Commercio

  • Colombia cocaine: Cultivation reaches record high

    The area planted with coca bushes in Colombia reached a record high last year, an annual report to the UN says.

    The United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC) said that potential coca production had risen by 24% since 2021.

    Coca leaves are the key ingredient in cocaine and Colombia has long been the top producer of the illegal drug.

    The area planted with coca bushes rose by 13%, and the biggest increase was recorded in Colombia’s border areas.

    Almost two-thirds of the coca crops are found in the provinces of Nariño and Putumayo, which border Ecuador, and in Norte de Santander, on the Venezuelan border.

    There has been a 77% rise in in coca cultivation in Putumayo, which shares a border with Peru and Ecuador.

    Candice Welsch, UNODC’s regional director, said that it was “worrying that each year there is an increase in coca crops in the country”.

    Colombian Justice Minister Néstor Osuna said that his country was “flattening the curve” and that the rate of increase was much lower than in 2021.

    The UNODC’s Leonardo Correa however warned that there had been a sharp rise in potential coca production in 2022.

    “The crops that were young last year have now reached maturity and are now productive. In other words, the rate of growth in hectares is decreasing. But the rate of cocaine production is increasing,” he said.

    Both the size of the area planted with coca in Colombia and the potential coca production are at their highest since the UN began monitoring in 2001.

    Colombia is the top coca cultivator in the world, producing 60% of the world’s cocaine, followed by Peru and Bolivia.

    President Gustavo Petro on Saturday appealed to his regional counterparts to turn away from a militarised approach to fighting drug use and instead see it as a public health issue.

    “It is time to rebuild hope and not repeat the bloody and ferocious wars, the ill-named ‘war on drugs’, viewing drugs as a military problem and not as a health problem for society,” he said at the Latin American and Caribbean Conference on Drugs in Cali.

    His Mexican counterpart, Andrés Manuel López Obrador said it was key to “fight first and foremost against poverty and inequality, and to offer work and good salaries”.

    He said growers needed to be convinced “to switch from sowing marijuana, poppies and coca to planting beans, corn, cocoa and fruit trees”.

    Mexico is the base for some of the most powerful transnational drug cartels that control trafficking routes from South America to the United States and Europe.

    It also produces large amounts of heroin, cannabis, methamphetamine and synthetic opioids such as fentanyl.

  • La Germania frena, l’Italia si blocca e i container restano in mare

    L’economia tedesca frena, quella italiana frena di conseguenza (perché i tedeschi sono i migliori clienti), e le navi restano ferme coi loro container perché se non si consuma è inutile produrre. Le aziende che producono beni, dall’abbigliamento all’elettronica, hanno infatti già in magazzino delle scorte in eccesso e disdicono quindi le forniture.

    MSC, la più grande compagnia di container al mondo, ha fine luglio ha cancellato il viaggio della MSC Topaz e pochi giorni fa ha fatto altrettanto per la rotta che la MSC Deila, una nave lunga 366 metri, avrebbe dovuto compiere dall’Asia al Nord Europa. Il rallentamento dei trasporti marittimi ha iniziato a pesare sui colossi del settore. Lo scorso mese, ad esempio, CMA CGM ha dichiarato che i suoi margini di profitto per il secondo trimestre 2023 sono scesi del 73% a 2,6 miliardi di dollari rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre quelli del primo semestre di Hapag-Lloyd sono scesi a 3,8 miliardi di dollari rispetto a 10,9 miliardi di dollari dello stesso periodo nel 2022.

    Sanne Manders, presidente del settore marittimo e aereo presso il broker di merci Flexport, intervistato dalla Cnbc, ha spiegato che guardando ai prossimi due mesi ci sarà ancora molta capacità di trasporto da aggiungere. Secondo una ricerca pubblicata da Bernstein, le compagnie di navigazione hanno ordinato un numero record di navi dopo che la pandemia di Covid-19 ha portato loro enormi quantità di liquidità. Secondo Niels Rasmussen, capo analista marittimo del Baltic and International Maritime Council (BIMCO), le tariffe di trasporto dall’Estremo Oriente al Nord Europa sono ormai sotto pressione da poco più di un anno. Le tariffe spot dei container riportate dallo Shanghai Shipping Exchange sono, infatti, diminuite di quasi il 90% per il periodo di 3 mesi da marzo a maggio, rispetto allo stesso periodo del 2022. Simon Heaney, senior manager per la ricerca sui container presso la società di consulenza marittima Drewry, ha spiegato che il mercato dei container è nel mezzo di un crollo della domanda, quindi le partenze in bianco vengono ancora una volta utilizzate per cercare di bilanciare il mercato. L’eccesso di inventario, insieme alle deboli vendite al dettaglio, sono infatti parte della ragione del calo delle spedizioni.

