Cibo

  • Toghe&Teglie: baccalà alla romana

    Buon 2024 da Attilio Cillario, avvocato lombardo (e distillatore di gin artigianale) del Gruppo Toghe & Teglie: questa volta vi proporrò una ricetta della tradizione romana che ho provato a realizzare senza apportare nessuna variazione e che non abbandonerò più. Saporitissima e tutt’altro che complicata conferma la versatilità di quello che, considerato un pesce povero, in cucina si presta ad una non comune quantità di ghiotte variazioni.

    Per due o tre porzioni procuratevi un filetto di baccalà dissalato e tagliato a cubotti di circa 2 cm, due cipolle, tre o quattro pelati, il doppio di pomodori ciliegini in conserva, una manciata di uvette ed una di pinoli non tostati, una cucchiaiata di prezzemolo e aglio tritati, mezzo bicchiere di vino bianco (con il tradizionale divieto di usare liquidi di oscura origine confezionati in tetrapak).

    Procediamo! Tagliate sottili le cipolle e fatele stufare in una pentola di coccio con una generosa dose di olio evo; aggiungete i pelati schiacciati e i ciliegini interi, fate cuocere per qualche minuto, inserite le uvette che avrete in precedenza ammollate ed il vino bianco. Lasciate andare ancora qualche minuto a fuoco dolce, spegnete la fiamma e tenete il tutto da parte.

    Ora friggete in abbondante olio i cubotti di baccalà dopo averli infarinati e sbattuti per eliminare la farina in eccesso: devono friggere fino a dorarsi facendo una bella crosticina che è un particolare fondamentale.

    A frittura ultimata rimettete sul fuoco il sughetto, magari aggiungendo un po’ d’acqua se troppo ristretto, portate a bollore e immergetevi i cubotti fritti, girandoli delicatamente per farli insaporire e ammorbidire, per due o tre minuti.

    Completate la preparazione controllando la sapidità, inserendo i pinoli, ed infine la spolverata di aglio e prezzemolo. Spegnete il fuoco subito dopo, lasciate insaporire brevemente e sarete pronti per andare a tavola.

    Un caro saluto e buon appetito a tutti.

  • Toghe&Teglie: risotto al Castellaccio

    Buone Feste da Manuel Sarno, avvocato milanese fondatore del Gruppo Toghe & Teglie; in questi giorni tocca a me, con la responsabilità di curatore della rubrica, proporre qualcosa di gustoso mentre i miei colleghi e amici spignattano a più non posso ma, tutti presi da altre deliziose incombenze del periodo, mi hanno lasciato “in riserva” con le ricette, sebbene io stesso sia impegnato nelle analoghe piacevolezze del periodo: l’acconto IRPEF, il saldo IMU, l’IVA, la Cassa Previdenza…

    Eccovi, allora, quella che può essere considerata una variante del risotto allo zafferano (da non confondere con quello alla milanese che prevede la presenza dell’ossobuco e l’impiego del midollo al posto del vino nella cottura del riso) frutto di un paio di scoperte in gastronomia ed enoteca: il Castellaccio, un formaggio ideale per la mantecatura, prodotto con latte di vacca Frisona nel cuore della Franciacorta e lasciato maturare nelle migliori barriques usate per produrre i vini locali dopo essere stato unto esternamente con olio evo e ricoperto di rosmarino.

    La seconda scoperta è stata il Nautilus, un Blanc de Noirs realizzato con vitigni della zona di Cividate Camuno, la cui particolarità risiede nell’affinamento per 60 mesi nelle profondità del lago d’Iseo a temperatura e pressione costanti senza aggiunta di zuccheri.

    Nonostante l’aspetto all’impiattamento, quello proposto non è – dunque – quello che può sembrare dalla foto: un risotto in cui c’è molto di bresciano.

    Passiamo alla preparazione: due pugni a testa di riso Carnaroli di ottima qualità, più uno “per la pentola”, brodo (suggerisco quello vegetale fatto in casa con patata, zucchina, carota) q.b., cipolla bianca o scalogno tagliata molto fine, burro chiarificato per il soffritto iniziale e un bicchiere di Nautilus ogni due/tre porzioni il resto servirà a dissetarvi durante il pranzo. Il Castellaccio dovrà essere pronto all’impiego, prima mondato della crosta di rosmarino e poi tagliato a cubetti per la mantecatura finale.

