certificazione

  • Nuova macchina per arare il terreno inquinando di meno

    Brevettata in Inghilterra, prodotta in Polonia e distribuita in Italia da Agroland, la nuova seminatrice su terra dura Mzur è stata testata con successi sui terreni dell’azienda agricola Savini a Mosciano Sant’Angelo (Teramo) lo scorso 30 novembre. La macchina permette un’agricoltura di precisione, con la coltivazione a strip-till (a strisce), e conservativa perché senza aratura preserva la fertilità del terreno. Questo porta ad abbattere le emissioni di CO2, a ridurre i costi, grazie alla diminuzione dell’uso di carburante e di fertilizzanti, e a ridurre il consumo idrico.

    «Agroland tenta di portare in Italia una cultura nuova di lavorazione del terreno, con l’impiego di queste macchine per l’agricoltura di precisione, inserendosi in alcuni progetti più complessi come quello della mappatura della filiera», spiega Mattia Maretto, amministratore unico della società. Mappare la filiera consente di rendere tracciabile il grano e certificarne l’origine, quindi di valutare quali pesticidi possono essere usati durante la coltivazione (posto che la normativa sui pesticidi può variare da Paese a Paese). «Sempre più persone cominciano a scegliere un prodotto in base all’etichetta e i grandi marchi hanno la necessità di garantire ciò che scrivono». Indicare su un pacco di pasta che è stato fatto con una filiera del grano controllata e mappata, vuol dire che «l’azienda produttrice è in grado di identificare nel dettaglio, attraverso un sistema di monitoraggio costruito fin dalla lavorazione del terreno e dalla semina, tutti i prodotti che sono stati utilizzati per fare quel pacco di pasta» conclude Maretto. « Un sistema così rispetta ambiente e persone, e quindi il consumatore». Con l’ulteriore vantaggio di «potere garantire, in questo modo, che il prodotto è un vero Made in Italy».

  • Col green pass liberi di viaggiare all’interno dell’Unione europea

    L’Unione Europea ci prova, perché di più non può fare, visto che la sanità è competenza dei governi nazionali. I 27 Stati dell’Unione radunati nel Consiglio hanno approvato una raccomandazione coi quali si esortano i Paesi membri a pensionare la mappa del contagio e ad adottare unicamente il green pass come discriminante per adottare restrizioni nei confronti dei viaggiatori europei (con un chiaro favore per i vaccinati). Banalmente: chi è immunizzato non dovrebbe più essere soggetto a “misure aggiuntive”, come “test” d’ingresso o “quarantene”.

    “È giunto il momento di prendere in considerazione la revoca delle misure di viaggio aggiuntive che un certo numero di Stati membri ha messo in atto al di là delle raccomandazioni dell’Ue”, ha detto il commissario europeo alla Giustizia Didier Reynders al termine del Consiglio affari generali. A fargli eco è stata la commissaria per la Salute Stella Kyriakides: “Oggi i Paesi hanno riconfermato che il possesso di un valido certificato digitale di vaccinazione dell’Ue dovrebbe in linea di principio essere sufficiente per viaggiare durante la pandemia”. Questa la teoria. Poi, in pratica, è tutto un altro paio di maniche. La stessa raccomandazione precisa che il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) deve “continuare a pubblicare una mappa delle regioni degli Stati membri che indica il rischio potenziale d’infezione secondo il sistema a semaforo (verde, arancione, rosso, rosso scuro)” e la mappa deve essere basata “sul tasso di notifica dei casi a 14 giorni, sui livelli di vaccinazione e sul tasso dei test”.

    La mappa infatti non sarà totalmente dimissionata. Gli Stati membri potranno “scoraggiare” tutti i viaggi non essenziali “da e verso le aree rosso scuro”, dove il virus sta circolando “a livelli molto alti”, e richiedere alle persone che arrivano da queste aree, “e che non sono in possesso di un certificato di vaccinazione o di guarigione”, di sottoporsi “a un test prima della partenza e alla quarantena dopo l’arrivo”. Insomma, dal Consiglio emerge una forte volontà d’incoraggiare la vaccinazione in tutta Europa, benché il green pass Ue (rilasciato dalla sua introduzione in più di 1,2 miliardi di casi), oltre al certificato vaccinale e quello di guarigione, continui a prevedere il tampone (con validità a 72 ore se Pcr e 24, non più 48, se antigenico). L’ultimo punto spinoso, rispetto alle posizioni prudentiste assunte da alcuni Paesi, tra cui Italia e Francia, è quello della durata dei pass.

    E qui tocca fare un distinguo. Il Consiglio ribadisce la validità di 9 mesi. Il vicepresidente della Commissione, Maros Sefcovic, ha infatti annunciato inoltre che presto verrà presentata la proposta di estendere il green pass oltre giugno perchè “ha dimostrato di essere uno strumento efficace, essendo utilizzato da centinaia di milioni di persone e adottato da oltre sessanta Paesi». Resta peraltro valida la raccomandazione di “scoraggiare tutti i viaggi non essenziali e imporre alle persone provenienti dalle zone rosse (con alta diffusione del virus), che non siano in possesso di un green pass, di sottoporsi a un test prima della partenza e a quarantena dopo l’arrivo. Ma il ministro francese per gli Affari Europei Clément Beaune, in rappresentanza della presidenza di turno della Ue che è in capo a Parigi, ha chiarito che un conto è il certificato europeo, che garantisce la libertà di movimento verso l’Ue e all’interno dell’Ue, un altro ciò che si può fare con i pass all’interno dei singoli Stati. In pratica andare al ristorante o dal parrucchiere, prendere un treno, spedire un pacco alle poste, ecco, quello resta di competenza dei governi e la raccomandazione Ue potrebbe diventare lettera morta.

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