Chiesa

  • L’Occidente? Come una barca ubriaca nella notte

    Ogni anno nel mese di maggio è tradizione che si svolga un pellegrinaggio che parte da Parigi per arrivare, dopo un’ottantina di chilometri, alla cattedrale di Chartres. Quest’anno i pellegrini erano quindicimila ed hanno impiegato tre giorni per percorrere l’itinerario. Il 21 maggio, lunedì di Pentecoste, ad accoglierli nella magnifica cattedrale gotica consacrata alla Madonna (Notre Dame), c’era il card. Sarah, originario della Guinea, attuale prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, che ha officiato la messa e tenuto un’omelia dai toni forti e chiari, un discorso che meriterebbe di essere pubblicato per intero. Lo spazio a nostra disposizione non ce lo permette e cercheremo di evidenziare i punti più sensibili.

    “La società occidentale ha scelto di organizzarsi senza Dio, cadendo nella menzogna e nell’egoismo, abbracciando le ideologie più folli e diventando il bersaglio di un terrorismo etico e morale più distruttivo di quello degli islamisti. Perdonatemi queste parole, ma bisogna essere lucidi e realisti. Chi condurrà tante persone sul cammino della verità? Chi reagirà davanti all’attacco di un nichilismo disperato e un islamismo aggressivo?”. Sarah ha definito l’Occidente “come una barca ubriaca nella notte. Non ha abbastanza amore per accogliere i bambini, per proteggerli nell’utero della madre, non sa più come rispettare i suoi vecchi, accompagna i malati a morte. Non ha altro che vuoto e nulla da offrire”. Ai sacerdoti ha chiesto di “non diventare semplici assistenti sociali, perché così porteremo al mondo non la luce di Dio, ma la nostra luce umana, che non può bastare”. Ha in seguito criticato “l’ideologia che distrugge la famiglia” e “la struttura onusiana che impone una nuova etica mondiale alla quale tutti dovrebbero sottomettersi”. Il cardinale si è rivolto ai giovani citando il poeta inglese T.S. Eliot: “In un mondo di fuggitivi, la persona che prende la direzione opposta sembra un disertore”, ma dovete avere il coraggio di “combattere tutte le leggi contro natura che vi impongono, e di opporvi a tutte le leggi contro la vita e la famiglia. Cercate di prendere la direzione opposta, osate andare controcorrente. Amare davvero è morire per l’altro, come quel giovane gendarme, il colonnello Arnaud Beltrame”.
    E ancora: «Cari pellegrini di Francia, guardate questa cattedrale; i vostri avi l’hanno costruita per proclamare le loro fede; non erano senza peccato, ma volevano che la luce della fede illuminasse le loro tenebre. Oggi anche tu, popolo di Francia, risvegliati, scegli la Luce e rinuncia alle tenebre”.
    “Caro popolo di Francia, sono i monasteri che hanno fatto la civiltà del tuo Paese. Sono le persone, gli uomini e le donne che hanno accettato di seguire Gesù fino alla fine, radicalmente, che hanno costruito l’Europa cristiana. Perché hanno cercato Dio, hanno costruito una civiltà bella e pacifica come questa cattedrale”. Ed ha concluso: “Popoli dell’Occidente, tornate alle vostre radici, tornate alle vostre fonti, tornate al monastero”.

  • L’eredità di don Tonino Bello

    Dopo la visita di Papa Francesco ad Alessano e Molfetta nei giorni scorsi, il 6 maggio a Milano, alle ore 16,30, nel Salone della Federazione del Nastro Azzurro (via San Barnaba, 29) un convegno organizzato dall’Associazione regionale Pugliesi e dalla Federazione Provinciale dell’Istituto del Nastro Azzurro di Milano, con la partecipazione dell’Arcivescovo Mario Delpini, ricorderà la figura di don Tonino Bello per riflette sulla figura e l’eredità del “Vescovo degli ultimi”.

    Cos’ha da dire un testimone del Vangelo come don Tonino Bello agli uomini e alle donne del nostro tempo? Qual è il suo insegnamento per vivere la città di oggi con le sue contraddizioni e fatiche? “La chiesa del grembiule, l’ala di riserva, la convivialità delle differenze: tre modalità indicate da don Tonino Bello per vivere il proprio tempo”, il titolo dell’iniziativa realizzata in occasione del 25° anniversario della morte di monsignor Antonio Bello, chiamato affettuosamente don Tonino, che fu vescovo della diocesi di Molfetta (Bari) dal 1982 al 1993, presidente nazionale di Pax Christi, prematuramente scomparso per un male incurabile il 20 aprile 1993 e di cui è in corso il processo di beatificazione. Con la città di Milano don Tonino ebbe un rapporto particolare: nel dicembre del 1989, infatti, fu chiamato dall’allora arcivescovo, il cardinale Carlo Maria Martini, in occasione della festa patronale di Sant’Ambrogio, per proporre una riflessione durante il tradizionale “Discorso alla città”.