    Secondo una stima effettuata da Bernstein, a maggio, i rivenditori statunitensi detenevano 778 miliardi di dollari di scorte, il livello più alto dal 2019. Nel lungo termine, Manders prevede che i volumi del trasporto marittimo aumenteranno, mentre il trasporto aereo diminuirà, in parte a causa di catene di approvvigionamento meglio pianificate.

  • Ucraina: riconoscimento reciproco delle sentenze tra l’UE e l’Ucraina ai sensi della convenzione dell’Aia

    E’ appena entrata in vigore la convenzione dell’Aia sulle sentenze, che garantisce il riconoscimento internazionale e l’esecuzione delle sentenze emesse dagli organi giurisdizionali di altri paesi in materia civile e commerciale. L’UE e l’Ucraina hanno aderito alla convenzione e altri paesi dovrebbero aderirvi in futuro.

    Oggi la diversità delle leggi e delle pratiche nel mondo rende spesso difficile per i cittadini e le imprese dell’UE ottenere il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze di altri paesi. Questa incertezza giuridica e i relativi costi possono indurre molte persone a rinunciare a far valere i loro diritti o a decidere di non impegnarsi nelle relazioni internazionali.

  • La Commissione raccoglie pareri per rendere i settori del commercio all’ingrosso e al dettaglio più resilienti, digitali e verdi

    La Commissione invita le parti interessate ad esprimersi su come far sì che l’ecosistema industriale al dettaglio possa realizzare la trasformazione digitale, verde e nel campo delle competenze e diventare più resiliente e competitivo, seguendo principi di giustizia ed equità. Come base per la consultazione la Commissione ha pubblicato un documento  in cui si analizzano le principali problematiche e opportunità legate alla transizione.

    Le imprese e le associazioni di categoria di tutto l’ecosistema oltre alle amministrazioni pubbliche, le parti sociali, i consumatori, gli istituti di ricerca, il mondo academico e altri interessati potranno rispondere al questionario EU Survey fino al 26 settembre 2023.

    Oltre alla consultazione, la Commissione organizza anche workshop con le parti interessate per comprendere meglio le sfide che l’ecosistema in questione si trova ad affrontare. I risultati della consultazione e dei workshop confluiranno nel processo di co-creazione di un percorso di transizione che prevede interventi e impegni concreti intesi a promuovere la digitalizzazione e la transizione ecologica dell’ecosistema del commercio al dettaglio, percorso che si concluderà all’inizio del 2024.

    Con 30 milioni di occupati in 5,5 milioni di aziende e un valore aggiunto di circa 1,5 miliardi di euro, l’ecosistema del commercio al dettaglio, comprendente il commercio al dettaglio e all’ingrosso, è il più importante di tutti gli ecosistemi industriali dell’UE. Visti i legami con la maggior parte degli ecosistemi industriali, il fatto di renderlo più competitivo può avere ricadute positive per l’intera economia dell’UE, che serve 450 milioni di consumatori.

    La Commissione ha proposto di istituire percorsi di transizione in vari comparti nell’aggiornamento della strategia industriale del maggio 2021, nell’ambito delle iniziative volte ad accelerare la duplice transizione verde e digitale dell’industria europea. Oltre all’aggiornamento della strategia la Commissione ha presentato la prima relazione annuale sul mercato unico, che analizza le sfide cui devono far fronte i diversi ecosistemi e funge da base per la preparazione dei percorsi di transizione.

  • Superata la Germania, l’Italia terza nell’arredo

    Rallenta ma non si ferma la crescita del settore dell’arredo a livello globale, nel cui firmamento brilla la stella del Made in Italy, con il nostro Paese che scavalca la Germania e conquista il terzo posto dietro ai colossi Cina e Stati Uniti.

