Cina

  • Le migrazioni interne della Cina creano milioni di orfani di fatto

    Il termine cinese è “liushou ertóng”, significa “bambini lasciati indietro” e indica i bambini lasciati al paese dai genitori andati a lavorare in città lontane. Nel Paese del Dragone si stima che 300 milioni di contadini hanno lasciato la campagna per trovare occupazione in catene di montaggio e cantieri creando una massa di orfani di fatto.

    Nel 2013 l’Associazione statale delle donne cinesi pubblicò un primo rapporto secondo il quale 61 milioni di minori sotto i 17 anni vivevano lontani dai genitori: il 38% di tutti i figli della Cina. Le prime tragedie emerse da quel clima di disgregazione familiare (violenze, abbandono della scuola, depressione, suicidi) spinsero il governo di Pechino a intervenire con un piano da 14 miliardi di yuan per mandare insegnanti nei paesi più diseredati. Nel 2016 il Ministero degli affari civili proclamò che il numero dei “liushou” era stato ridotto a 9 milioni ma nel 2023 l’Ufficio nazionale di statistiche di Pechino e l’Unicef hanno rivelato che sono 66,9 milioni i minorenni lasciati in campagna o in piccoli centri di province remote dai genitori che lavorano lontano. I sociologi dicono che il 30% dei bambini che crescono senza padre e madre sono a carico dei nonni; l’11% di altri parenti o dei vicini del villaggio. E almeno 2 milioni di “liushou“ vengono semplicemente abbandonati a loro stessi in casupole dove non c’è un adulto. Un terzo dei minori in queste condizioni è clinicamente depresso. I bimbi fino ai 6 anni di età sono il 75% dei «lasciati indietro».

    Il governo centrale ha comunque fatto molto, almeno per assicurare un’istruzione ai bambini soli. Ci sono controlli per ridurre il numero di chi non frequenta la scuola, fondi per ospitarli in dormitori più confortevoli delle loro catapecchie. E nel 2018 da una classe delle elementari nello Yunnan arrivò la storia di “Fiocco di neve”. Wang Fuman, 8 anni, ogni giorno faceva a piedi da solo quattro chilometri nei campi per arrivare a lezione; quella mattina c’erano 9 gradi sotto zero. Entrò con i capelli ridotti a fili di ghiaccio e le sopracciglia bianche. Il maestro scattò una foto col telefonino e la lanciò sui social, per mostrare ai cinesi la dedizione del piccolo “liushou”. Le autorità di Pechino si impossessarono del caso, invitarono Fuman nella capitale, lo ospitarono per qualche giorno in un bell’albergo, trovarono un impiego al paese per il papà. “Fiocco di neve” che aveva colpito il cuore della Cina e del Partito fu riscattato. Ma altri 66 milioni di figli lasciati indietro pesano sulla coscienza dei pianificatori della seconda economia del mondo.

  • China changed village names ‘to erase Uyghur culture’

    China has changed the names of hundreds of villages in Xinjiang region in a move aimed at erasing Uyghur Muslim culture, Human Rights Watch (HRW) says.

    According to a report by the group, hundreds of villages in Xinjiang with names related to the religion, history or culture of Uyghurs were replaced between 2009 and 2023.

    Words such as “sultan” and “shrine” are disappearing from place names – to be replaced with terms such as “harmony” and “happiness”, according to the research, which is based on China’s own published data.

    The BBC contacted China’s embassy in London about the allegations.

    In recent years, Chinese authorities have been radically overhauling society in Xinjiang in an attempt to assimilate its minority Uyghur population into mainstream Chinese culture.

    Researchers from HRW and Norway-based organisation Uyghur Hjelp studied the names of villages in Xinjiang from the website of the National Bureau of Statistics of China over the 14-year period.

    They found the names of 3,600 of the 25,000 villages in Xinjiang were changed during this time.

    While the majority of these name changes “appear mundane”, HRW said, around one fifth – or 630 changes – remove references to Uyghur religion, culture or history.

    Words freighted with meaning for China’s Uyghur population – including Hoja, a title for a Sufi religious teacher, and political or honorific titles such as Sultan and beg – have been replaced with words HRW claims reflect “recent Chinese Communist Party ideology”, including “harmony” and “happiness”.

