Banche

  • La Bce tira dritto su tassi e costo del denaro

    La Banca centrale europea non defletterà dalla politica monetaria di rigore avviata ormai da alcuni mesi col rialzo del tasso ufficiale di sconto e il conseguente rincaro del costo del denaro. Le parole pronunciate da Isabel Schnabel, membro del consiglio direttivo Bce, in occasione di un simposio sull’indipendenza delle banche centrali organizzato dalla banca centrale svedese – «Il nostro mandato è la stabilità dei prezzi e faremo tutto il necessario per conseguire il nostro mandato» – lasciano intendere che gli appelli provenienti da più parti perché Francoforte adotti una politica monetaria meno rigida non verranno accolti.

    Dopo le critiche alla linea del rigore lanciate dal ministro Guido Crosetto, uno stop al rialzo dei tassi era stato invocato anche dal presidente dell’Abi Antonio Patuelli. A detta del presidente dell’associazione bancaria italiana, «Il rischio è di favorire nuove spinte per la recessione, quando è indispensabile che proseguano gli sforzi per la ripresa dello sviluppo e dell’occupazione». Più polemicamente, Confconsumatori ha invocato un cambio di rotta da parte della Banca centrale europea argomentando che la spirale inflazionistica che Christine Lagarde vuole contrastare rendendo meno agevole prendere denaro in prestito «dipende da tensionigeo-politiche e non da eccesso di domanda. Siamo, infatti, di fronte a un preciso aumento dei costi dell’energia e alla scarsità delle materie prime e, dunque, la crisi non dipende da dinamiche del mercato ordinarie». Le parole della Schnabel, per quanto ufficiose, lasciano intendere che l’istituto che batte la moneta comunitaria non intende cambiare rotta.

  • Attenzione alla mail che ci avvisa di un pacco in consegna, è una nuova truffa on line

    Attenzione alle mail che vi avvisano di non essere riusciti a consegnare un pacco e di cliccare per scegliere l’orario in cui riceverlo. Si tratta di #phishing e quindi cliccando vi verranno rubate le informazioni personali”. Il monito arriva via Twitter dalla Polizia di Stato che ha svelato un nuovo tentativo di truffa on line, il phishing. Come rivela Wall Street Italia “Si tratta di una particolare tipologia di truffa realizzata sulla rete Internet attraverso l’inganno degli utenti e si concretizza principalmente attraverso messaggi di posta elettronica ingannevoli. Attraverso un’e-mail, solo apparentemente proveniente da istituti finanziari (banche o società emittenti di carte di credito) o da siti web che richiedono l’accesso previa registrazione (web-mail, e-commerce ecc.). Il  messaggio invita, riferendo problemi di registrazione o di altra natura, a fornire i propri riservati dati di accesso al servizio. Solitamente nel messaggio, per rassicurare falsamente l’utente, è indicato un collegamento (link) che rimanda solo apparentemente al sito web dell’istituto di credito o del servizio a cui si è registrati.  In realtà, il sito a cui ci si collega è  stato artatamente allestito identico a quello originale. Qualora l’utente inserisca i propri dati riservati, questi saranno nella disponibilità dei criminali.

    Con la stessa finalità di carpire dati di accesso a servizi finanziari on-line o altri che richiedono una registrazione, un pericolo più subdolo arriva dall’utilizzo dei virus informatici. Le modalità di infezione sono diverse. La più diffusa? Il classico allegato al messaggio di posta elettronica; oltre i file con estensione .exe, i virus si diffondono celati da false fatture, contravvenzioni, avvisi di consegna pacchi, che giungono in formato .doc .pdf. Nel caso si tratti di un ‘financial malware’ o di un ‘trojan banking’, il virus si attiverà per carpire dati finanziari. Altri tipi di virus si attivano allorquando sulla tastiera sono inseriti ‘userid e password’. Si parla in tal caso ‘keylogging’, quando i criminali sono in possesso delle chiavi di accesso ai vostri account di posta elettronica o di e-commerce”.

    Le banche non chiedono mai dati personali per mail e questo basterebbe a far comprendere al malcapitato utente di essere davanti ad una e-mail dubbia sulla cui provenienza è sempre opportuno contattare il proprio istituto di credito e chiedere informazioni.

