Commercio

  • L’Irlanda chiede alla Wto di regolamentare le etichette a Wto del vino

    L’Irlanda non cambia rotta e nonostante il parere contrario di 13 altri Paesi membri Ue, tra cui l’Italia, tira dritto: a inizio febbraio ha notificato all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) le norme tecniche sull’etichettatura ‘salutista’ degli alcolici. Il progetto di regolamento sull’etichettatura si applicherebbe a tutti i prodotti alcolici venduti in Irlanda, si ricorda nella notifica, siano essi prodotti localmente o importati. Pertanto – è questo il primo iceberg in rotta di collisione in questa inesorabile navigazione solitaria dell’isola verde – potrebbe costituire una barriera tecnica al commercio. Ed è proprio su questo punto che il ministro degli Affari esteri Antonio Tajani ha inviato una lettera al vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrowskis.

    Secondo Tajani, le nuove norme irlandesi sulle etichette “rischiano di essere una fonte di distorsione agli scambi internazionali, equivalente a una restrizione quantitativa”. Il provvedimento, sottolinea Tajani, oltre ad essere criticabile sotto il profilo del diritto europeo, “potrebbe innescare una reazione a catena che finirebbe con il danneggiare l’insieme dell’Unione”.

    Ma i tempi si fanno stretti anche per il fronte contrario agli health warning nelle etichette del vino: il periodo per la presentazione delle opposizioni scade dopo 90 giorni. E l’Italia non sembra star ferma a guardare: “Proporrò all’Irlanda – ha annunciato su Twitter il ministro dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste, Francesco Lollobrigida – una mediazione che può aiutarli a rendere più chiara la loro etichetta e soprattutto garantire corretta informazione. Eccessi e abusi vanno combattuti, ma un uso moderato garantisce, come la scienza afferma, benessere. #sdrammatizziamo #difendiamolaqualità”, ha aggiunto il ministro.

    Nel gioco delle alleanze contro l’iniziativa irlandese, che tanto danno di immagine sta già creando al comparto, mettendo poi un’ipoteca sulle potenzialità di esportazione in terra irlandese, guarda oltreoceano l’eurodeputato Paolo De Castro (Pd). “Ora la battaglia – ha rilevato – si sposta a Ginevra dove dovremo trovare alleati a livello internazionale, a partire dagli Stati Uniti. Siamo in contatto – fa sapere De Castro – con la Missione statunitense a Bruxelles, affinché anche Washingthon possa sollevare osservazioni” in sede Wto.

    “L’Irlanda ha fatto il suo passo, ora – ha spronato il vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio (Lega) – tocca a noi. I Paesi contrari alle etichette allarmistiche devono fare fronte comune e presentare formale opposizione in quella sede entro i tre mesi previsti. A guidare questa coalizione non può che essere l’Italia”, ha affermato Centinaio.

    Per Federvini l’iniziativa irlandese “è basata su un approccio demonizzante delle bevande alcoliche, con indicazioni sanitarie che non distinguono tra consumo moderato e abuso”. Da qui l’appello al governo Meloni affinché “crei una coalizione di Paesi contro ogni discriminazione dell’alcol”. Secondo Ignacio Sánchez Recarte, segretario generale della Ceev, il Comitato europeo delle imprese del vino “in questa fase solo la Corte di giustizia dell’Unione europea sarebbe in grado di difendere” il mercato interno Ue. Mentre Coldiretti stima la conta dei danni: il blitz irlandese sulle etichette allarmistiche va fermato per difendere un prodotto simbolo del nostro Paese che è anche il principale produttore ed esportatore mondiale di vino, con oltre 14 miliardi di fatturato e dà lavoro dal campo alla tavola a 1,3 milioni di persone. “L’export rischia di essere penalizzato” è il grido d’allarme di Confagricoltura Bologna e per di più con un “messaggio fuorviante per il consumatore”.

  • La storia dell’Ottocento si ripete

    Da molti anni le aziende della Silicon Valley vengono Indicate come le massime artefici nel futuro prossimo dello sviluppo economico e soprattutto sociale delle economie occidentali. Indubbiamente la digitalizzazione della pubblica amministrazione, come di molti sistemi industriali, ha offerto un ruolo sempre più centrale alle aziende di questo settore in continua evoluzione tanto da venire elette come le rappresentanti della nuova modernità e soprattutto del politicamente corretto.

