Il conflitto catalano torna a scuotere il dibattito politico in Europa e in Spagna dopo la notizia arrivata da Bruxelles il 9 marzo: il Parlamento Europeo ha revocato l’immunità agli eurodeputati Carles Puigdemont, Clara Ponsatí e Toni Comín, che da più di tre anni vivono fuori dalla Spagna. In patria sono ricercati dalla giustizia per aver partecipato nel 2017 — quando ricoprivano, rispettivamente, gli incarichi di presidente ed assessori regionali in Catalogna — all’organizzazione di un referendum non autorizzato sull’indipendenza della regione e a un tentativo di dichiararne la secessione dalla Spagna.
Senza immunità, i 3 tornano a rischio di estradizione, ma a decidere se accettare gli ordini di arresto internazionali, dettati dal giudice spagnolo Pablo Llarena contro di loro, saranno i tribunali del Belgio (nel caso di Puigdemont e Comín) e della Scozia (per quanto riguarda Ponsatí): fu lì che si stabilirono una volta abbandonata la Catalogna, dopo che i tribunali spagnoli si erano attivati per giudicare loro eventuali responsabilità penali. “Oggi è un giorno triste”, ha detto Puigdemont sul verdetto dell’europarlamento, aggiungendo che “questo è un caso di persecuzione politica”. La notizia è stata invece accolta con “soddisfazione” dal principale socio della coalizione di governo a Madrid, il Partito Socialista, che a Bruxelles ha votato a favore insieme alle altre formazioni di centrosinistra, ai popolari e ai liberali. Per Adriana Lastra, portavoce socialista nel Congresso spagnolo, la revoca dell’immunità permette ai tribunali del Paese di fare “il proprio lavoro”. Non è dello stesso avviso Unidas Podemos, l’altra formazione dell’esecutivo, la quale in sede europea ha votato contro un provvedimento che — nelle parole di suoi esponenti — contribuisce a mantenere il conflitto catalano sul piano giudiziario invece che su quello del “dialogo”.
Tra i partiti italiani, il M5s e la Lega hanno lasciato libertà di voto, mentre Forza Italia, Pd e Fratelli d’Italia hanno votato a favore.
Mentre a Madrid si apriva un fronte politico interno al governo, l’ennesimo tra due soci non sempre allineati su temi di primo piano, un tribunale catalano rendeva nota un’altra decisione destinata a far discutere: la revoca della semilibertà — considerata “prematura” — per l’ex vicepresidente della Catalogna Oriol Junqueras e altri sei leader indipendentisti già condannati a pene di carcere tra i 9 e i 13 anni. I sette, che godevano di un beneficio penale (libertà diurna dal lunedì al giovedì), concesso dal gennaio scorso su decisione del governo catalano, dovranno ora restare in prigione.
Intanto, Llarena ha chiesto alla Corte di Giustizia europea un parere rispetto all’eventuale estradizione di Puigdemont, Comín e Ponsatí: vuole evitare che si ripeta un rifiuto dei colleghi belgi alle sue richieste d’arresto, come avvenuto nel caso dell’ex assessore regionale catalano Lluis Puig, anche lui ricercato in patria, ma che non è eurodeputato.