    La figura, il pensiero e l’eredità di don Tonino saranno affrontati prendendo spunto dalle immagini poetiche tipiche del suo linguaggio: il servizio (la chiesa del grembiule), la solidarietà (l’ala di riserva), la convivenza dei popoli all’insegna della pace e della fraternità (la convivialità delle differenze).

    Il convegno, che vedrà l’autorevole intervento dell’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, sarà moderato da Agostino Picicco (giornalista e autore di diversi volumi su monsignor Bello). Dopo i saluti istituzionali di Arnaldo Cassano, Presidente Federazione del Nastro Azzurro e di Camillo de Milato, Presidente dell’Associazione Regionale Pugliesi, ci saranno gli interventi di Giancarlo Piccinni, Presidente della Fondazione don Tonino Bello, don Maurizio Ormas, docente di Magistero Sociale presso la Pontificia Università Lateranense di Roma, Giuseppe Selvaggi, scrittore e studioso di tradizioni popolari.

    Verranno letti alcuni testi poetici di don Tonino a cura degli attori della Compagnia “Ora in scena”.

    Fonte: Associazione Regionale Pugliesi a Milano

  • Il piccolo guerriero Alfie lotta per vivere

    Ce la mette tutta il piccolo Alfie, lotta come un leone e, dalle 22.17 di lunedì sera, quando i medici lo hanno staccato dalla macchina per la respirazione, è ancora vivo, a dispetto delle lugubri previsioni dei luminari dell’Alder Hay Hospital di Liverpool dove è ricoverato. Respira da solo, senza macchine, sostenuto dall’eroica energia di papà e mamma che non lo lasciano un istante. Hanno anzi insistito, dopo diverse ore di respirazione autonoma, che gli venissero somministrati ossigeno e idratazione. In seguito hanno insistito per l’alimentazione artificiale.  Ma questa nuova, del tutto inaspettata situazione non ha fatto recedere di un passo né i medici, né i giudici, anzi! L’accanimento si è accentuato ed è ora ancora più incomprensibile il loro atteggiamento rigido e sordo a ogni apertura che lasci intravvedere una via di scampo per il piccolo lottatore.
    Di fronte all’offerta fatta lunedì dalle autorità italiane di trasferire il bambino presso l’Ospedale Bambin Gesù di Roma, infatti, dopo che con un provvedimento d’urgenza il nostro governo gli ha conferito la cittadinanza italiana, gli inglesi si sono ulteriormente irrigiditi e ieri hanno respinto gli ultimi due ricorsi dei genitori. Come si può spiegare un simile disumano comportamento? Un giornalista del sito conservatore americano Red State scrive che questo atteggiamento è del tutto analogo a quello dei comunisti di Berlino Est i quali, anche alcuni anni dopo la caduta del Muro, continuavano ad affermare con assoluta convinzione che il Muro“andava eretto per arginare la fuga dei cittadini verso l’Ovest libero e questo nell’interesse stesso dei fuggiaschi, perché solo rimanendo all’Est “avrebbero  potuto conoscere i benefici del socialismo”. Il socialismo ha quindi bisogno di prigionieri per affermare se stesso e questo sta avvenendo nel Regno Unito, dove il Sistema Sanitario Nazionale è un vero e proprio totem eretto al socialismo.
    Il fatto poi di tenere prigioniero il bambino, impedendo ai genitori di trasportarlo altrove, si può capire solo pensando che nel caso in cui altrove Alfie possa trovare cure più adeguate e migliori, possa provocare  una forte umiliazione per l’ex Impero britannico, un’isoletta un tempo padrona del mondo “sul quale non tramonta mai il sole”. E’ un nazionalismo sanitario, venato di sciovinismo al quale sembra oggi impossibile sottrarsi.
    Un’altra aberrazione della sentenza dei giudici di ieri, che ribadisce che la soppressione della vita “inutile” di Alfie (così l’hanno definita solo poche settimane fa nella sentenza che ne decretava l’obbligatorio  distacco dal respiratore) è fatta nel suo stesso interesse. Ma come è possibile che i giudici non comprendano cha la morte non può rappresentare un interesse per nessuno, soprattutto quando una diagnosi esatta non è stata mai formulata e, a maggior ragione, ora che il bambino respira da solo?
    Inoltre, i genitori hanno mostrato  numerose fotografie che dimostrano l’incuria nella quale è stato lasciato il povero Alfie nel corso della sua lunga degenza presso l’Alder Hay,  una scottatura al braccio e la sporcizia delle cannule per la respirazione e per l’alimentazione. E’ di queste ore la notizia che Padre Gabriele, il sacerdote italiano giunto a Liverpool da Londra qualche giorno fa per assistere e confortare Alfie e i  suoi genitori e che aveva impartito ad Alfie l’Unzione degli Infermi, è stato allontanato dall’ospedale, richiamato a Londra dai suoi superiori. “E’ una cospirazione per omicidio” – ha dichiarato il papà di Alfie nei giorni scorsi alle televisioni – “quella decisa dai medici e dai giudici di interrompere il sostegno delle macchine che fino a ora hanno tenuto in vita mio figlio”, denunciando la totale assenza di dialogo con i dirigenti dell’ospedale. “E’ disgustoso come hanno trattato Alfie, ventiquattro ore senza alimentazione. Anche un animale sarebbe stato trattato meglio” – ha scritto sulla sua pagina Facebook. Lui e la moglie Kate da alcune  notti dormono per terra, su dei materassi senza sostegno alcuno perché iI divano che c’era nella stanza di Alfie è stato portato via.
    A quale punto può arrivare la cattiveria di chi detiene il potere! Quali aspetti miserevoli e meschini possono nascondere una violenza di sopraffazione che non vuol concedere nulla a due genitori ventenni, poveri, che però lottano con tutta la loro energia e con estrema determinazione per non far morire il loro amatissimo Alfie, per dargli una nuova e più umana occasione di cure in Italia, tenendo testa ai potenti!
    Ci commuoviamo nel vedere il volto paffutello di Alfie appoggiato alla spalla della mamma. Anche i piloti dell’aereoambulanza pronta da giorni per trasportare Alfie in Italia sono stati allontanati dal nosocomio, controllato e pattugliato dalla polizia. E tutto per tenere prigioniero un piccolo di soli 23 mesi, trattato come un detenuto pericoloso perché la sua situazione ha mosso decine di migliaia di cittadini che non vogliono rassegnarsi a questa crudele ideologia di morte.
    E’ una frontiera, quella del nazionalismo, in qualunque genere esso si configuri, che non sarà mai oltrepassata attraverso i tribunali.

