concorrenza

  • AggregateEU apre il primo bando a medio termine per garantire un approvvigionamento energetico stabile e prevedibile

    Nell’ambito della piattaforma AggregateEU per l’acquisto in comune di gas, la Commissione apre il primo bando a medio termine in cui gli acquirenti potranno presentare la loro domanda di gas per diversi periodi da sei mesi da aprile 2024 a ottobre 2029.

    Il bando a medio termine è un nuovo servizio proposto dalla Commissione per avvicinare acquirenti e venditori al di là della crisi a breve termine che abbiamo vissuto negli ultimi due inverni. AggregateEU raccoglierà la domanda dei consumatori di energia dell’UE per un massimo di 5 anni e la metterà a gara allo scopo di garantire nei prossimi anni un approvvigionamento stabile e prevedibile alle aziende partecipanti, basandosi sulle fondamenta del meccanismo di crisi introdotto nel 2023. La piattaforma è stata creata in risposta a contatti approfonditi con le parti interessate.

    Questo nuovo bando a medio termine porterà avanti i lavori di AggregateEU volti a garantire e diversificare l’approvvigionamento di gas in risposta alla guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina e deriva dal successo ottenuto dai 4 bandi a breve termine per l’acquisto in comune di gas che si sono svolti da aprile a dicembre 2023 nell’ambito della piattaforma dell’UE per l’energia, e che hanno portato alla fornitura di oltre 42 miliardi di m3 della domanda aggregata di gas in Europa grazie a fornitori affidabili. Nel corso dell’anno proseguiranno anche i bandi a breve termine.

    Per partecipare a questo primo bando a medio termine, gli acquirenti e i venditori devono registrarsi e iscriversi alla piattaforma AggregateEU. Per questa prima tornata la domanda deve pervenire entro il 21 febbraio e sarà messa all’asta dal 26 al 27 febbraio. Non appena la domanda e l’offerta saranno state abbinate mediante la piattaforma, le singole aziende negozieranno i loro contratti bilateralmente.

  • La Commissione chiede pareri sugli impegni proposti da Apple

    La Commissione europea invita a presentare osservazioni sugli impegni proposti da Apple per rispondere alle riserve in materia di concorrenza relative alle restrizioni di accesso a una tecnologia standard utilizzata per i pagamenti senza contatto con dispositivi mobili nei negozi (Near-Field Communication — “NFC”).

    La Commissione ha concluso in via preliminare che Apple gode di un potere notevole sul mercato dei dispositivi mobili intelligenti e di una posizione dominante sui mercati dei portafogli mobili. Apple Pay è l’unica soluzione di portafoglio mobile che può accedere su iOS all’hardware e al software necessari (“input NFC”) per consentire pagamenti mobili nei negozi fisici, e Apple non lo mette a disposizione degli sviluppatori di applicazioni di portafogli mobili di terzi.

    Il 2 maggio 2022 la Commissione ha informato Apple del suo parere preliminare secondo cui tale comportamento preclusivo potrebbe limitare la concorrenza sul mercato dei portafogli mobili su dispositivi iOS, in violazione dell’articolo 102 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”).

    Per rispondere alle riserve della Commissione in materia di concorrenza, Apple ha proposto una serie di impegni, che rimarrebbero in vigore per dieci anni.

    La Commissione invita tutte le parti interessate a presentare il loro parere sugli impegni proposti da Apple entro un mese dalla pubblicazione di una sintesi di tali impegni nella Gazzetta ufficiale dell’UE.

  • La Cina non perde il vizio di copiare

    E’ finito ancora una volta sotto i riflettori, in negativo, il colosso cinese di fast fashion Shein. Motivo? E’ accusato di aver copiato un famoso, e ben riconoscibile, modello di borsetta a tracolla prodotto dall’azienda giapponese di abbigliamento Uniqlo che ha annunciato di aver fatto causa al gruppo cinese. Il capo, di piccole dimensione, è stato tra i prodotti più acquistati nell’ultimo anno diventando famosissimo e per questo, come spiegato da Uniqlo, è stata necessaria la citazione in giudizio perché l’azienda di e-commerce sta intaccando la fiducia dei consumatori nel suo marchio.