    Preparate il risotto come di consueto utilizzando preferibilmente una padella larga e bassa in alluminio che garantisce una cottura più uniforme: soffritto, tostatura del riso sfumando con il vino, copertura con il brodo caldo e prosecuzione a fuoco moderato mescolando di quando in quando con un mestolo di legno.

    Giunti a due terzi della cottura, inserite gradualmente una metà del Castellaccio a tocchetti e – se necessario – allungate con un po’ di brodo e vedrete il vostro riso assumere da subito il caratteristico aspetto “ad onda” ed una bustina di zafferano ogni due/tre porzioni (volendo potrete diluirlo precedentemente nel brodo).

    Importante è non impiegare parmigiano nella mantecatura finale perché altererebbe il sapore di questo straordinario ed originale formaggio: a cottura quasi terminata (stimando un minuto circa residuo) aggiungete il resto del Castellaccio, una piccola noce di burro chiarificato e – volendo – una spruzzata di Raspadura che contribuisce alla cremosità senza modificare i sapori. Fate fondere il tutto ed ultimate la mantecatura a fuoco spento lasciando riposare alcuni istanti mentre vi preparate per il servizio per il quale sono ideali piatti piani, battendo con il palmo della mano sul fondo per distribuire uniformemente il risotto.

    Ed ora a tavola, brindando con lo spumante suggerito che sorprenderà il palato ed i commensali contribuendo ad accompagnare perfettamente il vostro risotto.

    Buon tutto a tutti!

  • Toghe&Teglie: torta al cacao con bagna al rhum

    Buone Feste a tutti da Anna Paola Klinger, avvocata lagunare del Gruppo Toghe & Teglie con una certa qual passione per i dolci che anche questa settimana condividerò con voi lettori.

    La mia proposta, devo dirlo subito, è davvero facile da realizzare, piuttosto veloce e calorica quanto basta per affrontare i rigori dell’inverno!

    Procuratevi e montate bene quattro uova con 200 grammi di zucchero semolato e poi aggiungete 200 grammi di farina, 60 grammi di cacao amaro, una bustina di lievito, 120 ml. di latte intero e 100 grammi di burro fuso raffreddato.

    Se piacciono (e a chi non piacciono tra i destinatari di una torta al cacao?) non fate mancare l’inserimento di una generosa manciata di gocce di cioccolato.

    Impastate bene il tutto, inserite in una tortiera ed infornate a 170 gradi per 35 minuti.

    Abbiamo già quasi finito: lasciate raffreddare a temperatura ambiente e quando la torta vi si sarà allineata dividetela con attenzione in senso longitudinale ed inzuppate leggermente entrambe le metà con la bagna al rhum che avrete preparato mentre la torta raffreddava.

    Come si fa? In un pentolino mettete 300 grammi di acqua, unitevi 150 grammi di zucchero e mescolate con la frusta. Ora ponete il pentolino sul fuoco basso e continuate a mescolare fino a completo scioglimento dello zucchero; spegnete ed aggiungete il rhum una parte del quale evaporerà per il calore. Mescolate anche mentre lasciate raffreddare. Questione di una decina di minuti in tutto e la vostra bagna è pronta.

    Dopo l’aggiunta della bagna, arricchite ulteriormente la torta farcendola con una composta di arance amare e richiudete le due metà…ma non dimenticatevi della glassa!

    Per la glassa, scaldate 200 ml. di panna liquida con 15 grammi burro ed un cucchiaino di miele. Quando è calda, spegnere il fuoco e scioglieteci dentro 150 grammi cioccolato fondente 85%: a caldo colate sulla torta e guarnite con scaglie di mandorle e buccia di arancia, magari candita nello zucchero e rhum.

    Buone Feste a tutti!

  • Toghe&Teglie: dolcetto o aperitivo?

    Buone Feste a tutti i lettori, ebbene sì: ormai ci siamo ed il periodo natalizio è costellato di eventi – famigliari e non – in cui sono la cucina e la ghiottoneria a farla da padroni. Eccomi, allora, a farvi una proposta che è sicuramente di facilissima esecuzione. A proposito! Non m sono ancora presentata: sono Tania Mannino di Toghe & Teglie, eccezione tra tanti togati sono manager di una multinazionale con pregressi studi di giurisprudenza, mi occupo di contratti con grandi aziende e sono la compagna di vita del fondatore del Gruppo.