    E’ ormai chiaro che l’impasse non potrà essere superata attraverso la via giudiziaria, perché i giudici continueranno a respingere i ricorsi, col sostegno indiretto della Chiesa anglicana, che per ben due volte ha espresso la sua solidarietà e la sua fiducia nell’ospedale e nei giudici, dimostrando, se ancor ve ne fosse bisogno, che il secolarismo in Gran Bretagna ha fatto passi da gigante, tanto da far preferire, come nel caso di Alfie, l’eutanasia al diritto alla vita.
    Resta solo la strada diplomatica e quella politica. Dopo l’appello di Antonio Tajani, finalmente anche due deputate europee italiane, Silvia Costa e Patrizia Toia, hanno presentato ieri un’interrogazione d’urgenza ai Commissari europei competenti per la Salute e la Giustizia, per verificare se il diniego ad Alfie del diritto di ricevere cure in un altro Stato membro dell’Unione europea violerebbe i diritti fondamentali dell’UE e la libera circolazione dei pazienti nell’UE stessa.

    Thomas Evans, il papà di Alfie, ha parlato questa mattina ai microfoni di TV 2000 con Vito d’Ettore, chiedendo al Papa di recarsi a Liverpool per constatare di persona come Alfie viene tenuto prigioniero in quell’ospedale.  Tom ha poi aggiunto queste commoventi parole: “Grazie Italia, vi amiamo. Alfie è una parte della famiglia italiana, noi apparteniamo all’Italia”.

    Spontaneo e generoso senza riserve, questo papà. Se temiamo che l’ideologia della morte non arretrerà di un centimetro,  e intanto Alfie, questo indomito guerriero che si sente amatissimo dai suoi genitori, nella sua piccolezza ha già mosso e commosso il mondo, e sta dimostrando che la sua vita non appartiene di certo ai medici, ma neanche ai giudici. Ci auguriamo con tutto il cuore che possa vivere fino a quando il miracolo della vita non deciderà altrimenti, speriamo senza l’aiuto dei sacerdoti dell’eutanasia.