    Esistono, tuttavia, aspetti importanti relativi a queste icone che troppo spesso non vengono considerati nella loro importanza.

    Il primo è sicuramente quello relativo agli indirizzi verso i quali i titolari di queste aziende dirigono i propri investimenti. Il patron di Microsoft è diventato uno dei maggiori latifondisti statunitensi contribuendo così di fatto alla morte dei piccoli e medi coltivatori ed allevatori.

    Viceversa, il titolare di Amazon ha acquistato il maggiore supermercato fisico, Whoole Foods, per oltre 13 miliardi di dollari confermando il proprio desiderio monopolistico da imporre al mercato ed esprimendo cosi la propria chiara volontà attraverso una politica di prezzi molto aggressivi nei confronti della distribuzione tradizionale che successivamente ha inevitabilmente portato al licenziamento di circa 18.000 dipendenti della stessa Amazon. A conferma della insostenibilità della politica di prezzi della major di e-commerce, adottata con l’unico obiettivo di togliere ossigeno alla distribuzione tradizionale.

    Dopo due anni di pandemia e un anno di guerra, i  cui effetti devastanti stanno mettendo in crisi persino questi giganti del web, anche Google ha deciso di ridurre la propria forza lavoro, “per dirottare i propri investimenti verso le principali priorità”, con una semplice e-mail lontana anni luce da una qualsiasi espressione di rispetto per i propri dipendenti.

    Tra latifondismo, volontà monopolistica e modalità spregevoli di licenziamento degne di coltivatore di cotone,  i simboli eletti a rappresentanti della nuova modernità e sempre all’interno del filone politico del “politically correct” assomigliano quindi sempre più alle vecchie e anacronistiche figure dell’ottocento.

    La storia si ripete.

  • Opium production in Myanmar surges to nine-year high

    The production of opium increased sharply in Myanmar, rising to a nine-year high, according to the UN.

    It touched nearly 795 metric tonnes in 2022, nearly double the production in 2021 – 423 metric tonnes – the year of the military coup.

    The UN believes this is driven by economic hardship and insecurity, along with higher global prices for the opium resin that is used to make heroin.

    The coup plunged much of Myanmar into a bloody civil war that still continues.

    “Economic, security and governance disruptions that followed the military takeover of February 2021 have converged, and farmers in remote, often conflict-prone areas in northern Shan and border states, have had little option but to move back to opium,” said Jeremy Douglas, the regional representative for the UN Office on Drugs and Crime (UNODC).

    The region, where the borders of Myanmar, Thailand, and Laos meet – the so-called Golden Triangle – has historically been a major source of opium and heroin production.

    The UN report released on Thursday said Myanmar’s economy was confronted by external and domestic shocks in 2022 – such as the Russia-Ukraine war, continued political instability and soaring inflation – which provide “strong incentives” for farmers to take up or expand opium poppy cultivation.

    Myanmar is the world’s second-largest producer of opium, after Afghanistan. The two countries are the source of most of the heroin sold around the world. Myanmar’s opium economy is valued at up to $2bn (£1.6bn), based on UN estimates, while the regional heroin trade is valued at approximately $10bn.

    But over the past decade crop substitution projects and improving economic opportunities in Myanmar have led to a steady fall in cultivation of the opium poppy.

    The annual opium survey conducted by the UN, however, shows that production in Myanmar has risen again. Opium production in 2022 has been the highest since 2013, when the figure stood at 870 metric tonnes.

    Since the coup the UN has also monitored even larger increases in synthetic drug production. In recent years, this has supplanted opium as the source of funding for armed groups operating in the war-torn border areas of Myanmar.

    However, opium requires a lot more labour than synthetic drugs, making it an attractive cash crop in a country where the post-coup economic crisis has dried up many alternative sources of employment.

    Opium farmers’ earnings grew last year to $280/kg, a sign of the attractiveness of opium as a crop and commodity, as well as strong demand. It is a key source of many narcotics, such as heroin, morphine and codeine.

    Opium poppy cultivation areas in 2022 rose by a third to 40,100 hectares, according to the report, which also pointed to increasingly sophisticated farming practices. Average opium yields have also risen to the highest value since the UNODC started tracking the metric in 2002.

