consumi

  • Classifica Coldiretti: Campania regione più spendacciona d’Italia per l’alimentazione

    E’ la Campania, “patria” della Dieta mediterranea, la regione dove si spende più per mangiare, davanti a Sicilia e Friuli Venezia Giulia, mentre in fondo alla classifica troviamo la Sardegna. Ad affermarlo è un’analisi Coldiretti su dati Istat relativi ai consumi delle famiglie nelle diverse regioni nel 2023. Complessivamente nelle case italiane si destinano mediamente 526 euro per il cibo, il 19% dell’intera spesa mensile, terza voce del budget dopo casa e bollette e affitti. Una percentuale che è però fortemente differenziata se si scende a livello regionale, tanto che i campani spendono quasi 200 euro in più dei sardi.

    Con una spesa media mensile di 614 euro i cittadini della Campania sono quelli che spendono di più per mangiare, secondo Coldiretti, destinando al cibo il 27% del proprio budget. Al secondo posto si piazza la Sicilia con 586 euro, mentre al terzo c’è il Friuli Venezia Giulia con 576 euro. Al quarto la Calabria (562 euro) che precede il Molise (555 euro), le Marche (547 euro), Basilicata (542 euro), Abruzzo (541 euro), Lazio (538 euro) e Umbria (530 euro). A seguire Valle d’Aosta (529 euro), Veneto (518 euro), Trentino-Alto Adige (518 euro), Piemonte (513 euro), Lombardia (507 euro), Toscana (505 euro), Emilia-Romagna (501 euro), Liguria (477 euro), Puglia (464 euro) e Sardegna, che chiude la graduatoria con 415 euro.

    Una classifica che vede dunque una netta prevalenza delle regioni del Sud nelle posizioni di testa, a conferma di un trend che vede il Meridione leader della spesa alimentare mensile con 551 euro, mentre le Isole si fermano a 542, il Centro a 528, il Nord Est a 518 e il Nord Ovest ad appena 505. Analizzando il dato nazionale, la voce più pesante nel carrello resta quella della carne e salumi – conclude Coldiretti – per i quali si spendono mensilmente 111 euro, davanti a pasta, pizza, pane e cereali (83 euro) e verdura con 69 euro.

  • Dati sui consumi di droga

    In Italia, in poco più di sei mesi (dal 27/12/2022 al 03/07/2023), sono stati sequestrati 124.600 kg di droghe leggere, 97.000 kg di droghe pesanti, 64.650 dosi di droghe sintetiche, 54.800 piante di cannabis.
    I morti sono stati 11, gli arresti 783, 2.283 i giorni di reclusione.
    Nella settimana che va dal 27/06/2023 al 03/07/2023 sono stati sequestrati 6.900 kg di droghe leggere, 4.100 kg di droghe pesanti, 2.400 dosi di droghe sintetiche, 1.500 piante di cannabis. Non si segnalano morti, gli arresti sono stati 30.
    Nell’anno passato (dal 29/12/2021 al 26/12/2022) sono stati sequestrati 851.600 kg di droghe leggere, 748.800 kg di droghe pesanti, 466.050 dosi di droghe sintetiche, 657.600 piante di cannabis. I morti sono stati 35, gli arresti 2.359, i giorni di reclusione 3.157.

  • Tornano a crescere i fumatori italiani, sono 800mila in più dal 2019

    Riprende a crescere il numero di fumatori in Italia, aumentato di 800mila unità rispetto al 2019, facendo registrare il primo incremento significativo dal 2006, anche tra le donne. Quasi un italiano su 4 (il 24,2%) è fumatore, e il 75% inizia a fumare tra i 15 ed i 20 anni (il 9% prima dei 15 anni). Mentre poi triplica la percentuale di chi fuma sigarette a tabacco riscaldato (3,3% nel 2022 rispetto all’1,1% del 2019), è in aumento anche il numero di fumatori ‘duali’: l’81,9% di chi usa la sigaretta elettronica (e-cig) fuma le sigarette tradizionali e contemporaneamente l’e-cig. E sul fronte delle cure, una nota negativa è anche il calo dei centri Antifumo su tutto il territorio nazionale, passati dai 292 del 2019 ai 223 del mese in corso. Questa la fotografia scattata dal report dell’Istituto superiore di sanità (Iss) in occasione della Giornata mondiale senza tabacco promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che si celebra il 31 maggio. Quest’anno il tema proposto dall’Oms è focalizzato sull’impatto del tabacco sul pianeta: dalla coltivazione, alla produzione, alla distribuzione e ai rifiuti. La campagna, denuncia l’Iss, “mira inoltre a evidenziare gli sforzi dell’industria del tabacco per ‘apparire ecosostenibile’ e migliorare la propria reputazione e quella dei suoi prodotti commercializzandoli come rispettosi dell’ambiente”.