    L’incertezza economica, rileva l’Area Studi Mediobanca, dovrebbe contenere lo slancio del comparto al 5% nel 2023, dopo un 2022 e un 2021 cresciuti a doppia cifra, rispettivamente del 12% e del 14%. Le previsioni di lungo periodo sono comunque positive e stimano un incremento del giro d’affari globale dai 530 miliardi del 2022 a 690 miliardi nel 2027. La Cina, seppure in frenata, mantiene una leadership indiscussa, con il 37,1% della produzione mondiale e il 34,1% delle esportazioni. Seguono, a grande distanza, gli Stati Uniti (13,6%) e l’Italia che, grazie a una market share del 4,5%, scavalca la Germania (4,3%) al terzo posto. Dopo la Polonia il nostro Paese è il secondo esportatore dell’Ue a 27, a cui destina il 45,9% del suo export, e il quarto al mondo, alle spalle di Polonia, Vietnam e della solita Cina.

    Lo studio analizza anche i bilanci di 286 aziende italiane con un fatturato superiore ai 10 milioni. Nel 2021 l’aggregato ha realizzato ricavi per 14 miliardi (+23,8%) riprendendosi dal calo del 5% subito nel 2020 a causa della pandemia. Trend che dovrebbe essere continuato nel 2022, con un aumento del fatturato del 18%, più sul mercato estero (+20%) che su quello interno (+16%), mentre per quest’anno il 57% delle aziende prevede un incremento, seppur più contenuto, di fatturato ed export, il 32% un calo e l’11% uno stallo.

    “Qualità dell’offerta settoriale” e «specializzazione nell’alto di gamma” sono, a detta di Mediobanca, gli ingredienti del nostro “successo” all’estero, mercato da cui nel 2021 è arrivato il 55,2% dei ricavi, con l’Italia “punta di diamante” nel segmento da oltre 50 miliardi dell’arredo di lusso. Svecchiamento e carenza di forza lavoro qualificata, riorganizzazione della supply chain per ridurre la dipendenza dall’estero, specialmente di legno, e spinta sulla digitalizzazione per aumentare le vendite online sono invece le sfide che attendono il settore.

  • Boom degli acquisti online di prodotti di seconda mano

    Il re-commerce sta assumendo un ruolo sempre più importante nel mondo del retail, dove i consumatori tendono a cercare opzioni di acquisto sempre più convenienti e sostenibili. In particolare, secondo i dati del sondaggio recentemente riportato da TechCrunch circa l’82% dei consumatori a livello globale vende e/o acquista prodotti second-hand.

    I fattori che spingono i consumatori a optare per il re-commerce sono legati principalmente alla “caccia all’affare”, che consente loro di risparmiare attraverso l’acquisto di prodotti di marca ad un prezzo accessibile e/o di guadagnare grazie alla vendita di articoli di seconda mano, che costituisce per molti un’ulteriore fonte di reddito. In particolare, per Gen Z (13%) e Millennial (19%) il re-commerce è diventato una fonte di reddito primaria o secondaria (30% per entrambi). Altra motivazione è rappresentata dalla ricerca di stili di consumo più sostenibili: se pensiamo che solo nel settore dell’abbigliamento ogni anno vengono scartati o distrutti prodotti invenduti o in eccesso per un valore complessivo di miliardi di dollari, e ne consideriamo l’impatto ambientale (l’industria della moda contribuisce fino al 10% delle emissioni di gas serra a livello mondiale), è facile comprendere il riscontro positivo del re-commerce in termini di sostenibilità. Forbes USA rivela che il 62% di Millennial e Gen Z preferisce acquistare capi prodotti da marchi che integrano una strategia di sostenibilità. Tutti fattori che accelerano la crescita del mercato del re-commerce, che si prevede raggiungerà 289 miliardi di dollari entro il 2027 (+80% rispetto al 2021), crescendo 5 volte più rapidamente del mercato del retail complessivo. Questa tendenza che si sta verificando a livello globale, si sta riflettendo anche nelle abitudini di acquisto dei consumatori italiani: secondo il sondaggio realizzato da Lega Coop e IPSOS, presentato lo scorso maggio, circa 1 italiano su 2 ha acquistato almeno un prodotto usato negli ultimi 3 anni. In un mercato in cui il consumatore tende ad acquistare più spesso su canali digitali piuttosto che in negozi fisici, la maggior parte degli acquisti avviene tramite marketplace di re-commerce online (61%). Basti pensare che gli utenti trascorrono 27 minuti al giorno su queste piattaforme, poco meno del tempo che si trascorre su social come Facebook, Instagram o Snapchat (circa 30 minuti al giorno).

