,200), or both.

    University student Khadijatu Barrie, whose sister was married off at 14, told the BBC she welcomed the ban but wished it had come in to save her younger sibling.

    “I really wish it had happened earlier. I could have at least saved my sister and my friends and other neighbours,” the 26-year-old gender studies undergraduate said.

    Sierra Leone is a patriarchal society and it is common for a father to give his daughter’s hand in marriage forcibly.

    Ms Barrie faced this prospect aged 10. She resisted it and fled the family home after her father disowned her.

    She was lucky enough to find teachers who paid for her school fees and a sympathetic worker from the UN children’s agency who helped her out with accommodation.

    But she says it is difficult for those who live in rural areas to buck tradition and every community will need to be informed about the new law for it to be effective.

    “If everyone understands what’s there waiting for you in case you do it I’m sure this country will be a better one,” Ms Barrie said.

    The ministry of health estimates that a third of girls are married off before they turn 18, accounting for the country’s high number of maternal deaths – among the highest in the world.

    Those who face punishment under the new rules include the groom, the parents or guardians of the child bride, and even those who attend the wedding.

    Mrs Bio, who has been at the forefront in campaigning against sexual abuse since her husband became president six years ago, wanted the signing of the bill to be a big occasion.

    The first lady told the BBC World Service Newshour programme the bill was a “personal battle” as she was almost a victim of child marriage.

    The marriage didn’t go through because the civil war broke out but the experience has remained with her.

    She said that child marriage was like “taking away a child’s dream and destroy them even before they knew who they are”.

    “Even when I am at the position I am now, I still feel that pain. I still hate my immediate family for trying to do that,” she said.

    The first lady said Sierra Leone suffers from a high birth mortality rate because many of those having children are still teenagers.

    “Most of these girls, their body is not ready,” she said.

    Since MPs passed the legislation a few weeks ago, it has not received much coverage locally.

    At the ceremony, President Bio said that his “motivation and commitment to empowering women and girls is firmly rooted in my personal life journey”.

    His eight-year-old daughter was amongst those who watched him sign the bill.

    The 60-year-old president explained how he had lost his father at an early age and had been brought up by his mother and later his elder sister who “supported and encouraged me to pursue my dreams to the best of my ability”.

    He acknowledged his wife’s commitment to championing women’s rights: “Together, we want to build an empowered Sierra Leone where women are given an even platform to reach their full potential. I have always believed that the future of Sierra Leone is female.”

    Mrs Bio told the BBC she hoped this law would end the cycle of “children who will not be educated, who will not be empowered, who cannot contribute to nation-building”.

    She added that there was no excuse for religious or traditional leaders saying they didn’t know the law as she had campaigned across every inch of Sierra Leone for the past six years.

    Rights activists reacted favourably to the law, calling it a watershed moment.

    On their X page, the US Bureau of African Affairs welcomed the passage of the bill saying the “significant milestone not only protects girls but promotes robust human rights protections”.

  • La Commissione esige che sia posta fine alla pratica delle mutilazioni genitali femminili in tutto il mondo

    In occasione della Giornata internazionale della tolleranza zero contro le mutilazioni genitali femminili, in programma il 6 febbraio 2024, la Commissione europea e l’Alto rappresentante/vicepresidente hanno ribadito il forte impegno dell’UE per porre fine alla pratica delle mutilazioni genitali femminili in tutto il mondo.

    “Le mutilazioni genitali femminili sono una violazione dei diritti umani e una grave forma di violenza contro le ragazze e le donne. È bene essere chiari: queste pratiche non hanno alcun motivo medico. Mettono a rischio la vita delle ragazze, violano i loro diritti umani e provocano traumi fisici e psicologici duraturi. Non vi è giustificazione di sorta per le mutilazioni genitali femminili.

    Le comunità, i governi, le organizzazioni e i partner internazionali fanno fronte comune per proteggere i diritti umani, la dignità e la salute delle donne e delle ragazze. L’Unione europea continuerà a collaborare con i partner internazionali per mettere in atto un approccio all’insegna della tolleranza zero contro le mutilazioni genitali femminili e lottare per un mondo in cui nessuna ragazza e nessuna donna subisca una forma di violenza qualsiasi.

