Commercio

  • Protezione dei consumatori da recensioni ingannevoli: il 55% dei siti web sottoposti a screening viola il diritto dell’UE

    La Commissione europea e le autorità nazionali per la protezione dei consumatori hanno pubblicato i risultati di uno screening (“sweep”) delle recensioni dei consumatori sui siti web.

    Quasi due terzi dei negozi online, dei marketplace, dei siti web di prenotazione, dei motori di ricerca e dei siti di servizi di comparazione analizzati hanno suscitato dubbi sull’affidabilità delle recensioni: in 144 dei 223 siti web controllati, le autorità non hanno potuto confermare che gli operatori facciano abbastanza per assicurarsi che le recensioni siano autentiche, ossia pubblicate da consumatori che hanno effettivamente utilizzato il prodotto o il servizio recensito.

    Le autorità per la protezione dei consumatori hanno concluso che almeno il 55% dei siti web controllati viola potenzialmente la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, che richiede che ai consumatori siano presentate informazioni veritiere per consentire una scelta informata.

    La Commissione continuerà a collaborare con la rete Cooperazione per la protezione dei consumatori su questa importante questione e sosterrà le autorità nazionali nelle loro azioni di contrasto.

    Fonte: Commissione europea

  • Record di treni merci tra Ue e Cina: sono cresciuti del 26% in un anno

    Da gennaio e ottobre 12.605 servizi di treni merci hanno trasportano quasi 1,22 milioni di container tra la Cina e l’Europa. Il numero di treni è aumentato del 26% su base annua, mentre il volume delle merci è aumentato del 33%. Lo scrive la rappresentanza della Cina presso l’Ue sul suo profilo Twitter, citando un articolo di China Daily. “Più servizi di treni merci hanno collegato Cina ed Europa nei primi 10 mesi di quest’anno rispetto al numero record per tutto l’anno scorso, dimostrando la loro forte resilienza alla pandemia di Covid-19 e il ruolo nella stabilizzazione della catena di approvvigionamento globale. Il numero di treni è aumentato del 26% su base annua, mentre il volume delle merci è aumentato del 33%”, si legge nel quotidiano cinese. L’anno scorso – riporta il quotidiano – circa 12.400 treni merci che trasportavano 1,14 milioni di container hanno operato tra le 2 regioni. Il numero di treni è stato del 50 percento in più rispetto al 2019 e il volume delle merci è aumentato del 56 percento di anno in anno. Il China State Railway Group, l’operatore del servizio ferroviario nazionale, ha affermato che il funzionamento costante e sicuro dei servizi li ha visti conquistare il favore del mercato logistico internazionale e diventare un importante canale strategico per il commercio globale. La società ha elaborato piani per aumentare la capacità dei corridoi d’oltremare, ad esempio aprendo nuove rotte e offrendo nuovi modelli di trasporto. Il numero di servizi lungo le nuove rotte è aumentato il mese scorso fino a rappresentare il 35% dei viaggi complessivi, rispetto al 20% circa nella prima metà dell’anno.

  • La sorgente inflattiva

    La politica monetaria espansiva nell’Unione Europea è cominciata nel 2015 con la Presidenza della BCE di Mario Draghi ed il governo Renzi ed ha avuto il merito di abbassare quasi a zero i tassi di interesse e, di conseguenza, i costi del servizio al debito con punte di rendite negative per i Bund tedeschi.

    Il nostro Paese, come sempre governato con una visione prospettica al massimo di quindici (15) giorni, invece di ridurre la massa debitoria grazie al risparmio di oltre 30 miliardi l’anno di interessi ha sempre aumentato la spesa pubblica fino alla pandemia alla quale si è presentato con il 135% di rapporto debito sul Pil pari a 2.409 miliardi e già alla fine del primo anno di pandemia segnava un aumento di oltre 160 miliardi.

