bilancio

  • Bilanci al tempo del corona virus

    In questo periodo, normalmente, le società di capitali sono impegnate nel processo di formazione del progetto di bilancio che verrà sottoposto all’approvazione dell’assemblea dei soci.

    Tipicamente sono molteplici le attività da completare che comportano interazioni tra diverse funzioni aziendali e che coinvolgono persone interne e consulenti esterni. Tutto questo articolato meccanismo viene sicuramente complicato e rallentato, per non dire ingessato, dall’emergenza sanitaria conseguente alla diffusione pandemica del virus Covid-19.

    L’ufficio amministrativo deve effettuare riconciliazioni dei saldi contabili, controlli, scritture di assestamento e di rettifica di fine anno. Gli amministratori sono chiamati a delicate valutazioni. Tutto questo processo, normalmente, si svolge con frequenti contatti tra le persone interessate e riunioni per programmare le attività e condividere i risultati.

    Le recenti disposizioni di restrizione ai movimenti delle persone e gli inviti ad evitare riunioni in presenza hanno notevolmente rallentato e complicato il processo di formazione del progetto di bilancio.

    Se è vero che molte attività possono essere svolte “a distanza” con l’utilizzo delle nuove tecnologie che consentono video-conferenze e smart working, è altrettanto vero che molte aziende non erano del tutto attrezzate e strutturate per affrontare un isolamento totale come quello imposto dalle recenti disposizioni legislative.

    Si aggiunga che tutto il processo che porta all’approvazione del bilancio è scandito dal rispetto di precisi termini: almeno 30 giorni prima dell’assemblea gli amministratori devono comunicare all’organo di controllo, o al revisore legale, il progetto di bilancio; almeno 15 giorni prima dell’assemblea tutti i documenti che compongono il fascicolo di bilancio devono essere depositati presso la sede sociale a disposizione di ciascun socio.

    Andando a ritroso, quindi, poiché l’assemblea può essere indetta entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale (quest’anno 29 aprile essendo un anno bisestile), il progetto di bilancio dovrà essere redatto dagli amministratori e comunicato all’organo di controllo entro il 30 marzo e entro il 14 aprile i documenti dovranno essere depositati presso la sede sociale.

    Ben si comprende, quindi, che tutto il sistema di formazione cade in piena emergenza sanitaria e potrebbe essere verosimile che alcune società, per non dire molte, possano incontrare difficoltà oggettive a rispettare i tempi previsti.

    In tal senso, molti operatori hanno già sollecitato il Governo affinchè vari una proroga straordinaria dei termini. Proroga che dovrebbe essere stata recepita nel decreto firmato ieri (16 marzo) e in fase di pubblicazione. Le indiscrezioni parlano della possibilità di indire l’assemblea entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio (28 giungo 2020) e di agevolazioni per intervenire mediante mezzi di telecomunicazione e esprimere il voto in via elettronica.

    Per quanto auspicabile e ormai scontata la proroga ex lege, personalmente riterrei comunque applicabile alla generalità delle società che abbiano previsto l’evenienza nel proprio statuto, il 2 comma dell’art 2364 che stabilisce la possibilità di approvare il bilancio nel maggior termine non superiore a 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio laddove la società sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato ovvero quando lo richiedano particolari esigenze connesse alla struttura e all’oggetto sociale.

    In proposito, le esigenze connesse alla struttura ben si attagliano all’emergenza sanitaria del momento che ha imposto modifiche al processo lavorativo e quindi alla struttura amministrativa, privilegiando il lavoro agile, le riunioni non in presenza e la limitazione agli spostamenti.

    Il consiglio è comunque quello di non approfittare senza motivo della proroga, sia per le possibili responsabilità degli amministratori per la tardiva convocazione dell’assemblea, laddove la proroga non fosse disposta per legge, sia per le ripercussioni che la dilatazione del processo di approvazione del bilancio comporta ritardando la capacità di rendere la necessaria informativa a tutti gli stakeholders e per i processi collegati. Si pensi, ad esempio, alla distribuzione di dividendi, all’informativa alle banche per il rinnovo dei fidi, alla disponibilità del bilancio per l’accesso a bandi e gare di appalto o per la fruizione di agevolazioni.