    Oltre ad avere un impatto sull’ambiente, il tabacco, rileva l’Istituto, ha anche un prezzo di vite umane perse, 93mila all’anno nella sola Italia (8 milioni nel mondo in base ai dati dell’Oms). E l’aumento dei fumatori non è un dato incoraggiante. Il trend rilevato nel triennio 2017-2019, che vedeva una costante diminuzione delle fumatrici, rileva l’Istituto superiore di sanità (Iss), non viene confermato nel 2022: quest’anno infatti si assiste a un incremento nella percentuale dei fumatori che riguarda entrambi i sessi. “Quasi la metà dei giovani fumatori nella fascia d’età 15-24 anni (49,8%) – rileva Roberta Pacifici, responsabile del Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Iss – fuma meno di 9 sigarette al giorno, sebbene il 45,5% di essi consumi tra le 10 e le 19 sigarette/die”. E se aumentano anche le persone che fumano sigarette a tabacco riscaldato, è forse anche perchè più di una persona su 3 (il 36,6%) le considera meno dannose di quelle tradizionali. L’Iss sottolinea che il 66,8% degli utilizzatori di e-cig (erano il 62,6% nel 2019) ed il 74,6% dei fumatori di sigarette a tabacco riscaldato (il 62% nel 2019) si sentono liberi di usare questi prodotti nei luoghi pubblici (mezzi di trasporto pubblici, privati, locali, bar). E parla di ‘legislazione fragile nei confronti dei prodotti diversi dalla sigaretta tradizionale”.

    Nel report l’Iss ricorda inoltre le iniziative in campo per aiutare i cittadini a smettere di fumare: a questo proposito, la piattaforma ‘Smettodifumare’ (https://smettodifumare.iss.it) offre la mappa geolocalizzata dei Centri Antifumo presenti sul territorio nazionale, fornendo indicazioni pratiche per un facile accesso. Dall’inizio della sua attività nel 2000, inoltre, il Telefono Verde contro il Fumo 800 554088 ha preso in carico oltre 98.000 telefonate e nell’ultimo anno (1 maggio 2021- 30 aprile 2022) sono giunte al Servizio oltre 8.500 telefonate.

  • Accise ed Iva

    La guerra seguita a due anni di pandemia sta mettendo a rischio il tessuto economico ed industriale italiano e la stessa sopravvivenza di interi ceti sociali.

    Dal dopoguerra ad oggi mai si erano create le condizioni per questa “tempesta perfetta” (conseguenze pandemiche-inflazione- evento bellico) con la conseguente impennata dei costi energetici la quale ha di fatto messo in crisi un sistema industriale basato sull’economia di scala rendendo antieconomiche le produzioni indipendentemente dal livello produttivo.

    Una situazione talmente insostenibile da obbligare, solo due settimane addietro, circa 360 aziende della Lombardia alla sospensione della propria attività produttiva e la messa in cassa integrazione dei dipendenti.

    La problematica energetica, peraltro, era già conosciuta nel 2021 e contemporaneamente sottostimata nelle sue drammatiche conseguenze dal governo in carica il quale si è mosso solo parzialmente e con forte ritardo, aggravando le conseguenze economiche amplificate dalla sottovalutazione governativa.

    Una tempistica infelice, molto più dolosa che colposa, e comunque viziata da un approccio ideologico, immutato anche in tempi di guerra, individuabile nella priorità dimostrata ancora oggi ad altri settori (*).

    Una scala di priorità che tuttavia non ha impedito l’approvazione immediata della direttiva europea votata in commissione e relativa alla eliminazione completa dell’Iva e delle accise applicate alla sola vendita delle armi.

    Mentre il 70% delle imprese manifatturiere è in difficoltà nel mantenimento dell’attività produttiva per l’esplosione dei costi energetici e quasi un terzo dell’utenza domestica ha chiesto la rateizzazione delle bollette elettriche, in quanto impossibilitata nel pagarle, ecco che l’Unione Europea ed il governo Draghi assieme alla maggioranza che lo appoggia, eccezion fatta per i 5 Stelle, dimostrano le proprie priorità approvando l’esenzione da accise ed IVA per il commercio d’armi.