     

  • Ha prevalso la cultura della morte

    Mentre stendiamo queste poche righe è probabile che Alfie sia già in Paradiso. Ce lo hanno mandato i sacerdoti dell’eutanasia, una pratica che i medici e i giudici inglesi hanno utilizzato prima per Charlie e ora per Alfie, nonostante il parere contrario dei genitori che si sono battuti come leoni per difendere il diritto alla vita dei loro piccoli, ma inutilmente. La cultura della morte ha prevalso sul loro amore per i figli e sul buon senso. Non è stato loro permesso di trasportare il loro bambino fuori dall’ospedale in cui era ricoverato. E’ intervenuta addirittura la polizia per impedire che i genitori lo trasportassero altrove, come se Alfie fosse un loro prigioniero o una proprietà dello stato. A quante aberrazioni ed anomalie abbiamo dovuto assistere! Qual è la ratio che impedisce ai genitori di portare il loro figlio nell’ospedale che preferiscono? E’ mai successo che un arcivescovo cattolico accetti l’eutanasia anziché il diritto alla vita? Che una diocesi proclami una bugia nei confronti di un padre che, pur essendo battezzato, non viene considerato cattolico? Sono state diffuse fotografie che dimostrano lo stato d’incuria in cui Alfie è stato lasciato dall’ospedale in cui è ricoverato. Sono fotografie che fanno male al cuore. Una mostra addirittura una bruciatura sull’avambraccio e un’altra la sporcizia che avvolge i tubi attraverso i quale il bambino respira. Papa Bergoglio ha accolto il papà di Alfie mercoledì scorso e l’ha lodato per il coraggio dimostrato nel battersi per salvare la vita del figlio, ma nello stesso tempo la segreteria di stato vaticana ha rifiutato il passaporto ai genitori. Anche le ragioni diplomatiche prevalgono sulla morte di un innocente.

    Il silenzio dei politici inglesi ed europei è significativo, oltre che aberrante. Non si deve disturbare il manovratore che conduce alla morte un piccolino di 22 mesi. Non parliamo poi della Corte europea dei diritti umani che anziché tutelare il diritto alla vita ha respinto per ben due volte il ricorso dei genitori di Alfie. Inutili le offerte dell’ospedale Gaslini di Genova e del Bambin Gesù di Roma per ospitare Alfie. La stampa inglese, altra aberrazione incomprensibile, non ha scritto una riga sulla vicenda di Alfie; ha soltanto dato notizia dell’incontro del papà di Alfie con il Papa. Mentre scriviamo queste righe ci giungono due notizie. La prima dice che alle 14.00 sono iniziate le procedure per il distacco del macchinario per la ventilazione che teneva in vita il piccolo Alfie e la seconda che la duchessa di Cambridge, Catherine Middleton, ha dato alla luce alle 11.00 di stamattina il terzo figlio, un maschietto, Sua Altezza Reale Principe di Cambridge, fratello di George e Charlotte. L’accostamento dei due fatti è voluto da parte nostra, a significare la contraddittorietà simbolica dei due eventi: da un lato la morte di un innocente ed il dolore inconsolabile di due genitori, dall’altro la gioia di una nuova nascita che allieta non solo due genitori, ma addirittura un popolo intero, come è giusto che sia. E’ la vita, si dirà! Certamente, è la vita! Ma allora perché tanto accanimento per dare la morte ad un innocente e per far soffrire oltre il dovuto due genitori che la morte procurata per il loro piccolino non la volevano? Due avvenimenti, dicevamo, entrambi riferiti a due piccolini:  uno naturale, per la vita e la gioia, l’altro innaturale, artefatto, per la morte e il dolore. Gioiamo per il piccolo principe, piangiamo e soffriamo per il piccolo Alfie e per i suoi genitori. Alla fine ci viene un dubbio atroce: se Alfie non fosse appartenuto ad una famiglia di povera gente, ma ad una famiglia dell’alta borghesia o addirittura ad una famiglia della nobiltà, avrebbe avuto la stessa sorte? L’ospedale, i medici, i giudici nazionali ed europei, la conferenza episcopale inglese, avrebbero usato la stessa ipocrisia per giustificare una scelta di morte nel suo esclusivo interesse? Il dubbio permane e con esso tutto il nostro disprezzo non solo per la pratica dell’eutanasia, ma anche per tutti i suoi sacerdoti, che una cultura di morte trasforma in carnefici d’innocenti.

    P.S.: Apprendiamo ora da un lancio dell’Agenzia si stampa ANSA che sono state sospese le procedure per il distacco dei macchinari che tengono in vita il piccolo Alfie e che l’Italia gli ha concesso la cittadinanza italiana. Che accada veramente un miracolo?

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