  • Nomina dell’organo di controllo nelle srl, proroga a tempo scaduto

    Il codice della crisi e dell’insolvenza è stato varato a gennaio 2019 (Dlgs. 14/2019) in attuazione della legge 19 ottobre 2017 n. 155. Diciamo, quindi, con una gestazione discretamente lunga.

    Una parte delle norme è entrata in vigore decorsi trenta giorni dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale, una parte sarebbe invece entrata in vigore diciotto mesi dopo. Tra queste ultime, l’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore nelle srl che negli ultimi due esercizi avessero superato almeno uno dei seguenti parametri: quattro milioni di euro di attivo, quattro milioni di euro di ricavi, venti dipendenti in media occupati nell’anno. Anche sulle soglie di cui all’art. 2477 del codice civile, si è assistito ad un susseguirsi di balzelli che hanno dapprima ridotto le soglie per poi aumentarle ai limiti attuali.

    Pertanto, dal 14 febbraio 2019, le società hanno avuto dieci mesi di tempo (nove dalla data di pubblicazione) per adeguare i propri statuti, laddove necessario, e nominare il revisore o il sindaco unico o, ancora, il collegio sindacale.

    I più virtuosi hanno nominato l’organo di controllo o il revisore con l’approvazione del bilancio relativo all’esercizio 2018.

    Alla spicciolata si sono aggiunte nei mesi seguenti una parte delle società che hanno superato i parametri previsti negli esercizi 2017 e 2018, esortate ad adempiere dalla stampa specializzata e dai propri consulenti che hanno fatto una diffusa opera di informazione e sollecitazione alla compliance con la nuova normativa.

    Chiaramente sulle società è impattato un nuovo costo, quello del revisore, percepito, peraltro, quale figura di controllo e di ingerenza negli “affari” sociali. Molti imprenditori delle piccole imprese italiane soggette ai nuovi obblighi, in effetti, non sono preparati per questa rivoluzione epocale che necessita di un cambio di passo culturale di non poco conto. L’impresa dovrà essere adeguatamente strutturata e l’imprenditore non potrà accentrare il ruolo gestorio e quello di controllo che dovrà essere necessariamente affidato a soggetti terzi adeguatamente preparati.

    Non voglio entrare, in questa sede, nel merito dei compiti del revisore e della sua attività, ma ritengo necessario precisare che un valido revisore non sarà solo un costo sterile per l’azienda e, più in generale, per l’imprenditore, ma un valido supporto con cui confrontarsi anche al fine di cogliere tempestivamente segnali di crisi con l’obiettivo di adottare i correttivi necessari.

    Ciò premesso, il lavoro di revisione va adeguatamente programmato e non si esaurisce in pochi giorni. Da qui, giunti a ridosso della fatidica scadenza del 16 dicembre e resosi conto che molte aziende chiamate non avevano ancora proceduto alle nomine, sono iniziati i primi rumors incentrati sul fatto che i revisori nominati a dicembre non avrebbero avuto modo di svolgere adeguatamente il proprio lavoro. Si sono affacciate timide interpretazioni che avrebbero voluto la nomina del revisore nei termini ma con decorrenza 2020 nonché richieste di proroghe avanzate da più fronti.

    Fatto sta che la normativa non è stata modificata e il 16 dicembre è arrivato, molte società si sono attrezzate, ma altrettante e forse più, non hanno provveduto.

    Le camere di commercio, deputate al controllo, avrebbero inviato richieste di spiegazioni in merito alla mancata nomina. A fronte di ulteriore inerzia sarebbe scattata la segnalazione al tribunale che avrebbe provveduto d’Ufficio, con notevole imbarazzo, aggiungo io, sia per la società che per il revisore vista la delicatezza della funzione.

    Ancora il 5 febbraio 2020, il Ministro dello Sviluppo Economico, a seguito di interrogazione parlamentare, aveva escluso eventuali proroghe stante l’evidente “iniquità sotto il profilo concorrenziale delle imprese che hanno rispettato il termine di adempimento rispetto a quelle che, invece lo hanno disatteso”.

    Ed in effetti, così è: se esiste una legge va rispettata da tutti pena discriminazioni e distorsioni nel sistema della concorrenza.

    Ma l’Italia è il Paese delle proroghe, basti pensare che tutti gli anni il Governo vara un decreto chiamato “milleproroghe”, e così, a tempo scaduto, l’art 6 bis del citato decreto prevederebbe lo slittamento della nomina dell’organo di controllo o del revisore alla data di approvazione del bilancio 2019.