    Lo scorso anno l’Unione europea ha ratificato la Convenzione di Istanbul che costituisce un passo fondamentale per stigmatizzare la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani. Un altro passo importante consisterà nel sancire nel diritto dell’UE l’obbligo di perseguire penalmente le mutilazioni genitali femminili. Al riguardo stiamo lavorando a norme specifiche che faranno parte di un quadro giuridico più ampio per combattere tutte le forme di violenza contro le donne. Nella nostra proposta mirante a prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica, suggeriamo di perseguire penalmente la mutilazione genitale femminile in quanto reato a sé stante. La proposta è attualmente in fase di negoziazione.  Stiamo anche preparando una raccomandazione su come prevenire tutte le pratiche dannose contro le donne e le ragazze. In Europa e nel mondo, le donne e le ragazze non devono più essere costrette a subire le mutilazioni genitali femminili o qualsiasi altra forma di violenza”.

    Secondo la definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), le mutilazioni genitali femminili (Mgf) comprendono tutte le pratiche che comportano la rimozione parziale o totale degli organi genitali esterni della donna o altre pratiche lesive degli organi genitali femminili non dovute a motivi medici. Si tratta di una forma di violenza contro le donne e le ragazze che comporta gravi conseguenze fisiche e psicologiche permanenti. Le stime ci dicono che in ben 17 paesi europei 190 000 ragazze sono a rischio di mutilazioni genitali e che, nel nostro continente, 600 000 donne sono costrette a viverne le conseguenze. Ogni anno almeno 20 000 donne e bambine arrivano in Europa come richiedenti asilo da paesi in cui vi è il rischio di mutilazioni genitali femminili.

    La Commissione europea è fortemente impegnata per porre fine a tutte le forme di violenza di genere, comprese le mutilazioni genitali femminili, sia all’interno che all’esterno dell’UE, come sottolineato nel piano d’azione dell’UE per i diritti umani e la democrazia 2020-2024, nella strategia dell’UE per la parità di genere 2020-2025, nel piano d’azione dell’UE sulla parità di genere III e nella strategia dell’UE sui diritti dei minori, che mira a porre fine alla violenza contro i minori. In linea con queste politiche e con il nostro impegno a porre fine alle mutilazioni genitali femminili in Europa e nel mondo, sosteniamo le vittime, le loro famiglie e le comunità colpite oltre che gli esperti e i responsabili politici e cooperiamo con loro.

    La convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, la cosiddetta convenzione di Istanbul, prevede l’obbligo di perseguire penalmente le mutilazioni genitali femminili. La convenzione è stata firmata da tutti gli Stati membri dell’Ue e, ad oggi, è stata ratificata da 22 di essi. È entrata in vigore il 1° ottobre 2023. Con l’adesione alla convenzione, l’UE è vincolata da norme ambiziose ed esaustive per prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica per quanto riguarda gli ambiti della cooperazione giudiziaria in materia penale, dell’asilo e del non respingimento, oltre che la sua amministrazione pubblica.

    Nel marzo 2022 la Commissione ha presentato una proposta per prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica che qualifica la mutilazione genitale femminile come reato a sé stante. La proposta è attualmente in fase di negoziazione. Nel 2024 la Commissione adotterà inoltre una raccomandazione specifica sulla prevenzione e la lotta contro le pratiche lesive a danno delle donne e delle ragazze, comprese le mutilazioni genitali femminili. Nella raccomandazione sono suggerite anche azioni specifiche rivolte agli Stati membri ed è proposto un sostegno supplementare e specializzato per la protezione delle vittime di pratiche dannose come le mutilazioni genitali femminili.