    A nessun ministro del governo è mai venuto in mente di proporre anche solo una riduzione dell’IVA e delle accise permanente applicabile ai prezzi dei carburanti oppure per i generi di largo consumo che potesse, anche solo parzialmente, compensare l’aumento dei prezzi legati all’inflazione e agli effetti devastanti della guerra. Invece, ci si è affrettati all’approvazione parlamentare della totale esenzione da accise ed Iva per il solo commercio delle armi.

    Questa conversione di una Direttiva europea dimostra, ancora una volta, come l’Unione Europea rappresenti ormai un’istituzione burocratica in pieno stallo politico e valoriale privo di ogni collegamento con la realtà oggettiva dei cittadini europei. Contemporaneamente la maggioranza governativa parlamentare italiana a sostegno del governo Draghi che ha votato questa esenzione per le armi dimostra di essere semplicemente una mediocre rappresentanza umana in vendita per interessi personali o di lobby, ma comunque lontana dalle drammatiche aspettative dei cittadini.

    Mai come ora tutte le rappresentanze istituzionali e politiche sia nazionali che europee dimostrano la propria vergognosa disonestà e non soltanto intellettuale.

    (*) Transizione energetica, moto e monopattini elettrici, bonus terme, digitalizzazione, valutazione sismica di teatri e cinema, rigenerazione urbana

  • I costi della ideologia ambientalista

    Molto spesso si parla di ideologia ambientalista solo in relazione alla pura scelta fideistica ed ideologica ma mai in riferimento ai suoi eventuali costi, soprattutto in una prospettiva futura che queste scelte scaricano sulla collettività come espressione delle cieca ideologia.

    Il termine ideologia ambientalista, quindi, serve a definire un movimento politico molto spesso privo di competenze specifiche ma sostenuto dalla fede ideologica divenuta la propria ragione anche solo di sopravvivenza politica a scapito ovviamente degli interessi del paese e dei cittadini la cui provenienza spesso viene da ideologie politiche ampiamente sconfitte dalla storia.

    In questo contesto risulta impossibile pretendere da questi novelli cavalieri della salvezza del pianeta anche la sola comprensione dell’effetto devastante per la vita quotidiana dei cittadini delle proprie decisioni. Nel 2020 il governo Conte stabilì il blocco delle trivellazioni per l’estrazione del gas per la zona di Ravenna nella quale da sempre l’attività estrattiva nel suo complesso è una delle principali realtà economiche e contemporaneamente fonte di occupazione di alto livello. Una decisione scellerata e puramente ideologica la quale ha determinato come prima nefasta conseguenza l’aumento fin da subito del livello di dipendenza dell’approvvigionamento energetico del nostro Paese, problema ovviamente sconosciuto ai rappresentanti di questo delirio ideologico. Questo miope divieto ovviamente non riguardava la Croazia la quale ha continuato giustamente ad estrarre il gas dal mare Adriatico traducendo questa disgraziata scelta politica del governo Conte e dalla sua maggioranza (5Stelle e Pd) in nuova disoccupazione per un’economia già in difficoltà regalando anche un ulteriore vantaggio competitivo ad un nostro concorrente come lo stato della Croazia.

    Da sempre l’effetto delle scelte politiche si dimostra non tanto nell’immediato quanto nel medio e lungo termine. Certamente nel 2020 nessuno poteva immaginare una crisi energetica di simili proporzioni tuttavia la scelta ideologica del governo Conte già allora si dimostrò scellerata di per sé ed ora persino disastrosa in un contesto di estrema difficoltà come quello attuale.

    Va ricordato infatti come il gas che noi importiamo costi più del doppio rispetto al costo pagato dall’utenza croata.

    Ecco quindi come le responsabilità della chiusura, per esempio, per il caro bollette di alcune vetrerie a Burano (Venezia) e di molte aziende tessili che stanno fermando la produzione in quanto la bolletta elettrica le rende anti economiche non nasca solo da un contesto internazionale di estrema difficoltà ma dalla semplice ottusità di chi ci ha governato negli ultimi anni.

    Esponenti politici espressione di quella ideologia ambientalista che non si preoccupa dei disastri economici provocati ma semplicemente  vive di luce propria come unica ragione della propria esistenza ed azione.

  • In aumento dal 2020 l’uso di droghe

    Mentre si continua a discutere della raccolta firme, per la prima volta interamente on line, per la legalizzazione della cannabis, Aduc – Notiziario droghe diffonde alcuni dati sul consumo di droghe leggere e pesanti, sulle vittime a causa del consumo e sui sequestri attuati dalle Forze dell’Ordine.