    Esclusa qualsiasi presunzione di sindacare il fatto che la proroga fosse giusta o sbagliata, sicuramente ciò che è censurabile è il metodo. Uno dei punti cardine di qualsiasi Paese è la certezza del diritto che da noi, troppo spesso, è diventato incerto comportando plurimi effetti negativi.

    Per favorire gli inadempienti, si è finiti nuovamente per penalizzare gli imprenditori in regola, che per tempo hanno studiato la normativa, hanno modificato i propri assetti organizzativi e hanno nominato il revisore o l’organo di controllo, sopportandone, almeno inizialmente, esclusivamente il relativo costo posto che i benefici saranno attesi in futuro. Ora cosa si inventeranno per premiare questi virtuosi? Che di virtuoso, per altro, poco avrebbero, posto l’esistente obbligo normativo artatamente disatteso a posteriori dallo stesso legislatore. Un contributo per le spese di adeguamento sostenute sarebbe auspicabile e potrebbe essere previsto contestualmente alla proroga.

    A coloro in regola, infine, mi rivolgo, invitandoli a non farsi prendere dallo scoramento, a non percorrere strade che porterebbero alla revoca del revisore (non del sindaco unico) per cessazione dell’obbligo normativo, posto che fra poco più di due mesi si troverebbero punto a capo, a meno che, cambiando gli esercizi monitorati si venga esclusi dall’adempimento. Ipotesi, questa, da verificare con riferimento al testo normativo in fase di approvazione.

    Certo è che, troppo spesso, si interviene a ridosso delle scadenze o, peggio ancora, a tempo scaduto, come nel presente caso. Così facendo si minano le fondamenta del sistema Italia che senza certezze non ripartirà mai: gli investitori stranieri saranno sempre più restii ad entrarvi stabilmente e i cittadini saranno sempre più incentivati ad arrangiarsi alla giornata, rimandando qualsiasi intervento trincerandosi dietro all’assioma che tanto, prima o poi, qualcuno ci metterà una pezza.

  • I bonus in vigore nel 2019 per case e condominii

    Per l’anno 2019 sono state confermate le detrazioni fiscali per la casa. La Gazzetta Ufficiale riporta infatti la proroga del bonus ristrutturazioni, ecobonus, bonus mobili e bonus verde secondo quanto stabilito dalla manovra 2019.

    Il bonus ristrutturazioni si applica a tutti i lavori che riguardano interventi migliorativi volti all’efficienza energetica della propria abitazione e consente una detrazione dall’Irpef pari al 50% del costo sostenuto (l’importo massimo della spesa sostenuta non deve superare i 96.000 euro che vanno suddivisi in 10 quote annuali di pari importo). Il bonus viene riconosciuto a condizione che i lavori siano svolti su immobili già esistenti e copre non solo le spese connesse all’esecuzione dei lavori vera e propria ma anche i costi sostenuti per le prestazioni di professionisti e tecnici come ad esempio quelli di progettazione. Per chi abbia eseguito lavori di ristrutturazione prima dell’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici, è inoltre prevista un’ulteriore agevolazione definita bonus mobili ed elettrodomestici. In questo caso è possibile detrarre in sede di dichiarazione dei redditi il 50% del costo sostenuto per acquistare mobili e grandi elettrodomestici che hanno una classe energetica elevata (non inferiore ad A+). L’importo massimo da poter detrarre è pari a 10.000 euro.

    Il bonus verde può essere richiesto da chi effettui lavori di riqualificazione urbana privata per condomini, terrazzi, balconi e giardini e da chi finanzia lavori per migliorare il verde pubblico. La detrazione è pari al 36% su una spesa massima di 5.000 euro. Ammessa sono per opere già esistenti e non p per unità abitative di nuova costruzione, la detrazione vale anche per l’installazione di impianti di irrigazione e di realizzazione pozzi ed è riconosciuta a chi sia il proprietario dell’immobile o il titolare del pagamento delle spese sostenute.

    L’ecobonus è invece riconosciuto per lavori che migliorino l’efficienza energetica del proprio immobile: la detrazione arriva fino al 65% del costo sostenuto, per un importo massimo che varia in base al tipo di lavoro eseguito.

