Commercio

  • L’Italia torna leader mondiale per la produzione di vino

    Dopo il testa a testa con la Francia degli ultimi anni, l’Italia è pronta a riconquistare il proprio primato. La vendemmia 2018 non lascerà dubbi: in Italia si produrranno 55,8 milioni di ettolitri (+21% rispetto al difficile 2017) e verrà così staccata in maniera decisa la Francia che, pur in recupero rispetto allo scorso anno, si fermerà a quota 46 milioni.

    Basti pensare che per trovare una produzione made in Italy superiore ai 55 milioni di ettolitri bisogna risalire al 1999.

    Il terzo paese in Europa sarà la Spagna, in crescita del 20%, che però non andrà oltre i 42 milioni. Distanziati gli altri produttori extra Ue per i quali ancora non sono noti i dati 2018 ma che nel 2017, secondo l’Oiv, hanno prodotto 23 milioni di ettolitri negli Usa, 13 in Australia e 12 in Argentina.

    Le stime di Assoenologi sulla vendemmia 2018 sono effettuate sulla base di un primo 15% di uve già in cantina che possono essere confermate solo se non ci saranno stravolgimenti nelle condizioni meteo di settembre e ottobre quando le operazioni di raccolta conosceranno il proprio momento clou.

    Il sostanziale rimbalzo produttivo rispetto al 2017 non può far passare in secondo piano le difficoltà che pur ci sono state perché dalla siccità e dal forte caldo del 2017 si è passati all’opposto con abbondanti piogge e fenomeni estremi durante l’estate appena trascorsa. Motivo per il quale ad Assoenologi non si sbilanciano sulla qualità che appare molto differenziata da regione a regione. D’altro canto le precipitazioni abbondanti hanno portato, sia in Italia che in Francia, a condizioni di umidità diffusa che hanno favorito il ritorno degli attacchi di parassiti, spingendo i viticoltori a massicci trattamenti in vigneto.

    “Difficoltà più complesse rispetto allo scorso anno – ha dichiarato Riccardo Cotarella, presidente Assoenologi – perché è più semplice affrontare la siccità che l’eccesso di piogge e di umidità. Contro la prima si può infatti ricorrere all’irrigazione mentre contro le bombe d’acqua si può fare poco”.

    Anche nelle cantine, dopo la vendemmia, non ci sono molti margini per poter recuperare ai danni fatti in precedenza: “La tecnologia di certo ci aiuta – spiega Cotarella -. In annate come queste i possibili rimedi sono più alla portata per i vini bianchi che per i rossi. Perché con l’abbondanza di acqua e di umidità ad essere danneggiate sono le bucce degli acini che per i bianchi vengono eliminate prima delle fermentazioni mentre per i rossi restano l’elemento dal quale dipendono molte delle qualità organolettiche dei vini. Per i rossi quindi se la buccia è danneggiata è dura”.

    Tornando ai dati la leadership produttiva regionale dovrebbe tornare alla Puglia con 11,9 milioni di ettolitri, anche se l’ultima parte dell’estate è stata alquanto turbolenta con forti grandinate che hanno penalizzato i vigneti di Negramaro nel Salento.  Subito dopo ci dovrebbe essere il Veneto (con 10,1 milioni), ma in molte altre regioni si registra una crescita a doppia cifra. Si va infatti dal +35% di Lazio e Umbria al +30% dell’Emilia Romagna ai progressi di Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Campania, Puglia e Sardegna tutte con crescite superiori al 20%. Piogge e grandinate hanno invece penalizzato i raccolti in Sicilia dove non si andrà oltre un +8%.

    Alla crescita dei volumi di produzione deve ora seguire un rinnovato impegno sui mercati.

    A giugno, dopo mesi di stallo, il ministro delle Politiche agricole, Centinaio, ha finalmente sbloccato i finanziamenti Ue (circa 102 milioni di euro l’anno) per la promozione all’estero del vino rimasti incagliati da un’ondata di ricorsi amministrativi nella campagna 2016-17. Nelle settimane successive molte regioni hanno provveduto ad emanare i bandi per la presentazione dei progetti.