    Il programma della Commissione Cittadini, uguaglianza, diritti e valori (Cerv) offre finanziamenti per progetti volti a contrastare la violenza di genere, comprese le mutilazioni genitali femminili. Nel novembre 2023 la Commissione ha pubblicato un nuovo invito a presentare proposte per prevenire e combattere la violenza di genere. I progetti possono essere presentati fino al 24 aprile 2024. Le pratiche dannose sono tra le priorità dell’invito e comprendono le mutilazioni genitali femminili, le mutilazioni genitali intersessuali, l’aborto forzato, la sterilizzazione forzata, i matrimoni infantili e i matrimoni forzati e i delitti d’onore.

    Anche la Convenzione delle Nazioni Unite del 1989 sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, di cui tutti gli Stati membri dell’UE sono parti contraenti, condanna la violenza contro i minori. Nel 2021 la Commissione ha adottato la strategia dell’Ue sui diritti dei minori volta a rafforzare l’impegno dell’Unione per proteggere le bambine e le ragazze dalle mutilazioni genitali femminili negli Stati membri dell’UE a livello mondiale; la strategia evidenzia inoltre il ruolo che l’istruzione, la sensibilizzazione e le misure giuridiche svolgono per eliminare la pratica delle mutilazioni genitali femminili attraverso azioni e raccomandazioni concrete volte a por fine a tutte le forme di violenza contro i minori.

    Nel contesto dell’azione esterna e della cooperazione allo sviluppo, l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili continua a essere un’azione fondamentale del piano d’azione dell’UE per i diritti umani e la democrazia 2020-2024 e del piano d’azione dell’UE sulla parità di genere 2021-2025, come testimoniato da dialoghi politici e azioni concrete.  Dal 2016 l’UE e i suoi Stati membri sono tra i principali donatori del programma congiunto UNFPA/UNICEF per l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili con un contributo totale di 18,5 milioni di €. L’UE ha contribuito con 60 milioni di EUR all’iniziativa Team Europa sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi in Africa e con 23,5 milioni di EUR al programma regionale per l’Africa dell’iniziativa Spotlight che combatte in 18 paesi partner la violenza di genere, comprese le mutilazioni genitali femminili.

    L’UE cerca di trasformare le norme sociali e di genere collaborando con uomini e ragazzi, un aspetto fondamentale per porre fine alle mutilazioni genitali femminili e ai matrimoni infantili. Fino al 2023 più di 6 milioni di ragazzi e uomini hanno partecipato in sessioni di dialogo ed educative miranti a rafforzare la mascolinità positiva e l’impegno degli uomini per prevenire le pratiche dannose e conferire autonomia alle ragazze, con l’aiuto di quasi 900 000 leader religiosi, tradizionali o comunitari, mobilitati nel quadro del programma.

  • Mutilazioni genitali femminili: un crimine del quale bisogna continuare a parlare

    Il 6 febbraio è la Giornata Mondiale contro le menomazioni genitali femminili.

    L’Unione Europea, con tutte le sue istituzioni, ribadisce il massimo impegno nella lotta per sradicare questa abominevole pratica che continua a mietere vittime anche in quei paesi che l’hanno da tempo ufficialmente vietata.

    Le mutilazioni genitali, spesso causa di morte, infliggono alle donne una menomazione permanente e gravemente invalidante sia dal punto di vista fisico che psicologico.

    Nel mondo circa 200 milioni di donne hanno subito questo rito barbaro che nulla ha a che vedere con la religione, seicentomila sono le donne che vivono in Europa e che sono state infibulate o che comunque hanno subito menomazioni genitali.

    Nonostante sia, ovviamente, vietata da sempre nei paesi dell’Unione tutti gli anni ci sono ancora troppi casi di menomazioni effettuate clandestinamente, inoltre molte bambine sono riportate dalla famiglia nei paesi d’origine per subirla.

    Occorre una forte campagna di sensibilizzazione che coinvolga non solo le donne, le madri, ma i padri, gli uomini, i ragazzi fin dalla scuola primaria, soltanto con la cultura, l’educazione, la conoscenza del danno che si procura, il rispetto dei più elementari diritti umani potranno sradicare questa pratica violenta.

