carestia

  • Corsi e ricorsi

    1932: nei lunghi mesi che vanno dal 1932 al 1933 una terribile carestia sconvolse l’Ucraina, una calamità che fece morire di fame milioni di persone. Una tragedia che gli ucraini ricordano col nome di Holodomor, sterminio per fame.

    La insensata campagna di forzata coltivazione agraria, iniziata da Stalin nel 1929, è l’inizio di quella tragedia.

    Nelle campagne della fertile Ucraina, domata nel 1917 dopo una strenua resistenza alla Russia, arrivano migliaia di funzionari sovietici mandati da Mosca ad imporre la pianificazione voluta dal soviet. E’ la fine della libertà, della proprietà privata, dell’agricoltura tradizionale che aveva dato da vivere fino ad allora, è la nascita dei kolchoz, di quelle cooperative agricole nelle quali i contadini non erano più agricoltori proprietari ma braccianti che dovevano seguire ordini altrui con uno stipendio statale.

    La terra, gli animali, i macchinari, i raccolti diventarono tutti di proprietà pubblica.

    I piccoli proprietari, i piccoli agricoltori si ribellarono, quella terra era loro, dei loro padri, dei loro figli, non poteva diventare proprietà del soviet che bollò i kulaki come forza contro la rivoluzione e ne deportò due milioni in Siberia, da dove non sarebbero più tornati.

    Chi non fu deportato e non riuscì a scappare diventò un nuovo servo della gleba, caduto nella disperazione cercò di non contribuire più ai lavori, entrò in una resistenza apparentemente passiva, i contadini, che non volevano collaborare con il soviet, cercarono, quando potevano, di nascondere i raccolti e, piuttosto che consegnare gli animali al kolchoz, li macellarono o li lasciarono andare via liberi.

    La produzione agricola crollò di anno in anno e Stalin, senza la produzione necessaria di grano e perciò di pane, aumentò le restrizioni, fece requisire più del 70% del grano prodotto in Ucraina lasciando la popolazione senza cibo, promulgò la legge delle cinque spighe per la quale chiunque fosse stato trovato a nascondere un pugno di cibo, un pezzo di pane, poteva essere punito con dieci anni di carcere nei terribili gulag o con la fucilazione.

    La fame diventò dilagante, la carestia, causata dalle sciagurate scelte del regime comunista, la totale mancanza di cibo dovuta alle continue requisizioni portarono a milioni di morti dei quali una gran parte bambini.

    2022: sono passati 90 anni da quella tragedia e Putin, il nuovo Stalin che prova ad ammantarsi dei panni di uno zar mentre è solo un dittatore assassino, riprova ad annientare l’Ucraina: dove le bombe non sono riuscite a piegare l’esercito ed il popolo ora prova con il freddo e il buio.

    La storia si ripete: sull’Ucraina si abbatte ancora una volta la spietatezza di un uomo, del capo della Russia, che si chiami grande Russia o soviet poco cambia, ma questa volta gli ucraini non sono soli, il loro coraggio ha trovato, e deve continuare a trovare, appoggio, aiuto concreto, condivisione in Europa e in tanta Stati e popoli nel mondo e i terribili giorni di Holodomor dovrebbero essere ricordati da tutti come i giorni di un vero genocidio.

    Questa volta la storia non deve ripetersi.

  • Non è più il tempo di parole al vento

    Come tutti sanno il corpo umano può anche sopravvivere giorni senza mangiare ma senza bere muore.

    Il problema della mancanza d’acqua è stata la tragedia che tanti popoli hanno subito nei paesi più aridi ed oggi, con il cambiamento climatico, è diventato un grave problema per tutti.

    La siccità impedisce di coltivare la terra e perciò di produrre cibo, dell’acqua hanno bisogno le piante come gli animali, la siccità, la mancanza d’acqua, blocca gran parte della produzione idroelettrica e impedisce il raffreddamento della centrali nucleari che devono essere spente, come è successo in Francia questa estate.

    La mancanza d’acqua è il principale pericolo per la vita del pianeta.

    Un altro pericolo incombe: quello delle forti piogge su terreni inariditi dalla siccità e perciò non in grado di assorbire l’acqua che così si incanala in torrenti e fiumi che tracimano, esondano, allagano, distruggono anche perché non sorvegliati e con i letti non puliti da anni.