    “La priorità era far ripartire le iniziative – commenta Cotarella -. Resto convito che anche le altre problematiche sul tavolo verranno presto affrontate e risolte”.

     

  • Liberalizzata la circolazione dei dati non personali tra Stati della Ue

    Via libera del Parlamento europeo alla libera circolazione dei dati non personali nell’Ue per sviluppare l’economia digitale europea e consentire alle aziende di competere di più a livello globale. Le nuove regole sono state approvate a Strasburgo con 520 voti a favore, 81 contrari e 6 astensioni. Grazie alle nuove norme, che dovranno essere adottate il 6 novembre dal Consiglio, i dati non personali come quelli commerciali, sull’agricoltura di precisione per monitorare l’uso di pesticidi o sulla manutenzione dei macchinari industriali, potranno essere archiviati e utilizzati ovunque nell’Ue senza restrizioni non giustificate.

    «Questo regolamento definisce di fatto i dati come la quinta libertà» dell’Ue, ha sottolineato l’eurodeputata del Ppe Anna Maria Corazza Bildt, che ha condotto i negoziati con il Consiglio sul testo. Le nuove regole, ha aggiunto, «rappresentano un punto di svolta» con possibili «enormi guadagni in termini di efficienza per aziende e autorità pubbliche».

    Restano eccezioni sui requisiti per la localizzazione dei dati solo in materia di pubblica sicurezza. Le autorità competenti inoltre avranno accesso ai dati elaborati in un altro Stato membro per attività di controllo.

  • Di Maio spalanca le porte dell’Italia alla Cina

    L’1 ottobre si è tenuta la prima riunione della Task Force Cina del governo italiano, cui hanno partecipato oltre 300 tra membri del governo, giornalisti, imprenditori, accademici e altri. «L’obiettivo della Task Force – recita un comunicato del Ministero dello sviluppo economico riportato da EIR (Executive Intelligence Review) – è sviluppare, sotto il coordinamento del MISE, un approccio sistemico nei confronti della Cina per affrontare tutti gli aspetti della collaborazione bilaterale, a partire dal commercio e dagli investimenti reciproci, per estendersi alla cooperazione scientifica, alle infrastrutture, alla cooperazione culturale, al turismo e ai trasporti, secondo uno schema che parte dal presupposto che anche la Cina agisce come un unico, solido sistema nei suoi rapporti internazionali».

    «Tra i risultati già ottenuti dalla Task Force rientrano la firma da parte del Vice Presidente Di Maio del Memorandum of Understanding tra Italia e Cina sulla cooperazione in Paesi terzi (che potrà schiudere interessanti prospettive di un approccio sinergico, per esempio, in Africa) e la firma dell’accordo tra il MISE e la Provincia del Sichuan per rafforzare la collaborazione sul piano della promozione del commercio e degli investimenti bilaterali. Altri negoziati in corso tra Italia e Cina sul piano bilaterale, come il Memorandum su Belt & Road Initiative, stanno beneficiando di questo rinnovato clima di collaborazione strategica».

    La Task Force sarà suddivisa in vari gruppi di lavoro, ciascuno dei quali avrà due coordinatori, presenti nei due Paesi con lo scopo di stabilire un doppio flusso di informazioni, da Cina a Italia e da Italia a Cina.

    «Noi fungiamo da stimolo e da indirizzo – ha dichiarato Geraci – ma è l’input dei singoli nei differenti gruppi di lavoro ciò che determinerà il successo della Task Force e la sua efficacia nello sforzo del nostro Governo di cogliere le opportunità che la Cina di oggi presenta. Anche in Cina abbiamo avuto segnali di interesse per questa Task Force, come ricordato dall’Ambasciatore cinese sia durante la prima riunione dell’altro ieri sia durante la festa nazionale cinese di qualche giorno fa. Vorrei chiudere con una citazione di Confucio: ‘Quando spira il vento del cambiamento, alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento’. Mi auguro che ogni gruppo di lavoro si ponga come un mulino al servizio dell’Italia nei suoi rapporti con la Cina».

    Come osserva Bloomberg «Il governo italiano straccia gli sforzi del governo precedente per limitare gli investimenti cinesi nei settori strategici, favorendo lo sviluppo dei rapporti con Pechino attraverso un ruolo nel grande programma cinese di infrastrutture mondiali».