    Mr Douglas said Myanmar’s neighbours should assess and address the situation: “They will need to consider some difficult options.”

    He added that these solutions should account for the challenges people in traditional opium-cultivating areas face, including isolation and conflict.

    “At the end of the day, opium cultivation is really about economics, and it cannot be resolved by destroying crops which only escalates vulnerabilities,” said Benedikt Hofmann, UNODC’s country manager for Myanmar.

    He added: “Without alternatives and economic stability, it is likely that opium cultivation and production will continue to expand.”

    According to an earlier UNODC report, prices for opium soared in Afghanistan last spring after the ruling Taliban announced a ban on cultivation.

  • In Italia 30mila piccole aziende a rischio usura

    In Italia 30mila piccole aziende del commercio e dei pubblici esercizi sono oggi a elevato rischio usura e altri eventi criminali. Il dato emerge da un’analisi di Confcommercio presentata nel corso della nona edizione della giornata nazionale “Legalità, ci piace!”. Lo studio ha calcolato il “costo” dell’illegalità per le imprese italiane del commercio nel 2021: quasi 31 miliardi di euro, che comprendono le perdite dirette di fatturato dovute a eventi come abusivismo commerciale e nella ristorazione, contraffazione o taccheggio patite dal settore regolare, le spese difensive, gli oneri in eccesso rispetto a una situazione di assenza di criminalità e i costi del cybercrime. La perdita complessiva annua del fatturato dei settori colpiti è del 6,3% del valore aggiunto, 4,7 miliardi in meno, e mette a rischio quasi 200mila posti di lavoro regolari.

    Le aziende si sentono meno sicure, specialmente nelle grandi città e nel Mezzogiorno. A preoccupare principalmente gli imprenditori è l’usura, fenomeno percepito in maggior aumento (27%), seguito da abusivismo (22%), racket (21%) e furti (21%). L’11% dei titolari delle aziende ha avuto notizia diretta di episodi di usura nella zona dove svolge l’attività, mentre il 17,7% è molto preoccupato per il rischio di esposizione a questi reati. Ancora una volta, i timori maggiori nelle città con il maggior numero di abitanti (22%) e al Sud (19%).

    Quella dell’usura, sottolineano da Confcommercio, è una questione che contribuisce a comprimere la crescita di lungo termine dell’economia. Ed è un fenomeno ancora caratterizzato da “numeri oscuri”: le denunce, 156 nel 2021, non rappresentano le reali dimensioni del problema. “Nonostante l’usura sia il reato maggiormente diffuso tra le imprese del commercio, della ristorazione e della ricettività, e nonostante quasi il 60% degli imprenditori ritenga la denuncia il primo indispensabile passo di fronte all’usura, questo è uno dei reati che emergono con maggiore difficoltà”, afferma il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli. “Le vittime – aggiunge – hanno bisogno della vicinanza delle istituzioni, del presidio del territorio delle forze dell’ordine. Ma hanno anche bisogno del nostro sostegno, della nostra prossimità operosa, tanto più in questo momento drammatico di crisi su crisi”. Anche perché sono proprio le crisi, secondo Sangalli, a costituire linfa vitale “dei fenomeni criminali, e in particolare dell’usura”.

  • La Commissione interviene per sostenere il settore del commercio al dettaglio nel contesto della pandemia di coronavirus

    La Commissione europea ha approvato un regime italiano da 200 milioni di euro a sostegno del settore del commercio al dettaglio nel contesto della pandemia di coronavirus. Il regime è stato approvato nell’ambito del quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato.

    Nell’ambito del regime, l’aiuto assumerà la forma di sovvenzioni dirette. La misura sarà aperta alle imprese che svolgono commercio al dettaglio come attività principale che hanno subito un calo del fatturato di almeno il 30% nel 2021 rispetto al 2019 e i cui ricavi non hanno superato i 2 milioni di euro nel 2019. L’importo dell’aiuto per beneficiario sarà calcolato sulla base della differenza tra i ricavi medi mensili nel 2021 e quelli registrati nel 2019. L’obiettivo del regime è soddisfare il fabbisogno di liquidità dei beneficiari e aiutarli a proseguire le loro attività durante e dopo la pandemia.