    Come riportato da Forbes USA, si stima che le piattaforme di rivendita stiano progredendo ad un tasso di crescita annuale composto superiore al 34%. Il volume di rivendita di articoli di moda online negli Stati Uniti raddoppierà tra il 2022 e il 2026, quando raggiungerà i 23,92 miliardi di dollari. In quest’ottica “è importante per le aziende del mondo retail dotarsi di applicazioni e piattaforme digitali modulari e flessibili ispirati ai principi del Composable Business, per abilitare rapidamente nuovi servizi e modelli di business e per costruire un customer journey semplice, personalizzato e facilmente evolvibile”, secondo Francesco Soncini Sessa, Head of Strategic Alliances di Mia-Platform, tech company italiana che accelera la creazione di piattaforme e applicazioni digitali, e che nel settore Retail supporta le aziende nella costruzione di piattaforme omnicanale basate sui principi di Platform Engineering. “L’utilizzo di soluzioni componibili nel settore retail è diventato fondamentale per le aziende che vogliono rimanere competitive e soddisfare le esigenze in continua evoluzione dei propri clienti. Grazie a un’architettura modulare, i player del settore possono ottenere una maggiore agilità operativa, personalizzazione dell’esperienza cliente, capacità di innovazione continua ed efficienza operativa, aggiungendo, sostituendo o integrando facilmente nuove funzionalità e applicazioni senza dover riscrivere l’intera infrastruttura.”

  • UE-Kenya: conclusi i negoziati per un ambizioso APE con accento sulla sostenibilità

    L’UE e il Kenya hanno annunciato la conclusione politica dei negoziati per un accordo di partenariato economico (APE). L’accordo promuoverà gli scambi di merci e creerà nuove opportunità economiche, con una cooperazione mirata per accrescere lo sviluppo economico del Kenya. Si tratta dell’accordo commerciale più ambizioso dell’UE con un paese in via di sviluppo sotto il profilo delle disposizioni sulla sostenibilità, quali la protezione del clima e dell’ambiente e i diritti dei lavoratori.

    I negoziati si sono conclusi con una cerimonia ufficiale svoltasi a Nairobi, alla quale hanno partecipato il Vicepresidente esecutivo della Commissione europea e commissario per il Commercio Valdis Dombrovskis e il Ministro degli Investimenti, del commercio e dell’industria del Kenya Moses Kuria; era presente anche il Presidente kenyota William Samoei Ruto.

    L’UE è la prima destinazione delle esportazioni e il secondo partner commerciale del Kenya: gli scambi commerciali del 2022 avevano un valore complessivo di 3,3 miliardi di €, in aumento del 27% rispetto al 2018. L’APE creerà ulteriori opportunità per le imprese e gli esportatori kenyoti in quanto aprirà pienamente e in un colpo solo il mercato dell’UE ai prodotti kenyoti e incentiverà gli investimenti dell’UE in Kenya grazie all’accresciuta certezza del diritto e a una maggiore stabilità.

    Il Kenya fa da apripista negli sforzi di sostenibilità del continente africano ed è un alleato affidabile nella lotta ai cambiamenti climatici. Insieme all’UE, all’Ecuador e alla Nuova Zelanda, il paese africano è alla guida della coalizione dei ministri del Commercio sul clima, un’iniziativa avviata quest’anno. L’APE UE-Kenya si basa su questi solidi risultati ed è il primo accordo con un paese in via di sviluppo che rispecchia il nuovo approccio dell’UE in materia di commercio e sviluppo sostenibile. L’accordo contiene solidi impegni in materia di commercio e sostenibilità, tra cui disposizioni vincolanti su diritti dei lavoratori, parità di genere, ambiente e lotta ai cambiamenti climatici.