    Dal 29/12/2020 al 20/09/2021 i sequestri di droghe leggere sono stati kg 752.500, quelli di droghe pesanti kg 513.900, le dosi droghe sintetiche 163.900, le piante di cannabis a 605.700. Le vittime sono state 30, gli arresti 2.303, i giorni di reclusione 3.058.

    Nella settimana dal 14/09/2021 al 20/09/2021 i sequestri di droghe leggere sono stati kg 21.400, droghe pesanti kg 18.400, dosi droghe sintetiche 6.300, piante di cannabis 20.200. Un sola la vittima, gli arresti 18, i giorni di reclusione 32

    Dal 01/01/2020 al 28/12/2020 i sequestri di droghe leggere ammontavano a Kg 664.100, quelli di droghe pesanti a Kg 321.000, le dosi di droghe sintetiche 88.603, le piante di cannabis 1.064.040. I morti sono stati 56, gli arresti 2.311, i giorni di reclusione: 60.970

  • Italia nono mercato al mondo per i venditori di acqua confezionata

    Il mercato mondiale dell’acqua confezionata è stimato in oltre 387 miliardi di litri, per un valore al dettaglio di 155 miliardi di euro, con prezzo medio al litro attorno ai 40 centesimi, che diventano 30 nella Ue e 20 in Italia, quindi tra i più bassi. E l’Italia è il nono mercato mondiale e il terzo per esportazioni di acqua imbottigliata. Si apprende dal nuovo report dell’Area studi Mediobanca sul settore, che aggrega i dati economico-finanziari, per il triennio 2017-2019, di 82 aziende nazionali con fatturato 2019 superiore al milione di euro.

    Il consumo mondiale è cresciuto nell’ultimo ventennio del 7,4% annuo e le previsioni indicano ritmi analoghi. In Italia il comparto dovrebbe avere chiuso il 2020 in stabilità e la Cina rappresenta il maggiore mercato: 103,1 miliardi di litri per 26,1 miliardi di euro al dettaglio, primato incontrastato dal 2009, quando ha superato e doppiato gli Usa, che valgono 50 miliardi di litri e 34,6 miliardi di dollari. Dal 2000, il mercato cinese è cresciuto del 13,7% all’anno, quello Usa del 5,8%. Dinamici Messico (+5,9%), Indonesia (+11,4%), India (+13,7%), Brasile (+6,9%) e Thailandia (+6,8%).

    Il consumo medio individuale mondiale è di 50,4 litri per abitante, ma per circa metà della popolazione scende a 17,7 litri. L’Italia, con i suoi 13,5 miliardi di litri, è il nono mercato mondiale, sostenuto dalla ricchezza delle fonti (oltre 300) e da elevati consumi per abitante: 222 litri. Vanta poi altri primati: è il secondo esportatore di acqua imbottigliata minerale della Ue, con 605 milioni di euro, dopo la Francia (761 milioni), e il terzo mondiale, preceduto anche dalla Cina.

    Se si guarda alle potenzialità, secondo il report, emerge che il mercato sia maturo in molti Paesi, specialmente in Italia. I produttori puntano quindi a innovazione e sostenibilità per incentivare i consumi. Dal 2012 il mercato italiano è cresciuto del 2,4% l’anno, quello tedesco ha ristagnato, quello francese del 2,5%, lo spagnolo del 2,9%. I produttori cercano di agire sull’innovazione attraverso acque aromatizzate, arricchite o funzionali, ad esempio per gli sportivi. Le bottiglie in Pet, in Italia l’82% del mercato, possono rappresentare un’importante componente del costo finale. La riduzione del peso della bottiglia è quindi un obiettivo primario dell’industria, anche per ridurre l’impatto ambientale, considerando che in Italia il 46% delle bottiglie va al riciclo, lontano dai livelli di Paesi come la Germania (95%), ove vige un sistema di vuoto a rendere.