    Se a tutto questo aggiungiamo il dissesto idrogeologico di molte aree del pianeta comprendiamo bene come, di fronte ai cataclismi che gli scienziati prevedono sulla scorta di quelli già avvenuti, nessuno possa più tollerare l’incuria e l’indifferenza o la sprovvedutezza di chi, rappresentando le istituzioni, dovrebbe intervenire per mettere il più possibile in sicurezza il territorio.

    La mancanza d’acqua, secondo un rapporto internazionale, ha portato, negli ultimi decenni perdite per 120 milioni di dollari e tre quarti della popolazione mondiale, nei prossimi anni, sarà colpita dalla siccità e dovrà cercare rifugio in altri luoghi.

    Il rischio desertificazione di sempre più vaste aree del pianeta va di pari passo con catastrofi e alluvioni come quelle che hanno recentemente sconvolto il Pakistan.

    In Italia la nuova tragedia con morti, dispersi, feriti e la distruzione di ponti, strade, case, attività economiche distrutti da una spaventosa inondazione di acqua e fango speriamo ricordi alla classe politica che non è più il tempo di parole al vento.

    Se il gas è una priorità altrettanto lo sono la riqualificazione della rete idrica, perché stiamo buttando via l’acqua da decenni, e la bonifica del territorio partendo dai letti dei fiumi e dallo stop alla cementificazione ed al consumo di suolo.

  • Severe hunger threatens 13m in Horn of Africa – UN

    The United Nations’ World Food Programme (WFP) says 13 million people across the Horn of Africa face severe hunger because of continued drought.

    Failed harvests and food shortages are forcing families from their homes, the WFP says, and immediate assistance is needed to prevent a humanitarian crisis.

    The rainy season has failed three years in a row – and the drought continues.

    Crops are ruined, livestock are dying, and 13 million people in Ethiopia, Somalia, and Kenya are going hungry.

    Food prices are rising, and with little to harvest, demand for agricultural labour is falling, increasing the pressure on families trying to feed themselves.

    Without immediate assistance, the WFP says, a humanitarian crisis is unavoidable.

    The WFP is appealing for $327m (£242m) to respond to the drought – in the short term to provide food and cash grants, and in the long term to build resilience among farming communities where less rain and more drought could, with climate change, become the norm.

  • UN chief warns of Yemen ‘death sentence’ as donor pledges fall short

    UN Secretary-General Antonio Guterres on Monday expressed his disappointment that a virtual pledging event has failed to raise sufficient funds to avert a large-scale “man-made” famine in Yemen, urging donors to reconsider their stance.

    “Millions of Yemeni children, women and men desperately need aid to live,” Guterres said in a statement, adding that “cutting aid is a death sentence.”

    While the UN chief was hoping to raise some $3.85 billion, the pledging event that was co-hosted by the United Nations, Sweden and Switzerland, fell short of the $1.9 billion needed to avert famine, as it only gathered $1.67 billion in pledges.

    “The best that can be said about today is that it represents a down payment,” Guterres said.

    According to the UN aid chief Mark Lowcock, 16 million Yemenis, meaning more than half the population of the Arabian Peninsula country, are going hungry, while of those, 5 million are on the brink of famine, – “the worst the world will have seen for decades”, as characterized by Lowcock.

    For much of its food, the war-torn country is heavily relied on imports that have been badly disrupted over the years by all warring parties. UN data have shown that almost 80% of Yemenis are in dire need of help, with 400,000 children under the age of five severely malnourished.

    The coronavirus pandemic comes on top of the prolonged conflict which has plunged Yemen into the world’s largest humanitarian crisis. In a bid to find a solution, the UN are trying to revive peace talks between warring parties, while the new US administration under President Joe Biden has set Yemen as a priority.

  • Il Corno d’Africa devastato da sciami di sciami di cavallette e locuste

    Mentre incombono i pericoli sanitari e le conseguenze economiche del coronavirus un’altra sciagura si abbatte non solo sul continente africano, infatti l’invasione delle micidiali locuste sta già raggiungendo aree dell’India e del Pakistan.