  • Dal Pireo l’espansionismo della Cina e sui mercati

    Mentre in Italia si sta ancora disquisendo su come ricostruire il ponte di Genova e mentre da anni il porto del capoluogo ligure è additato come uno dei più lenti per lo smaltimento dei container di merci provenienti da fuori Europa, il progetto infrastrutturale di Pechino, “nuova via della seta”, è sempre più in espansione in Grecia e non solo. Questo progetto conta ormai sei corridoi di trasporto che toccano più di sessanta nazioni tra Asia, Europa  e Nord Africa e, di fatto, sta già spostando gli assetti politici ed economici dando alla Cina sempre maggiore centralità non solo nelle attività commerciali.

    In una intervista il pro rettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, Prof. Giuliano Noci, ricorda come la maggior parte delle merci cinesi, dirette in Europa, viaggi per mare e proprio attraverso i porti del mediterraneo la Cina riduce della metà i tempi di trasporto. La Cina ha in mano il porto del Pireo in Grecia e sta già guardando allo sviluppo del porto di Patrasso, città affacciata sul mare Ionio! Il porto del Pireo è lungo più di trenta chilometri e la Repubblica Popolare cinese, che ha investito quasi mezzo miliardo di euro, controlla l’intero scalo anche se la maggior parte dei dipendenti non hanno un contratto collettivo ma sono impiegati attraverso agenzie interinali. La Grecia ha comunque beneficiato degli accordi con Pechino anche per quanto riguarda la presenza di centinaia di migliaia di turisti già arrivati o previsti per i prossimi anni ma è evidente che la sempre maggiore espansione cinese nei porti greci e del mediterraneo (vedi Italia e Spagna) comporta un immenso aumento delle merci cinesi nei nostri paesi e dell’apertura di attività commerciali che per prezzi sono particolarmente concorrenziali con i nostri. Vi sono anche risvolti politici importanti visto che la Grecia ha impedito che l’Unione europea emettesse una condanna unanime sulla situazione dei diritti umani in Cina  e si aumentassero i controlli sugli investimenti cinesi in Europa. Vi è inoltre notizia che una flotta militare cinese, nell’estate, abbia navigato fino al Pireo e anche le preoccupazioni espresse dalla Merkel non hanno fino ad ora smosso le autorità nazionali, oltre che europee, per mantenere una propria capacità nei porti del mediterraneo che possa contrastare l’espansionismo cinese che solo nel 2017 ha operato su quattro milioni di container in Grecia.

    Fino a che l’Europa e i paesi del mediterraneo non comprenderanno la necessità di sviluppare nell’immediato le proprie infrastrutture portuali e non daranno vita ad una armonizzazione dei sistemi doganali continueremo ad avere non solo un espansionismo massiccio e pericoloso in termini economici e non solo, della Cina ma anche un continuo incremento delle merci illegali e o  contraffatte che entrano in Europa, a tutto danno dei consumatori e delle imprese manifatturiere e di conseguenza il declino continuerà.

  • Migliorano gli scambi commerciali tra Ue e Moldovia, Georgia e Ucraina

    L’apertura degli scambi tra l’Unione europea e Moldova, Georgia e Ucraina, con “l’accesso reciproco al mercato e l’allineamento al diritto europeo, porteranno a maggiori benefici, la spinta al commercio è già evidente dopo i primi anni di attuazione degli accordi” di libero scambio.  E’ quanto scrivono in una nota congiunta la commissaria europea per il Commercio, Cecilia Malmstroem, i vicepremier di Ucraina e Moldova, Stepan Kubiv e Iurie Leanca, e il ministro dell’Economia della Georgia, Giorgi Kobulia, a seguito di un incontro informale a Bruxelles sull’attuazione delle zone di libero scambio istituite nei rispettivi accordi di associazione con l’Ue.