    In one example highlighted by the report, Aq Meschit (“white mosque”) in Akto County, a village in the southwest of Xinjiang, was renamed Unity village in 2018.

    growing body of evidence points to systematic human rights abuses against the country’s Uyghur Muslim population. Beijing denies the accusations.

    Most of China’s Uygur Muslims live in the north-west of the country, in areas such as Xinjiang, Qinghai, Gansu and Ningxia.

    There are roughly 20 million Muslims in China. While China is officially an atheist country, the authorities say they are tolerant of religious freedom.

    However, in recent years observers say they have witnessed a crackdown on organised religion across the country.

    According to HRW, while the renaming of villages and towns appears ongoing, most of the place names were changed between 2017 and 2019.

    The group claims this coincides with an escalation in hostilities against the Uyghur population in Xinjiang.

    China has used the threat of “violent terrorism, radicalisation and separatism” in the past to justify the mass detention of the country’s minority Uyghur population.

    Maya Wang, the acting China director at Human Rights Watch, said: “The Chinese authorities have been changing hundreds of village names in Xinjiang from those rich in meaning for Uyghurs to those that reflect government propaganda

    “These name changes appear part of Chinese government efforts to erase the cultural and religious expressions of Uyghurs,” she added.

    The research follows a report published last year in which HRW accused the Chinese state of closing, destroying and repurposing mosques in an effort to curb the practise of Islam in China.

  • I “banchieri clandestini” cinesi accusati di favoreggiamento del cartello messicano

    Una rete cinese di “banche clandestine” aiuta il potente cartello messicano della droga di Sinaloa nel riciclaggio di denaro e altri crimini. E’ questa l’accusa con la quale il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ) ha accusato 24 persone di reati che includono anche la distribuzione di narcotici.

    Le forze dell’ordine hanno sequestrato circa 5 milioni di dollari (4 milioni di sterline) di proventi, oltre ad armi e centinaia di chili di cocaina, metanfetamine e pillole di ecstasy.

    Il Dipartimento di Giustizia ha sottolineato la stretta collaborazione con le forze dell’ordine messicane e cinesi, un messaggio che ha trovato eco anche da parte cinese.

    Gli Stati Uniti accusano il cartello di Sinaloa di aver contribuito ad alimentare un’epidemia mortale inondando il paese di fentanyl, un oppioide sintetico fino a 50 volte più potente dell’eroina, ed ha evidenziato come più di 50 milioni di dollari siano transitati clandestinamente tra i membri della banda di Sinaloa e i gruppi cinesi.

    Gli ‘scambi’ venivano utilizzati dagli agenti di Sinaloa per spostare il denaro acquisito illegalmente dagli Stati Uniti al Messico, gli scambi cinesi offrono un “mercato pronto” per la valuta statunitense, ha affermato il DoJ, spiegando che alcuni cittadini cinesi vogliono “alternative informali” al sistema bancario convenzionale perché il governo di Pechino pone un limite alla quantità di denaro che possono ritirare dalla Cina.

    Una dichiarazione di Pechino, citata dall’agenzia di stampa AFP, sembra confermare la stretta collaborazione con gli Stati Uniti, affermando che le autorità locali hanno arrestato un sospettato di riciclaggio di denaro.

    Gli Stati Uniti accusano da tempo la stessa Cina di inondare il Paese con farmaci mortali come il fentanyl, un’accusa che la Cina nega. Nel 2022 più di 70.000 americani sono morti per overdose di fentanyl e Washington afferma che gli oppioidi di produzione cinese stanno alimentando la peggiore crisi della droga nella storia del paese.

  • I veicoli elettrici cinesi beneficiano di sovvenzioni sleali e la Commissione pone i dazi

    Nell’ambito dell’inchiesta in corso, la Commissione ha concluso in via provvisoria che la catena del valore dei veicoli elettrici a batteria in Cina beneficia di sovvenzioni sleali, che costituiscono una minaccia di pregiudizio economico per i produttori dell’UE. Sono state inoltre esaminate le possibili conseguenze e l’impatto delle misure su importatori, utilizzatori e consumatori di veicoli elettrici a batteria nell’UE. Sulla base dei risultati ottenuti, la Commissione ha stabilito in via provvisoria che è nell’interesse dell’UE porre rimedio agli effetti delle pratiche commerciali sleali constatate, istituendo dazi compensativi provvisori sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria dalla Cina.