    La Polizia di Stato ha stilato 7 consigli per evitare di cadere vittime delle truffe online:

    1. Gli istituti di credito o le società che emettono carte di credito non chiedono mai la conferma di dati personali tramite e-mail ma contattano i propri clienti direttamente per tutte le operazioni riservate. Diffidate delle e-mail che, tramite un link in esse contenute, rimandano ad un sito web ove confermare i propri dati.
    2. Nel caso riceviate una e-mail, presumibilmente da parte della vostra banca, che vi fa richiesta dei riservati dati personali, recatevi personalmente presso il vostro istituto di credito.
    3. Se credete che l’e-mail di richiesta informazione sia autentica, diffidate comunque del link presente in questa, collegatevi al sito della banca che l´ha inviata digitando l’indirizzo internet, a voi noto, direttamente nel browser.
    4. Verificate sempre che nei siti web dove bisogna immettere dati (account, password, numero di carta di credito, altri dati personali), la trasmissione degli stessi avvenga con protocollo cifrato.
    5. Controllate, durante la navigazione in Internet, che l’indirizzo URL sia quello del sito che si vuole visitare, e non un sito “copia”, creato per carpire dati.
    6. Installate sul vostro computer un filtro anti-spam.
    7. Controllate che, posizionando il puntatore del mouse sul link presente nell´e-mail, in basso a sinistra del monitor del computer, appaia l’ indirizzo Internet del sito indicato, e non uno diverso.
  • Per le banche europee 80 miliardi dalle commissioni sul digitale

    Un mercato ancora piccolo rispetto all’Europa e al peso dell’economia italiana ma in decisa crescita e con iniziative delle singole banche o circuiti per abbattere le commissioni e i costi dei micropagamenti sotto i 5 e i 10 euro. Il panorama dei pagamenti digitali in Italia, al centro delle polemiche politiche di questi giorni, è in forte evoluzione con una spinta avvenuta durante la pandemia Covid e che proseguirà ancora.

    Il giro d’affari delle commissioni delle banche e delle società finanziarie e tecnologiche sui pagamenti digitali in Europa, secondo un recente studio della Banca centrale austriaca, è di circa 80 miliardi che dovrebbe salire entro il 2030 a 140 miliardi. La stima vede il nostro paese ancora indietro con soli 9,5 miliardi visto l’alto uso del contante. La parte del leone è della Francia con 21,1 miliardi seguita dalla Germania che nonostante il pil (anche qui per l’alto utilizzo di banconote e monete) è ferma a 20,1). Significativo il caso dell’Olanda a 5,2 miliardi. Lo studio ricorda peraltro come questi ammontari vadano sia alla banca beneficiaria che a quella pagatrice oltre ai circuiti (internazionali e non) di carte di credito e di debito sotto forma di commissioni e affitto Pos.

    L’aumento delle transazioni digitali con carta sta facendo scalare alcune posizioni al nostro paese che resta però pur sempre 24esimo con 114 transazioni rispetto alla media Ue di 172. Le commissioni medie, come rilevano i dati dell’Oss Innovative Payments del Politecnico di Milano, nel nostro paese sono in media dell’1,5% e sono variabili, non fisse, ma sono da registrarsi diverse iniziative private delle grandi banche (Unicredit, Intesa), di Nexi e Pagobancomat per azzerare i micropagamenti fino a 5 e 10 euro e ridurre o eliminare i costi di attivazione del Pos.

    Come ha sottolineato in un intervento su Il Sole24 ore nei giorni scorsi il presidente dell’Abi Antonio Patuelli “è molto cresciuto l’uso dei pagamenti elettronici, sospinto anche da una fortissima concorrenza, con continue evoluzioni tecnologiche che concorrono a ridurre i costi complessivi dei pagamenti”. “Concorrenza e innovazione hanno ridotto e ridurranno ulteriormente i costi delle transazioni” ha sottolineato invitando gli esercenti a una “crescente consapevolezza e diligenza” in modo da “scegliere le più idonee forme di pagamento elettronico per le attività di ciascuno”.

    Ma non ci sono solo i pagamenti con carte o bancomat. Il minor uso del contante passa anche per i bonifici e gli addebiti diretti, comprendendo i quali, le transazioni digitali totali salgono a 320 in media in Europa.

