bracconaggio

  • Fuori legge tre prodotti in avorio su quattro venduti nella Ue

    Buona parte dell’avorio comprato e venduto in Europa arriva dal bracconaggio e contribuisce a spingere gli elefanti verso l’estinzione, secondo quanto denuncia l’organizzazione Avaaz. Dopo aver comprato in 10 Paesi europei 109 oggetti fatti di avorio e averli fatti datare con un esame al carbonio 14 dall’Università di Oxford, Avaaz ha scoperto che il 74% di quegli oggetti era di provenienza illegale (in Italia gli oggetti acquistati sono stati 4 e tutti si sono rivelati illegali).

    Per dare visibilità ai risultati dello studio, pubblicati in un rapporto di 84 pagine, Avaaz ha realizzato un presidio di fronte alla Commissione Ue, mostrando i pezzi analizzati e il commissario all’Ambiente Karmenu Vella si è presentato per parlare con gli attivisti. “Un contributo molto utile”, ha scritto poco dopo su Twitter, pubblicando una foto dell’incontro e sottolineando che “proteggere la vita degli elefanti è una priorità”.

    Capire se un oggetto è illegale e frutto di bracconaggio è semplice. L’uccisione degli elefanti è vietata da tempo, perciò soltanto il commercio dell’avorio antico è ammesso. La normativa europea permette il commercio senza restrizioni esclusivamente di quello lavorato prima del 1947. Quello risalente al periodo compreso tra 1947 e il 1990 può essere venduto solo se accompagnato da un certificato che ne dimostri la provenienza, mentre è proibita la vendita di tutto l’avorio risalente a dopo il 1990.

    Ogni anno, sottolinea Avaaz, vengono uccisi oltre 30.000 elefanti, e il loro numero nella savana africana è diminuito di un terzo tra il 2008 e il 2016. “Senza provvedimenti – sottolinea Bert Wander, direttore della campagna – potremmo vedere gli elefanti estinguersi nel giro di qualche decennio. E non credo che nessuno in Europa voglia questo».

  • Un nuovo pericolo per l’ecosistema

    Gli animali selvatici sono sempre più a rischio e la loro scomparsa crea gravi problemi all’ecosistema: dalla catena alimentare alla conservazione dell’ambiente. In tutta l’Africa sono rimasti solo 20.000 leoni, il loro numero negli ultimi decenni è calato dell’80% a causa degli agenti inquinanti utilizzati in agricoltura che a loro volta portano alla morte di erbivori. A questo grande problema si aggiunge la diffusione di bocconi avvelenati, messi nelle carcasse si animali uccisi e lasciati lì per attirare i leoni, anche nelle zone protette delle riserve come il Maasai Mara in Kenya o nel Queen Elizabeth National Park in Uganda dove sono stati praticamente sterminati i leoni che vivono sugli alberi, come riporta un articolo di Farina sul Corriere della Sera. E’ certamente un problema da risolvere quello della convivenza tra agricoltori, pastori e animali selvatici ma la distruzione della fauna selvatica porta danni irreparabili non solo all’economia del turismo ma proprio alla conservazione del territorio. Nonostante il bestiame ucciso sia pagato ai proprietari da Big Life, lo sterminio dei leoni continua così come in Italia continua lo sterminio dei lupi nonostante la Comunità europea risarcisca i capi di bestiami eventualmente uccisi.

    Secondo le stime del WWF e dell’African Wildlife Foundation si calcola che le 2050 i leoni potrebbero essere estinti e per gli elefanti il pericolo è ancora più imminente, le stesse giraffe sono calate del 40% e si parla di 4.000 specie che rischiano di scomparire. La perdita di habitat infatti colpisce tutti gli animali selvatici e la sparizione degli animali è, insieme al cambiamento climatico, uno dei più grandi pericoli per l’ambiente e perciò nel tempo per l’uomo. Se ai problemi di cui sopra aggiungiamo quelli derivanti dal bracconaggio che porta addirittura i bracconieri ad uccidere le guardie che tutelano i parchi si comprende bene come il problema stia diventando sempre più grave nonostante vi siano mote persone che dedicano la loro vita alla salvaguardia della natura e degli animali, tra questi ricordiamo Laurie Marker. La professoressa Marker nel 1990 ha aperto in Namibia il Cheetah Conservation Fund, centro di ricerca che si occupa della salvaguardia e cura dei ghepardi, specie a rischio di estinzione.

  • A scuola di antibracconaggio grazie ad un accordo tra ENCI e Carabinieri

    Si chiamano Mora, Furia, Titam, Kenia, Africa, Dingo, India, Lapa e Puma, ovvero tre cani di razza labrador e sei pastore belga malinois che grazie a delle tecniche specializzate contribuiranno a contrastare il bracconaggio. E tre di loro, come riportato da AnmviOggi,  erano alla conferenza stampa dello scorso 26 aprile in cui è stata presentata la Scuola di Alta Formazione Anti Bracconaggio (Safa) presso il Comando Generale Unità Forestali Ambientali Agroalimentari Arma dei Carabinieri (Cufaa) di Roma. Durante l’incontro è stata fatta anche una piccola dimostrazione pratica sulle tecniche addestrative utilizzate. Il presidente dell’ENCI Dino Muto ha sottolineato come l’Ente Nazionale Cinofilia Italiana, che è partner attiva del progetto, negli ultimi anni abbia allargato il ventaglio delle proprie azioni per la valorizzazione ed impiego del cane di razza anche e soprattutto in contesti di utilità sociale attraverso un percorso di confronto internazionale con alcuni fra i migliori professionisti dei vari settori operativi e che procede di pari passo con la partecipazione a diversi tavoli istituzionali che Enci ha aperto con gli istituti e gli enti che operano nel settore della gestione e conservazione della fauna.

  • Quasi 200 assassinii nelle fila degli ambientalisti nel 2017

    Il 75enne geografo americano Esmond Bradley Martin, ucciso con una pugnalata a Nairobi all’inizio di febbraio, è l’ultima vittima di una lunga serie di assassini, catalogata dalla Ong Global Witness in collaborazione con il quotidiano britannico The Guardian, tra le fila di quanti si adoperano per proteggere la natura così come è. Il nemico numero uno di bracconieri e contrabbandieri impegnati in traffici illegali di avorio va infatti ad aggiungersi a 197 defenders assassinati nel 2017 per il loro impegno nel proteggere la natura e la terra contro trafficanti, imprese e governi. Ed il problema non investe solo l’Africa: in Spagna due poliziotti rurali sono stati uccisi da un cacciatore dal grilletto facile. Guardando all’elenco, non c’è praticamente angolo del pianeta che non abbia registrato delitti riconducibili a questa matrice: dagli indigeni in Amazzonia ai rangers della Repubblica democratica del Congo, passando dalle Filippine, il Paese più letale per ambientalisti e difensori della terra (41 morti); in Colombia sono stati uccisi 32 attivisti, in Messico 15, in Brasile 46

    Se il 60% degli omicidi contro i defenders è imputabile agli interessi del business agricolo o minerario, la ong Global Witness evidenzia però anche alcuni dati positivi: dopo 4 anni di crescita, nel 2017 il numero di omicidi in Honduras e Nicaragua è rimasto stabile mentre la Dutch Development Bank, che aveva finanziato una diga in Honduras ha annunciato maggior ponderazione degli investimenti in seguito all’assassinio di un’attivista che contestava la costruzione di una diga in Honduras resa possibile dai finanziamenti della banca d’investimenti olandese.

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