    L’accordo è equilibrato e tiene conto delle esigenze di sviluppo del Kenya, lasciando al paese un periodo più lungo per aprire gradualmente il proprio mercato, dandogli garanzie sull’agricoltura e proteggendo il suo settore industriale in fase di sviluppo. È stato inserito un capitolo dedicato alla cooperazione economica e allo sviluppo, volto a rafforzare la competitività dell’economia kenyota. Insieme all’assistenza allo sviluppo fornita dall’UE, questo contribuirà allo sviluppo delle capacità e agevolerà il Kenya nell’attuazione dell’APE, aiutando nel contempo gli agricoltori locali a soddisfare le norme dell’UE e a cogliere le opportunità offerte dal presente accordo.

    L’APE dovrà essere sottoposto a revisione giuridica ed essere poi tradotto prima che la Commissione lo presenti al Consiglio per la firma e la conclusione; dopo l’adozione del Consiglio, l’UE e il Kenya potranno firmare l’accordo; successivamente, il testo sarà trasmesso al Parlamento europeo, che dovrà approvarlo.  Le parti potranno quindi decidere di applicare in via provvisoria parti dell’accordo, che entrerà pienamente in vigore una volta ratificato dal Kenya e dagli Stati membri dell’UE.

    L’accordo di partenariato economico tra l’UE e il Kenya mira ad attuare le disposizioni dell’APE UE-Comunità dell’Africa orientale (EAC) e sarà aperto alla futura adesione di altri paesi dell’EAC.

    L’APE e i suoi ambiziosi impegni rappresentano un risultato fondamentale del riesame della politica commerciale svolta dall’UE nel 2021 e della sua politica commerciale con l’Africa; l’accordo aiuta l’UE ad approfondire e ampliare gli attuali accordi commerciali con i paesi africani e a rafforzarne gli obiettivi di sostenibilità.

  • La rupia indiana sta assumendo un ruolo alternativo

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ItaliaOggi il 17 maggio 2023

    L’India sta accelerando il processo verso l’utilizzo delle monete locali, ovviamente anche della sua valuta, la rupia, nei commerci internazionali. Poiché l’India non è vista come un nemico, come la Russia, né un pericoloso concorrente, come la Cina, ciò potrebbe, e dovrebbe, essere da stimolo per l’Unione europea e per i singoli Paesi europei, Italia in primis, a immaginare e proporre una possibile riforma del sistema monetario globale, basato appunto su un paniere di monete importanti. Ci sarebbero dei forti alleati.

    Secondo esperti politici indiani «le sanzioni hanno creato un nuovo mondo di paesi che cercano di commerciare utilizzando le proprie valute invece del dollaro Usa». Essi affermano anche che le sanzioni hanno danneggiato paesi terzi, come l’India, responsabili soltanto di avere dei rapporti commerciali con chi, per svariati motivi, è stato oggetto di sanzioni.

    Ad esempio, il Venezuela e l’Iran sono ricchi di petrolio e in passato sono stati i principali fornitori dell’India. Il commercio fu di fatto fermato a causa delle sanzioni statunitensi. Anche il Myanmar ha subito diverse sanzioni, inasprite dopo il recente colpo di stato. A pagarne le spese è stato anche il commercio indiano.

    L’India fa sapere di essere stata anch’essa colpita dalle sanzioni occidentali dopo i test nucleari del 1974 e del 1998. Com’è noto, le sanzioni vietano a persone fisiche e società (comprese le banche) di fare determinate transazioni con controparti nei paesi target. Poiché gran parte del commercio globale è in dollari, le società e i paesi sanzionati non possono più accedere al sistema bancario statunitense e sono, quindi, esclusi dal commercio globale. Ciò rende le aziende diffidenti nel fare affari con paesi sanzionati e rende efficaci le sanzioni statunitensi, anche se molti governi non le riconoscono.

    Una valuta legale si basa sulla fiducia nel governo che la emette. Molti indiani affermano che il governo Usa ha abusato di questa fiducia. Non solo per le sanzioni ma anche per la creazione di denaro eccessivo attraverso l’aumento del proprio debito pubblico.