    E poi ci sono i nuovi strumenti come le app, i sistemi di trasferimento diretto da conto a conto o bracciali. I dati di una ricerca Mastercard evidenziano come il 74% degli intervistati ha infatti fatto uso di almeno un metodo di pagamento emergente, mostrando una particolare preferenza per i pagamenti Account to Account (35%) e le app di money transfer (25%).

  • Corrado Sforza Fogliani. Un altro grande ci ha lasciato

    Avvocato, scrittore, politico liberale nel senso migliore e completo, marito e padre affettuoso, Presidente della Banca di Piacenza, Corrado Sforza Fogliani è stato anche un brillante uomo di cultura e un attento studioso come dimostrano i molti libri che ha pubblicato.

    Strenuo difensore dell’indipendenza delle banche popolari, nemico dei malefici e tossici derivati che tanto sconquasso hanno provocato in troppi istituti bancari e in molte amministrazioni, il Presidente Sforza Fogliani ha incardinato il suo progetto di banca sul territorio aumentando il prestigio e l’influenza della Banca di Piacenza che, sotto la sua guida, è arrivata ad assicurare servizi chiari ai correntisti anche in tante altre città, fino al centro di Milano.

    Ha avuto molti incarichi di grande prestigio, anche a livello nazionale, molti meriti ed è stato un uomo probo, come ricorda l’on. Tommaso Foti, presidente del gruppo di Fdl alla Camera.

    Nelle occasioni degli incontri che abbiamo avuto in questi anni ne ho ammirato la determinazione, la visione del futuro, l’amore profondo per la sua città, per la banca, per il territorio e le persone, la grande culturale, la sottile ironia e lo scintillio degli occhi.

    Mancherà a tutti il Presidente, ai tanti amici, a coloro che hanno potuto conoscerlo direttamente e a quanti hanno beneficiato della sua correttezza nelle diverse attività come banchiere, vicepresidente dell’ABI, presidente di Assopopolari e delle tante altre che lo hanno visto partecipe attivo e coraggioso fino agli ultimi giorni.

    Ora spetterà a chi resta, a chi da vicino, o da più lontano, condivide il progetto che ha lasciato: economico, politico, culturale ed umano, rendergli onore non solo non dimenticando ma operando nel rispetto del suo esempio.

  • Agenzie rating, sfida africana

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ‘ItaliaOggi’ il 6 dicembre 2022

    L’Africa ha una sua agenzia di rating, la Sar, Sovereign Africa Ratings. È una novità importante nel panorama finanziario del continente africano, e non soltanto.

    La Sar è nata in Sud Africa per iniziativa di un gruppo di imprenditori locali con l’intento di contrastare l’attività speculativa e la dipendenza dalle tre agenzie di rating americane.

    Il modello di rating del credito di Sar comprende una serie di variabili classiche, quali alcuni aspetti fiscali, economici, monetari, ambientali e di governance, i cambiamenti climatici e la crescita del pil.

    L’elemento innovativo sta nel fatto che si attribuisce un peso rilevante alla ricchezza mineraria del territorio come indicatore di performance. Quindi, non solo le fonti energetiche ma anche le materi prime nascoste nelle viscere del continente: oro, diamanti, cobalto, rame, zinco, cobalto e le tante cosiddette terre rare.

    Finora i Paesi africani sono stati vittime dei voti dati dall’oligopolio formato da Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch, che hanno il controllo del 95% del mercato del rating mondiale. Le «tre sorelle» sono imprese private il cui capitale azionario è controllato da grandi fondi d’investimento.

    Nel 2022 dette agenzie avevano stilato dei rating di solvibilità molto negativi nei confronti dei governi, delle obbligazioni di Stato, dei titoli pubblici e privati africani. I loro giudizi si sono basati su previsioni insufficienti e molto superficiali. I governi, a cominciare da quello del Sud Africa, hanno lamentato la politica invasiva delle agenzie statunitensi.

    Si ricordi che i declassamenti portano all’isolamento finanziario con un impatto devastante sulle economie africane. È, infatti, noto che un rating basso comporta il pagamento di un tasso d’interesse maggiore per ottenere dei crediti o per piazzare dei titoli sui mercati. Indebolisce anche l’offerta di capitali da parte degli investitori stranieri. Per i governi, questo implica scelte spesso impopolari come lo spostamento di fondi di bilancio dalle spese sociali verso il servizio del debito pubblico.