    Il prossimo passo, spiegano Malmstroem e i ministri, consiste nell’individuare “aree di interesse comune in cui si possono prevedere risultati positivi nel prossimo futuro”, a patto – sottolinea Bruxelles – che le riforme nei Paesi “siano attuate in modo tempestivo”. L’attenzione è soprattutto su appalti pubblici, Pmi, sanità, e procedure doganali per facilitare gli scambi. I colloqui proseguiranno nelle prossime settimane, in vista della riunione dei ministri degli Esteri del Partenariato orientale (di cui Moldova, Georgia e Ucraina fanno parte), prevista per il 15 ottobre.

  • Un fiume di droga invade il mondo ed è allarme per il consumo di Fentanyl

    275 milioni di consumatori nel mondo nel 2016, vale a dire circa il 6% della popolazione mondiale, 31 di questi hanno subito gravi danni per la salute e 450.000 sono morti. Questi i dati sul consumo e gli effetti delle droghe secondo il  World Drug Report 2018, pubblicato a fine giugno, che non lasciano presagire niente di buono visto che, sempre secondo il report, nel 2017 la droga immessa sul mercato è aumentata del 65% rispetto all’anno precedente, pari a 10.500 tonnellate. Secondo la stima della UNODC, l’ufficio antidroga dell’Onu con sede a Vienna, si tratta del dato più alto mai registrato dall’inizio del 21esimo secolo.

    A guidare questa assai poco confortante classifica due paesi, l’Afghanistan e la Colombia: nel pese asiatico la coltivazione di papavero da oppio ha aumentato dell’87% la sua produzione, arrivando alla cifra di 9.000 tonnellate di hascisc e oppioidi mentre nello stato sudamericano la produzione di cocaina è arrivata nel 2016 a toccare l’inquietante cifra di 866 tonnellate. Alla base di questa sovrapproduzione, secondo l’ufficio dell’ONU, l’instabilità politica, la mancanza di controllo del governo e le scarse opportunità di attività economiche di riconversione delle colture, che hanno reso la popolazione rurale vulnerabile all’influenza dei grandi gruppi del narcotraffico. Fiumi di droga, ovunque nel mondo, con conseguenze pesanti per la salute e la vita, un flusso inarrestabile che scorre tra l’indifferenza o l’impotenza dei governi: quelli dei paesi produttori che non riescono ad arginare l’elevata produzione, quelli europei che assistono alla saturazione del mercato, quelli degli stati africani e asiatici in cui lo smercio trova il suo nuovo sbocco.  Un mercato senza regole, difficile da controllare e che fa girare enormi quantità di denaro.

    Ciò che però sta destando più preoccupazioni è la larga diffusione di nuovi oppioidi dalle caratteristiche devastanti, come il Fentanyl, dalle “proprietà” spaventose, che arriva dal narcotraffico. E’ un farmaco che si dovrebbe usare in medicina solo quando il paziente è intubato ma dai dati del World Drug Report 2018 il Fentanyl ha già provocato, nel solo 2016, 60mila morti. Più di quanti sono stati i caduti nella guerra del Vietnam, come si sottolinea nel report. L’uso del Fentanyl in maniera così massiccia e improvvisa ha costretto le autorità statunitensi a iniziare a prendere coscienza del nuovo fenomeno che colpisce principalmente la classe media. Alle gravi conseguenze, infatti, si deve aggiungere la mancanza di assicurazione medica, non prevista, per questo oppioide che rischia di rendere impossibili le cure per chi ne è vittima.

    E in casa nostra qual è la situazione? Secondo ADUC-Notiziario Droghe, dal 19/12/2017 al 09/07/2018
    sono stati sequestrati 110.500 kg di droghe leggere e 44.300 kg di droghe pesanti, tre i morti e 1.391 le persone arrestate. Nel periodo compreso tra il 30/12/16 e il 18/12/17 le droghe leggere sequestrate ammontano a 138.400 Kg, quelle pesanti a 61.850 kg, 46.600 le dosi di droghe sintetiche; le piante di cannabis rilevate 99.200, 11 i morti, 1.524 gli arresti. Stringendo il campo all’attualità, e cioè  alla settimana che va dal 3 al 9 luglio 2018, le droghe leggere sequestrate ammontano a  7400 Kg, quelle pesanti a 2100, 1800 le dosi di droghe sintetiche, 4.400 le piante di cannabis, 72 le persone arrestate.