    Quello che risulta interessante, tuttavia, è come la politica monetaria espansiva delle autorità monetarie europee e di quelle oltre oceano, pur ideata con la funzione di fornire strumenti finanziari per una ripresa di fronte alla stagnazione complessiva della economia europea e statunitense, di fatto non abbia prodotto alcun effetto collaterale (inflazione). L’effetto complessivo assolutamente marginale di questa strategia monetaria, infatti, veniva non solo confermato dal perdurare della stagnazione economica e contemporaneamente dei consumi quanto confermata da tassi di inflazione sempre vicini, se non addirittura inferiori al punto percentuale. In più il consumo complessivo, come espressione della stessa stagnazione e della sua aspettativa, ha determinato acquisti di beni a minore valore aggiunto anche per la presenza sempre più massiccia di presenza di prodotti provenienti dall’estremo Oriente, espressione delle delocalizzazioni.

    La mancanza di un tasso di inflazione perlomeno prossima al 2% preoccupava le varie classi politiche, ed in particolare quella italiana, le quali vedevano ogni aumento della spesa pubblica (trend assolutamente inarrestabile) riverberarsi in un sensibile peggioramento del rapporto debito Pil (quindi di difficile giustificazione) il quale nel caso, invece, di un tasso di inflazione vicino o superiore al 2% avrebbe raggiunto un equilibrio migliore.

    Il mercato globale, quindi, ha dimostrato sostanzialmente come una politica monetaria espansiva abbia determinato degli esiti quantomeno marginali e contemporaneamente con effetti quasi nulli rispetto alle dinamiche di un mercato complesso la cui globalità determina inevitabilmente la perdita di potere ed efficacia dei vecchi strumenti di indirizzo come le politiche monetarie.

    Viceversa la spesa pubblica (vera ed unica costante in questo mondo in continua evoluzione) ha conosciuto un ulteriore incremento, quasi le risorse disponibili a bassi interessi NON venissero più considerate come un debito.

    Successivamente la terribile pandemia ha bloccato e stravolto l’economia mondiale, dando inizio ad un’altra ed ancora più impegnativa elaborazione di una nuova strategia di politica economica di contrasto al disastroso trend economico. In questo frangente, tuttavia, le economie occidentali si trovano di fronte ad un’impennata dei costi di beni intermedi e strumentali e della gestione delle filiere o supply chain la cui somma finale inevitabilmente si riverbera sulla crescita dei prezzi finali al consumatore. Nel mondo delle imprese, addirittura, questa spirale inflattiva sta portando alla chiusura di attività imprenditoriali (vetrerie Murano-Venezia) o alla sospensione della produzione per mancanza di margine in rapporto alle esplosione dei costi dell’energia la quale comunque, in Italia, prima della pandemia risultava già superiore del 30% alla media europea.

    Sicuramente l’avvio anticipato dell’economia cinese, molto anticipata rispetto a quelle degli altri paesi, ha determinato una sostanziale scarsità di materie prime con un conseguente aumento complessivo dei prezzi. Ora risulta fondamentale, come risposta, la questione relativa alle strategie politiche, economiche e monetarie da adottare in relazione a questa impennata dei costi che minaccia intere filiere industriali ed il crollo dei consumi.

    Gli Stati Uniti hanno avviato una politica di tapering lasciando sostanzialmente invariati i tassi di interesse con una crescita sostanziale invariata mentre nell’Unione Europea si comincia a parlare di una stretta monetaria finalizzata al contrasto dell’inflazione.

    Dopo quasi due anni ormai di disastrosa crisi economica legata alla pandemia e con questa inaspettata spirale inflazionistica si dovrebbe partire considerando gli scarsi se non nulli effetti del periodo precedente della politica monetaria sia sotto il profilo del rilancio economico quanto di un riavvio dell’inflazione per scongiurare la allora tanto temuta deflazione.