    Di solito i declassamenti accrescono l’esosità degli speculatori e delle multinazionali delle materie prime. Ciò significa povertà, instabilità sociale e sottosviluppo.

    Il rating creditizio di S&P per il Sud Africa è di BB- con outlook positivo. BB- equivale a junk, spazzatura. Di conseguenza, le obbligazioni sono considerate titoli speculativi. Le banche centrali, come la Bce, non accettano in garanzia titoli con tale voto. Le assicurazioni e i fondi pensione non possono acquistarli e sono tenuti a disfarsi di quelli già in possesso.

    Invece, la Sar ha dato al Sud Africa il rating BBB (investment grade, degno di investimento), lo stesso che S&P concede all’Italia.

    David Mosaka, chief rating officer dell’agenzia Sar, ritiene che l’economia del Sud Africa stia crescendo a un tasso dell’1,9% quest’anno e dell’1,4% nel 2023, il che certamente non favorisce l’occupazione e nuove entrate fiscali. Egli ritiene, però, che un approccio valutativo diverso rispetto al passato possa frenare le spinte speculative. Man mano che l’agenzia crescerà sui mercati internazionali, essa potrà produrre valutazioni per i paesi africani al fine di contrastare il deprezzamento delle commodity e delle economie nazionali.

    Lo scorso 15 maggio, anche Macky Sall, capo di Stato senegalese e attuale presidente dell’Unione Africana, aveva auspicato «la creazione di un’agenzia panafricana di rating finanziario». Sall aveva affermato che il rating delle agenzie internazionali è «talvolta molto arbitrario». Esse esagererebbero il rischio d’investimento in Africa, aumentando così il costo del credito. Secondo il presidente senegalese, almeno il 20% dei criteri di valutazione per i Paesi africani sarebbero «fattori culturali o linguistici piuttosto soggettivi, estranei ai parametri che misurano la stabilità di un’economia».

    L’iniziativa del Sud Africa si colloca all’interno dei programmi dei paesi Brics, di cui fa parte con Brasile, Russia, Idia e Cina. Tra le loro iniziative c’è proprio la creazione di un’agenzia di rating. Èanche una lezione d’indipendenza e d’intraprendenza rispetto all’Unione europea che, dopo la grande crisi del 2008 in cui le «tre sorelle» ebbero un ruolo centrale e nefasto, aveva speso tantissime parole in merito alla creazione di un’agenzia di rating europea. Parole che sono rimaste solo sulla carta. Se ne ignora il perché.

    *già sottosegretario dell’Economia **economista

  • C’è il rogo delle criptovalute

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ItaliaOggi il 23 novembre 2022

    La criptofinanza conquista ancora una volta le prime pagine dei media. Questa volta con la bancarotta di Ftx, la seconda piattaforma exchange più grande nel mondo, dopo Binance.

    Le exchange solitamente non creano monete digitali (token) ma si occupano di creare asset class per gli investitori, che utilizzano la piattaforma per cambiare dollari o euro in monete digitali e di comprare e vendere queste ultime al solo scopo di fare guadagni. Ftx aveva, invece, anche il suo token, il Ftt.

    Pochi giorni fa, la Security Commissione delle Bahamas, il centro off shore dove Ftx ha sede, aveva congelato tutti i suoi averi. La piattaforma, insieme a oltre 130 suoi affiliati, ha chiesto il Chapter 11 nello Stato del Delawere, cioè la procedura d’insolvenza per la riorganizzazione aziendale. Intanto Australia, Giappone e Bahamas hanno preso provvedimenti per congelarne le sue attività. Dopo una simile decisione adottata da Cipro, essa non può più operare nell’Ue.

    Oggi la paura di un crollo caotico dell’intero settore si riassume in due parole «contagio» e «effetto domino». Si parla di «momento Lehman Brothers» per la criptofinanza globale. Il buco varierebbe tra dieci e cinquanta miliardi di dollari. In pochi giorni il mercato delle cripto valute avrebbe perso il 20% del suo valore. Dopo la crescita a dismisura fino a un picco equivalente a tremila miliardi di dollari, il mondo delle criptomonete già nel 2022 si era ridotto a mille miliardi. Inoltre, durante l’estate altre piattaforme cripto, tra cui Celsus Network, Voyager Digital e Terra-Luna sono fallite.