  • La Germania è un ottimo affare per l’e-commerce targato Italia

    Avere due Germanie, come piaceva a Giulio Andreotti, non si può più, ma tenersi cara quella che c’è conviene, secondo quanto sottolinea il portale internazionale per la comparazione dei prezzi online, idealo, che ha recentemente annunciato un’importante partnership con Itkam, la Camera di Commercio Italiana per la Germania, volta ad incentivare l’internazionalizzazione dei negozi online italiani e tedeschi oltre i rispettivi confini nazionali.

    La Germania è infatti un mercato di riferimento commerciale essenziale per l’Italia in quanto  con 80,5 milioni di consumatori e un reddito medio pro-capite di oltre 33.000 euro annui rappresenta la maggiore economia dell’Unione Europea. A dispetto della scarsa popolarità che la Germania nutre in Italia, idealo segnala che essa può rappresentare un target di tutto interesse per l’economia italiana. I dati parlano chiaro. L’88% degli utenti tedeschi acquista regolarmente su Internet, il che equivale a dire che avere un e-shop disponibile a vendere anche in Germania offre la possibilità di godere di un bacino d’utenza potenziale di 58 milioni di utenti aggiuntivi (https://www.idealo.it/azienda/idealo-netcomm-forum/#idealo-itkam).

    In Germania, il 40% degli acquirenti online fa già acquisti su e-shop stranieri. Come motivazione principale, il 65% di questi dichiara di farlo quando il prodotto desiderato non è disponibile nel proprio paese, mentre il 49% in quanto ha riscontrato che l’articolo desiderato è più economico all’estero. Sei dei 10 maggiori e-shop presenti su amazon.de si trovano in paesi differenti dalla Germania e conducono con successo scambi commerciali transfrontalieri in Germania attraverso i propri negozi online.

    In termini di vendite, la Germania si colloca tra i primi cinque mercati e-commerce più grandi del mondo, insieme a Cina, Stati Uniti, Regno Unito e Giappone.

    Nel 2012 il totale delle vendite legate al mercato online tedesco era di 28 miliardi di euro, nel 2017 è salito a 58,5 miliardi e gli esperti prevedono che entro il 2022 raggiungerà gli 81 miliardi di euro.

    “idealo diretto”, la funzione presente in Germania che permette di vendere direttamente sul portale di idealo, produce in media un +42% negli ordini ricevuti dai negozi online, che possono quindi aumentare il proprio fatturato. A tale riguardo, Francesca Regina, Vice Segretario di ITKAM Camera di Commercio Italiana per la Germania ha commentato: “Da un punto di vista economico, la Germania è il primo partner commerciale per l’Italia, sia come mercato di sbocco dell’export italiano, sia come Paese di provenienza dell’import italiano. Il volume dell’interscambio bilaterale è molto elevato: esso corrisponde infatti tradizionalmente quasi alla somma degli scambi che intratteniamo con Francia e Regno Unito insieme. Siamo quotidianamente impegnati a potenziare la presenza di aziende italiane nel mercato tedesco e valorizzare il made in Italy. La partnership con idealo rappresenta un’importante opportunità che consente quindi ulteriormente di perseguire questi obiettivi.” Fabio Plebani, country manager di idealo per l’Italia, ha così commentato la partnership: “Come comparatore prezzi leader in Europa noi di idealo conosciamo il valore dell’internazionalizzazione. Per questo motivo ci impegniamo tutti i giorni per aiutare i nostri partner a superare i propri confini. Allo stesso modo di idealo, anche la Camera di Commercio Italiana per la Germania è in prima linea per favorire la crescita delle realtà italiane e tedesche oltre i confini nazionali. Uniti da questo spirito è nata la volontà di cooperare insieme per poter offrire ancora più servizi ai nostri rispettivi partner”.

  • I dazi: a monte o a valle

    Viviamo di analisi che hanno la capacità retrospettiva al massimo di quarantotto ore.