    La Commissione ha constatato che il regime italiano è in linea con le condizioni stabilite nel quadro temporaneo. In particolare, l’aiuto i) non supererà i 2,3 milioni di euro per beneficiario; e ii) sarà concesso entro il 30 giugno 2022.

    La Commissione ha concluso che la misura è necessaria, adeguata e proporzionata per porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro in linea con l’articolo 107, paragrafo 3, lettera b), del TFUE e con le condizioni stabilite nel quadro temporaneo. Su tale base la Commissione ha approvato le misure in conformità delle norme dell’Unione sugli aiuti di Stato.

    Fonte: Commissione europea

  • Brand in fuga da Mosca

    Di giorno in giorno si allunga la lista delle aziende che interrompono i business con la Russia, sia per testimoniare la vicinanza al popolo ucraino sia per motivi economici, visto che il conflitto sta causando anche gravi interruzioni della catena di approvvigionamento e delle condizioni commerciali. Come spiega Ikea, ultima in ordine di tempo ad aver sospeso oggi tutte le operazioni con Mosca e anche con la Bielorussia.

    Dal settore automobilistico a quello dell’hi-tech, da quello dell’intrattenimento a quello della moda e delle spedizioni, a quello petrolifero, è fuga dal “regno” di Vladimir Putin. Dall’Italia, il settore bancario riflette sul da farsi mentre Sace (che opera nel settore assicurativo-finanziario) lancia un allarme sul “rischio di credito delle controparti pubbliche e private” di Mosca dopo le sanzioni imposte da numerosi Paesi che ostacolano i pagamenti nelle relazioni commerciali con l’estero e avverte anche su un “rischio espropri come ritorsione». Assicurazioni Generali ha deciso di lasciare i tre posti nel board di Ingosstrakh, la compagnia russa di cui detiene il 37,5%: escono Paolo Scaroni, Luciano Cirinnà, responsabile dell’area Austria Centro Est Eurpa e Russia del Leone Giorgio Callegari, ex numero uno di Generali Russia. Il gruppo italiano chiude inoltre l’ufficio di rappresentanza a Mosca e le attività di Europ Assistance nel Paese.

    Il gruppo Intesa Sanpaolo che conta 28 filiali ed oltre 900 dipendenti in Russia ha detto che la sua presenza lì “è oggetto di valutazioni strategiche”. Anche Unicredit monitora la situazione e ribadisce che la banca in Russia rappresenta circa il 3% dei ricavi e del capitale allocato del gruppo. Da Leonardo, che con la Russia non ha relazioni commerciali per le attività nella Difesa, fanno sapere che nel civile seguiranno ogni indicazione del governo. Pirelli fa un monitoraggio costante della situazione ma allo stato attuale non prevede di fermare la produzione in nessuno stabilimento mentre Michelin ha sospeso alcune attività in impianti in Europa per difficoltà logistiche.

    Fabbriche chiuse e numerose interruzioni di attività nei giorni scorsi da parte di diversi big internazionali di vari settori economici. Oggi si è fatto indietro anche il colosso svedese dell’arredamento Ikea, che ha sospeso produzione, vendita, import ed export, con un impatto diretto su 15.000 collaboratori in Russia e Bielorussia. Si fermano altre fabbriche come quella dell’auto Volkswagen che sospende anche le esportazioni in terra russa; blocco anche dalle principali case automobilistiche giapponesi da Toyota per criticità legate all’approvvigionamento delle forniture nello stabilimento di San Pietroburgo (100.000 veicoli all’anno), a Honda che ha deciso di fermare l’invio delle proprie auto in Russia per le difficoltà nel sistema dei pagamenti in quanto le vetture vengono trasferite dagli Stati Uniti, a Mazda che bloccherà le forniture di parti di ricambio.

    Attività commerciali sul territorio russo e on line chiuse da Apple e Nike, mentre Eni ha deciso di vendere la sua quota nel gasdotto Bluestream con Gazprom. Nel settore energetico Bp era stata la prima a rompere le fila annunciando di voler dismettere la sua quota di quasi il 20% in Rosneft, anche a fronte di una perdita stimata in 25 miliardi di dollari. Shell vuole uscire dalla joint venture con Gazprom e ha preso le distanze da Mosca anche Exxon pianificando una uscita graduale dal paese. La norvegese Equinor ha cessato le partnership con Rosneft, e ha detto addio a Putin anche la danese Orsted.