    Passiamo alla ricetta, rispondendo per prima cosa ad una domanda: perché mai i cesti natalizi sono sempre stracolmi di datteri come se fossero una prelibatezza introvabile nel rimanente periodo dell’anno oppure un frutto che in qualche modo ricorda le origini dei Re Magi? Mistero: dopo si può dire che scompaiono dal mercato e nel frattempo sono in gran parte ammuffiti nelle loro scatole: troppo dolci e anche appiccicosi per essere dei frutti e sovrabbondanti rispetto ai preferiti dolciumi classici della stagione: panettone, pandoro, torrone, croccante…

    Bene: trasformateli nell’accompagnamento di un aperitivo o in un dessert particolare a tutto tondo, facilissimo.

    Prendete i vostri datteri, tagliateli longitudinalmente, eliminate il nocciolo e posateli in attesa della guarnizione che li renderà speciali.

    In una ciotola versate della crema di gorgonzola e del mascarpone (grosso modo 2/3 di gorgonzola e 1/3 di mascarpone) e miscelate con vigorose mestolate, usando una posata di legno e tanto olio di gomito, fino a rendere omogenea e morbida la crema così ottenuta.

    Ora, aiutandovi con un cucchiaino, riempite ogni dattero con il composto e – assicuro che ci sta molto bene – guarnite ognuno con un pezzo di gheriglio di noce come si vede nella foto.

    A vostra scelta potranno essere serviti insieme ad un aperitivo o a fine pasto (in questo caso può essere preferibile l’impiego di un gorgonzola non eccessivamente sapido o una percentuale maggiore di mascarpone).

    Più facile (e veloce) di così…e addio ai datteri ammuffiti.

    Ciao a tutti, alla prossima.

  • Toghe&Teglie: la ribollita

    Buone Feste, cari lettori! Sono Donatella Cungi avvocato della nota consorteria Toghe & Teglie, milanese con ascendenze tosco brasiliane: già, proprio un bel mix e questa settimana sono stata prescelta per rappresentare il Gruppo non con la picanha, neppure con una cotoletta impanata ma con una mia versione, per la verità molto classica, della ribollita, tradizionale piatto della cucina toscana, quella cosiddetta povera ma molto gustosa.

    Armatevi di cipolla, carote, sedano ed uno spicchio d’aglio e metteteli a soffriggere preferibilmente in una pentola di coccio con olio di quello buono.

    Poi aggiungete delle patate mondate della buccia e tagliate a tocchetti di grandezza a scelta e due cucchiai di concentrato di pomodoro, arricchite con un altro giro di olio e regolate di sale e pepe.

    Avanzate di qualche minuto nella cottura prima di inserire anche una mezza verza tagliata fine e una quindicina di foglie di cavolo nero (la mia preparazione era per tre/quattro persone) e ci sta un altro giro di olio.

    A parte avrete nel frattempo cotto dei fagioli cannellini con aglio e salvia e con il cui brodo dovrete diluire le verdure senza far mancare l’ennesimo giro d’olio.

    A questo punto passate 3/4 dei fagioli e aggiungete la crema così ottenuta unitamente a 2-3 mestoli di cannellini interi. Lasciate andare, sempre a fuoco moderato, per un’ora poi spegnete e fate riposare.

    Durante il riposo della ribollita prendete una pirofila e metteteci pane toscano (senza sale) raffermo sul fondo sul quale andrete a versare la minestra (non troppo asciutta, mi raccomando!) poi ancora pane e ancora zuppa, olio (sì non deve mancare mai e peggio per il giro vita), sale e pepe ad aggiustare.

    Il tutto va passato in forno preriscaldato a 180 gradi a ribollire per mezz’ora. Se piace si può aggiungere mezzo peperoncino ed il vero trucco è non avere fretta nella preparazione e lasciarla riposare più che si può prima dell’infornata finale.

    Ricetta lunga da realizzare ma non laboriosa e l’impresa merita.

    Stappate per tempo, facendolo respirare, un ottimo rosso toscano e…buon pranzo a tutti!

  • Toghe&Teglie: risotto rape e gorgonzola

    Buona settimana a tutti i lettori, sono Pietro Adami, veronese, uno dei fondatori del Gruppo Toghe & Teglie che tra poco compirà dieci anni: i primi veri freddi suggeriscono piatti a più elevato contenuto calorico che, chissà come mai, sono sempre i più gustosi ed a voi propongo questo risottino frutto della mia personale inventiva; su questa ricetta ragionavo da un po’, immaginando come potesse risultare la combinazione dei sapori, infine mi sono deciso ed il risultato è stato più che soddisfacente, almeno per il mio palato…ed il vostro? Beh, provare per credere.

