Finalmente, grazie al Governo Draghi, si è interrotto l’immobilismo sulla riforma della Concorrenza, che durava dal 2009, con l’adozione del relativo Disegno di legge, anche se il testo appare meno ambizioso e incisivo di come avrebbe dovuto essere, a causa di varie dimenticanze e timidezze.
Purtuttavia non si può negare la valenza del tentativo di avviare un processo di riforma, fra le tante di corredo al PNRR, fondamentale per lo sviluppo e la competitività complessiva del sistema Italia e il cui ritardo risulta essere una delle principali cause della stagnazione economica del nostro Paese.
Infatti nessun governo in Italia ha mai avuto il coraggio di mettere le mani sulle riforme, ed in particolare su quella della Concorrenza, in questo assecondato dal silenzio tombale di tutte le opposizioni, mentre le reazioni erano chiaramente fuori tema, perché concentrate sulla contestazione sterile e anacronistica della globalizzazione, come se fosse un nemico da combattere e non piuttosto la cornice entro la quale le economie di tutto il mondo operano, ed all’interno della quale l’Italia, proprio per l’assenza di riforme, ha sofferto l’impotenza di vedere frustrate le sue aspirazioni di competere con successo e produrre ricchezza, piuttosto che impoverirsi con l’aumento esponenziale del Debito Pubblico.
Il punto è che la sfida alla globalizzazione da parte della politica è quella di riuscire a governarla, recuperando il primato della politica, in quanto espressione di scelte sottoposte al controllo sovrano dei cittadini, per eliminarne o attenuarne gli aspetti negativi e a volte disumani, ed esaltarne gli aspetti positivi, già sperimentati in epoche passate, allorquando invasioni e conflitti hanno rimandato indietro gli orologi della storia.
Nessuna paura, quindi, né complessi di inferiorità a gestire un sistema complesso, al quale fino ad ora è mancata la politica e la sua visione di correggere le brutture attraverso il dialogo ed il confronto, per l’assunzione globale di regole e di misure da rispettare e, quindi da controllare, per contenere lo strapotere dei giganti dell’industria e della finanza e garantire il rispetto delle identità e della libertà dei popoli. Modalità di governo ispirate quindi non a velleitarie posizioni di impossibile contrapposizione per il ritorno ad una Arcadia mai esistita, di un mondo governato da logiche protezionistiche, ma la necessaria presa d’atto che la globalizzazione può finire, specie dopo la quarta rivoluzione industriale, unicamente a causa di un cataclisma o di un conflitto di livello mondiale, assolutamente da scongiurare per il bene dell’umanità, mentre, al contrario, va interpretata, affrontata e governata.
Questo è il dovere della politica, che invece di appiattirsi a servire le lobby, deve capire il fenomeno, ritrovare se stessa sulle visioni di quale società vuole realmente servire e con quali diritti e doveri e deve affrontare il presente ed il futuro con idee chiare e proposte condivise con tutti i soggetti interessati.
Da qui la colpevole latitanza dei governi del passato e, forse, l’eccesso di timidezza su questo provvedimento del governo in carica, nel perseguire le liberalizzazioni, che non sono quindi la penalizzazione di alcune categorie, ma la cessazione dei loro ingiusti privilegi, che hanno contribuito a penalizzare produzione e lavoro e costituisce lo strumento per servire finalmente l’interesse generale e il bene comune, con il rilancio dell’economia, senza più freni a mano tirati per rallentarne le potenzialità.
Le liberalizzazioni costituiscono anche la cartina di tornasole per individuare se le posizioni dei partiti sono davvero al servizio del bene comune.
E’ infatti bastato l’annuncio di questo provvedimento per fare scattare la polemica sui primari da parte di Forza Italia, che non è d’accordo sul fatto che la politica perda la possibilità di sceglierli con criteri discrezionali. Ma il primario deve curare i cittadini, non certo essere funzionale al suo protettore politico, come purtroppo fino ad ora è accaduto frequentemente.
Così come la timidezza del governo di rinunciare all’inserimento, peraltro urgente, degli inceneritori, sulla base delle pressioni del M5S, ma in questo caso al prezzo di lasciare il Paese senza una strategia seria di smaltimento dei rifiuti.
O le pressioni della Lega, che ha imposto al governo un ritardo di sei mesi sul delicatissimo e dirimente tema delle concessioni balneari.
Una richiesta il cui accoglimento appare un errore grave del Governo, che sarebbe auspicabile venisse eliminato nel dibattito parlamentare, non solo perché appare intollerabile mantenere le attuali tariffe per strutture che fatturano oltre 15 miliardi l’anno e pagano per le concessioni meno dell’1% di quanto incassato, ma anche perché l’Italia per questo e per avere incredibilmente rinnovato tutte le concessioni balneari fino al 2033, già adesso è sotto procedura di infrazione dell’UE.
Il che vuol dire, che il rinvio del Governo potrebbe costare caro all’Italia, anche di più dei 3 miliardi e 209 milioni di Euro versati all’UE quale condanna per il mancato pagamento delle multe della lobby dei produttori di latte, che avevano per decenni superato le quote assegnate annualmente, e sempre grazie alla Lega che si intestò pure quella battaglia, il cui costo, more solito, fu addossato agli incolpevoli contribuenti. Se per difendere un’altra lobby, quella dei gestori degli stabilimenti balneari, dovessimo subire lo stesso danno, non sarebbe soltanto una vergogna, ma la fine oggettiva del processo di liberalizzazione dell’economia nazionale, perché a nessuna altra categoria si potrebbero più negare i privilegi e resteremmo per sempre con i lacci e i lacciuoli che ci hanno fino ad ora penalizzato, ma stavolta senza più speranza.
Per questo appare assolutamente necessario che il premier Draghi, come fino ad ora ha fatto con successo, richiami tutti al loro dovere e ricordi che la politica delle bandierine si può fare quando comunque soddisfa il bene comune, ma non quando lo danneggia e lo dileggia.
Già Sottosegretario per i BB.AA.CC.