    Da alcuni anni Shein viene periodicamente denunciata o criticata per la sua pratica di riprodurre modelli di abiti o accessori di marchi più o meno famosi rivendendoli a prezzi più bassi. E numerose sono state, e continuano ad essere, le inchieste giornalistiche secondo le quali dietro i prezzi molto bassi dei prodotti si celerebbero pratiche di sfruttamento dei lavoratori ed un grosso impatto ambientale.

    Fondata nel 2008 dall’imprenditore cinese Chris Xu a Nanchino, in Cina Shein all’inizio vendeva abiti da sposa comprati nei mercati all’ingrosso, successivamente si è aperta al mercato dell’abbigliamento normale anticipando la diffusione delle vendite on line dei vestiti. Si stima che oggi l’azienda abbia un valore di 100 miliardi di dollari.

  • Il nanismo intellettuale del pensiero liberale italiano

    Il progetto di rendere private tutte le più importanti infrastrutture statali, in concessione come Autostrade o cedute a fondi esteri come le multiutility, sta arrivando alla sua disastrosa conclusione.

    Attraverso la privatizzazione della rete TIM, l’Infrastruttura digitale strategicamente fondamentale in quanto convoglia dati ed informazioni anche di estrema importanza militare ed internazionale, si chiude infatti quel processo di cessione di sovranità dello Stato sicuramente più deleteria nelle ripercussioni rispetto a quella monetaria.

    Un processo gestito sostanzialmente da una classe governativa e parlamentare di “piazzisti” i quali con diverse ed opposte maggioranze si sono alternati alla guida del nostro Paese dal 1998 ai giorni nostri ma tutti uniti dal medesimo obiettivo ed interesse.

    Questo delirio “liberalizzante” ha visto il proprio inizio con il governo D’Alema ed ora è in via di ultimazione grazia all’azione del primo governo a giuda femminile, dimostrando ancora una volta come non esista la differenza di genere neppure tra opposti schieramenti politici.

    Questo ennesimo disastro strategico economico rappresenta l’essenza stessa del massimalismo affaristico che coinvolge tutti i partiti dell’arco costituzionale e tutti i governi dal 1998 al 2023.

    In questo contesto, in più, emerge clamoroso il silenzio altrettanto massimalista e probabilmente compromesso della cosiddetta “area intellettuale liberale” la quale con arroganza si arroga il compito di rappresentare il pensiero di un ex presidente della Repubblica e liberale in genere.

    Queste fondazioni o istituti vari affermano di rappresentare il pensiero liberale assieme ad un fiorire di “partiti di ispirazione liberale” i quali, all’unisono, disquisiscono quotidianamente delle problematiche legate alle licenze dei taxi.

    Contemporaneamente non spendono una parola su scelte strategiche relative ad infrastrutture fondamentali con effetti e ripercussioni per la stessa comunità democratica. Evidente come espressione della loro incapacità di valutazione e confermata dall’atteggiamento rispetto alle conseguenze dell’acquisizione operata dal fondo KKR della rete TIM.

    In altre parole, il mondo liberale dimostra il proprio “nanismo intellettuale” in quanto applica in modo massimalista i principi liberali (concorrenza e legge di mercato ripetuti pedissequamente in ogni contesto) al mondo dei servizio a basso valore aggiunto, mentre rimane in complice silenzio sulle strategie complessive legate alla acquisizione della rete TIM, arrivando in sporadici casi ad appoggiare l’operazione di finanza speculativa del fondo KKR.

    Una forza politica che si definisce “sua sponte” liberale ed in contrapposizione rispetto al pensiero ed alle azioni governative si dimostra invece complice attraverso il proprio silenzio del declino nazionale.

    Un gotha liberale incapace persino di distinguere il valore, e quindi anche gli effetti, tra politiche legate ai servizi alle persone (taxi) ed altre legate alle sorti delle reti infrastrutturali strategiche, le quali meriterebbero diversi approfondimenti in relazione agli effetti per l’intera nazione.

    Questo nanismo intellettuale espresso dai vertici liberali rappresenta una delle cause principali della deriva sudamericana che il nostro Paese ha intrapreso a cominciare dal governo D’Alema e portata ora a compimento dal governo Meloni. Non va dimenticato infatti come quest’ultimo intenda rinnovare la concessione a privati di Autostrade, dimostrando come la tragedia del Ponte Morandi non abbia scosso minimamente l’anima della classe politica reggente.