    Sul fronte della grande industria a fare un passo indietro sono state da Boeing che ha sospeso supporto tecnico e manutenzione dei suoi aerei alla compagnie russe a Bmw che ha bloccato le esportazioni, passando per Ford e Mercedes che hanno sospeso le attività, a Renault che ha chiuso l’impianto di Mosca, Daimler Truck ha interrotto la partnership con Kamaz e si è fermata anche la tedesca Siemens.

  • Inaugurata a Ravenna la prima linea cargo tra Italia e Bangladesh

    Il 28 febbraio Terminal Container Ravenna, società partecipata da Sapir e Contship, ha accolto l’arrivo di Songa Cheetah, la nave della compagnia di navigazione Kalypso (appartenente al gruppo Rif Line) che, giunta al porto, ha inaugurato la rotta con servizio diretto da Chattoghram (Bangladesh) a Ravenna rendendo, di fatto, l’Oriente più vicino all’Italia.  Tra i presenti a ricevere l’equipaggio, i rappresentanti delle istituzioni con il Direttore della Dogana Giovanni Mario Ferente, il Segretario della Autorità di Sistema portuale di Ravenna Paolo Ferrandino, il comandante  della Guardia di Finanza di Ravenna colonnello Mercatili, il capo della Sezione Tecnica della Capitaneria di Porto capitano di fregata Mario Pennisi, il management della compagnia di navigazione Rif Line (il ceo Francesco Isola, il Presidente Giorgio Voria e il Fleet manager Luca Scagliarini) e il management di  T.C.R. (con il presidente Giannantonio Mingozzi, il direttore Milena Fico e il responsabile commerciale Alessandro Battolini) che hanno consegnato al comandante della nave Maciej Grabowski il crest dell’azienda a titolo di benvenuto.

    Un importante momento da celebrare perché la nuova rotta avrà una significativa ricaduta sul porto di Ravenna sia in termini di rilievo, sia di traffico dato che si tratta dell’unica linea diretta in Italia per il Bangladesh. Il porto di Ravenna rappresenta il primo punto di approdo delle merci per l’Emilia Romagna e uno snodo primario in Italia per gli scambi commerciali con i mercati del Mediterraneo Orientale. “Abbiamo scelto Ravenna perché il suo porto sull’Adriatico è in una posizione baricentrica per le aziende del nord Italia. Inoltre, ha un efficiente sistema di retroporto e un buon collegamento ferroviario che consente di poter mandare la merce all’estero, in Germania per esempio, da dove arrivano molte richieste in questo momento”, ha messo in evidenza Francesco Isola, ceo di Rif Line.

    Per le alte competenze, la gestione dei container è stata affidata a T.C.R. capace di offrire sul piano logistico soluzioni innovative e altamente performanti all’interno dell’area terminal. Tra queste, la possibilità di avere a disposizione un magazzino interno coperto per lo stoccaggio della merce per i riempimenti e gli svuotamenti dei container ma soprattutto, collegamenti ferroviari frequenti con le aree di Marzaglia (Modena), Segrate e Milano Melzo. Tramite quest’ultimo, T.C.R. offre un rilancio sulle più importanti aree europee come Svizzera, Germania, Austria e Benelux, diventando così il gateway strategico tra Asia ed Europa.

    “Il collegamento Bangladesh-Ravenna rappresenta una sorta di piccola rivoluzione nelle dinamiche dello shipping dove giganteggiano navi di grandi dimensioni – ha spiegato Giannantonio Mingozzi, Presidente del Terminal Container Ravenna – qui la scelta è diversa: in un periodo difficile come quello pandemico dove mancano container vuoti e spazi sulle navi, è nata l’idea di questo servizio, il solo in Italia senza scali intermedi che impiega navi di piccole dimensioni e quindi più agili e veloci”.

    La nave ha una capacità media di 1200 Teu e una lunghezza di 148 metri e il vantaggio del servizio diretto è enorme. Il transit time è ridotto perché non sono previsti trasbordi o tappe intermedie così, in 18/20 giorni, la merce dal Bangladesh arriva in Italia impiegando circa la metà del tempo necessario ad una compagnia tradizionale. Un vero plus per le aziende che operano con il Bangladesh come ad esempio le industrie del tessile e dell’abbigliamento che da oggi hanno una nuova grande opportunità per sviluppare commerci in nuovi mercati, di potenziare gli scambi, di ottimizzare la logistica dei trasporti.