    Durante la presidenza Obama venne introdotta negli Stati Uniti la certificazione della filiera della carne nella quale venivano indicati tutti i passaggi, dall’allevamento alla macellazione fino al banco del supermercato. Questa iniziativa normativa ovviamente risultò molto apprezzata dal consumatore statunitense e provocò un aumento delle vendite di carne prodotta negli Stati Uniti a scapito di quelli importata dal Messico e dal Canada, dimostrando innanzitutto come anche i consumatori statunitensi risultino molto attenti alla certificazione della filiera di ogni alimento e quindi all’aspetto qualitativo. Contemporaneamente l’iniziativa conferma l’importanza della conoscenza nello specifico della certificazione della filiera che rappresenta la vera soluzione per un consumo consapevole di prodotti di alto di gamma, come risultano quelli del made in Italy.

    I due stati (Canada e Messico) chiamarono in causa il Wto e ottennero di aprire una procedura contro gli Stati Uniti accusandoli di concorrenza sleale che avrebbe provocato una diminuzione delle proprie esportazioni di carne verso il mercato statunitense. All’inizio della propria presidenza Trump affermò come il mercato americano non potesse più rappresentare il punto di arrivo delle esportazioni di tutti i paesi (in particolare cinesi ed europee) ma che l’amministrazione statunitense aveva intenzione di riequilibrare il traffico commerciale in entrata come in uscita con gli altri paesi partner ed attori del mercato globale.

    Fedele a queste impostazioni economico-politiche infatti l’amministrazione statunitense provò ad esportare in Europa la carne statunitense (la stessa certificata dall’amministrazione Obama) che venne bloccata in quanto non rispondeva a determinate specifiche presenti in Europa. Ebbero medesima sorte i prodotti agricoli in quanto sospettati di essere OGM.

    A fronte di tali rifiuti nel 2017 il presidente Trump criticò aspramente queste decisioni europee definendole assolutamente inaccettabili e che avrebbe avviato, di fronte al perdurare di tali decisioni, una politica dei dazi relativa anche ai prodotti europei.

    Nel medesimo periodo, cioè nell’ottobre 2017, l’Unione Europea unilateralmente decise l’introduzione dei dazi sull’alluminio e sul’acciaio cinese per un valore percentuale dal 23 al 52%.

    Quando la medesima decisione venne presa solo cinque mesi più tardi dall’amministrazione statunitense l’Unione Europea criticò aspramente bollandola come un ulteriore attacco al mercato globale. Contemporaneamente la stessa Unione Europea introdusse dei dazi per i pneumatici cinesi da 43 fino a 82 dollari a pneumatico, omettendo così, ancora una volta, di essere stata la prima a introdurre questa politica dei dazi al fine di favorire le produzioni nazionali o continentali.

    Successivamente, di fronte alla incapacità ed impossibilità per l’amministrazione statunitense di aumentare le proprie esportazioni verso l’Unione Europea, la pressione politica esercitata dagli Usa ha tuttavia permesso e negoziato un accordo con la Cina la quale si impegna ad acquistare circa 300 miliardi di nuovi prodotti agricoli.

    Tornando all’Europa, sempre il presidente Trump ha introdotto, fronte al muro di gomma europeo, i dazi relativi all’alluminio e all’acciaio europeo. Contemporaneamente la pressione politica esercitata dall’amministrazione Trump ha indotto l’amministrazione cinese ad abbassare i dazi sulle auto straniere (sia europee che statunitensi) dal 25 al 15%. Verrebbe poi da chiedersi come mai la Ue abbia considerato un attacco al libero mercato l’azione del presidente Trump quando poi accettava dazi cinesi del 25% sulle proprie esportazioni di auto! Ora, dimenticando in più di essere stata la prima ad aver inaugurato questo tipo di strategia, l’Unione Europea ha deciso, o perlomeno sta decidendo, di introdurre una serie di dazi sui prodotti finiti come Levi’s o il Whisky Bourbon e le Harley-Davidson in risposta all’iniziativa dell’amministrazione americana, offrendo quindi una deriva pericolosa alle contromosse statunitensi. L’Unione Europea perciò prima ed unica responsabile per quanto riguarda l’inizio di questa tipologia di politica dei dazi in risposta all’amministrazione Trump impone dei dazi sui “prodotti finiti” mentre quelli imposti dall’amministrazione Trump riguardano le “materie prime“, per ora.

