Banca d’Italia

  • Il nuovo socialismo 4.0: disprezzo per lavoro e risparmio

    Gli ultimi tre governi che si sono succeduti alla guida del nostro Paese dal 2015 in poi saranno ricordati come i peggiori della storia repubblicana.

    Il governo Renzi nel 2015 riuscì a raddoppiare la velocità di  crescita del debito rispetto al PIL dilapidando anche i 30 miliardi di minor esborso dei costi al servizio del debito pubblico (passato senza alcun merito del governo da 93 a 63 miliardi/anno) frutto insperato degli effetti del Quantitative Easing varato dalla BCE. Si scelse, invece, di aumentare la spesa pubblica attraverso l’elargizione degli ottanta euro (10 miliardi), il finanziamento di industria 4.0, quasi interamente a vantaggio della grande industria ed ovviamente non delle PMI. Scelte di politica economica legittime ma che tuttavia non giustificano il raddoppio della velocità di crescita del debito rispetto al PIL il cui progresso risultava assolutamente legato esclusivamente alla domanda internazionale in forte aumento. In questo contesto infatti si collocava il desiderio inespresso e inconfessabile di Padoan e Calenda relativo ad un aumento dell’IVA che avrebbe portato nel breve periodo ad un aumento del valore nominale del PIL stesso la cui differenza tra crescita ed inflazione sarebbe risultata interamente a carico dei consumatori attraverso una perdita del potere di acquisto.

    Durante il governo Gentiloni nel 2018 (anno in cui si manifestano gli effetti della finanziaria del 2017) a conferma di tale declino i consumi risultano “aumentati” del +0,3% a fronte di un’inflazione al +1,2%, quindi logica conseguenza è una contrazione dei primi del -0,9% nonostante il debito continuasse a correre.

    Ora il presidente della Consob Savona, espressione dell’intelligentia del governo Conte sostenuto da Lega e 5 stelle, afferma senza pudore come  il debito pubblico sia sostenibile fino a 200% del PIL (riproponendo il modello Made in Japan)inserendo nella complessa valutazione dello stesso come “garanzia” anche il risparmio privato. In altre parole i contribuenti non solo versano le tasse per sostenere la spesa pubblica ma devono ora offrire in più una sorta di “garanzia impropria ed imposta” attraverso il proprio risparmio, frutto di sacrifici e di rinunce.

    Francamente mai si era  arrivati ad un tale disprezzo da parte della politica nel suo complesso per il lavoro che ha reso questo “monte  risparmio” uno dei più importanti al mondo e che invece meriterebbe una tutela aggiuntiva. Va inoltre ricordato come il risparmio complessivo degli italiani ammoniti a 10.200 miliardi, metà dei quali circa è fatto di investimenti immobiliari mentre la seconda è rappresentata da liquidità investita in prodotti finanziari che una circolare della Banca d’Italia della primavera del 2017 giudicò ad alto rischio e scarsa liquidabilità.

    A questa visione assolutamente fantasiosa da parte del  presidente della Consob fa da contraltare  lo schieramento politico Cottarelli il quale intenderebbe attuare una finanziaria incentrata sul varo di una patrimoniale che potesse riportare il rapporto debito/PIL al 100%. In questo senso si ricorda che per riportare i due valori ad un simile rapporto percentuale sarebbero necessari circa 510 miliardi per arrivare al rapporto indicato da Cottarelli. Una finanziaria quindi che si trasformerebbe in un prelievo del 5% del risparmio totale in immobili e prodotti finanziari dei contribuenti italiani, al cui confronto il prelievo forzoso del 6 x1000 del 1992 risultato ridicolo. Ovviamente dimenticando quanto diceva Luigi Einaudi il quale affermava che una patrimoniale potesse essere sostenibile solo con un sistema fiscale equo e successivamente con un abbassamento della pressione fiscale (https://www.ilpattosociale.it/2019/05/13/lillusione-patrimoniale/).

    In questo contesto di articolazione della spesa pubblica una patrimoniale assolutamente insostenibile aprirebbe un respiro di soli tre/cinque anni per ritrovarsi nella medesima situazione attuale in quanto non interesserebbe minimamente i meccanismi della spesa stessa.

    Savona come Cottarelli dimostrano in questo modo l’assoluto disprezzo per il frutto del lavoro dei contribuenti italiani, che già finanziano la spesa pubblica attraverso il versamento delle tasse (ed una pressione fiscale insopportabile specialmente se rapportata ai servizi resi dalla PA), i quali ora invece dovrebbero ulteriormente contribuire per eliminare i disavanzi della spesa pubblica che hanno portato ad un debito  ormai insostenibile.

    Centro destra e centro sinistra in altre parole hanno come obiettivo il risparmio dei contribuenti italiani per porre rimedio alla propria incapacità di intervenire sui meccanismi della spesa pubblica dei quali il debito ne risulta l’espressione. Entrambi rappresentano la nuova visione del socialismo  4.0 la cui massima espressione si manifesta nella affermazione della “superiorità degli interessi dello Stato MA soprattutto di coloro che in suo nome operano” rispetto al lavoro degli imprenditori, dei lavoratori e dei professionisti italiani che formano il parco buoi dei contribuenti.