    L’Unione Europea da marzo farà partire, attraverso un potenziamento dei sistema di informazione Schengen, più stretti controlli alle frontiere per identificare donne e bambine potenzialmente a rischio per poter intervenire in tempo.

    Difendere le bambine è una priorità sulla quale il Patto Sociale è più volte intervenuto, non bisogna pensare che, avendone già parlato alcuni politici, giornalisti, persone di cultura, il problema possa essere accantonato, le donne continuano a soffrire, spesso a morire.

    L’impegno di tutti deve essere quello di continuare a parlarne ma anche di agire meglio ed in modo più incisivo sia con i singoli che con le autorità sanitarie, politiche, religiose e culturali dei paesi a più alto rischio.

  • Mind the STEM gap, un’installazione alla Triennale di Milano per superare gli stereotipi di genere

    Si intitola Mind the STEM Gap – A Roblox Jukebox l’installazione interattiva ideata da Fondazione Bracco e progettata da Space Caviar, con la collaborazione di Joseph Grima, visitabile fino al 31 ottobre presso il giardino della Triennale di Milano. Un viaggio virtuale con la fisica Marie Sklodowska–Curie, le matematiche Ada Lovelace e Maria Gaetana Agnesi, la filosofa Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, la botanica Anna Atkins, l’astronoma Annie Jump Cannon, ovvero una “Virgilia”, una scienziata del passato che si è distinta in quella disciplina per introdurre bambini e bambine, ragazzi e ragazze, uomini e donne alla scoperta della bellezza delle scienze. Attraverso un vero e proprio gioco, che utilizza la piattaforma Roblox, con tanto di joystick che aiuta a districarsi nell’affascinante percorso, il progetto contribuisce al superamento degli stereotipi di genere nelle materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) incoraggiando il libero accesso ai saperi di bambine e ragazze e dialoga con i temi della 23ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano dal titolo “Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries” (15 luglio – 11 dicembre 2022) curata da Ersilia Vaudo.

    Un’operazione prima di tutto culturale quella di avvicinare le bambine e le ragazze alle discipline scientifiche a partire da una nuova educazione delle famiglie che spesso ostacolano o non incentivano abbastanza le figlie ad intraprendere studi e professioni STEM, questo il claim dell’incontro di presentazione del progetto. “Dobbiamo costruire nuovi uomini e nuove donne, bisogna trasmettere alle ragazze la voglia di sapere fare tutto e la consapevolezza di poter arrivare dappertutto”, sottolinea Diana Bracco, Presidente dell’omonimo Gruppo chimico farmaceutico che da 95 anni sostiene il valore aggiunto che le donne apportano ad un settore come quello tecnico scientifico da sempre ritenuto appannaggio degli uomini.

    Secondo le statistiche, infatti, appena il 9% delle ragazze decide di intraprendere un percorso universitario tecnico scientifico che, seppur terminato brillantemente, le vede operare in posizioni di secondo piano rispetto ai colleghi maschi.

    Della necessità di un cambio di passo, compreso il modo di comunicare che deve adeguarsi ai tempi, ha parlato anche il Ministro dell’Università, Maria Cristina Messa, affermando come “i cambiamenti culturali sono sempre i più complessi e scuola e famiglia insieme sono fondamentali. Le donne sono un valore aggiunto, la concezione sul loro ruolo sta cambiando anche se un sondaggio IPSOS racconta che l’80% degli intervistati vede la donna ancora legata ala cura della famiglia. E’ necessario che le aziende attivino un progetto per l’integrità di genere per poter avere accesso ai fondi”.

    Un processo culturale sposato da tempo anche da Confindustria che, attraverso programmi mirati, trasmette a famiglie e ragazzi un nuovo storytelling sul modo in cui stanno cambiando il mondo del lavoro e l’occupazione. “Il nostro Paese è a vocazione imprenditoriale – sottolinei a Giovanni Brugnoli Vice Presidente per il Capitale Umano – e l’impresa è al centro del progetto didattico. Le discipline STEM sono il fulcro della crescita perché c’è bisogno di capitale umano aderente alle richieste del mercato. Quando le ragazze decidono di iscriversi alle discipline STEM si sono già svincolate da vecchie logiche”.