    Va sottolineato, quindi, come dal 1998 fino al 2023 tutti i governi alla guida del nostro Paese abbiano potuto operare contro gli interessi degli elettori applicando in modo scolastico ed escludendoli dal contesto alcuni principi liberisti, avvalendosi contemporaneamente del complice silenzio dell’intero mondo liberale, incapace di elaborare una propria strategia alternativa in relazione a tematiche così importanti sotto il profilo strategico.

    Mai come ora il destino della rete Tim ha dimostrato quanto da oltre vent’anni la classe politica italiana si sia dimostrata priva di ogni minimo senso dello Stato, anche grazie alla complicità del mondo liberale affetto da un sempre più imbarazzante nanismo intellettuale, culturale ed umano.

  • Amazon: US accuses online giant of illegal monopoly

    US regulators have sued Amazon, alleging that the internet giant is illegally maintaining monopoly power.

    The Federal Trade Commission (FTC) said Amazon uses “a set of interlocking anticompetitive and unfair strategies” to push up prices and stifle competition.

    Amazon said the lawsuit was “wrong on the facts and law, and we look forward to making that case in court”.

    It is the latest technology giant to be sued by US regulators.

    The FTC’s boss, Lina Khan, has had Amazon in her crosshairs for years.

    In 2017, Ms Khan, then only 29, published a major academic article arguing the online retailer had escaped anti-competition scrutiny.

    “With its missionary zeal for consumers, Amazon has marched toward monopoly,” she said at the time.

    Since her surprise appointment as FTC Chair in 2021, this case has been widely expected – and viewed as a crucial test of her leadership.

    The dominance of a handful of powerful tech firms has led some US politicians to call for action that would promote more competition in online search, retail and social media.

    However, the FTC under Ms Khan has had little to show for its strong rhetoric against Big Tech.

    In February it lost its attempt to stop Meta from buying VR company Within.

    And in July it lost an attempt to block Microsoft from completing its deal to buy the maker of Call of Duty.

    There is pressure on Ms Khan to make at least one high profile complaint stick – and at the FTC they have high hopes for this case.

    The agency, along with 17 state attorneys, claims that Amazon is a “monopolist” that stops rivals and sellers from lowering prices.

    The regulator also alleged the internet giant’s actions “degrade quality for shoppers, overcharge sellers, stifle innovation, and prevent rivals from fairly competing against Amazon”.

    However, Amazon says that if the “misguided” FTC lawsuit is successful, it would mean fewer products to choose from, higher prices, and slower deliveries for consumers.

    The key part of the case involves consumers losing money – getting worse deals – because of the alleged monopoly.

    US anti-competition legislation is complicated, but generally, prosecutors have to show companies have acted in a way that hurts consumers financially.

    That isn’t always an easy thing to prove when it comes to Big Tech, as many of their services are free – like Google’s search engine or Meta’s Instagram.

    Earlier this month, a court battle began between Google and the US government, which has accused it of having an advertising technology monopoly.

  • Coldiretti contesta pratiche sleali a Lactalis

    «Procederemo a denunciare il gruppo Lactalis per pratiche sleali all’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) del Ministero dell’agricoltura e della sovranità Alimentare per la violazione del contratto sul prezzo del latte» – ha annunciato il presidente nazionale della Coldiretti Ettore Prandini in occasione dell’Assemblea Nazionale della principale Organizzazione Agricola Europea.

    Il decreto legislativo in attuazione della Direttiva Ue sulle pratiche commerciali sleali, fortemente voluto dalla Coldiretti, prevede lo stop a 16 pratiche sleali che vanno dal rispetto dei termini di pagamento (non oltre 30 giorni per i prodotti deperibili) al divieto di modifiche unilaterali dei contratti e di aste on line al doppio ribasso, dalle limitazioni delle vendite sottocosto alla fine dei pagamenti non connessi alle vendite fino ai contratti rigorosamente scritti, ma anche che i prezzi riconosciuti agli agricoltori ed agli allevatori non siano inferiori ai costi di produzione.

    Le pratiche sleali che Coldiretti contesta a Lactalis consistono nell’aver modificato unilateralmente il contratto con gli allevatori fornitori di latte diminuendo i prezzi riconosciuti ed introducendo tra l’altro un nuovo indice collegato tra l’altro alle quotazioni del latte europeo non concordato e fortemente penalizzante per i produttori italiani.