    Di conseguenza, la Commissione europea ha comunicato preventivamente alle parti interessate il livello dei dazi compensativi provvisori che intende istituire sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria dalla Cina.

    Parallelamente, ha contattato le autorità cinesi per discutere dei risultati e per individuare le eventuali modalità per risolvere la questione. I dazi individuali che la Commissione intende applicare ai tre produttori cinesi inclusi nel campione vanno dal 17,4%;al 38,1%..

    Le conclusioni provvisorie dell’inchiesta antisovvenzioni dell’UE indicano che l’intera catena del valore dei veicoli elettrici a batteria in Cina trae enormi benefici dalle sovvenzioni sleali e che l’afflusso di importazioni cinesi sovvenzionate a prezzi artificialmente bassi rappresenta pertanto una minaccia di pregiudizio chiaramente prevedibile e imminente per l’industria dell’UE.

  • La Cina cede due ferrovie a Etiopia, Gibuti e Kenya, la Germania privatizza per rinnovarle

    Il governo della Cina sta cedendo il controllo di due importanti linee ferroviarie africane, realizzate nell’ambito della Nuova via della seta (Belt and road initiative, Bri), ai governi di Etiopia, Gibuti e Kenya. La prima ferrovia ad essere stata ceduta di recente è stata quella tra Etiopia e Gibuti, lunga complessivamente 752 chilometri. Secondo quanto riportato dal quotidiano edito a Hong Kong “South China Morning Post”, gli operatori cinesi hanno rinunciato all’infrastruttura dopo sei anni di attività, così come avrebbero fatto in Kenya, dove oltre il 90 per cento delle operazioni della ferrovia a scartamento standard Mombasa-Nairobi sono state trasferite da China Road and Bridge Corporation (Crbc) alla statale Kenya Railways Corporation (Krc). In vista delle cessioni, le aziende cinesi coinvolte nei progetti Bri stanno formando migliaia di lavoratori in tutta l’Africa, in quello che viene considerato dagli osservatori come un tentativo di Pechino di esportare il suo modello di sviluppo.

    Nel vecchio continente invece lo Stato tedesco, attraverso la banca pubblica Kfw, ha ricavato 2,43 miliardi di euro vendendo azioni della società di telefonia Telekom e vuole investire il denaro nel rinnovamento della rete ferroviaria.

    “Con il ricavato netto lo Stato tedesco rafforzerà il capitale proprio della Deutsche Bahn Ag e amplierà in modo orientato al futuro l’infrastruttura ferroviaria in Germania”, ha dichiarato in una nota il ministero delle Finanze federale.

    La vendita delle azioni ridurrà la quota statale nella Telekom al 27,8 per cento ma, nonostante ciò, anche in futuro il governo federale continuerà ad essere il maggiore azionista dell’azienda.

  • Pacifici non pacifisti

    Se Giano era bifronte la verità sembra avere molte più sfaccettature, infatti mentre la Russia può continuare a colpire uno stato sovrano e indipendente, massacrando civili inermi con i suoi bombardamenti, e ritiene di poterlo fare se gli ucraini rispondono, distruggendo qualche postazione militare in territorio russo, per altro vicino al confine, diventa per Putin una dichiarazione di guerra della Nato.

    La Cina parla di pace ma si ritira dal vertice organizzato in Svizzera e parla di altri, più o meno misteriosi, piani, sembra condivisi anche dalla Turchia, e che hanno sempre il presupposto che l’Ucraina ceda molti suoi territori ai russi.

    Il diritto internazionale possiamo scordarcelo possa tutelare tutti, ormai sembra debba essere rispettato solo dai deboli mentre  i forti, gli arroganti, i dittatori possono fare come vogliono perciò, con buona pace di tutti i pacifisti del mondo noi, che siamo pacifici, che siamo quelli che rispettano le leggi, ci siamo veramente stancati e alziamo cuori e bandiere contro gli aggressori, i terroristi, i potenti che parlano di pace, come il presidente cinese che fa affari e vende armi al dittatore russo.