    L’India riconosce che Pechino desiderava da tempo che la sua moneta sostituisse il dollaro come mezzo di scambio internazionale. Nel 2016 lo yuan è stato aggiunto al paniere di valute utilizzate dal Fmi per calcolare i Diritti Speciali di Prelievo. Nello stesso anno ha creato l’Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), la versione cinese delle istituzioni guidate dall’Occidente come la Banca mondiale e l’Asian Development Bank. L Aiib ha il supporto di oltre 90 paesi e l’India ne è il secondo maggiore azionista.

    Sebbene la sua economia sia più piccola di quella cinese, l’India ha maggiori possibilità di internazionalizzare la sua valuta rispetto alla Cina in quanto è ritenuta più orientata al mercato e più trasparente. L’India sostiene che le sanzioni occidentali contro Russia, Iran e Myanmar rimarranno a lungo e che in futuro altri paesi potrebbero essere presi di mira. Questo timore la sta spingendo a preparare sistemi di pagamento alternativi. L’obiettivo è creare sistemi paralleli che possano consentire il commercio, piuttosto che “sostituire” il dollaro.

    La rupia indiana può fornire uno di questi meccanismi. Lo ha già fatto in passato anche se in modo limitato. Infatti, fino al 1971 essa è stata utilizzata come valuta da molti stati del Golfo Persico, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrain, ecc. Poi, ripetute svalutazioni hanno spinto questi paesi a creare le proprie monete.

    Si presume erroneamente che l’imperialismo britannico abbia introdotto la rupia nel commercio internazionale, ma essa era una valuta commerciale già liberamente circolante molto prima dell’arrivo delle compagnie europee sulle coste indiane. Gli storici indiani hanno dimostrato che la rupia è stata utilizzata per 500 anni nel commercio con il subcontinente indiano, anche grazie alla presenza di un’influente diaspora commerciale indiana. La storia della rupia dal XVII all’inizio del XX secolo non ha esempi paragonabili nella Cina imperiale di quel periodo.

    Oggi, la United Payment Interface dell’India, un sistema di pagamento in tempo reale sviluppato dalla National Payments Corporation per facilitare le transazioni interbancarie e regolato dalla Reserve Bank of India, consente ai titolari di conti di effettuare pagamenti in rupie in diversi paesi: Singapore, Emirati Arabi Uniti, Mauritius, Nepal e Bhutan. L’India incoraggia attivamente il commercio bilaterale con il Bangladesh e lo Sri Lanka utilizzando la rupia. La banca statale, UCI Bank, che in passato ha facilitato il commercio con l’Iran, programma di espandere le sue attività nell’intera regione asiatica.

    Una nota conclusiva che riguarda l’Europa. Secondo una recente analisi pubblicata da Bloomberg, dall’inizio della guerra in Ucraina e dell’inasprimento delle sanzioni che hanno drasticamente ridotto le importazioni europee di gas e di petrolio dalla Russia, l’India è diventata in primo fornitore di prodotti petroliferi dell’Europa. Non dovrebbe sorprendere che Nuova Delhi importa petrolio principalmente dalla Russia. Resta ancora una domanda: come sono pagate le fatture, in euro, in rupie o ancora in dollari?

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Il vino piace in presenza, l’e-commerce segna il passo

    Segna il passo l’e-commerce di vino in Italia. Dopo il pieno durante il lockdown, che aveva portato – tra il 2019 e il 2021 – alla crescita monstre del 250% del business online in Gdo e in alcune tra le principali piattaforme digitali di vendita, il 2022 chiude con un calo del 15% nei volumi e addirittura del 23% nei valori. Un dato, rileva l’Osservatorio Uv-Ismea su base Ismea-Nielsen IQ – che monitora sia le vendite online dei retailer che quelle di Glovo, Amazon e similari sul web, meno vistoso ma comunque significativo, che segna un ritorno alla normalità anche per chi ha approfittato dell’anomalia pandemica per sostituirsi ai mercati tradizionali.