    La multinazionale Lactalis ha acquisito i marchi nazionali Parmalat, Locatelli, Invernizzi, Galbani, Cadermartori e Nuova Castelli e controlla circa un terzo del mercato nazionale in comparti strategici del settore lattiero caseario.

  • La Direzione Generale della Concorrenza della Commissione europea organizza un dibattito pubblico a Modena dal titolo “Markets for People: La concorrenza e le sue regole al servizio della società”

    Partirà da Modena il tour di “Markets for People: la concorrenza e le sue regole al servizio della società”, l’iniziativa lanciata dalla Direzione Generale per la Concorrenza della Commissione europea per approfondire e discutere l’impatto della politica di concorrenza sulla vita delle persone. L’appuntamento è per giovedì 20 aprile dalle 11 alle 12.30 al teatro della Fondazione San Carlo in via S. Carlo 5, Modena.

    Al confronto – moderato da Ubaldo Stecconi, esperto di comunicazione della Commissione europea – interverranno Anna Argentati, direttore direzione studi giuridici e analisi della legislazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Pier Luigi Bersani, politico e scrittore, Silvia Sciorilli Borrelli, giornalista del Financial Times, Sara De Simoni, dirigente alla Tetra Pak e il prof. Michele Polo, docente dell’Università Bocconi.

    L’incontro mira a sviluppare un confronto con la pubblica opinione sugli aspetti economici e sociali di mercati aperti, equi e regolati e sul loro impatto nella vita quotidiana dei cittadini. Il dibattito è aperto a tutti previa registrazione al link.

    L’iniziativa è organizzata in stretta collaborazione con l’Autorità Garante per il Mercato e la Concorrenza, le Rappresentanze della Commissione europea in Italia e il centro Europe Direct Modena unitamente agli altri centri della regione Emilia-Romagna.

    Per ulteriori informazioni si potrà contattare direttamente la Commissione europea scrivendo all’indirizzo email comp-mamawope@ec.europa.eu.

  • Quale concorrenza

    La vicenda ancora irrisolta e relativa alle concessioni balneari ha riportato all’attenzione della politica e dell’economia il principio della concorrenza. Il contenuto di questo principio economico e strategico è di certo importante e può ancora oggi venire considerato fondamentale, tuttavia  il suo continuo e manieristico rimando ad opera di una ormai esausta componente del variegato mondo “liberale”, lo rende ormai distonico rispetto alla complessità dei soggetti economici e dei mercati globali.

    Il continuo e perpetuo riferimento alla semplice applicazione sic et nunc di un concetto scolastico di concorrenza evidenzia in modo inequivocabile la volontà ed il desiderio di coprire una evidente incapacità nella elaborazione di analisi più approfondite della quale purtroppo il mondo liberale non sembra essere esente.

    La sentenza Bolkestein ha ribadito l’importanza quanto la legittimità dell’attuazione di questo principio economico, lasciando tuttavia una macroscopica lacuna relativa alle complesse modalità della sua applicazione in quanto la sentenza non ha assolutamente tenuto in alcuna considerazioni, né doveva farlo, di come all’interno della stessa Unione Europea questo principio, per la sua stessa applicazione, dovrebbe contare sul presupposto di una minima uniformità fiscale. Quest’ultima, infatti, garantirebbe le condizioni minime di base con l’obiettivo di assicurare uno stesso contesto ai diversi soggetti economici in competizione nella aggiudicazione di un servizio su concessione statale.

    In altre parole, il principio di una base comune economica e fiscale dovrebbe rappresentare la condizione minima per permettere l’applicazione equa e corretta dello stesso principio della concorrenza dalla quale proverebbe la sua massima espressione nel know how professionale piuttosto che nella semplice applicazione di un vantaggio fiscale assicurato dalle diverse normative nazionali.

    Viceversa, tanto il mondo politico quanto, a maggior ragionr, quello liberale si dimostrano ancora una volta superficiali nelle analisi e soprattutto estremamente infantili nelle soluzioni le quali si estrinsecano sempre nella semplice individuazione di un principio economico come semplice soluzione di tutti i mali.