    Per i condomini nel loro complesso (non i singoli appartamenti di proprietà) si può detrarre il 75% su un massimo di 100.000 euro per tutti gli interventi di riqualificazione energetica globale, di 40.000 euro per lavori di riqualificazione dell’involucro di edifici esistenti ma anche per l’installazione del cosiddetto solare termico (ossia pannelli solari volti a produrre acqua calda) e di 30.000 euro per l’installazione o sostituzione di impianti per la climatizzazione invernale. Nei singoli appartamenti si può avere una detrazione del 50% per l’installazione di zanzariere, finestre e infissi e tende da sole, prevede, mentre sull’installazione di una nuova caldaia la percentuale varia in base del tipo di prodotto acquistato.

    Ancora: coloro che effettuano dei lavori per rendere gli edifici compresi in zone considerate ad alta pericolosità sismica sicuri potranno invece richiedere il bonus sisma. La detrazione si applica per tutti i costi sostenuti per questa tipologia di intervento, dal giorno 1 gennaio 2017 fino al giorno 31 dicembre 2021. La detrazione va ripartita in 5 quote annuali dello stesso importo su un importo massimo che varia in base alla riduzione del rischio. È infatti possibile detrarre fino all’85% della spesa se la classe di rischio si riduce di 2 posizioni o dell’80% se riduce il rischio di una sola classe.

    Coloro che acquistano la prima casa come abitazione principale possono infine godere di un’ulteriore agevolazione che riguarda la diminuzione del costo dell’imposta di registro e dell’Iva se si acquista rispettivamente da un privato o da un’impresa. L’agevolazione in questione prevede inoltre la possibilità di non pagare imposta di bollo, tributi speciali catastali e tasse ipotecarie.

     

  • Il Parlamento Europeo può salvare la democrazia europea. Lo farà?

    Il 2 maggio prossimo, la Commissione avvierà le proposte formali per il quadro finanziario pluriennale (QFP), che modellerà l’Europa verso l’orizzonte 2030. Queste proposte arriveranno dopo una lunga preparazione in seno alla Commissione ma anche negli Stati membri. Il QFP non è un semplice rinnovo, ma è la prima risposta concreta dei 27 EUR alla crisi del progetto europeo e alle nuove sfide transnazionali.

    C’è il rischio che la narrativa europea presenti questa crisi come uno delle tante con la convinzione che l’Europa troverà, magari, anche le risorse per fare un passo avanti. Ma questa volta è diverso, la crisi non è una crisi degli ambienti diplomatici o delle élite, ma ha investito i cittadini e l’opinione pubblica. La decisione sul QFP post 2020 è un’occasione unica per rilanciare il progetto europeo. In attesa delle proposte, due considerazioni:

    • Il fallimento parziale dell’iniziativa ‘Bilancio focalizzato sui risultati”. Nonostante più di 700 indicatori delle politiche dell’UE non si è presa praticamente alcuna decisione politica, per modificare la legislazione in presenza di risultati modesti. In effetti l’autorità legislativa e di bilancio considera questo esercizio come burocratico e tecnocratico, senza assumerne la titolarità politica. La Commissione dovrebbe trovare il modo di coinvolgere, di più e meglio, l’autorità legislativa e di bilancio in questo processo e concentrarsi su politiche con più valore aggiunto europeo.
    • Il secondo punto riguarda il calendario di approvazione del nuovo QFP; La Commissione ha annunciato che è essenziale che il Consiglio europeo adotti le proposte prima della fine del 2018 e che il Parlamento europeo concluda la procedura prima della sua elezione. Questo calendario, se accettato dal Parlamento europeo, ignorerà la necessità di coinvolgere i cittadini europei nel progetto europeo. L’opportunità di presentare all’opinione pubblica le prossime elezioni europee su un modello diverso d’Europa andrà persa.

    La riforma dell’UE verso il 2030, non dovrebbe essere il risultato di un oscuro negoziato tra diplomatici, approvato in extremis da un Parlamento distratto dalle elezioni. Sarebbe l’eccellente opportunità per centrare il dibattito elettorale su temi europei. Sulle scelte di politica europee i partiti hanno necessariamente opinioni diverse le dovranno esprimere e coinvolgere l’opinione pubblica in questo dibattito. I cittadini cosi avranno la prova concreta che il loro voto per il Parlamento influenzerà le scelte politiche dell’Europa 2030.