    I dazi (va specificato) rappresentano certamente l’estrema ratio per quanto riguarda la politica economica. Tuttavia questi possono rappresentare anche una modalità, certamente temporanea, per salvaguardare le produzioni in attesa di un piano strutturale di sviluppo completo, come per esempio l’introduzione di una organizzazione aziendale più consona ad un mercato globale.

    Questi inoltre hanno ragione di essere utilizzati quando le aziende si trovano ad operare in un mercato globale ma con regole profondamente diverse (per quanto riguarda le normative sul lavoro sui protocolli sanitari degli stessi prodotti), tanto da rendere i fattori di tutela dei lavoratori come quelli dei consumatori antieconomici, impossibili da annullare anche con qualsivoglia aumento della produttività. Soprattutto però dovrebbero essere imposti sulle materie prime e non sui prodotti finiti, perlomeno nelle prime stagioni di utilizzo di questa leva fiscale.

    I dazi imposti sui prodotti finiti colpiscono infatti l’intera filiera a monte della stessa rendendo impossibile qualsiasi tipo di adeguamento produttivo che possa assorbire il valore anti-competitivo del dazio e di conseguenza penalizzando il consumatore. In questo senso si ricorda che il vantaggio per il consumatore viene considerato la ragione principale proposta dai fautori del mercato globale senza regole. Gli stessi che ora vogliono imporre i dazi sul prodotto finale, penalizzando così il consumatore, manifestano una netta contraddizione in termini.

    Viceversa il dazio imposto a monte della filiera, quindi sulle materie prime, permette alle diverse industrie di trasformazione che partecipano alla complessa filiera, attraverso la ricerca di una maggiore produttività come di sinergie anche digitali più evolute ed un conseguente aumento della produttività, di assorbire il valore del dazio in modo da rendere minimo l’impatto per il consumatore.

    Ancora una volta l’Unione Europea ha dimostrato di avere una posizione ideologica ed assolutamente irresponsabile attraverso la scelta di imporre dei dazi sui prodotti finiti che coinvolgono figure professionali che rappresentano la forza lavoro e professionale delle diverse aziende che contribuiscono alla filiera complessa di un prodotto.

    La posizione europea, sia che venga dettata da una questione ideologica o semplicemente da una miope visione economica, rappresenta l’ennesima conferma di un declino culturale che investe l’intero vecchio continente. Una Europa che si dimostra e si conferma incapace di gestire un mercato complesso ignorando o annullando i problemi che la complessità inevitabilmente comporta.

  • La contraffazione costa 142 euro l’anno a ciascun italiano

    Secondo una nuova ricerca dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) l’Itala perde ogni anno 8,6 miliardi a causa della contraffazione e l’intera Ue 60 miliardi.

    La contraffazione colpisce soprattutto 13 settori economici: cosmetici e igiene personale; abbigliamento, calzature e accessori; articoli sportivi; giocattoli e giochi; gioielleria e orologi; borse e valigie; musica registrata; alcolici e vini; prodotti farmaceutici; pesticidi, smartphone, batterie e pneumatici.

    In Italia, i prodotti contraffatti presenti sul mercato italiano costano 8,6 miliardi, cioè 142 euro a testa, con un impatto sulle vendite dirette del 7,9%, mentre si bruciano 52.700 posti di lavoro ogni anno; a livello europeo l’impatto sulle vendite è del 7,5%, con un costo di 116 euro pro capite all’anno e una perdita di 434mila posti di lavoro.

    I modelli imprenditoriali più comuni si avvalgono in modo significativo di Internet per distribuire i prodotti falsi e promuovere la distribuzione e il consumo di contenuti digitali illegali. Secondo una recente ricerca di Confesercenti che includeva anche il settore del turismo oltre un consumatore su quattro (25,6%) si è trovato a comprare almeno una volta un prodotto o un servizio illegale o contraffatto sul web. “Il cospicuo valore, le troppo lievi pene inflitte e gli elevati ritorni sugli investimenti incentivano a intraprendere attività di contraffazione”, denunciano dall’EUIPO.