    Sembra incredibile come non vengano presi in considerazione i diversi asset normativi e soprattutto fiscali conviventi all’interno della stessa Unione Europea, le cui differenze ex ante rendono impossibile qualsiasi applicazione della concorrenza tra i diversi soggetti economici. Una lacuna soprattutto imputabile a quell’area politica la quale, con molta superficialità, si considera ancora oggi “liberale” e che ha appoggiato le privatizzazioni dei monopoli fisici statali che hanno determinato il disastro della gestione privatistica della società Autostrade fino alla morte di 43 persone con il crollo del Ponte Morandi. Senza dimenticare l’Eni, diventata una società con la sede fiscale in Olanda partecipata dallo Stato la quale, all’interno di una situazione drammatica come quella post pandemica. ha utilizzato le proprie leve speculative all’utenza privata ed industriale nelle forniture di energia.

    Mai come ora la peggiore conservazione politica intesa come l’incapacità di attualizzazione del proprio pensiero economico e politico trova casa presso le vecchie aggregazioni ed istituzioni liberali incapaci anche solo di aggiornarsi ad un mercato sempre più globale in continua evoluzione al quale rispondono con le semplici e scolastiche definizioni di principi economici.

  • Gli errori da evitare nel Disegno di legge sulla Concorrenza

    Finalmente, grazie al Governo Draghi, si è interrotto l’immobilismo sulla riforma della Concorrenza, che durava dal 2009, con l’adozione del relativo Disegno di legge, anche se il testo appare meno ambizioso e incisivo di come avrebbe dovuto essere, a causa di varie dimenticanze e timidezze.

    Purtuttavia non si può negare la valenza del tentativo di avviare un processo di riforma, fra le tante di corredo al PNRR, fondamentale per lo sviluppo e la competitività complessiva del sistema Italia e il cui ritardo risulta essere una delle principali cause della stagnazione economica del nostro Paese.

    Infatti nessun governo in Italia ha mai avuto il coraggio di mettere le mani sulle riforme, ed in particolare su quella della Concorrenza, in questo assecondato dal silenzio tombale di tutte le opposizioni, mentre le reazioni erano chiaramente fuori tema, perché concentrate sulla contestazione sterile e anacronistica della globalizzazione, come se fosse un nemico da combattere e non piuttosto la cornice entro la quale le economie di tutto il mondo operano, ed all’interno della quale l’Italia, proprio per l’assenza di riforme, ha sofferto l’impotenza di vedere frustrate le sue aspirazioni di competere con successo e produrre ricchezza, piuttosto che impoverirsi con l’aumento esponenziale del Debito Pubblico.

    Il punto è che la sfida alla globalizzazione da parte della politica è quella di riuscire a governarla, recuperando il primato della politica, in quanto espressione di scelte sottoposte al controllo sovrano dei cittadini, per eliminarne o attenuarne gli aspetti negativi e a volte disumani, ed esaltarne gli aspetti positivi, già sperimentati in epoche passate, allorquando invasioni e conflitti hanno rimandato indietro gli orologi della storia.

    Nessuna paura, quindi, né complessi di inferiorità a gestire un sistema complesso, al quale fino ad ora è mancata la politica e la sua visione di correggere le brutture attraverso il dialogo ed il confronto, per l’assunzione globale di regole e di misure da rispettare e, quindi da controllare, per contenere lo strapotere dei giganti dell’industria e della finanza e garantire il rispetto delle identità e della libertà dei popoli. Modalità di governo ispirate quindi non a velleitarie posizioni di impossibile contrapposizione per il ritorno ad una Arcadia mai esistita, di un mondo governato da logiche protezionistiche, ma la necessaria presa d’atto che la globalizzazione può finire, specie dopo la quarta rivoluzione industriale, unicamente a causa di un cataclisma o di un conflitto di livello mondiale, assolutamente da scongiurare per il bene dell’umanità, mentre, al contrario, va interpretata, affrontata e governata.

    Questo è il dovere della politica, che invece di appiattirsi a servire le lobby, deve capire il fenomeno, ritrovare se stessa sulle visioni di quale società vuole realmente servire e con quali diritti e doveri e deve affrontare il presente ed il futuro con idee chiare e proposte condivise con tutti i soggetti interessati.

    Da qui la colpevole latitanza dei governi del passato e, forse, l’eccesso di timidezza su questo provvedimento del governo in carica, nel perseguire le liberalizzazioni, che non sono quindi la penalizzazione di alcune categorie, ma la cessazione dei loro ingiusti privilegi, che hanno contribuito a penalizzare produzione e lavoro e costituisce lo strumento per servire finalmente l’interesse generale e il bene comune, con il rilancio dell’economia, senza più freni a mano tirati per rallentarne le potenzialità.