    Per concludere, i partiti politici europei non dovrebbero perdere l’opportunità di costruire i loro progetti europei sulle priorità per il QFP oltre il 2020. Un dibattito elettorale per lo Spitzenkandidaten e le elezioni europee su diversi approcci tra i gruppi convincerà i cittadini europei ad assumere responsabilità e influenzare il corso del progetto europeo. Il prossimo QFP dovrebbe rilanciare la democrazia europea.

    Il Parlamento europeo sarà pronto a dire subito chiaramente che non è disponibile a impegnare nelle ultime settimane della legislatura in prossimi 7/10 anni di politica europea, costringendo il Parlamento della prossima legislatura a non partecipare ad alcuna decisione strategica importante.

    *Professore Collegio Europeo di Parma, Fellow all’Istituto Universitario Europeo

    Twitter @Alfredo231; http://alfredodefeo.blogactiv.eu/author/alfredo-de-feo/

     

     

  • I paletti della Commissione per il prossimo bilancio della Ue annunciano tempesta nel confronto con gli Stati Ue

    La Commissione europea propone un budget Ue a lungo termine più ampio per l’era post-Brexit rispetto a quello attuale, da concordare prima delle elezioni europee del maggio 2019, secondo quanto il commissario al bilancio Guenther Oettinger ha rivelato lo scorso 14 febbraio. Oettinger ha detto ai giornalisti che il prossimo budget settennale per il periodo 2021-2027 dovrebbe essere compreso tra l’1,1% e l’1,2% del reddito nazionale lordo dell’UE, rispetto all’1% per cento attuale e ha sottolineato che in media, su  100 euro guadagnati dai cittadini dell’Ue, 50 sono assorbiti dalle tasse ma solo un euro finisce a finanziare l’Unione europea.

    La Commissione intende rimarcare ai leader dell’Unione che se vogliono che il bilancio si concentri su nuove priorità – come la protezione delle frontiere, l’immigrazione, la difesa e il mantenimento di una significativa politica agricola e di coesione che aiuti le regioni più povere – i singoli Stati dovranno fornire maggiori contributi (un’idea maturata a Bruxelles punta su una rimodulazione dell’Iva). Di contro, Paesi come l’Austria sono schierati sul fronte esattamente opposto: ridurre quanto gli Stati devono procacciarsi per sostenere l’Unione.

    Al confronto con gli Stati, la Commissione si presenterà con alcune cifre: per rafforzare il controllo delle frontiere occorreranno risorse da 8 a 150 miliardi di euro per un periodo di 7 anni, a seconda del rafforzamento che si vorrà realizzare, mentre per le politiche comuni di agricoltura e coesione (che rappresentano il 70% dell’attuale bilancio) verrà chiesto di scegliere oculatamente chi merita di essere sostenuto, perché tale scelta comporta un risparmio di 95-124 miliardi di euro nell’attuale programma di 370 miliardi di euro (la scelta si preannuncia dura per i Paesi contributori netti più sviluppati, le cui regioni più ricche oggi beneficiano anch’esse del fondo).

    L’Ue deve inoltre affrontare il buco annuale da 12 a 15 miliardi di euro nel futuro quadro finanziario pluriennale (QFP), conseguente all’uscita della Gran Bretagna. Oettinger ha escluso il taglio del budget della commissione, ricordando agli ascoltatori che, negli ultimi 7 anni, l’amministrazione dell’Ue è stata ridotta del 5%.

    Infine, nella ricerca di una mediazione tra le posizioni tedesche e francesi, la Commissione prevede una “funzione di stabilizzazione” separata per i membri dell’area dell’euro dalle crisi (il presidente francese Emmanuel Macron ha ipotizzato l’anno scorso un bilancio separato della zona euro, ma la Germania non lo vuole) e sta esaminando come subordinare il sostegno finanziario agli Stati all’osservanza dei principi dello Stato di diritto da parte di quegli stessi Stati (le crescenti preoccupazioni per Ungheria, Polonia, Romania e Malta rendono questa idea piuttosto plausibile, ma la questione è politicamente molto delicata perché per l’adozione del bilancio occorre l’unanimità dei membri della Ue).

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