    Non è di oggi né di ieri la innegabile realtà: se vuoi la pace devi avere la forza di impedire che ti aggrediscano, perciò uno stato che non ha le armi per difendersi prima o poi sarà preda di chi ha deciso di conquistarlo.

    Oggi ai russi fanno gola le ricchezze ucraine, forse un domani non lontano vorranno conquistare anche il Campidoglio e San Pietro.

  • Amicizia senza limiti tra due potenti alleati geostrategici

    La cosa peggiore per i potenti è che non possono fidarsi degli amici.

    Eschilo

    Domenica scorsa, anche in piazza San Pietro a Roma, gremita di credenti, è stata celebrata la festa di Pentecoste. Si tratta di un importante evento del cristianesimo, che si riferisce all’effusione dello Spirito Santo. Dopo la preghiera del Regina Coeli Papa Francesco ha detto che “lo Spirito Santo è Colui che crea l’armonia, l’armonia! E la crea a partire da realtà differenti, a volte anche conflittuali”. E ha pregato lo Spirito Santo di donare ai governanti “…il coraggio di compiere gesti di dialogo, che conducano a porre fine alle guerre”. In seguito il Santo Padre ha ricordato “le tante guerre di oggi” dove si combatte e si perdono vite, tante vite di persone innocenti. Ragion per cui Papa Francesco, rivolgendosi non solo alle persone in piazza San Pietro, ha chiesto: “…pensiamo all’Ucraina. Il mio pensiero va in particolare alla città di Kharkiv, che ha subito un attacco due giorni fa. Pensiamo alla Terra Santa, alla Palestina, a Israele. Pensiamo a tanti posti dove ci sono le guerre. Che lo Spirito porti i responsabili delle nazioni e tutti noi ad aprire porte di pace!”.

    Si continua a combattere, dal 24 febbraio 2022, in Ucraina. E mentre molti Paesi del mondo, così come l’Unione europea e le più importanti organizzazioni internazionali, hanno condannato quell’aggressione, ci sono altri Paesi che non solo non lo hanno fatto, ma stanno attivamente collaborando, in vari modi, con la Russia. Uno di questi Paesi, che da alcuni decenni sta esercitando un ruolo geopolitico e geostrategico sempre più importante a scala globale, è la Cina. I rapporti di collaborazione tra i due Paesi sono tra i migliori, compresi quelli politici. Ed ottimi sono anche i rapporti di stretta amicizia tra i due presidenti. Lo hanno affermato di persona ed in più occasioni anche loro due. E non a caso. Si perché oltre a vari interessi economici, geopolitici e geostrategici, loro si somigliano anche per il modo autocratico della gestione del potere. Si sono incontrati per la prima volta nel marzo del 2010, poi nel 2013, quando l’attuale presidente cinese, appena ricevuto il suo primo mandato, ha deciso di effettuare la sua prima visita ufficiale proprio in Russia. E dopo essere rieletto, nel marzo dell’anno scorso, come presidente della Repubblica popolare cinese, ha fatto di nuovo la stessa scelta: la sua prima visita ufficiale lo ha fatto proprio in Russia. Risulterebbe che in questi ultimi dieci anni i due presidenti si sono incontrati circa quaranta volte ed in varie occasioni.

    Durante queste due ultime settimane, sia il presidente cinese che quello russo sono stati molto attivi. Prima il presidente cinese ha cominciato una settimana di visite ufficiali in Europa, con quella in Francia il 6 e 7 maggio scorso, e poi in Serbia ed in Ungheria. Il nostro lettore è stato informato dall’autore di queste righe delle tre visite e di quanto è stato discusso e deciso in ciascuno dei Paesi (Scelte che evidenziano determinati interessi geopolitici; 13 maggio 2024). Mentre la scorsa settimana, il 16 e 17 maggio, è stato il presidente russo ad effettuare la sua visita in Cina. Visita che è stata anche la prima, dopo la sua rielezione come presidente nel marzo scorso. Una visita che coincide anche con un periodo in cui l’esercito russo ha circondato e sta attaccando la città ucraina di Kharkiv. Città che ha ricordato domenica scorsa Papa Francesco, pregando per i suoi abitanti. Bisogna però ricordare che dopo l’aggressione russa in Ucraina, più di due anni fa ormai, i rapporti tra la Russia e la Cina si sono ulteriormente rafforzati e la loro collaborazione multilaterale sta diventando sempre più stretta e attiva. Una collaborazione che viene determinata anche da interessi, sviluppi e congiunture geopolitiche e geostrategiche. Si tratta di interessi che portano, in modo inevitabile, allo scontro con alcuni Paesi occidentali, soprattutto con gli Stati Uniti d’America.