    Nel caso opposto, cioè in previsione dell’adozione di una politica monetaria restrittiva, le conseguenze potrebbero addirittura rivelarsi disastrose per gli effetti sull’economia reale in quanto ridurrebbe, come sempre e per l’ennesima volta, il potere di acquisto (soprattutto per le fasce meno abbienti) e darebbe l’illusione alla classe politica di “avere ridotto” il debito pubblico quando a beneficiarne sarebbe solo il rapporto tra valori nominali (debito/Pil) amplificati dall’effetto inflattivo.

    Mai come ora l’unica soluzione, compatibilmente con le varie realtà finanziarie dei singoli paesi ma inseriti in un mercato globale e con filiere sotto stress, dovrebbe essere quella di un “ammorbidimento fiscale” successivo ad una rimodulazione della spesa pubblica finalizzata a recuperare gli oltre 200 miliardi di sprechi certificati dalla Cgia di Mestre. Solo per offrire un esempio, se si volesse veramente mantenere inalterato il potere di acquisto delle fasce più deboli della popolazione si diminuirebbero le accise sui carburanti, specialmente quelle sul gasolio, in considerazione del fatto che oltre l’82% delle merci viaggia su gomma.

    Il solo modo, ormai, per ridare ossigeno all’economia è quello di riconsegnare un maggiore potere d’acquisto alle domande interne del continente europeo attraverso una diminuzione delle pressioni fiscali in seguito anche alla diminuzione delle spese correnti e contemporaneamente offrire uno scenario di certezza normativa fiscale ed economica. Invece, specialmente in Italia, si continua con le politiche dei bonus che privilegiano una categoria in nome di un’uguaglianza sempre più lontana ed espressione di arbitrarie attenzioni e quindi da un approccio politico nazionale sostanzialmente divisivo.

    Questa “ricerca” della uguaglianza, attraverso il perverso strumento della spesa pubblica, risulta invece talmente ideologica da ottenere negli ultimi trent’anni la diminuzione del reddito disponibile del -3,7% mentre nel medesimo periodo è cresciuta del +34,7% nella vicina Germania.

    La consueta richiesta di una stretta monetaria a fronte di una spirale inflazionistica della quale non si considera la sorgente dimostra come, ancora oggi, non sia compresa l’assoluta inconcludenza della politica monetaria in quanto il mercato globale ha cambiato le potenze di fuoco delle diverse teorie economiche in particolare della politiche monetarie. Ora più che mai, di fronte al pericolo di una politica monetaria restrittiva come azione deflattiva, sarebbe vitale comprendere come l’unico effetto si confermerà quello di penalizzare ancora una volta le fasce più deboli della popolazione lasciando inalterata la scellerata politica di espansione della spesa pubblica finanziata da un continuo aumento delle pressione fiscale.

    Si parla di globalizzazione senza ancora avere compreso le dinamiche complesse delle politiche economiche e soprattutto come la globalizzazione abbia disarmato le politiche monetarie all’interno di un sistema alla continua ricerca di un equilibrio il quale, per le complesse ed infinite variabili della globalità, non potrà mai venire raggiunto.

  • La Corte di Giustizia dell’UE annulla l’accordo commerciale con il Marocco

    La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha annullato gli accordi commerciali tra l’UE e il Marocco che includevano il territorio conteso del Sahara occidentale.

    I giudici del Lussemburgo hanno accolto la denuncia del gruppo separatista, il Fronte Polisario, secondo il quale gli abitanti dell’ex colonia spagnola non erano stati adeguatamente consultati.

    L’accordo riguardava i prodotti agricoli del Sahara occidentale e il pesce pescato nelle sue acque.

    La Corte ha concesso al Marocco due mesi per presentare ricorso e ha affermato che la sentenza non sarebbe entrata in vigore fino a quando non ci sarebbe stato l’appello.

    Il Polisario contesta il controllo del Marocco sul territorio e da decenni si batte per l’autonomia.