    20 milioni di persone sono ormai coinvolte dalla calamità sia nel corno d’Africa che in Kenia e le cavallette avanzano e colpiscono anche le zone della Tanzania vicine al Kilimangiaro. Le Nazioni Unite parlano al momento di 200 miliardi di insetti, velocissimi negli spostamenti e nella riproduzione, che partiti dallo Yemen stanno invadendo l’Africa orientale già provata per le inondazioni dovute alle spaventose piogge fuori stagione. I raccolti già in parte distrutti sono stati azzerati definitivamente dall’arrivo delle cavallette, i filmati sono impressionanti, il cielo è veramente oscurato dall’arrivo di sciami di milioni e milioni di insetti che dove passano creano il deserto. La FAO ha lanciato un appello alla comunità internazionale, servono non solo aiuti alimentari ma strumenti per distruggere questo flagello. Per il Kenia si tratta della più massiccia invasione da più di 70 anni, vi sono  sciami  di più di 40 milioni di esemplari per chilometro quadrato, sciami lunghi 60 chilometri e larghi 40, scene apocalittiche: le cavallette hanno già distrutto 175 milioni di acri, uno sciame medio piccolo distrugge il raccolto che serve a sfamare per un anno 2500 persone.

    Per la situazione da guerra civile che si protrae in Somalia e la presenza costante degli Shabaab non è possibile utilizzare l’unico strumento adatto per distruggere le cavallette che è irrorarle dagli aerei con potenti insetticidi. L’Uganda per cercare di impedire l’arrivo ed il diffondersi di questa piaga sta già utilizzando anche l’esercito ed in Etiopia la presenza delle cavallette ha messo a rischio più volte il traffico aereo.

    Gli esperti dicono che se non vi sarà una rapida distruzione delle cavallette queste, che si riproducono con gran velocità, potrebbero aumentare entro giugno di 500 volte e considerando che possono compiere anche 150 chilometri al giorno diventerebbero un pericolo per altri paesi non solo africani. Incombe la possibilità di una carestia senza precedenti e di tutte le malattie che ne potrebbero derivare con conseguenze anche per i paesi europei  che si affacciano sul mediterraneo ma sembra che sul problema non ci sia sufficiente percezione sia dalla comunità internazionale in genere che più in particolare dell’Unione Europea. Infatti sono arrivati solo una minima parte degli aiuti richiesti dalla FAO che inoltre, tramite il direttore per le emergenze, fa  sapere che l’invasione abnorme delle locuste del deserto è un altra dimensione dell’emergenza climatica che potrebbe peggiorare nei prossimi anni.

  • Si può salvare il lago Ciad e con esso l’Africa

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi pubblicato su I’taliaOggi’ il 9 maggio scorso. L’argomento trattato era già stato affrontato nel 2013 dall’On. Cristiana Muscardini con alcune interrogazioni parlamentari rivolte alla Commissione europea per attirare l’attenzione sul problema della siccità nell’area in questione e sollecitare un intervento concreto di collaborazione da parte dell’Europa.

    Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha recentemente dichiarato l’intenzione di affiancare il presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, nella raccolta di fondi per la realizzazione del progetto di «trasferimento idrico» dalla regione dell’Africa centrale verso il Lago Ciad, nel Sahel. Intendono presenziare insieme a un Forum Speciale dove coinvolgere sponsor pubblici e privati per finanziare il progetto. L’intero grande progetto richiederebbe 50 miliardi di dollari che i paesi direttamente interessati dal bacino acquifero del lago Ciad, cioè la Nigeria, il Camerun, il Niger e il Ciad, ovviamente non sarebbero da soli in grado di disporre. L’accordo è stato mediato dall’African Development Bank, che, negli anni passati, si è mossa con grande impegno per la realizzazione d’infrastrutture in Africa e portare il continente e la sua popolazione fuori dal sottosviluppo e dal continuo spettro della povertà.

    A causa di una gestione del lago quasi inesistente e, soprattutto, dell’avanzamento del deserto, nei decenni passati il lago ha perso il 90% della sua superficie, con catastrofici effetti climatici e sociali. Come è risaputo, intorno al bacino del lago vivono circa 30 milioni di persone che, di giorno in giorno, vedono le loro vite e il loro futuro sempre più minacciati. Di conseguenza, sono sorti conflitti tra i paesi rivieraschi per l’approvvigionamento dell’acqua e forti tensioni tra agricoltori e pescatori. Una vera lotta tra poveri. Non c’è quindi da essere sorpresi se i giovani di queste terre vogliano o debbano emigrare e se altri possano finire nelle reti del terrorismo e del crimine organizzato. Com’è noto sono proprio la mancanza di lavoro e le guerre locali, le cause principali delle migrazioni anche verso l’Europa.