    Ebbene, durante la sua visita della scorsa settimana in Cina, il presidente russo è stato diretto ed ha dichiarato che sia la Russia che la Cina  “…respingono i tentativi occidentali di imporre un ordine basato su bugie e ipocrisia, su alcune regole mitiche create da nessuno sa di chi”. Ed è proprio per affrontare “i tentativi occidentali” che la Cina e la Russia sono stati due tra i quattro primi Paesi fondatori di un raggruppamento economico ben strutturato, ufficializzato nel 2010. Un raggruppamento al quale si è aggiunto subito dopo anche il Sudafrica che da allora è noto come BRICS (acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica; n.d.a.). A questa struttura internazionale, all’inizio di quest’anno, si sono uniti anche l’Egitto, l’Etiopia, l’Iran e gli Emirati Arabi Uniti. Oltre a BRICS, la Russia e la Cina fanno parte anche di quella che, dal 2001, è comunemente nota come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Un’organizzazione della quale fanno parte anche quattro altri Paesi, ex repubbliche dell’allora Unione sovietica; Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan ed Uzbekistan. Ebbene, la scorsa settimana, durante la sua visita ufficiale in Cina, il presidente russo ha sottolineato, riferendosi a questi due raggruppamenti internazionali, che loro “…si sono ben affermati come pilastri chiave dell’emergente ordine mondiale multipolare”. Aggiungendo, che “…possono essere citati come vividi esempi di cooperazione reciprocamente vantaggiosa. Sono diventati piattaforme internazionali affidabili e dinamiche i cui partecipanti costruiscono politiche costruttive”.

    Il presidente cinese, sempre durante la visita ufficiale in Cina del suo omologo russo, ha ribadito, tra l’altro, che la collaborazione tra i due Paesi sta progredendo come tra “buoni vicini, buoni amici e buoni partner”. Assicurando che la Cina rispetterà sempre il cosiddetto “rapporto senza limiti”. Facendo proprio riferimento a quello che il presidente russo annunciò nel febbraio 2022, pochi giorni prima dell’inizio dell’aggressione contro l’Ucraina. Un rapporto che si basa anche su “un’amicizia senza limiti”, come hanno più volte confermato i due presidenti in questione. La scorsa settimana hanno concordato anche sulla “soluzione” della guerra in Ucraina. Tutto si basa su una proposta di dodici punti, annunciata l’anno scorso dalla Cina. Una proposta, la quale prevede negoziati di pace partendo dallo status quo. Una proposta quella, ben accolta dalla Russia, che però è in palese contrasto con la proposta di trattative presentata dal presidente ucraino. Per lui le trattative tra l’Ucraina e la Russia non possono essere avviate senza il ritiro della Russia dalle regioni di Donbas e di Crimea, invase nel 2014. Bisogna sottolineare che la proposta cinese è ben diversa da quella che verrà discussa in Svizzera il 15 e 16 giugno prossimo. Si tratta di una conferenza nella quale i rappresentanti della Russia non saranno presenti, mentre la Cina non ha ancora confermato la partecipazione dei suoi rappresentanti. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe ha trattato per il nostro lettore solo alcuni argomenti discussi ed accordati durante l’incontro dei due potenti alleati geostrategici, il presidente cinese e quello russo. Alleati legati anche da un’amicizia senza limiti. Ma chissà se e quanto durerà questa amicizia. Perché, come affermava circa venticinque secoli fa Eschilo, il noto drammaturgo della Grecia antica, la cosa peggiore per i potenti è che non possono fidarsi degli amici.