  • L’Italia cessa il business delle forniture militari ad Arabia Saudita ed Emirati

    Prima di spirare il secondo governo Conte ha deciso di revocare, dopo 18 mesi di sospensione, l’export di missili e bombe d’aereo verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, fermando definitivamente le forniture autorizzate negli ultimi anni, relative ad ordigni utilizzati nella sanguinosa guerra dello Yemen. Le licenze erano state rilasciate dopo l’inizio del conflitto e rimane in vigore la sospensione a concedere a questi Paesi nuove licenze per tali armamenti. A dare per prima la notizia è stata la Rete Italiana Pace e Disarmo, secondo cui il provvedimento riguarda almeno 6 diverse autorizzazioni già sospese con decisione presa a luglio 2019, tra le quali la licenza MAE 45560 decisa verso l’Arabia Saudita nel 2016 durante il governo Renzi (relativa a quasi 20mila bombe aeree della serie MK per un valore di oltre 411 milioni di euro). A confermare ufficialmente il provvedimento è stato poi il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che lo ha definito “un atto doveroso, un chiaro messaggio di pace che arriva dal nostro Paese”. “La nostra azione di governo è ispirata da valori e principi imprescindibili”, ha sottolineato il ministro in un post Facebook.

    Secondo le elaborazioni di Rete Pace Disarmo e Opal la revoca decisa dall’esecutivo andrà a cancellare la fornitura di oltre 12.700 ordigni. Le Ong celebrano l’atto di “portata storica”, conseguenza della “pressione della società civile”, che “avviene per la prima volta nei 30 anni dall’entrata in vigore della Legge 185 del 1990 sull’export di armi”. “Le nostre organizzazioni Amnesty International Italia, Comitato Riconversione RWM per la pace ed il lavoro sostenibile, Fondazione Finanza Etica, Medici Senza Frontiere, Movimento dei Focolari, Oxfam Italia, Rete Italiana Pace e Disarmo, Save the Children Italia insieme ai partner internazionali European Center for Constitutional and Human Rights e Mwatana for Human Rights esprimono grande soddisfazione per questo risultato, da loro fortemente richiesto, che diventa operativo in queste ore”, recita il comunicato.

    In una nota dei senatori M5S della Commissione Esteri di Palazzo Madama, il Movimento rivendica la responsabilità della “bellissima notizia”. “Un importante gesto di civiltà”, si legge, “il cui merito va al ministro Luigi Di Maio, al sottosegretario Manlio Di Stefano, al Movimento 5 Stelle che lo chiede da anni e alle campagne di pressione della società civile”.

    La decisione del governo era attesa, visto che la sospensione non può durare oltre 18 mesi e le condizioni in Yemen non permettevano di cancellarla. La mossa arriva dopo che la nuova amministrazione Usa ha deciso di sospendere, temporaneamente, la vendita di armi all’Arabia Saudita e di caccia F-35 agli Emirati Arabi Uniti, spiegandola come una “misura di routine amministrativa” nell’ambito delle “revisioni delle decisioni prese sotto la presidenza di Trump”.

  • Accordo “di principio” tra Ue e Cina sugli investimenti

    Cina e Unione Europea hanno raggiunto un accordo “di principio” sugli investimenti, che pone fine a 7 anni di negoziati tra Pechino e Bruxelles. L’accordo raggiunto ha “un grande significato economico”, recita una nota dell’Unione Europea e “lega le due parti a una relazione sugli investimenti fondata sui valori e basata sui principi dello sviluppo sostenibile”. L’intesa servirà a “riequilibrare” il commercio e gli investimenti tra Cina e Unione Europea e prevede una “piena attuazione” degli accordi di Parigi in materia di clima e ambiente: ci saranno, poi, un “robusto meccanismo” di applicazione e monitoraggio, garanzie nei campi del trasferimento di tecnologia contro “pratiche distorcenti”, e “chiari obblighi” per le imprese statali cinesi. Per Pechino, l’accordo “fornirà agli investimenti reciproci un maggiore accesso al mercato, un livello più elevato di ambiente imprenditoriale, maggiori garanzie istituzionali e una cooperazione più brillante” e “stimolerà con forza la ripresa mondiale nel periodo post-epidemia”, ha dichiarato il presidente cinese, Xi Jinping.