  • Cybersicurezza in crescita in Italia, attacchi al 31% delle imprese

    Con lo smart working e il costante aumento degli attacchi informatici in pandemia, molte imprese italiane hanno potenziato gli investimenti in cybersicurezza tanto che nel 2021 il mercato ha raggiunto il valore di 1,55 miliardi di euro, +13% rispetto all’anno precedente. Ma il rapporto tra spesa in cybersecurity e Pil resta limitato: 0,08%, una cifra che posiziona l’Italia all’ultimo posto tra i Paesi del G7. Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Cybersecurity & Data Protection della School of Management del Politecnico di Milano, che sottolinea come ben il 31% delle grandi imprese italiane ha rilevato un ulteriore aumento degli attacchi informatici nell’ultimo anno.

    “Col protrarsi dell’emergenza sanitaria si sta consolidando la consapevolezza sull’importanza della cybersecurity non solo nelle organizzazioni di maggiori dimensioni ma anche in realtà meno strutturate – spiega Gabriele Faggioli, responsabile scientifico dell’Osservatorio Cybersecurity & Data Protection – Sullo sfondo, inizia ad emergere la spinta del Pnrr, linfa per gli investimenti in security e punto di riferimento per le organizzazioni con la nascita della nuova Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale”. Il Pnrr prevede nella Missione 1 investimenti per 623 milioni di euro in presidi e competenze di cybersecurity nella pubblica amministrazione e nella Missione 4 ulteriori fondi per la ricerca e la creazione di partenariati su temi innovativi, tra cui la sicurezza informatica.

    La ricerca riporta una crescita costante delle minacce in Italia con 1.053 incidenti gravi nel primo semestre del 2021, +15% rispetto al primo semestre 2020 (secondo i dati Clusit). Con le nuove modalità di lavoro il 54% delle organizzazioni giudica necessario rafforzare le iniziative di sensibilizzazione al personale sui comportamenti da adottare, mentre il 60% delle grandi imprese italiane ha aumentato il budget per la sicurezza informatica nel 2021 e il 46% si è dotata di un Chief Information Security Officer (Ciso). Il mercato italiano di 1,55 miliardi di euro è composto per il 52% da soluzioni di security e per il 48% da servizi professionali e servizi gestiti. E con il lavoro ibrido diventa cruciale la protezione dei dispositivi e del Cloud.

    Il Covid-19 – spiega l’indagine – ha lasciato uno strascico negativo nell’approccio al rischio cyber “aumentando la difficoltà nell’adottare una visione olistica e strategica”. Se il numero complessivo di aziende che lo affrontano rimane invariato (38%), diminuiscono di 11 punti percentuali quelle che lo gestiscono in un processo integrato di risk management. Aumentano invece le organizzazioni che lo trattano come un rischio a sé stante all’interno di una singola funzione (49%).

    “Il mercato del cybercrime corre veloce, con nuove tipologie di attacco sempre più sofisticate. Le organizzazioni non devono abbassare la guardia, ma muoversi elaborando una strategia a lungo termine per la sicurezza informatica”, conclude Alessandro Piva, direttore dell’Osservatorio Cybersecurity & Data Protection.

  • Azione dell’UE nei confronti della Cina in sede di OMC a difesa del settore dell’alta tecnologia

    L’Unione europea ha avviato un’azione nei confronti della Cina in sede di Organizzazione mondiale del commercio (OMC) per le restrizioni imposte alle imprese dell’UE che adiscono un tribunale straniero per proteggere e utilizzare i loro brevetti.

    La Cina impone gravi restrizioni alle imprese dell’UE che godono di diritti su tecnologie chiave (come il 3G, il 4G e il 5G), in quanto limita le possibilità che queste imprese hanno di proteggere tali diritti da un uso illegale o non adeguatamente compensato dei loro brevetti, ad esempio da parte dei fabbricanti cinesi di telefoni cellulari. I titolari di brevetti che si rivolgono comunque a tribunali al di fuori della Cina sono spesso soggetti a pesanti ammende in Cina e, in sostanza, a pressioni affinché accettino diritti di licenza più bassi rispetto alle tariffe di mercato.