    Ftx è la breve storia di un «astro lucente» che diventa in pochi giorni una stella cadente. Il suo fondatore, il trentenne Sam Bankman-Fried, Sbf per gli amici, aveva accumulato un patrimonio equivalente a 20 miliardi di dollari e, in poche ore, ne avrebbe perso il 94%. Anche tutti quelli che vi hanno investito possono dire addio ai loro soldi! Non c’è rete di salvataggio per la criptofinanza senza regole e controlli.

    Alcuni parlano di frode poiché Sbf avrebbe dirottato i fondi investiti nella piattaforma verso una sua controllata, la Alameda Research, anch’essa con sede alle Bahamas, che li avrebbe usati per operazioni finanziarie ad altissimo rischio andate male. Ftx faceva soldi permettendo che investitori prendessero fondi in prestito per scommettere e speculare sui prezzi futuri delle criptovalute. Si era specializzata nella gestione di operazioni leverage (la famosa leva) in derivati con criptomonete. Piccolo particolare: le faceva in campo internazionale poiché esse sono vietate all’interno del territorio americano.

    Il vero timore è che la caduta di Ftx possa contagiare anche il mercato finanziario tradizionale per via della sua grande interconnessione con la criptofinanza. Una paura che, purtroppo solo a parole, è stata spesso manifestata da vari dirigenti di enti federali americani. D’altra parte è noto che tra i suoi investitori vi sono vari fondi d’investimento, come il Blackrock e persino importanti fondi pensione.

    Lo scandalo vero è la mancanza di controlli e d’interventi tempestivi e preventivi da parte delle agenzie governative preposte alla supervisione dei mercati finanziari. Ma forse non è così casuale.

    Sbf è stato molto attivo a Washington nei mesi passati. Si è appreso che SBF ha concesso 60 milioni di euro al partito democratico in occasione delle elezioni di mid-term e si era impegnato di battere in generosità George Soros raggiungendo un miliardo di dollari

    Non a caso SBF era anche un lobbista molto impegnato a influenzare la stesura di una legge bipartisan per regolare il mercato delle cripto valute. Dopo il fallimento di Ftx il procedimento è stato ovviamente sospeso.

    La nuova legge darebbe alla Cftc, Commodity Futures Trading Commission, l’agenzia che regola il mercato dei derivati, anche la supervisione del mercato cripto. Forse il Congresso americano e la Sec, Security Exchange Commission, l’agenzia federale di vigilanza delle borse valori, dovrebbero tenere in considerazione che alcuni top leader di Ftx Usa, la succursale americana, erano stati alti dirigenti proprio della Cftc! Evidentemente, purtroppo, il conflitto di interessi non esiste solo in casa Italia.

    già sottosegretario all’Economia* economista**

  • Perché la liquidità dei QE è scomparsa

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso in ‘notiziegeopolitiche.net’ il 12 novembre 2022.