    L’intesa è stata siglata in un incontro in video collegamento tra il presidente cinese e i vertici Ue, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, la cancelliera tedesca Angela Merkel, in qualità di presidente di turno; all’incontro c’era però anche il presidente francese, Emmanuel Macron e proprio la partecipazione del capo dell’Eliseo, la cui presenza non era giustificata dal formato dell’evento, è stata accolta con “sorpresa” dall’Italia, che “era a conoscenza della volontà di Macron di inserirsi” ma sperava che questo scenario venisse evitato.

    L’Accordo Complessivo sugli Investimenti (Cai) è “un grande passo avanti” che “ristabilisce l’equilibrio” nei rapporti tra Ue e Cina, dando alle imprese europee “un forte impulso” sul mercato cinese, ha commentato il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis. Il risultato di oggi, ha aggiunto, non risolve tutte le difficoltà nel rapporto con la Cina – che Bruxelles considera un “rivale sistemico”- anche se “lega Pechino a impegni significativi nella giusta direzione, più di quanto si sia mai detta d’accordo a fare prima”. La Cina assicura che l’intesa si applicherà a tutti i campi, ha dichiarato il portavoce del Ministero del commercio di Pechino, Gao Feng, con nuove opportunità soprattutto nei settori del manifatturiero avanzato, dello sviluppo verde e dei servizi. Lanciati ufficialmente nel novembre 2013, i negoziati tra Cina e Ue sono cominciati ufficialmente a gennaio 2014 e si sono protratti per 36 round di colloqui. L’ultimo scoglio riguardava il rispetto degli standard internazionali in materia di diritto del lavoro, che Pechino promette di osservare, nonostante permangano ancora molti dubbi da parte dell’Ue (e degli Usa).

    La Cina è oggi il principale partner commerciale dell’Unione europea e l’accordo giunge a poche settimane dall’insediamento alla Casa Bianca di Joe Biden, che ha promesso un maggiore coinvolgimento degli alleati internazionali per esercitare pressioni sulla Cina. Il suo team aveva espresso preoccupazione in vista dell’accordo e il consigliere per la sicurezza nazionale scelto dal presidente eletto, Jake Sullivan, aveva chiesto preventive “consultazioni” con i partner europei sulle pratiche economiche di Pechino: un richiamo rivolto soprattutto alle accuse di sfruttamento del lavoro forzato nella regione autonoma dello Xinjiang, nel mirino dei sospetti internazionali di violazioni dei diritti umani e detenzioni di massa. Per Pechino, però, l’accordo – che dovrà essere tradotto, ratificato dai 27 membri dell’Unione e approvato dal Parlamento europeo – manda un messaggio di vittoria del multilateralismo all’amministrazione Usa entrante. La Cina, ha detto Gao, “rimane impegnata nel nuovo paradigma di sviluppo e nell’espansione delle aperture. Vogliamo cooperare con tutte le parti, inclusi gli Stati Uniti, per uno scenario di benefici reciproci”.

  • Il PE si prepara a votare l’accordo sulle indicazioni geografiche UE-Cina

    Il 6 novembre 2019 l’UE e la Cina hanno concluso i negoziati su un accordo autonomo in merito alla cooperazione sulla protezione delle indicazioni geografiche (IG) di prodotti, perlopiù agricoli. Il reciproco accordo UE-Cina mira a proteggere 100 IG dell’UE in Cina e 100 IG cinesi nell’UE contro l’imitazione e l’appropriazione indebita. Il 20 luglio 2020 il Consiglio UE ha approvato la firma dell’accordo e il Parlamento europeo deve ora dare il suo consenso alla conclusione del contratto. Una volta entrato in vigore, l’accordo potrebbe contribuire a promuovere le esportazioni dei prodotti alimentari di alta qualità dell’UE, compresi vini e alcolici, verso la terza destinazione più grande per le esportazioni agroalimentari dell’UE, cioè la Cina.