  • Magistrati e 007 attivati per contrastare lo spaccio di Fentanyl

    Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, nel corso della conferenza stampa a Palazzo Chigi sull’aggiornamento al Piano nazionale di prevenzione contro l’uso improprio di Fentanyl e di altri oppioidi sintetici, ha dichiarato:  “Da un monitoraggio del web è emerso che il Fentanyl viene spacciato per lo più via internet. Soprattutto su siti cinesi, con recapito a mezzo poste e pagamento con criptovalute per renderle non tracciabili. Questo – ha proseguito Mantovano – dovrebbe rendere tutti (genitori, donne, famiglie) più attenti. Affinché gli adolescenti evitino di praticare questi siti. Tenendo conto che questa diffusione può avvenire o con delle prescrizioni vere e proprie o come farmaci o con operazioni mascherate. Abbiamo per esempio scoperte che dietro la dicitura ‘chinewhite’  si cela il Fentanyl“.

    Il sottosegretario ha spiegato Mantovano, che sul commercio di Fentanyl vigilano “anche i servizi segreti”, impiegati soprattutto “sul monitoraggio” della Rete ma anche dei flussi finanziari e che la Procura nazionale antimafia ha costituito un gruppo di lavoro ad hoc.  “Sono state sensibilizzate tutte le Procure, anche quelle ordinarie”. Tra gli obiettivi anche quello di “dotare gli agenti di polizia che agiscono in questi ambiti della sostanza antidoto, uno spray nasale. Per far sì che quando un agente effettua un intervento che fa emergere il Fentanyl non siano colpiti”.

    Si lavora poi anche sulle scuole: il ministro dell’Istruzione “ha sensibilizzato tutti gli istituti”, ha detto ancora Mantovano. Il rischio di eventuali ‘fughe’ di questa sostanza dagli ospedali non è escluso. “È un anestetico, un analgesico come la morfina. Dobbiamo essere più accorti per custodire i prodotti che la contengono in modo più cauto e prudente. E anche per consegnarla in circuiti rigorosamente controllati. Su questo c’è l’impegno del ministero della Salute, delle Regioni, degli ospedali e delle farmacie. Però l’attenzione perché si evitino furti c’è, perché c’è questo rischio”.

  • Scelte che evidenziano determinati interessi geopolitici

    Possiamo scegliere quello che vogliamo seminare, ma siamo

    obbligati a mietere quello che abbiamo piantato.

    Proverbio cinese

    La scorsa settimana è stata molto attiva per il Presidente della Repubblica popolare della Cina, allo stesso tempo segretario generale del partito comunista cinese. Ha effettuato tre visite di Stato in Europa: il 6 ed il 7 maggio era in Francia, poi è arrivato in Serbia ed, infine, in Ungheria. Il Presidente cinese ritornava in Europa dopo cinque anni. Il motivo dichiarato ufficialmente delle visite in Francia ed in Ungheria era la celebrazione del 60° e 75° anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche, rispettivamente, con la Francia e l’Ungheria. Mentre in Serbia si ricordava il bombardamento del 7 maggio 1999, durante la guerra in Kosovo, dell’ambasciata cinese a Belgrado dagli aerei della NATO. Bombardamenti che causarono la morte di tre giornalisti cinesi ed il ferimento di diverse persone. Ma un altro motivo importante delle visite del Presidente cinese nei tre sopracitati Paesi era quello economico e geopolitico.