  • Afghanistan: The secret girls school defying the Taliban

    Hidden away in a residential neighbourhood is one of Afghanistan’s new “secret” schools – a small but powerful act of defiance against the Taliban.

    Around a dozen teenage girls are attending a maths class.

    “We know about the threats and we worry about them,” the sole teacher tells us, but she adds, girls’ education is worth “any risk”.

    In all but a handful of provinces in the country, girls’ secondary schools have been ordered to remain closed by the Taliban.

    At the school we visit, they’ve done an impressive job trying to replicate a real classroom, with rows of neat blue and white desks.

    “We do our best to do this secretly,” says the female teacher, “but even if they arrest me, they beat me, it’s worth it.”

    Back in March, it seemed as if girls’ schools were about to reopen. But just an hour or so after pupils began arriving, the Taliban leadership announced a sudden change in policy.

    For the students at the secret school, and many other teenage girls, the pain is still raw.

    “It’s been two months now, and still schools haven’t reopened,” one 19-year-old in the makeshift classroom told us. “It makes me so sad,” she added, covering her face with the palms of her hands to hold back the tears.

    But there’s also a mood of defiance.

    Another 15-year-old student wanted to send a message to other girls in Afghanistan: “Be brave, if you are brave no-one can stop you.”

    Primary schools for girls have reopened under the Taliban, and have in fact seen a rise in attendance following the improvement in security in rural parts of the country, but it’s not clear when or if older girls will be allowed back into class.

    The Taliban have said the correct “Islamic environment” needs to be created first, though given schools were already segregated by gender, no-one seems sure what that means.

    Taliban officials have repeatedly insisted in public that girls schools will reopen, but also admit that female education is a “sensitive” issue for them. During their previous stint in power in the 1990s, all girls were prevented from going to school, ostensibly due to “security concerns”.

    Now, multiple sources told the BBC, a handful of hardline but highly influential individuals in the group appear to still be opposed to it.

    In private, other Taliban members have expressed their disappointment at the decision not to open girls’ schools. The Taliban’s Ministry of Education seemed as surprised as anyone when the leadership overruled their plans in March, and some senior Taliban officials are understood to be educating their daughters in Qatar or Pakistan.

    In recent weeks, a number of religious scholars with links to the Taliban have issued fatwas, or religious decrees supporting girls’ right to learn.

    Sheikh Rahimullah Haqqani is an Afghan cleric, based largely across the border in Peshawar, Pakistan. He’s well-respected by the Taliban and on a trip to Kabul last month met senior figures within their government.

    He’s careful not to criticise the continued closure of schools but, speaking at his madrassa in Peshawar, with his mobile phone in hand, scrolls through the text of his “fatwa”, which shares decrees from earlier scholars and accounts from the life of the Prophet Muhammad.

    “There is no justification in the sharia [law] to say female education is not allowed. No justification at all,” he tells the BBC.

    “All the religious books have stated female education is permissible and obligatory, because, for example, if a woman gets sick, in an Islamic environment like Afghanistan or Pakistan, and needs treatment, it’s much better if she’s treated by a female doctor.”

    Similar fatwas have been issued by clerics in Herat and Paktia provinces in Afghanistan. It’s a symbol of how widespread support for girls’ education now is in the country, even amongst conservative circles, but it’s not clear how much of an impact the decrees will have.

    The Taliban have formed a committee to examine the issue, but multiple sources with links to the Taliban told the BBC that while even senior Taliban ministers were on board with the reopening of girls schools in March, opposition to it centred around the group’s leadership in the southern city of Kandahar, where the “Amir” or Supreme Leader, Mullah Haibatullah is based.

    After initially adopting a more flexible attitude when taking power last August, the Taliban have recently been issuing more and more hardline edicts, including making the face veil compulsory for women and encouraging them to stay at home.