    Mentre la Fed continua a innalzare il tasso d’interesse, molti economisti sollevano forti dubbi sulla sua capacità di normalizzare la politica monetaria e di influenzare positivamente i processi economici. Ciò vale per le altre banche centrali.
    Dopo due anni di allentamento quantitativo (QE) di straordinaria grandezza, le banche centrali stanno restringendo i propri bilanci. Esse avevano acquistato asset back security (abs) e titoli di Stato in possesso delle banche private, emettendo riserve liquide in cambio. La liquidità creata, però, è svanita nel giro di pochi mesi.
    Perché il rapido rientro dal QE ha prodotto questo risultato? La risposta è semplice: il sistema finanziario è diventato dipendente dalla liquidità facile.
    Quando la banca centrale espande il proprio bilancio, il settore bancario, che deve detenere le riserve emesse dalla banca centrale per gli acquisti di asset, in genere le finanzia con depositi a vista, cioè più esigibili.
    Le riserve offerte dalle banche centrali si ritengono le più sicure ma offrono rendimenti bassi. Perciò, sulla base della liquidità acquisita, le banche hanno creato altri flussi di entrate offrendo maggiori crediti. Ciò assume generalmente la forma di limiti più elevati per le carte di credito per le famiglie e linee di credito più ampie alle imprese, ai fondi d’investimento e alle società non finanziarie.
    La maggiore detenzione di riserve offre alle banche la sicurezza di poter rispondere prontamente a eventuali richieste di prelievo. Le banche, però, hanno anche aumentato le operazioni più lucrative nei rapporti broker-dealer, cioè quelle che promettono di aiutare gli operatori-speculatori offrendo della liquidità per soddisfare eventuali richieste di margine, i margin call, quando si devono dare garanzie aggiuntive in contanti per coprire delle perdite sopravvenute.
    Gli speculatori non sono solo gli hedge fund, ma anche i fondi pensione che, per compensare i bassi rendimenti delle obbligazioni pubbliche, hanno aumentato il profilo di rischio delle loro attività, assumendo una maggiore leva finanziaria e sottoscrivendo dei derivati per una copertura del rischio sugli interessi. L’aumento dei tassi ha generato richieste di margini sulle posizioni in derivati.
    In parole semplici, la liquidità ottenuta dalla Fed è stata “impegnata” in operazioni finanziarie a più alto rischio. Di conseguenza, le banche sono molto più esposte a qualsiasi incidente nel sistema finanziario, non avendo capacità di “tappare” eventuali buchi rilevanti. Lo stress di liquidità deriva dalla relazione asimmetrica tra lo stock di crediti concessi e quello delle riserve di liquidità. Anche il comportamento delle banche è asimmetrico rispetto a quello della Fed, più precisamente perché non riducono i crediti concessi quando la quantità delle riserve si riduce.
    Questo è avvenuto recentemente in Gran Bretagna, quando il “mini budget” proposto dall’ex premier Liz Truss ha fatto emergere lo spettro dell’insostenibilità del debito sovrano, provocando un immediato aumento dei tassi di interesse delle obbligazioni statali di lungo termine.

    Riconoscendo l’importanza sistemica del mercato dei titoli di Stato, la Banca d’Inghilterra è subito intervenuta sospendendo il programma di vendita di parte dei titoli in suo possesso, annunciando allo stesso tempo di voler riprendere ad acquistare i bond di Stato come nei passati mesi di QE.
    Il malfunzionamento del mercato dei titoli di Stato in un’economia sviluppata è un segnale di una potenziale instabilità finanziaria.
    Uno studio presentato da un gruppo di economisti americani all’incontro di Jackson Hole, rileva che, nel caso degli Stati Uniti, il rientro dal QE ha reso le condizioni molto difficili. E’ provato che, quando la Fed vuole riprendere le riserve emesse, il settore finanziario non riduce rapidamente i crediti concessi sulla base della liquidità generata. Questo rende il sistema vulnerabile agli shock o semplicemente a un qualche incidente. Era già successo a settembre 2019 e la Fed aveva ripreso le sue iniezioni di liquidità.
    In altre parole, maggiori sono le dimensioni e la durata del QE, maggiore è la liquidità cui i mercati finanziari si abituano. Di conseguenza, per le banche centrali sarà più difficile normalizzare i propri bilanci. Gli shock finanziari non rispettano i tempi delle banche centrali e potrebbero costringerle a nuovi interventi di sostegno.
    I responsabili delle politiche monetarie si trovano quindi in una posizione molto difficile: aumentare i tassi per ridurre l’inflazione e contemporaneamente fornire liquidità per stabilizzare i mercati dei titoli di Stato. E’ un processo infernale dal quale non si può uscire con gli strumenti tradizionali.

  • I rendimenti dei fondi pensione sono calati del 10% nei primi tre trimestri

    I rendimenti dei fondi pensione crollano nei primi 9 mesi del 2022 a causa del calo dei titoli azionari e dell’aumento dei tassi di interesse e vanno in territorio negativo. Secondo la Commissione di garanzia sui fondi pensione al netto dei costi di gestione e della fiscalità i rendimenti sono stai negativi e pari a -10,6% per i fondi negoziali, a -12,2% per i fondi aperti e del -12,4% per i Piani individuali pensionistici di ramo III (collegate cioè a quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o ad un indice azionario o ad altro valore di riferimento). Nello stesso periodo il Tfr, legato all’inflazione, si è invece rivalutato del 5,2%. Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato il risultato è stato positivo e pari allo 0,8%. Se si guarda però a un orizzonte più ampio che è quello che va considerato per il risparmio previdenziale tra il 2012 e settembre 2022 i rendimenti medi annui restano positivi con un 2,7% per i fondi negoziali, 3% per i fondi aperti e 3,3 % per i Pip di ramo III a fronte di una rivalutazione del Tfr del 2,2%.