    L’accordo amplierebbe inoltre il riconoscimento globale del regime di protezione delle IG sui generis dell’UE, un obiettivo chiave della politica commerciale dell’UE.

  • L’Istat registra un nuovo calo dei consumi, vola solo il commercio on-line

    Tornano a scendere i consumi in Italia. Secondo quanto rilevato dall’Istat, a luglio le vendite al dettaglio segnano una diminuzione rispetto a giugno del 2,2%, dopo il +10,2% di giugno. Una diminuzione generalizzata che vede solo l’eccezione del commercio on-line che anche al termine del periodo di lockdown continua a volare. E le principali associazioni di categoria chiedono interventi risoluti al governo per rilanciare i consumi. In particolare risultano in calo sia le vendite dei beni non alimentari (-3,2%), sia quelle dei beni alimentari (-1%). Su base annua, quindi nei confronti di luglio 2019, si registra una diminuzione delle vendite del 7,2%, determinata soprattutto dall’andamento dei beni non alimentari (-11,6%), in notevole diminuzione sia nella grande distribuzione sia nelle imprese operanti su piccole superfici. In calo anche le vendite dei beni alimentari (-1,1%). Rispetto a luglio 2019, il valore delle vendite al dettaglio diminuisce del 3,8% per la grande distribuzione e dell’11,7% per le imprese operanti su piccole superfici. Le vendite al di fuori dei negozi calano del 7,0% mentre il commercio elettronico è in crescita (+11,6%).

    L’andamento preoccupa le categorie di settore a cominciare da Confcommercio che però vede qualche segnale di ottimismo. “Il dato sulle vendite di luglio – spiega in una nota – pur rappresentando un segnale preoccupante va letto alla luce di alcune specificità. In particolare, il rinvio ad agosto dei tradizionali saldi estivi può aver spinto le famiglie a spostare al mese successivo gran parte degli acquisti, non solo per abbigliamento e calzature. È presumibile, dunque, un rimbalzo statistico di entità apprezzabile nei dati di agosto che implicherebbe un riallineamento delle dinamiche tendenziali”. Federdistribuzione chiede invece interventi decisi. “Le preoccupazioni relative al proprio stato personale e le incertezze economiche per il futuro, unite a una riduzione diffusa del potere d’acquisto – sottolinea il presidente Claudio Gradara – continuano a frenare i consumatori. Per invertire questa rotta occorre lavorare non solo su azioni dirette a sostegno dei consumi ma anche sul fattore fiducia che deve essere rialimentato con un piano strutturale che preveda misure lungimiranti e di ampio respiro.

  • Un piano salva ulivi per affrontare le pesanti perdite del comparto a causa del coronavirus

    Crack di 2 miliardi di euro per l’olio di oliva made in Italy. Il coronavirus ha messo in ginocchio il comparto che, a causa della chiusura prolungata e della difficile ripartenza di bar, ristoranti, agriturismi, ha visto ridurre sensibilmente le vendite ed il consumo. A questo si aggiungono anche le difficoltà per le esportazioni e il mancato – o ridottissimo – movimento di turisti che da sempre hanno fatto dell’olio extravergine di oliva il prodotto più acquistato durante le vacanze. E’ quanto emerge da uno studio di Coldiretti presentato durante l’assemblea di Unaprol.