    Meanwhile, their tolerance for dissent, even in their own ranks, is dissipating.

    One Taliban member with a large following on social media, had tweeted critically about the closure of girls’ schools, as well as new rules ordering government employees to grow their beards. However, according to one source, he was called in for questioning by the Taliban intelligence department, later deleting his tweets and apologising for his earlier comments on beards.

    There appears to be very little grassroots opposition to female education in Afghanistan, but some Taliban figures cite concerns about the Islamic State group using the issue as a recruitment tool, if girls’ schools are opened up.

    Western officials, however, have also made clear that progress on women’s rights is key for the Taliban to be able to access some of the billions of dollars of foreign reserves that are frozen.

  • Afghanistan: Taliban backtrack on reopening high schools for girls

    The Taliban have reversed a decision to allow Afghan girls to return to high schools, saying a ruling is still to be made on the uniforms they must wear.

    Schools were set to open nationwide after months of restrictions since the Taliban seized power in August.

    But the education ministry abruptly announced girls’ secondary schools would stay shut, causing confusion.

    Some girls were in tears as parents and students reacted with anger and disappointment to the last-minute move.

    Many had earlier talked of how happy and excited they were to be back in the classroom.

    The decision came a week after the education ministry announced schools for all students, including girls, would open around the country on Wednesday.

    “We inform all girls’ high schools and those schools that [have] female students above class six that they are off until the next order,” the notice said.

    The notice added schools would reopen after a decision over the uniform of female students was made in accordance with “Sharia law and Afghan tradition”.

    A man who did not want to be identified told the BBC his daughter had been in shock and in tears since being refused entry by Taliban officials into the school this morning.

    “If anything happens to my daughter, I will not forgive the Taliban,” he said.

    Activist Mahouba Seraj, founder of the Afghan Women’s Network, was bemused by the U-turn.

    “The excuse they gave was ‘you don’t have the proper hijab on’. There was no ruling, they just decided this morning that the hijab was not proper, for whatever reason,” she told the BBC.

    She said girls’ “school uniforms in Afghanistan are pretty covered up, always”. Secondary schools in Afghanistan are already segregated by gender.

    One of the demands of the international community was for the Taliban to grant women and girls the right to education before being able to access foreign aid.

    Ms Seraj said: “What I want to hear from them and see from them is for them to stand fast and say ‘okay, this is what you decided to do? Well, this is what we have decided to do: no recognition, no money. Period!'”

    The United Nations mission in Afghanistan said it “deplores today’s reported announcement by the Taliban”.

    US diplomats said closing schools undermined confidence in Taliban commitments and assurances.

    It “further dashes the hopes of families for a better future for their daughters,” US special envoy Rina Amiri tweeted.

  • Duecento milioni di donne a rischio di mutilazione genitale entro il 2030

    Il 6 febbraio, nella Giornata internazionale della tolleranza zero rispetto alle mutilazioni genitali femminili, è stato purtroppo nuovamente registrato che vi sono ancora 200 milioni di ragazze vittime di questa grave menomazione fisica e della conseguente violazione psicologica. Secondo i dati forniti dalla Ue, da qui al 2030 altri 200 milioni di ragazze sono a rischio. Diverse giovani subiscono questa pratica illegale anche in Europa, nonostante i controlli posti in essere da tempo e nonostante la mutilazione genitale femminile sia un reato in tutti i Paesi della Ue, che puniscono anche coloro che portano le ragazze a subire la mutilazione fuori dall’Europa. I controlli non sono ancora sufficienti e sono sopratutto il personale insegnante e quello sanitario che devono essere attenti a identificare bambine e ragazze a rischio e a denunciare anche preventivamente la possibilità che si stia per commettere il reato. Per quanto sia forte la cooperazione a livello internazionale per sorvegliare e debellare questa pratica criminale che segna per sempre fisico e mente di chi la subisce, non si è di fatto ancora ottenuta una collaborazione sufficiente nelle aree più svantaggiate dei Paesi nei quali quest’usanza tribale è diffusa.

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