L’Amazzonia è l’ultima area in ordine di tempo ad andare in fiamme quest’estate, dopo Siberia, Isole Canarie, Alaska, e Groenlandia. In Siberia sono bruciate ad agosto oltre 5 milioni di ettari di foreste, una superficie pari a poco meno della metà dell’intero patrimonio forestale italiano. Nelle Isole Canarie le fiamme hanno costretto alla fuga oltre 8.000 persone. Solo pochi giorni prima vasti incendi hanno interessato Alaska e Groenlandia.
L’incendio negli stati brasiliani di Amazonas, Rondonia, Mato Grosso, Parà e anche nella parte dell’Amazzonia che ricade sotto il Paraguay colpisce però la foresta pluviale amazzonica, la più grande foresta tropicale del mondo. Dall’inizio dell’anno nella foresta pluviale amazzonica sono stati registrati circa 75mila eventi incendiari, un numero record, quasi il doppio rispetto al numero d’incendi nello stesso periodo del 2018. L’istituto nazionale per la ricerca spaziale (INPE) ha rilevato che a luglio sono andati in fumo 225mila ettari di foresta pluviale amazzonica, anche questo un dato senza precedenti, il triplo rispetto a quelli del luglio 2018.
La foresta pluviale amazzonica non prende fuoco per cause naturali, perché rimane umida per gran parte dell’anno. Gli incendi – secondo le istituzioni di ricerca e le organizzazioni non governative che operano in Amazzonia – sono da ricondurre agli agricoltori e alle grandi imprese zootecniche e agro-industriali, che usano il metodo, illegale, “taglia e brucia” per liberare la terra, non solo dalla vegetazione, ma anche dalle popolazioni locali e indigene. Gli alberi vengono tagliati nei mesi di luglio e agosto, lasciati in campo per perdere umidità, successivamente bruciati, con l’idea che le ceneri possano fertilizzare il terreno. Quando ritorna la stagione delle piogge, l’umidità del terreno denudato favorisce lo sviluppo di vegetazione nuova per il bestiame.
L’allevamento del bestiame è responsabile dell’80% della deforestazione in corso nella foresta pluviale amazzonica. Una parte significativa dell’offerta globale di carne bovina, compresa gran parte dell’offerta di carne in scatola in Europa, proviene da terreni che un tempo erano la foresta pluviale amazzonica.
Gli incendi sono poi favoriti e sostenuti dalle condizioni climatiche estreme, da ondate di calore prolungate e intense e da siccità prolungate, insolite per questa parte del mondo. L’amministrazione USA per gli oceani e l’atmosfera (NOAA) ha comunicato lo scorso luglio è stato il luglio più caldo mai registrato da quando sono in uso gli strumenti per la misurazione del clima. Nella lista dei cinque mesi di luglio più caldi, appaiono quelli degli ultimi cinque anni. Questo non vale solo per l’emisfero settentrionale, dove in questo momento è estate, ma in tutto il mondo.
La distruzione e il degrado del manto forestale avrà importanti conseguenze nella regione. Senza alberi e senza vegetazione che svolgono la funzione di ancorare il terreno e di trattenere l’umidità, la vegetazione sottostante può seccarsi, facilitando la combustione. Senza gli alberi, che attraverso la traspirazione liberano un enorme volume di acqua ed emettono sostanze chimiche che lo fanno condensare, diminuiranno le piogge.
In questo momento, l’Amazzonia è stata disboscata per oltre il 15% rispetto al suo stato iniziale (epoca pre-umana). Gli scienziati sono preoccupati che se il disboscamento dovesse raggiungere il 25%, non ci saranno abbastanza alberi per mantenere l’equilibrio del ciclo dell’acqua. La regione attraverserà un punto critico ed eventualmente evolvere verso la savana. Ciò avrebbe enormi conseguenze anche per il resto del mondo. La foresta pluviale amazzonica produce enormi quantità di ossigeno. La sua vegetazione trattiene miliardi di tonnellate di carbonio nella vegetazione, nella lettiera e nel suolo, che potrebbero ossidarsi e liberarsi in atmosfera, aumentando l’effetto serra.
L’Amazzonia è anche un hotspot della biodiversità e include il luogo più ricco di biodiversità sulla Terra, rendendo la sua conservazione una questione chiave per arrestare l’estinzione estinzioni di piante e animali. Centinaia di migliaia di indigeni in oltre 400 tribù vivono in Amazzonia e fanno affidamento sulla foresta pluviale per sostenere le loro vite e preservare le loro culture.
Alla radice di quest’aumento di incendi e deforestazione in Brasile molti vedono gli indirizzi che il nuovo governo di Brasilia ha voluto rispetto alle politiche di conservazione avviate dai governi precedenti: allevatori e imprenditori agricoli si sentono incoraggiati e sostenuti ad avviare attività di ‘sviluppo’ in territori coperti da foreste, molti dei quali sono territori indigeni. Negli ultimi giorni è arrivata la decisione dei governi norvegese e statunitense di interrompere il finanziamento dei progetti di conservazione delle foreste di fronte alla ripresa della deforestazione.
Secondo l’IPCC la gestione delle aree agricole (specialmente la coltivazione per sommersione del riso) e l’allevamento di bestiame producono circa l’11% delle emissioni globali. In totale, un quarto delle emissioni globali di gas serra.