    La Covip segnala anche un calo consistente delle risorse dei fondi nel periodo considerato con una perdita di 10,9 miliardi (-5,1%) che porta l’attivo destinato alle prestazioni dei fondi previdenziali integrativi nel complesso a 202 miliardi di euro “per effetto delle perdite in conto capitale determinate dall’andamento dei mercati finanziari». A settembre 2022, le posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari erano 10,1 milioni in crescita del 4,2% rispetto alla fine del 2021. A queste posizioni che includono anche quelle di coloro che aderiscono contemporaneamente a più forme, corrisponde un totale degli iscritti di 9,1 milioni di individui. Si tratta di 3.734.828 posizioni per i fondi negoziali, 1.806.335 per i fondi pensione aperti, 3.651.517 per i Pip nuovi, 671.000 per i fondi preesistenti e 321.000 per i Pip vecchi.

    Nel complesso i contributi versati nei primi 9 mesi dell’anno dagli iscritti ai fondi negoziali, ai fondi aperti e ai Piani individuali pensionistici nuovi ammontano a 9,2 miliardi con un aumento del 4,6% sullo stesso periodo del 2021.

  • Ecco il vero significato del premio Nobel a Bernanke

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri* e Paolo Raimondi** pubblicato su ‘ItaliaOggi’ il 220 ottobre 2022

    «Per la ricerca su banche e crisi finanziarie», il Premio Nobel per le scienze economiche quest’anno è stato dato a tre economisti americani, Ben Bernanke, già presidente della Federal Reserve dal 2006 al 2014, e i professori Douglas Diamond dell’Università di Chicago e Philip Dybving dell’Università di Saint Louis.

    Nelle motivazioni si legge che essi «hanno notevolmente migliorato la nostra comprensione del ruolo delle banche nell’economia, in particolare durante le crisi finanziarie. Una scoperta importante nella loro ricerca è il motivo per cui è fondamentale evitare i crolli delle banche».

    Il fatto che Bernanke sia stato il banchiere centrale prima e dopo la grande crisi finanziaria del 2008 getta qualche dubbio sulla bontà della scelta. E fa subito sorgere un’altra domanda: perché dare loro il Nobel proprio oggi, nel mezzo di una crisi economica e finanziaria che potrebbe essere peggiore di quella appena passata?

    Il Nobel è stato assegnato per due articoli scritti nel lontano 1983. Nella loro analisi, Diamond e Dybvig avevano spiegato che le banche operano come intermediari tra i risparmi depositati e i crediti a lungo termine per le imprese. Il sistema funzionerebbe bene in tempi normali, ma, ammettevano, rende le banche vulnerabili ai rumors, alle voci circa un loro imminente collasso, che possono provocare il run, cioè la corsa agli sportelli per ritirare i risparmi.

    Da parte sua, Bernanke aveva studiato la Great Depression americana e globale degli anni Trenta, dimostrando come le banche in dissesto avessero giocato un ruolo decisivo nella peggiore crisi della storia moderna. Il crollo del sistema bancario spiegherebbe perché la recessione non sia stata soltanto profonda, ma anche duratura.

    Infatti, tra il gennaio 1930 e il marzo 1933, la produzione industriale statunitense diminuì del 46% e la disoccupazione crebbe al 25%. La crisi si diffuse a macchia d’olio, provocando una profonda recessione economica in gran parte del mondo. In Gran Bretagna la disoccupazione salì al 25% e in Australia al 29%. In Germania la produzione industriale si dimezzò e più di un terzo della forza lavoro divenne disoccupata.

    La ricerca di Bernanke mostrava che le crisi bancarie possono avere conseguenze catastrofiche. Una giusta intuizione che, però, stranamente non fu applicata nella crisi finanziaria del 2008.