    Le liberalizzazioni costituiscono anche la cartina di tornasole per individuare se le posizioni dei partiti sono davvero al servizio del bene comune.

    E’ infatti bastato l’annuncio di questo provvedimento per fare scattare la polemica sui primari da parte di Forza Italia, che non è d’accordo sul fatto che la politica perda la possibilità di sceglierli con criteri discrezionali. Ma il primario deve curare i cittadini, non certo essere funzionale al suo protettore politico, come purtroppo fino ad ora è accaduto frequentemente.

    Così come la timidezza del governo di rinunciare all’inserimento, peraltro urgente, degli inceneritori, sulla base delle pressioni del M5S, ma in questo caso al prezzo di lasciare il Paese senza una strategia seria di smaltimento dei rifiuti.

    O le pressioni della Lega, che ha imposto al governo un ritardo di sei mesi sul delicatissimo e dirimente tema delle concessioni balneari.

    Una richiesta il cui accoglimento appare un errore grave del Governo, che sarebbe auspicabile venisse eliminato nel dibattito parlamentare, non solo perché appare intollerabile mantenere le attuali tariffe per strutture che fatturano oltre 15 miliardi l’anno e pagano per le concessioni meno dell’1% di quanto incassato, ma anche perché l’Italia per questo e per avere incredibilmente rinnovato tutte le concessioni balneari fino al 2033, già adesso è sotto procedura di infrazione dell’UE.

    Il che vuol dire, che il rinvio del Governo potrebbe costare caro all’Italia, anche di più dei 3 miliardi e 209 milioni di Euro versati all’UE quale condanna per il mancato pagamento delle multe della lobby dei produttori di latte, che avevano per decenni superato le quote assegnate annualmente, e sempre grazie alla Lega che si intestò pure quella battaglia, il cui costo, more solito, fu addossato agli incolpevoli contribuenti.  Se per difendere un’altra lobby, quella dei gestori degli stabilimenti balneari, dovessimo subire lo stesso danno, non sarebbe soltanto una vergogna, ma la fine oggettiva del processo di liberalizzazione dell’economia nazionale, perché a nessuna altra categoria si potrebbero più negare i privilegi e resteremmo per sempre con i lacci e i lacciuoli che ci hanno fino ad ora penalizzato, ma stavolta senza più speranza.

    Per questo appare assolutamente necessario che il premier Draghi, come fino ad ora ha fatto con successo, richiami tutti al loro dovere e ricordi che la politica delle bandierine si può fare quando comunque soddisfa il bene comune, ma non quando lo danneggia e lo dileggia.

    Già Sottosegretario per i BB.AA.CC.

  • Corporate Tax by Yellen & Biden

    Si potrebbe persino essere d’accordo con la proposta del Presidente degli Stati Uniti Biden e del segretario al tesoro Yellen su una tassazione minima delle multinazionali applicabile in tutto il mondo, intesa sia come risposta all’emergenza finanziaria legata alla pandemia che alla lotta ai paradisi fiscali i quali sottraggono risorse finanziarie con una tassazione degli utili di impresa infinitesimale.

    Resta da comprendere per quale motivo i principi della concorrenza applicati all’interno del mercato globale e che rappresentano il pilastro fondamentale tra i diversi sistemi economici nell’economia privata non possano viceversa essere applicati ai sistemi fiscali e politici per attrarre investimenti e creare benessere ed occupazione.

    A parte questo trattamento particolare riservato appunto alle pubbliche amministrazioni statali contemporaneamente all’introduzione di una tassazione minima, venendo meno il principio della concorrenza, dovrebbe essere indicata anche una tassazione massima (cioè un aliquota massima) oltre la quale uno stato non possa spingersi per finanziarie la propria spesa pubblica.

    Solo in questo contesto di reciprocity fiscale potrebbe essere adottabile una tassazione minima per le multinazionali e per le imprese in generale. Nel caso contrario sarebbe solo ed esclusivamente l’ennesimo artificio fiscale espressione di una manovra politica per assicurare maggiori risorse a disposizione della classe politica.

    (*) Il problema italiano invece è quello della scarsa produttività della stessa spesa pubblica alla quale delle risorse aggiuntive non modificherebbero gli già scarsi effetti.

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