    Questa politica cinese è estremamente dannosa per l’innovazione e la crescita in Europa e, di fatto, priva le imprese tecnologiche europee della possibilità di esercitare e far rispettare i diritti che conferiscono loro un vantaggio tecnologico.

    Dall’agosto 2020 i tribunali cinesi emettono decisioni – note come “anti-suit injunction”, ossia inibitorie volte a vietare le azioni in giudizio – per esercitare pressioni sulle imprese dell’UE che detengono brevetti ad alta tecnologia e impedire loro di proteggere legittimamente le loro tecnologie. I tribunali cinesi ricorrono anche alla minaccia di pesanti ammende per dissuadere le imprese europee dall’adire tribunali stranieri.

    Le imprese europee ad alta tecnologia si trovano pertanto in una posizione di notevole svantaggio nel battersi per far valere i loro diritti. I fabbricanti cinesi chiedono queste “anti-suit injunction” per beneficiare di un accesso alla tecnologia europea a un costo inferiore o senza alcun esborso.

    L’UE ha sollevato la questione con la Cina in varie occasioni nel tentativo di trovare una soluzione, ma senza successo. Poiché secondo l’UE i provvedimenti cinesi sono incompatibili con l’accordo dell’OMC sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS), l’UE ha avanzato richiesta di consultazioni in sede di OMC.

    Le consultazioni richieste dall’UE per la risoluzione della controversia rappresentano il primo passo della procedura di risoluzione delle controversie dell’OMC. Se non condurranno a una soluzione soddisfacente entro 60 giorni, l’UE potrà chiedere all’OMC di istituire un panel che decida in merito alla questione.

    I brevetti oggetto della controversia sono brevetti essenziali (SEP), ossia brevetti che sono indispensabili per fabbricare prodotti conformi a una determinata norma tecnica internazionale. Poiché l’uso delle tecnologie protette da tali brevetti è obbligatorio per la produzione, ad esempio, di un telefono cellulare, i titolari dei brevetti si sono impegnati a concederli in licenza ai fabbricanti a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie (FRAND). Per tali brevetti un fabbricante di telefoni cellulari dovrebbe pertanto ottenere una licenza (dietro pagamento di diritti di licenza negoziati con il titolare del brevetto). Se un fabbricante non ottiene una licenza e/o si rifiuta di pagare, il titolare del brevetto può esigere il rispetto del brevetto e rivolgersi a un tribunale per far bloccare le vendite dei prodotti che incorporano quella tecnologia senza una regolare licenza.

    Nell’agosto 2020 la Corte suprema del popolo cinese ha stabilito che i tribunali cinesi possono vietare ai titolari di brevetti di adire un tribunale non cinese per ottenere il rispetto dei loro brevetti emettendo una “anti-suit injunction”; la Corte suprema del popolo ha anche stabilito che la violazione dell’ordinanza può essere punita con un’ammenda giornaliera di 130 000 €. Da allora i tribunali cinesi hanno emesso quattro “anti-suit injunction” nei confronti di titolari di brevetti stranieri.

    Fonte: Commissione europea

  • Protezione dei consumatori da recensioni ingannevoli: il 55% dei siti web sottoposti a screening viola il diritto dell’UE

    La Commissione europea e le autorità nazionali per la protezione dei consumatori hanno pubblicato i risultati di uno screening (“sweep”) delle recensioni dei consumatori sui siti web.

    Quasi due terzi dei negozi online, dei marketplace, dei siti web di prenotazione, dei motori di ricerca e dei siti di servizi di comparazione analizzati hanno suscitato dubbi sull’affidabilità delle recensioni: in 144 dei 223 siti web controllati, le autorità non hanno potuto confermare che gli operatori facciano abbastanza per assicurarsi che le recensioni siano autentiche, ossia pubblicate da consumatori che hanno effettivamente utilizzato il prodotto o il servizio recensito.

    Le autorità per la protezione dei consumatori hanno concluso che almeno il 55% dei siti web controllati viola potenzialmente la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, che richiede che ai consumatori siano presentate informazioni veritiere per consentire una scelta informata.

    La Commissione continuerà a collaborare con la rete Cooperazione per la protezione dei consumatori su questa importante questione e sosterrà le autorità nazionali nelle loro azioni di contrasto.

    Fonte: Commissione europea

Pulsante per tornare all'inizio