    È il caso di ricordare che la parte centrale del programma d’investimenti ipotizzato sarebbe la realizzazione del «Progetto Transaqua», elaborato ben 40 anni fa dall’impresa italiana «Bonifica» del gruppo Iri per la creazione di un canale lungo 2.400 km per portare acqua dolce dal fiume Congo verso il lago Chad. Già nel febbraio 2018 nella conferenza internazionale sul lago Ciad, tenutasi ad Abuja in Nigeria con la partecipazione anche dell’Italia e dell’Unesco, si era sostenuto con forza la realizzazione di Transaqua. Allo stato, il trasferimento idrico tra i bacini acquiferi non ci sembra un’opzione né un «miraggio faraonico» ma una vera e propria necessità.

    Si prevede il trasferimento di 100 miliardi di metri cubi di acqua all’anno dal bacino del fiume Congo al lago Ciad, equivalente a circa l’8% della portata del fiume, che, comunque, la scarica tutta nell’Oceano Atlantico. Il piano prevede anche la costruzione di un sistema di dighe, bacini artificiali e canali che forniranno energia pulita, trasporto fluviale e acqua dolce per le popolazioni interessate e per lo sviluppo di un moderno settore agroindustriale nell’Africa Centrale. Transaqua affronta molti aspetti della crisi africana, offrendo la possibilità di lavoro e benefici per i paesi a sud del Sahel, inclusa la Repubblica Democratica del Congo, che metterebbe a disposizione l’acqua in cambio di un importante arricchimento infrastrutturale e produttivo.

    Come prevedibile, la Cina è il primo paese a essere interessato, non solo per ragioni geopolitiche ma anche per soddisfare la sua necessità di importare beni alimentari. Già nel 2016 PowerChina, il gigantesco conglomerato industriale cinese che ha costruito anche la diga delle Tre Gole, aveva discusso del progetto con il governo della Nigeria esprimendo la sua disponibilità a partecipare al finanziamento e alla realizzazione dello stesso. Oltre ai grandi investimenti miliardari in molti paesi dell’Africa, Pechino organizza ogni due anni uno specifico forum con la partecipazione di tutti i capi di stato africani. L’ultimo si è tenuto lo scorso settembre dove la Cina ha presentato il piano d’integrazione dell’Africa nelle Vie della Seta, la Belt and Road Initiative. Nel frattempo si è mossa anche la Russia che il prossimo ottobre organizzerà il primo Russian African Summit con i leader di tutti i paesi africani.

    L’Italia, fin dai tempi di Enrico Mattei, è sempre stata attenta all’idea di una vera cooperazione e dello sviluppo dell’Africa. Da sola, però, non è riuscita a smuovere gli altri grandi attori occidentali e internazionali. Lo scorso ottobre è stato meritoriamente firmato un memorandum d’intesa tra il nostro Ministero dell’Ambiente e la Commissione del Bacino del Lago Ciad per il finanziamento dello studio di fattibilità del Progetto Transaqua. L’Italia vi contribuisce con 1,5 milioni di euro. Anche PowerChina cofinanzia lo studio. Negli ultimi anni l’Europa ha ripetuto la necessità di lanciare un «Piano Marshall per l’Africa» per sviluppare il continente e per contenere il flusso dei cosiddetti «migranti economici» verso l’Europa. Questo a parole.

    L’Italia ha sempre mantenuto un rapporto storico positivo con molti paesi africani. Siamo conosciuti come i costruttori di dighe e d’importanti infrastrutture. È interesse nostro e dell’Europa di lavorare per una genuina collaborazione, superando anche qualche vecchio retaggio del colonialismo di certi paesi europei.

    In definitiva, la realizzazione del grandioso progetto in questione sarebbe un aiuto concreto allo sviluppo del continente africano e un modo serio di «aiutarli a casa loro». Sarebbe, inoltre, anche una scelta coerente per difendere la Terra dal processo di desertificazione evidenziato dallo stesso Onu. Sarebbe probabilmente una risposta importante al problema dei mutamenti climatici denunciati dagli scienziati e dai giovani di tutto il mondo.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

     

Pulsante per tornare all'inizio