    Da Unione italiana vini invitano però a osservare il bicchiere mezzo pieno: «Anche con lo stop del 2022, rispetto al pre-covid in due anni il business del vino online è triplicato nei suoi volumi – ha detto il segretario generale di Unione italiana vini, Paolo Castelletti – adesso si dovrà assestare, consolidare. Deve lavorare sempre più sulla cultura delle specificità e sulle nicchie di enoappassionati, sulla qualità più che sulla quantità. Le referenze non potranno riflettere solo quelle che si trovano sugli scaffali». «Sul vino torna a prevalere la convivialità, sia nel consumo che nel rapporto di fiducia col produttore e con l’enotecaro» commenta il presidente di Feudi San Gregorio Antonio Capaldo. Ma per la cantina più importante del Sud «sarebbe un errore abbandonare il canale online che semplifica i rapporto tra addetti del settore, coinvolge nuovi consumatori nativi digitali, permette una comunicazione più esaustiva e quindi acquisti consapevoli». Certo è, rileva l’Osservatorio, che la discesa c’è stata, e a poco è servito abbassare i prezzi – l’e-commerce è stato l’unico tra i canali retail a diminuire i listini in tempi di inflazione – in media del -9,5%. Secondo le elaborazioni del campione Nielsen, lo scorso anno le vendite online sono equivalse a 10,2 milioni di bottiglie (da 0,75/litri), per un controvalore di quasi 52 milioni di euro. Poco in confronto ai volumi espressi in Gdo (l’equivalente di 1 miliardo di bottiglie), tanto se si considera che nel 2019 gli ordini online erano esattamente 3 volte di meno.

    Tra le tipologie preferite dal consumatore digitale, senz’altro le bollicine, che vincono di gran lunga nella proporzione tra bottiglie commercializzate dalla piattaforma rispetto al totale venduto per categoria. E non a caso è stato il Prosecco a registrare di gran lunga il record di vendite nel 2022, con quasi 1,2 milioni di bottiglie, seguiti dagli spumanti Charmat (no Prosecco) con 470 mila pezzi e dai Metodo classico (270 mila). Tra le Dop ferme, primeggia il Chianti, (251 mila bottiglie) con le Igt appannaggio di Lambrusco Emilia e di Terre Siciliane. Nell’analisi sui trend del triennio (2022 vs 2019), Uiv e Ismea rilevano come il vino online nel suo complesso sia cresciuto nei volumi commercializzati del 200%, con incrementi sopra la media per gli spumanti (+235%, con il Prosecco a +283%) e con i vini fermi a +191%. Diverso lo scenario dell’ultimo anno che segna una perdita tendenziale in volume (-15%) per tutte le categorie, a partire da quelle a denominazione (-21% per le Doc/Docg, -10,4% per le Igt) con un decremento meno marcato per i vini comuni (-5,1%).

  • Un mercato illegale che coinvolge 8 milioni di cuccioli

    La Commissione europea, assunti anche i dati forniti per il 2020 dall’eurogruppo per la difesa degli animali, ha avviato piani di controllo coordinati con il settore legato al controllo del traffico illegale di cani e gatti.

    Come abbiamo più volte denunciato, dalle pagine del Patto Sociale, il traffico illegale è una importante fonte di guadagno per le associazioni criminali.

    I dati europei evidenziano come, secondo le segnalazioni inviate al network antifrode, un terzo dei dati riguarda le movimentazioni illegali di animali domestici.

    Le stime ufficiali della Commissione europea parlano di un mercato illegale che coinvolge 8 milioni di cuccioli per un valore di un miliardo di euro. A questi dati, che si riferiscono al traffico illegale di animali da compagnia, va aggiunto l’immenso guadagno delle organizzazioni criminali che si occupano di combattimenti e competizioni tra animali con le correlate scommesse clandestine.

    Da non trascurare anche il business illegale legato al traffico di animali esotici.

    L’unità Eu Agri-Food Fraud Network (FFN) della Commissione europea ha recentemente incluso tra le sue competenze il benessere degli animali.

    Le violazioni riscontrate non solo procurano un danno alla salute, in molti casi la stessa morte degli animali, ma procurano anche un notevole danno economico dal punto di vista commerciale e fiscale ed un altrettanto danno dal punto di vista sanitario, sia per gli animali che per le persone.

    Per dare tutti un contributo alla lotta contro questi traffici non comperiamo animali sulla rete e denunciamo qualunque situazione che appaia poco chiara. Ogni animale messo in vendita deve avere un regolare libretto sanitario con le vaccinazioni effettuate e si devono poter conoscere i genitori.

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