    A pesare sul comparto è stato soprattutto il blocco del canale della ristorazione che rappresenta uno sbocco importante per l’olio Made in Italy, sia in patria che all’estero. Un impatto devastante a livello economico, occupazionale e ambientale per una filiera che conta oltre 400 mila aziende agricole specializzate in Italia ma anche il maggior numero di oli extravergine a denominazione in Europa (43 Dop e 4 Igp), con un patrimonio di 250 milioni di piante e 533 varietà di olive, il più vasto tesoro di biodiversità del mondo.

    Come se non bastasse, le imprese olivicole italiane hanno visto ridurre del 44% i prezzi pagati ai produttori (per un dato simile bisogna risalire al 2014) a causa della circolazione sul mercato mondiale di abbondanti scorte di olio ‘vecchio’ spagnolo, spesso pronto a essere spacciato come italiano a causa della mancanza di trasparenza sul prodotto in commercio, nonostante dal primo luglio 2009 sia obbligatorio indicare per legge l’origine in etichetta come prevede il Regolamento comunitario n.182 del 6 marzo 2009. Sulle bottiglie di extravergine prodotto con olive straniere in vendita nei supermercati, inoltre, è molto difficile leggere le scritte “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” per le dimensioni assai minuscole e per il posizionamento per nulla in vista accentuando così la poca consapevolezza del consumatore.  Il danno economico e di immagine all’Uliveto italiano è molto grave e, se unito alla conseguenze della crisi provocata dal coronavirus, rischia di rovinare gli ottimi risultati, in termini di produzione, ottenuti durante l’ultima campagna olearia in cui sono stati prodotti 365 milioni di litri, con le regioni del Sud dove il raccolto è in qualche caso addirittura triplicato.

    Per rilanciare il settore Coldiretti ha elaborato un piano salva ulivi con un pacchetto di misure straordinarie a sostegno delle imprese agricole e frantoi che operano in filiera corta, quelle oggi maggiormente a rischio, con lo sblocco immediato delle risorse già stanziate per l’ammodernamento della filiera olivicola, anche attraverso la semplificazione delle procedure. Servono poi meccanismi di flessibilità per la certificazione delle produzioni di qualità a partire da Dop (Denominazione di origine protetta), Igp (Indicazione di origine protetta), biologiche e Sqnpi (Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata). Una misura importante per l’Uliveto Italia e per la salute dei cittadini l’acquisto di extravergine italiano al 100. Nell’immediato vanno poi assicurati sostegno a fondo perduto per le imprese produttrici di olio totalmente made in Italy per compensare la riduzione delle vendite e un aiuto integrativo per gli oli certificati Dop e Igp in giacenza, sfusi o confezionati non venduti alla data del Dpcm dell’11 marzo.

  • Hogan si ritira dalla corsa per la direzione dell’Organizzazione mondiale del commercio

    Phil Hogan, commissario per il commercio dell’UE, ha annunciato la sua rinuncia alla corsa per diventare responsabile dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e proseguirà, invece, con il suo impegno europeo. L’UE, come ha dichiarato, sta affrontando una serie di sfide e la sua agenda è fitta, a partire dall’accordo commerciale post Brexit con il Regno Unito, al lavoro per ottenere trattamenti paritari con la Cina, ai dazi statunitensi sulle merci dell’UE, senza dimenticare la situazione economica da sanare nel post-Coronavirus.

    In realtà Hogan non aveva mai ufficializzato una sua candidatura all’OMC, dicendo piuttosto che stava “esplorando” il territorio per capire se ci fossero le condizioni per diventare direttore generale dell’organismo commerciale internazionale.

    Il posto è rimasto vacante dopo che il capo dell’OMC, Roberto Azevedo, ha annunciato inaspettatamente che si sarebbe dimesso alla fine di agosto per motivi familiari e la scadenza prevista per la presentazione delle candidature è stata fissata all’8 luglio.

    Bruxelles aveva intanto applicato delle regole che limitavano le apparizioni pubbliche di Hogan “che potessero distrarre dagli argomenti in questione” e anche per prevenire qualsiasi caso di potenziale conflitto di interessi.

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