capitalismo

  • Capitalismo vs capitalismo: lo stile di vita di Musk e le contestazioni della bibbia di Wall Street

    Work hard, play harder recita un motto americano, che in italiano potremmo rendere, in forma un po’ più smorta, con le parole di Adriano Celentano (a suo tempo fonte di polemiche): chi non lavora non fa l’amore. Eppure proprio negli States non accennano a smorzarsi le critiche su Elon Musk. Che abbia creato valore, cioè svolto quella che è la funzione propria dell’imprenditore in un’economia di mercato (secondo la lezione di Milton Friedman) è fuori di dubbio. Ma il work che Musk ha svolto non lo mette al riparo da contestazioni sul suo lifestyle da parte soprattutto del Wall Street Journal.

    Ripreso in Italia da La Stampa, il quotidiano newyorchese riferisce un caso del 2017 che ha visto coinvolto uno dei più importanti manager di Tesla, il venture capitalist Steve Jurvetson, dimessosi dopo uno scandalo di sesso e droga, tentazioni a cui sarebbe stato introdotto a Musk. Lo stesso Musk ha poi piazzato il compagno di svaghi alla direzione di SpaceX. Secondo le fonti del Wsj – riporta ancora la testata torinese – molti attuali ed ex direttori di Tesla e SpaceX sono a conoscenza dell’uso di droghe da parte di Musk ma non hanno intrapreso alcuna azione pubblica. E alcuni di loro hanno partecipato ai festini ma per timore di perdere i miliardi di compensi non tradirebbero mai il loro boss. Negli ultimi anni l’imprenditore ha partecipato ad una serie di party con Joe Gebbia, co-fondatore di Airbnb e membro del cda di Tesla, durante i quali ha assunto ketamina attraverso una boccetta di spray nasale. Altri manager hanno preso parte alle feste all’El Ganzo, un boutique hotel a San José del Cabo, in Messico, noto per la sua scena artistica e musicale nonché per eventi a base di droghe. Una commistione di vita privata, trasgressioni e affari che sta diventando fuori controllo e da un punto di vista del mercato è sul filo dell’illegalità.

  • Il coronavirus e il capitalismo nazionalista della Cina

    Li Wenliang è morto ucciso da quel coronavirus che per primo aveva denunciato cercando, inutilmente, di allertare autorità ed istituzioni. Era stato smentito, punito, redarguito dalla polizia. Poi quando divenne chiaro a tutti che aveva ragione, era tornato a fare il suo lavoro di medico e, infine, contagiato è morto. Possiamo domandarci quante vittime in meno vi sarebbero state se fosse stato ascoltato subito, possiamo domandarci se lui stesso avrebbe potuto essere ancora vivo se fossero state prese tutte le precauzioni necessarie rispetto ad un virus così pericoloso e non avremo probabilmente mai le risposte. Ma quello che ora possiamo affermare senza tema di smentita è che il sistema cinese non è l’esempio di un sistema politico autoritario ma efficiente ed attento al benessere comune! Il sistema cinese è una dittatura severa, oppressiva verso i suoi cittadini, aggressiva verso i mercati mondiali  in quanto non sempre rispetta le regole comuni di mercato e di salvaguardia della salute. La Cina, che ha comperato diversi tra i maggiori porti europei, ha colonizzato l’Africa attraverso l’indebitamento estremo di quei paesi che hanno accettato i suoi prestiti e la costruzione di infrastrutture, ha creato un sistema globale d’ascolto per selezionare ed indirizzarci, dai consumi alle scelte economiche che diventano di fatto politiche, è la faccia più spietata di un capitalismo nazionalista che per affermarsi non guarda in faccia a nulla e passa sui morti e feriti con l’indifferenza di chi, parlando di armonia, pensa che l’unico modo per raggiungerla sia il pensiero unico e la limitazione della libertà.

    La via della seta si è tramutata nell’autostrada del virus e solo oggi, forse, qualche politico, disattento alla storia ed alla realtà geopolitica globale, dovrà cominciare a tornare indietro sulle decisioni prese solo per opportunità senza avere valutato le conseguenze e le implicazioni delle sue scelte, dall’Italia al Regno Unito.