    Procuratevi delle rape già cotte, lessate, per velocizzare il processo e ponetele in una terrina dove rilasceranno il loro liquido (che a differenza della rapa in sè, ha meno retrogusto di … terra) e conservatelo.

    A questo punto ripassate in un’ampia padella della cipolla tritata finemente con un filo d’olio e mezzo bicchiere di lambrusco (sì, proprio lambrusco!) ed una volta appassita la cipolla, aggiungete il riso (due pugni a testa più uno “per la pentola”: e con le spannometriche quantità abbiamo appena iniziato) e l’acqua delle rape mescolando il tutto a fiamma alta fino a completo assorbimento.

    Ora, fiamma spenta del tutto e riposo per 5-10 minuti.

    Riaccendete il fuoco e proseguite come per un normale risotto, diluendo con brodo di verdure (possibilmente non quello già pronto nel cartone…) ed a metà cottura aggiungete mezzo cucchiaio di miele a porzione e regolate di sale.

    A fine cottura inserite – senza eccedere, a seconda della sapidità – del gorgonzola, fatelo sciogliere e mantecate a fiamma bassa, spegnete e spolverate con del prezzemolo sminuzzato.

    Tutto un po’ strano, eh? Eppure…garantisco per il risultato.

    A presto!

  • Toghe&Teglie: veggie burger

    Buona settimana ai lettori che dovranno accettare il fatto che sia nuovamente una mia preparazione a monopolizzare la rubrica: sono Massimiliano D’Alessandro, avvocato civilista della sezione pugliese del Gruppo Toghe & Teglie, ispirandomi a Jessica Rabbit, mi viene da dire che non sono poi così bravo, è il curatore della rubrica che mi sceglie e mi fa apparire così.

    A proposito! Non si pensi che un tarantino doc possa bestemmiare un piatto realizzato rigorosamente con prodotti della mia terra, un nome che sa di nouvelle cousine anglofona se non – peggio che mai – di ricetta salutista a tutti i costi, magari ispirata, con rigore da ordine monastico cartusiense, ad uno specifico regime alimentare: tutta colpa, pure in questo caso, del curatore della rubrica!

    Chiarisco subito che io preferisco usare i broccoli ma – sfortunatamente – il mio verduraio di fiducia ne era sprovvisto e mi ha raccomandato un cavolfiore: il risultato finale è stato tutt’altro che disprezzabile per cui, se vorrete, potrete provare entrambe le versioni restando immutato il procedimento.

    Ordunque: lessate il cavolfiore o i broccoli (non troppo per evitare lo sfaldamento che riduce tutto ad una pappa), metteteli in un tritatutto, frullatore, robot da cucina – insomma, quello che avete – ed aggiungetevi parmigiano, pangrattato (ma il meglio sono dei taralli sbriciolati che danno una “spinta” in più rispetto al semplice pangrattato), sale, pepe e sminuzzate il composto. Quantità? Ma stiamo scherzando? Si va “a sentimento”.

    Ora formate delle pallotte che, volendo, potete ripassare nel pangrattato (o tarallo sbriciolato), schiacciatele, apritele e mettete in centro un pezzetto di mozzarella fiordilatte o altro formaggio a vostra scelta che diventi filante con la cottura, richiudete e schiacciate dando la forma di un hamburger.

    Per la cottura, spennellate una ampia padella con olio (poco ma buono!) e fate andare gli hamburger qualche minuto per lato, impiattate e, volendo, potrete decorarli ed arricchire il sapore con guacamole, salmone o qualunque altra cosa ispirata dalla vostra fantasia creativa e dalla combinazione corretta dei sapori.

    Statt’ bun!

  • Toghe&Teglie: torta al vino primitivo

    Ben ritrovati, affezionati lettori, sono Consuelo Pinto della vivace sezione tarantina del Gruppo Toghe & Teglie: questa settimana vi propongo un dolce che poteva apparire insolito, almeno fino ad un po’ di anni fa – quando i vini pugliesi venivano considerati buoni, tutt’al più, per il “taglio” di altri più pregiati – una preparazione tra l’impensabile ed il blasfemo: la torta al vino primitivo.

    Eccezionalmente, non solo vi fornirò gli ingredienti ma anche le dosi (non troppo approssimative: anche io in cucina vado a “occhio e sentimento”).