    Secondo il Comitato Nobel «queste intuizioni costituiscono la base delle moderne regole bancarie». Tra cui elenca anche la garanzia governativa ai depositi dei risparmiatori, dimenticando che essa era già stata introdotta dal presidente Roosevelt negli anni Trenta, come parte della legge Glass-Steagall Act sulla separazione bancaria. Secondo il Comitato i risultati delle ricerche sono stati «la motivazione alla base di aspetti cruciali della politica economica durante la crisi finanziaria del 2008-2009», e che «Bernanke fu in grado di trasformare le conoscenze della ricerca in politiche», adottate anche durante la pandemia per evitare una crisi finanziaria globale.

    La storia ci dice che non è andata proprio così. Nel 2008 la Fed di Bernanke era più concentrata a fronteggiare il pericolo d’inflazione, che allora non era così grave, invece di capire che l’intera finanza era in tilt. I controlli non avevano funzionato, anzi, si era permessa la crescita del «sistema bancario ombra», insieme alla speculazione più aggressiva e alla creazione di titoli e di derivati a dir poco «opachi». La finanza era diventata egemone, in grado di influenzare le politiche nazionali e le scelte globali, istaurando anche un sistema di relazioni tossiche con la politica.

    Bernanke, già conosciuto per la sua teoria dei «dollari gettati dagli elicotteri», operò su tre linee: un gigantesco bail out delle banche «too big to fail» (troppo grandi per essere lasciate fallir); l’inizio dei

    quantitative easing; e la politica del tasso d’interesse zero. A ottobre 2009 il bilancio della Fed era già salito a 2.100 miliardi di dollari dagli 870 di prima della crisi.

    La tanta liquidità fu incanalata soprattutto verso Wall Street, che vide un’impennata del Dow Jones. Tale politica è stata continuata con più forza anche dopo l’uscita di Bernanke dalla Fed, fino ai drammatici cambiamenti recessivi e inflazionistici di oggi. In conclusione, dietro il Nobel ai tre economisti sembra ci sia un invito della finanza in crisi a continuare con i salvataggi e le stesse politiche «liquide» del passato.

    Absit iniuria verbis per i tre Nobel, a noi, più modestamente, sembra che la grande finanza sia ancora alla base delle crisi sistemiche.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • La contraddizione digitale

    Il mercato delle commissioni bancarie e relativo  ai pagamenti attraverso la moneta elettronica unito alla gestione del risparmio rappresenta un settore ad alta remunerazione, in forte espansione tanto da ingolosire il gigante della telefonia Apple.

    L’obiettivo, o meglio, l’opportunità offerta dal sempre maggiore favore riservato dalle istituzioni politiche alla moneta digitale, è rappresentato dalla semplice considerazione di come le banche ormai, grazie al trasferimento dei pagamenti su piattaforme digitali presentino dei bilanci al 50% composti proprio dalle commissioni nella gestione del risparmio e dei  pagamenti elettronici.

    L’iniziativa di Apple si pone l’obiettivo di ottenere nuova  redditività, oltre la semplice vendita di cellulari, e quindi nei servizi applicati post vendita, attraverso la sintesi di pagamenti elettronici e la  creazione di depositi presso la Goldman Sachs intervenendo,  in questo modo, anche indirettamente nella gestione del risparmio.

    Il riconoscimento di un 3% come premio per questa operazioni “a risparmio” rappresenta attualmente un livello al di sotto circa di un punto e mezzo rispetto ai tassi d’interesse praticati negli Stati Uniti.

    Il  mondo della tecnologia digitale, andrebbe ricordato, trova una delle principali  e legittime giustificazioni della propria crescente centralità nell’annullamento, o quantomeno nell’accorciamento,  dell’intermediazione all’interno della filiera commerciale tra i prodotti fisici come per i servizi ed il  consumatore.

    Paradossalmente ora, e quindi nella più recente declinazione, lo stesso mondo digitale dimostra la propria contraddizione in quanto si interpone come un soggetto aggiuntivo appunto nell’acquisto dello stesso bene o di un servizio aggiungendo un passaggio digitale ulteriore il cui costo aggiuntivo dovrebbe venire compensato da un premio del 3%.

    Mai come adesso questa contraddizione nasconde una vera involuzione digitale la quale, da fonte di apertura verso orizzonti senza limiti e con relazioni di ogni genere e senza intermediazioni, si sta trasformando in una semplice nuova ortodossia digitale i cui interessi si traducono in ulteriori costi a tutto danno del consumatore.

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