  • Il lusso fa ricca l’Italia

    L’Italia è da sempre considerata la patria dei prodotti di qualità, eccellenze in molti settori che ci invidiano nel resto del mondo. Basti pensare che nel 2016, delle 100 aziende top del lusso mondiale, l’Italia è il primo per produzione. Secondo il “Global Powers of Luxury Goods 2018”, nuova edizione del report pubblicato da Deloitte che prende in esame i bilanci dell’anno fiscale 2016 (chiusi entro il 30 giugno 2017) delle 100 aziende top dell’alto di gamma, con 24 aziende l’Italia ha il primato del numero di produttori del settore. Seguono a distanza gli Stati Uniti con 13, il Regno Unito con 10 e la Francia con 9. Per capire l’importanza di questi numeri, specifichiamo che le 100 aziende hanno venduto beni per ben 217 miliardi di dollari.

    Un primato importante, che però perdiamo se si guarda la dimensione e il volume di vendite medie di tali aziende: la Francia (dove si trovano il primo e il quinto dei gruppi leader del lusso mondiale, Lvmh e Kering) ci batte con un fatturato medio di 5,8 miliardi di dollari, a fronte dei nostri 1,4.

    Bisogna costatare che le nostre aziende sono più piccole e il nostro tessuto produttivo più frammentato, tanto che nella top 10 delle aziende mondiali si trova solo un’italiana, Luxottica, al quarto posto. I successivi sono Prada al 19esimo posto e Giorgio Armani al 24esimo. Queste tre aziende, si legge nel report, raccolgono circa la metà delle vendite del lusso made in Italy della top 100. Una frammentazione, in mano principalmente alle famiglie fondatrici, che non è negativa nel momento in cui, nota lo studio, “le famiglie operano un forte controllo sulla coerenza del design”, uno dei punti di forza del made in Italy.

    Un deciso segnale di ottimismo, però, si rileva scorrendo la classifica delle 20 aziende che nel 2016 hanno avuto la crescita più veloce, e nella quale ben sei sono italiane: a guidarle è Valentino (le sue vendite sono più che raddoppiate fra 2013 e 2016, superando la soglia del miliardo di euro), seguito da Furla (il solo marchio di borse e accessori) e da Moncler, unico italiano anche fra le cinque aziende che nel 2016 hanno registrato una crescita a doppia cifra delle vendite e degli utili. A sostenere l’industria italiana del lusso è anche il costante primato della categoria “abbigliamento e calzature”, con 38 aziende nella top 100, cresciuta però solo dello 0,2%, a fronte del boom del segmento “cosmetica e profumi”, +7,6%.

    Per l’export italiano, però, arrivano altre buone notizie dall’Oriente. Armando Branchini, vicepresidente di Fondazione Altagamma, ha anticipato un’importante decisione di Pechino: “Dal 1° luglio i dazi imposti sull’importazione dall’Europa di prodotti come abbigliamento, accessori, complementi d’arredo, verranno dimezzati. Al momento, a seconda della categoria esatta, i dazi sono tra il 15,7% e il 19 per cento. Ridurli della metà significa avvicinarli molto a quelli che Bruxelles impone alla Cina”. Da anni si chiede a Pechino un allineamento con i dazi imposti dall’Unione europea, ora l’obiettivo sembra raggiunto.

    L’associazione Altagamma riunisce oltre cento eccellenze di dieci settori di «bello e ben fatto in Italia»: dalla moda e design alla gioielleria, dall’alimentare e automotive al wellness, passando per ospitalità ed enogastronomia. Tutti settori che si rivolgono al mercato globale dei beni di lusso personale, che Fondazione Altagamma, nata nel 1992, e Bain&Company monitorano da almeno due decenni.

    Si prevede quindi che in Cina gli acquisti di beni di lusso cresceranno tra il 20 e il 22%. Senza il possibile effetto dazi, questo porterà la quota del mercato cinese sul totale globale circa al 10% (era l’8% nel 2017). Ma la percentuale triplica se si considerano gli acquisti da parte di cinesi nel mondo. Il taglio dei dazi favorirà quindi chiunque produca in Italia ed esporti in Cina, ma il tessuto produttivo italiano dovrà farsi trovare pronto sotto ogni punto di vista.

     

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