    A Parigi il Presidente cinese è stato accolto all’Eliseo, il palazzo presidenziale, dal suo omologo francese. Durante l’incontro ufficiale ed ai successivi colloqui ha partecipato anche la presidente della Commissione europea. Quest’ultima ha affrontato, durante l’incontro, questioni di interesse per l’Unione europea, come le diverse controversie commerciali con la Cina. Ma è stata affrontata anche la situazione in Ucraina. Il Presidente francese ha sottolineato, tra l’altro, che il ruolo della Cina è decisivo, riferendosi alla guerra in Ucraina. Ma anche a quella nella Striscia di Gaza. Mentre, per quanto riguarda i rapporti commerciali tra i Paesi dell’Unione europea e la Cina, il Presidente francese ha ribadito che è necessario che siano stabilite e rispettate delle “regole eque per tutti”. Aggiungendo: “…L’avvenire del nostro continente dipenderà chiaramente anche dalla nostra capacità di continuare a sviluppare in modo equilibrato le nostre relazioni con la Cina”. Anche la presidente della Commissione europea, dopo l’incontro trilaterale, riferendosi alla guerra in Ucraina, ha dichiarato, che il Presidente cinese “…ha avuto un ruolo importante sulla riduzione delle minacce nucleari irresponsabili di Mosca” e di essere fiduciosa “che continui a farlo, anche alla luce degli ultimi sviluppi”. Ma ha anche chiesto alla Cina di intervenire sulle “minacce nucleari russe”. Mentre, per quanto riguarda i rapporti economici e commerciali, la presidente della Commissione europea ha sottolineato che con il Presidente cinese avevano discusso “delle questioni economiche e di commercio”. Specificando: “…Ci sono degli squilibri che suscitano gravi preoccupazioni e siamo pronti a difendere la nostra economia se serve”. Il Presidente cinese ha ammesso che tra la Cina e l’Unione europea ci sono “numerose controversie”, ma ha anche ribadito che “come due grandi potenze mondiali, la Cina e l’Ue devono rimanere partner, perseguire il dialogo e la cooperazione, approfondire la comunicazione strategica, rafforzare la fiducia reciproca strategica, consolidare il consenso strategico e impegnarsi nel coordinamento strategico”. Bisogna però evidenziare e sottolineare che, nonostante le massime autorità della Cina dichiarino la loro “neutralità” nell’ambito della guerra in Ucraina, la stessa Cina non ha mai condannato l’aggressione Russa in Ucraina. Non solo, ma fatti alla mano, risulterebbe che l’aumento reale degli scambi commerciali tra la Cina e la Russia durante l’anno scorso abbia contribuito a diminuire l’effetto reale delle sanzioni economiche poste dall’Unione europea, ma non solo, contro la Russia.

    Un altro Paese che ha stretto molti rapporti di vario tipo con la Russia è anche la Serbia. E in rispetto di questi rapporti, la Serbia, un Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, non ha condiviso le sanzioni poste alla Russia dalla stessa Unione, dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Ebbene, in seguito alla visita ufficiale in Francia, il Presidente cinese è arrivato in Serbia la sera del 7 maggio scorso. Ricordando così il bombardamento di 25 anni fa, proprio la sera del 7 maggio 1999, dell’ambasciata cinese a Belgrado dagli aerei della NATO.  L’indomani, l’8 maggio, l’illustre ospite è stato accolto dal suo omologo, il Presidente serbo, con tutti gli onori previsti dal protocollo ufficiale. Lui, dopo aver convintamente affermato il grande interesse della Serbia ad aumentare la collaborazione tra i due Paesi, ha ringraziato il Presidente cinese “…per aver scelto la Serbia come una tappa del suo primo viaggio in Europa dopo cinque anni”. Bisogna evidenziare che la Cina rappresenta il secondo Paese, dopo la Germania, per quanto riguarda i rapporti economici e gli investimenti fatti in Serbia. Mentre il Presidente cinese era in Serbia, veniva pubblicata dal quotidiano serbo Politika una sua lettera intitolata “Possa la luce della nostra amicizia d’acciaio risplendere sulla cooperazioni tra Serbia e Cina”. In quella lettera, tra l’altro, il Presidente cinese affermava che “…L’amicizia serbo-cinese, forgiata col sangue dei nostri compatrioti, rimarrà nella memoria condivisa dei popoli serbo e cinese e ci ispirerà ad andare avanti a grandi passi”. Nell’ambito della visita sono stati firmati ben 29 accordi bilaterali tra i due Paesi. La Serbia è uno dei Paesi che ha attivamente aderito alla nota iniziativa strategica cinese nota come la Nuova Via della Seta (in inglese Belt and Road Initiative; l’Iniziativa un Nastro ed una Via; n.d.a.). C’è stata anche un’espressa intesa politica e geopolitica. Per la Serbia, come dichiarato dal Presidente serbo, “Taiwan è Cina”. Lui ha altresì ribadito che la Cina sosterrà la Serbia in tutte le questioni che vengono discusse alle Nazioni Unite; compresa la questione del riconoscimento dello Stato del Kosovo.