    Che in Cina fossero violati i diritti umani e di libertà, salvo quella di arricchirsi se facevi parte del partito unico, che la Cina sia stata uno scorretto, manifestamente scorretto, competitore commerciale sia per l’esportazione di prodotti illegali e, o contraffatti, un esportatore di quote d’acciaio eccedenti e spesso non “pulite”, utilizzando paesi vicini per aggirare il problema quote, che abbia attuato un dumping di stato era ed è chiaro a tutti da anni ma è altrettanto chiaro che la comunità internazionale ha chiuso coscientemente gli occhi. Ora che il Coronavirus ci mette tutti di fronte a rischi reali, che si sa che di questo virus autorità ed alcuni medici  erano al corrente ed hanno consapevolmente taciuto arrivando addirittura a vessare l’unico medico che, a distanza di più di un mese dai primi contagiati, ha trovato da solo la verità ed il coraggio di denunciarla, subendo conseguenze inaccettabili in un paese civile, come pensano di muoversi le istituzioni internazionali ed i singoli governi? Da un lato va fatto tutto quanto è possibile per aiutare il popolo cinese e quanti sono stati e rischiano di essere contagiati in ogni parte del mondo, dall’altro deve cambiare l’atteggiamento verso il governo cinese perché vi deve essere un limite alla capacità occidentale, e non solo, di vendersi, per interessi commerciali momentanei, l’anima, la salute, i diritti umani più elementari.

  • La Cina e la nuova ideologia del comunismo capitalista

    Sostenere la difesa dei diritti umani o la difesa della propria identità e sovranità sono concetti che non vanno d’accordo con una più forte alleanza culturale ed economica con la Cina e con il governo del suo presidente a vita. Abbiamo più volte parlato della capacità espansiva ed egemonica che i cinesi hanno dimostrato di possedere, in varie parti del mondo, ed oggi dobbiamo affrontare un nuovo aspetto e cioè quello ideologico. Mentre il mondo occidentale ha ritenuto una conquista la morte delle ideologie e, non avendo saputo sostituirle con idee e valori, è caduto nel vuoto culturale e politico e nella recessione economica, i cinesi hanno fatto dell’ideologia in divenire il motore del loro sistema politico e sociale.

    Prendendo spunto da un’intervista dello scrittore spagnolo Javier Sierra (5 milioni di libri venduti nel mondo), intervista rilasciata a  Edoardo Vigna e pubblicata da Sette del Corriere della Sera, nella quale Sierra afferma che finite le ideologie le stesse sono state sostituite dall’interesse economico del momento, non possiamo che prendere atto che questo è il motivo principale per il quale il continente europeo si sta frammentando in rivoli di interessi e partiti contrapposti che, minando l’unità di schema e di strategie, ci tiene in  un perenne conflitto interno, conflitto che non ci consente di essere in grado di valutare quali e che tipo di rapporti dobbiamo avere con altri paesi e con altri mondi.

    Sierra parla della continua ricerca di identità dei popoli europei che continua dalla fine della Seconda guerra mondiale, parla del problema scuola e cultura, dell’immigrazione e delle nuove generazioni che sembrano convinte di poter governare disprezzando l’esperienza e le persone con più anni: “i giovani hanno molto da guadagnare dalla politica ma poco da dare, da portare, i politici più anziani possono invece dare molto apporto perché ormai dovrebbero avere  poche ambizioni, non dare valore agli anziani è uno degli errori dell’Occidente”, ha affermato Sierra. Anche queste sue considerazioni, così controcorrente, ci riportano al problema Cina, alla nostra fragilità che ci fa distruggere storia ed esperienza mentre la capacità cinese è in grado di permeare, con la saggezza di Confucio, la nuova ideologia del comunismo capitalista. La Cina è il massimo esempio della capacità di coniugare la libertà d’impresa all’interno di un sistema statale centralizzato. Pensieri e considerazioni sui quali veramente è impossibile immaginare che si possano trattenere, anche per poco tempo, i pensieri dei nostri rappresentanti di governo e di opposizione, pensieri per altro e considerazioni che non siamo in grado di fare renderanno gli accordi tra Italia e Cina non una opportunità ma un’ulteriore spinta negativa sia alla nostra economia che alla nostra libertà e identità. Ci dovranno poi spiegare i rappresentanti di governo quali accorgimenti metteranno in essere per evitare che dai porti già di predominio cinese e di quelli che presto lo diventeranno, Genova, Trieste, Palermo, continuino ad entrare merci illegali e merci contraffatte che già da anni hanno invaso il nostro mercato mettendo in ginocchio diversi settori dell’economia italiana.

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