    Dunque, procuratevi: 160 grammi di farina 0 o semola per dolci, 60 grammi di cacao amaro, tre uova, 190 grammi di zucchero, 150 grammi di burro, 100 grammi di vino primitivo, una bustina di vanillina e una di lievito per dolci.

    Passiamo ora alla preparazione, tutt’altro che complicata:

    sciogliete in un pentolino, a 60 gradi circa, il vino, lo zucchero, il cacao e il burro realizzando uno sciroppo e mettetene da parte un bicchiere; utilizzate il restante per un composto a base di uova, farina, lievito e vanillina.

    Impastate per rendere omogeneo il composto e versatelo in uno stampo per dolci, precedentemente imburrato e infarinato e cuocete in forno preriscaldato a 170 gradi circa per 30 minuti al termine dei quali controllate la cottura con uno stecchino: nel caso lasciatela proseguire qualche minuto ancora a seconda dell’esito della verifica.

    Quando la torta sarà cotta, estraetela dal forno e fate sulla sua superfice dei fori, versandovi sopra lo sciroppo messo da parte.

    Fate raffreddare e a temperatura ambiente e sarete pronti per mettere a tavola un dolce capace di stupire anche i palati più esperti.

  • La Commissione europea approva una nuova indicazione geografica italiana

    La Commissione europea ha approvato l’aggiunta dei turioni di asparago verde italiano “Asparago verde di Canino” al registro delle indicazioni geografiche protette (IGP).

    Il nome “Asparago verde di Canino” è riservato ai turioni di asparago verde appartenenti alla famiglia delle Liliaceae. I turioni devono essere pieni (non vuoti) e privi di spaccature. Poiché possono essere consumati nella loro interezza e per l’assenza di scarto, gli asparagi vengono definiti anche “mangiatutto”.

    Questa nuova denominazione sarà aggiunta all’elenco di 1.662 prodotti alimentari già protetti.

  • Toghe&Teglie: rognoncino trifolato

    Buona settimana cari lettori, sono ancora Attilio Cillario – sezione lombarda di Toghe & Teglie – che, dovendo sciogliere l’antico dilemma “lascia o raddoppia?” ho deciso di raddoppiare la mia presenza in questa rubrica nel volgere di pochi giorni con un’altra proposta per il risotto, molto milanese e molto autunnale.

    Diciamo la verità: il risotto allo zafferano si presta benissimo ad una quantità di preparazioni che ne dimostrano la versatilità come accompagnamento di un piatto unico: non solo ossobuco e cotoletta “orecchia di elefante” ma anche – ed è il suggerimento odierno – del rognone trifolato, un’abbinata tradizionale della cucina lombarda.

    Vi risparmierò la ricetta del risotto che dovreste conoscere, è stata pubblicata anche su Il Patto Sociale in differenti versioni compresa quella che qui interessa; farò solo due raccomandazioni: usate sempre il burro chiarificato e possibilmente lo zafferano in pistilli che regala al piatto non solo un’estetica più accattivante ma sapore e profumo sono diversi e più intensi. E’ vero che, recentemente, l’ho visto in vendita a 25.000 € al kilo ma il peso specifico è un nonnulla rispetto alla resa e, proprio per la sua qualità, ne basta infinitamente meno anche per una mezza dozzina di bocche affamate.

    E passiamo al rognone: sulla quantità, come al solito, mi rimetto agli appetiti dei singoli ma diciamo che, parlando di un piatto unico, almeno un etto e mezzo a testa ci vuole e dovrà essere tagliato a fettine molto sottili.

    Dopo “l’affettatura” mettere il rognone a bagno in acqua e aceto per dieci minuti/un quarto d’ora al massimo, dopodichè scolatelo ed inseritelo in una padella per una leggera ed iniziale soffrittura con metà burro, metà olio evo ed uno spicchio d’aglio spellato e schiacciato.

    Dopo un paio di minuti sfumate scegliendo, secondo la preferenza, tra vino bianco, marsala o cognac ed aggiungete un mestolo di brodo di carne.

    Non ve lo dovrei dire perché lo avrete capito, ma ve lo dico a scanso di equivoci: la preparazione deve essere coordinata con i tempi di cottura del risotto…

    Torniamo al rognoncino: quando il brodo sarà evaporato, aggiungete un trito d’aglio e prezzemolo fresco ed una generosa grattata di scorza di limone non trattato, spegnete il fuoco e versate con tutto l’intingolo sul risotto e valorizzate il piatto stappando per tempo una bottiglia di un ottimo rosso.

    Enjoy!

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