    Dalla Serbia il Presidente cinese è arrivato in Ungheria. Una visita che coincide con il 75° anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi che hanno stabilito buoni rapporti di vario tipo, quegli economici compresi. Il Presidente cinese ha anche dichiarato che “…Cina e Ungheria sono buoni amici e partner che si fidano l’uno dell’altro”. E, guarda caso, la Cina finanzia quasi tutto il progetto della costruzione di una linea ferroviaria tra Budapest e Belgrado. Una linea che trasporterà merci di vario tipo, arrivate al porto greco di Pireo e dirette verso l’Europa occidentale. Un progetto parte integrante dell’iniziativa strategica cinese la Nuova Via della Seta. Bisogna sottolineare che l’Ungheria è il primo Paese dell’Unione europea che ha aderito a questa iniziativa, nota anche come Belt and Road Initiative. Il 9 maggio scorso l’ospite è stato onorato dalle massime autorità ungheresi. Ed anche in Ungheria sono stati firmati diversi accordi bilaterali tra i due Paesi.

    Chi scrive queste righe avrebbe altri argomenti di trattare per il nostro lettore, che riguardano  le scelte di collaborazione con la Cina, fatte dalla Serbia, dall’Ungheria, ma anche da altri Paesi. Scelte che evidenziano comunque degli interessi geopolitici, economici ed altro. Ma lo spazio non lo permette. Egli però chiude queste righe con un proverbio cinese che avverte: possiamo scegliere quello che vogliamo seminare, ma siamo obbligati a mietere quello che abbiamo piantato.

  • Hong Kong bans protest anthem after court case win

    Hong Kong’s government will be able to proceed with making a protest song illegal under the city’s national security laws after winning a court challenge.

    The High Court had last year rejected the government’s request for Glory to Hong Kong to be banned, saying it would have “chilling effects” on free speech.

    But on Wednesday an appeal court overturned that ruling.

    The move is likely to deepen concerns about freedoms being further eroded in the city.

    Amnesty International said the government’s ban was “as ludicrous as it is dangerous”.

    In the court’s ruling on Wednesday, it said that the song can still be used for “academic” or “news” activities.

    But its melodies and lyrics can not be broadcast, performed, shared or reproduced in any setting where the user intends to “incite others to commit secession” or is used “with seditious intention” against the Hong Kong government. Those convicted of breaching the ban on the anthem could face up to life imprisonment.

    It is also illegal for people to use the song to advocate for Hong Kong’s separation from China, and to present it as the anthem of the territory.

    A Chinese foreign ministry spokesman on Wednesday said banning the song was a “necessary measure by (Hong Kong) to fulfil its responsibility of safeguarding national security”.

    Amnesty’s China Director, Sarah Brooks said: “Banning ‘Glory to Hong Kong’ not only represents a senseless attack on Hong Kongers’ freedom of expression; it also violates international human rights law.

    “Singing a protest song should never be a crime, nor is it a threat to ‘national security’.”

    Hong Kong is part of China, but has had some autonomy since the end of British rule in 1997. Campaigners say that democratic freedoms have been gradually eroded since then.

    The song Glory to Hong Kong – sung in the territory’s native dialect Cantonese – emerged during pro-democracy protests in 2019 against a controversial extradition law and later became the unofficial anthem of the movement.

    Its lyrics include lines such as “Liberate Hong Kong” and “Revolution of our times. May people reign, proud and free, now and evermore. Glory be to thee Hong Kong”.

    While the new ban will specifically codify when the song’s use is illegal, people in Hong Kong had already been punished under national security laws for playing it.

    In 2022, a harmonica player was arrested for playing the song outside the British consulate in Hong Kong to mourn the death of Queen Elizabeth II.

    The song has been banned in schools since 2020.

    Officials had also petitioned internet giants like Google to remove the protest song from their search results and video platforms – something the sites refused to do.

    The song has also at times been mistakenly played as the city’s anthem at official events like international sporting matches, something that has angered authorities.

    On Thursday, the appeal court said pursuing a ban on the song’s use in political contexts fell within the remit of current national security laws.

    It said that because it was hard to prosecute individual criminal acts, “a more effective way to safeguard national security was to ask” would be to ask internet platforms to “stop facilitating the acts being carried out on their platforms”.

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