    Una superiorità degli interessi dello Stato e delle persone che operano in questo senso tale da  determinare  come inevitabile conseguenza il disprezzo per il frutto del sacrificio dei cittadini italiani i quali vengono chiamati a rispondere attraverso il proprio risparmio dell’incapacità degli ultimi vent’anni dei governi alla guida nostro Paese ed in particolare degli ultimi tre, dal 2015 ad oggi.

    Dopo il declino culturale nel quale siamo immersi da oltre due decenni  le volontà e le tesi di Cottarelli e Savona uniti nel voler utilizzare il risparmio privato risultano i più fulgidi esempi della ormai conclamata  metastasi culturale.

  • USA: non tutto è oro che luccica

    Il resoconto dell’ultima riunione del Federal Reserve Open Market Committee (FOMC), il comitato di gestione della politica monetaria americana, rivela che si sta discutendo di interrompere il rientro dal quantitative easing e di riprendere, quindi, la politica monetaria “accomodante” entro l’anno. Si dice di voler restare “pazienti” riguardo a nuovi aggiustamenti e “flessibili” rispetto alla riduzione dei titoli in precedenza comprati per sostenere il sistema bancario.

    Anche la Bce e Draghi hanno confermato l’intenzione di continuare con la politica monetaria espansiva.

    Questi sviluppi ci pongono due domande.  Quali sono le vere ragioni economiche per le quali, a più di dieci anni dalla crisi finanziaria globale si ripropongono le stesse politiche che, allora, furono concepite come soluzione temporanea per portare i vari paesi fuori dalle paludi della recessione? Le maggiori istituzioni monetarie internazionali temono forse il presentarsi di qualche nuova crisi finanziaria?

    Ci sono vari parametri per valutare se l’economia mondiale, a cominciare da quella americana, possa rischiare di entrare in una situazione di turbolenza: anzitutto gli andamenti degli investimenti, del commercio e dei bilanci.

    In un altro rapporto sulle banche, la Fed ammette che la domanda di credito si è globalmente ridotta. La maggioranza delle banche americane scrutinate intenderebbe rallentare il flusso di crediti alle imprese e aumentare il premio di rischio per numerose categorie di prestiti. Negli Stati Uniti gli investimenti sono scesi negli ultimi sei mesi e sono a -2,1% rispetto a un anno fa. Tale rallentamento si manifesta anche nel settore immobiliare che è sempre stato un importante termometro dell’economia americana, e non solo. Le vendite di abitazioni negli Usa sono scese dell’8% in gennaio rispetto al gennaio precedente, marcando una tendenza semestrale.

    Anche l’ex presidente della Fed, Janet Yellen, ha recentemente ammonito che i 4.000 miliardi di dollari di debiti e corporate bond, quasi “junk”, potrebbero portare a una nuova crisi stile 2008. Particolarmente preoccupante è che, sulla base di questi debiti, sono stati emessi oltre 700 miliardi di nuovi derivati, i cosiddetti clo, collateralized loan obligations, che sono stati comprati da banche e fondi.

    Ovviamente, i succitati clo raccolgono crediti accesi da imprese sempre meno in grado di ripagarli, proprio così come nella passata crisi accadde per i cdo, collateralized debt obligations, che raccoglievano ipoteche immobiliari impagabili.

    Inoltre, da ottobre 2018 a gennaio 2019, cioè nel primo quadrimestre dell’anno fiscale in corso, il deficit di bilancio Usa è stato di 310 miliardi, con un aumento del 77% rispetto allo stesso periodo dell’anno fiscale precedente. Come, noto, in America l’anno fiscale si calcola da settembre al settembre dell’anno seguente. Il Congress Budget Office prevede che il deficit annuale 2019 sarà di almeno 900 miliardi. In verità, da tempo è in corso una crescita vertiginosa del deficit di bilancio che evidenzia un’economia tutt’altro che sana: 587 miliardi nel 2016, 665 nel 2017, 782 nel 2018.

    Lo stesso è avvenuto con la bilancia commerciale americana che nel 2018 ha registrato un deficit di 891 miliardi di dollari nel settore dei beni. Un aumento forte rispetto all’anno precedente. In particolare il deficit nel commercio di beni con la Cina è stato di ben 419 miliardi. Nel 2017 era stato di 375 miliardi.

    Sono cifre che bocciano in pieno la politica di Trump, il modo in cui ha voluto coniugare il taglio delle tasse con l’aumento dei dazi. Di fatto, buona parte delle tasse non raccolte hanno fatto crescere i consumi che, a loro volta, hanno inciso sull’andamento delle importazioni. Tali scelte possono momentaneamente sembrare misure a favore dei cittadini, ma nel medio termine esse aggravano i conti pubblici, creando forti rischi d’instabilità. Perciò è molto probabile che nel prossimo futuro la parola “volatilità” venga usata con molta frequenza.

    In questa incerta situazione non dovremmo stupirci se Washington sempre più spesso, di fronte a eventuali difficoltà nell’economia americana, scaricasse le proprie responsabilità su presunte crisi in Cina e in Europa. Del resto, questa è da tempo la versione di Trump, che, purtroppo, è stata ripetuta recentemente anche da Jerome Powell, il presidente della Fed, che era ritenuto indipendente rispetto al presidente americano. Evidentemente ciò non è.

    *già sottosegretario all’Economia  **economista

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