  • L’Oréal si aspetta un boom del beauty una volta superato il Covid

    L’uscita dalla pandemia porterà un’esplosione di voglia di bellezza, a partire dai prodotti dedicati alla persona. Tanto quanto nel Dopoguerra, quando sostanzialmente per la prima volta l’Occidente ha visto l’uso massiccio di belletti. Parola del ceo di L’Oréal, Jean-Paul Agon: “Come nei ruggenti Anni Venti, il dopo Covid sarà una festa del trucco e del profumo”. Lo ha detto nella conferenza finanziaria, il giorno dopo che il gruppo ha diffuso i conti 2020, portando ad esempio il fatto che in Cina con la fine delle restrizioni si sia registrato un nuovo boom per i rossetti. Facile da spiegare se si pensa all’obbligo o meno di indossare mascherine. Un ragionamento analogo a quello di molti analisti nell’indicare proprio nelle scarse possibilità e occasioni di uscire di casa, causa i lockdown e le norme restrittive in vari Paesi, il calo di vendite subito da settori quali abbigliamento e beauty.

    L’attesa, come ha spiegato l’ad del gruppo è di una crescita del mercato del beauty nel 2021. “Non c’è motivo di credere che l’Oréal non dovrebbe crescere in questo primo trimestre” ha detto, prospettando un miglioramento più a lungo termine anche nella categoria del lusso. E tra le aree trainanti il vice-ceo, Nicolas Hieronimus, designato ceo con decorrenza da maggio 2021, ha segnalato la Cina, con la provincia di Hainan in particolare. Un Paese, proprio la Cina, che già ha sostenuto i conti nel 2020 e dove comunque “la spesa per la bellezza è molto più bassa rispetto al Giappone” ha sottolineato, sostenendo: “C’è spazio per crescere in Asia Pacifico”.

    Altro capitolo da guardare per il futuro è l’e-commerce, che l’anno scorso ha visto un +62%, facendo così arrivare il suo apporto al 26% delle vendite totali del gruppo. “Nel tempo – ha affermato Hieronimus – arriverà a rappresentare il 50% delle vendite negli Usa”, oltre a esprime la convinzione che “la categoria della cura della pelle, che nel 2020 ha rappresentato il 39,5% delle vendite totali, continuerà progressivamente a crescere”.

    Per il 2020 intanto il gruppo ha chiuso con dati superiori alle previsioni, col fatturato a 27,99 miliardi di euro (-4,1%), ma col quarto trimestre in crescita (+4,8%). Per l’anno l’utile operativo è stato di 5,2 miliardi di euro (-6,1% e pari al 18,6% delle vendite, una quota stabile sul 2019), con un dividendo proposto dal Cda a 4 euro (+3,9%). Arriva così da Goldman Sachs un’analisi che evidenzia i buoni risultati 2020 su vendite e margini, con il titolo che in Borsa a Parigi ha fatto segnare un rialzo del 3% a 318,3 euro.

  • 2020 ottimo anno, per la produzione di miele italiano

    Dopo molti anni di crisi nera l’Italia nel 2020 produrrà più miele, mettendo a segno una crescita del 13% per un totale di 17mila tonnellate. Si tratta comunque di un livello inferiore del 26% rispetto alla capacità produttiva nazionale che conta oltre 1,66 milione di alveari in aumento del 7,5%. Un mondo messo a dura prova da tempo non solo dai cambiamenti climatici e dai prodotti fitosanitari, ma anche dai parassiti killer che da anni attentano alla vita delle api. Ultimo, ma solo in ordine di tempo, è la Vespa velutina che da pochi giorni ha iniziato ad attaccare gli alveari in Liguria e Toscana causando danni ancora non quantificabili. Per non parlare poi della Varroa, l’acaro che tanto spaventa gli apicoltori costretti ad ‘ingabbiare’ la regina per salvare la famiglia o ancora del coleottero Aethina tumida che danneggia i favi, porta alla perdita di miele e polline.

    Ad inquadrare il settore a 360 gradi sono le stime dell’Osservatorio Ismea contenute nel rapporto ‘Tendenze’, dedicato al miele, un comparto che ha sofferto di una flessione degli acquisti negli ultimi due anni. Ma anche dal mercato arriva un dato a sorpresa, perché il Covid nei primi 9 mesi dell’anno ha fatto crescere i consumi di miele in valore del 13%. Complici la maggiore attenzione alla salute in un’epoca di emergenza sanitaria e la più lunga permanenza tra le mura di casa, le famiglie italiane hanno riscoperto questo alimento, mettendo a segno una vera e propria inversione di tendenza. Appena lo scorso anno solo una famiglia su tre consumava miele, ricorda l’Ismea e se l’incremento delle vendite dovesse mantenersi nei prossimi tre mesi si raggiungerebbe a fine 2020 il livello più alto degli ultimi 5 anni. Una pandemia che ha cambiato anche il profilo del consumatore: la fascia giovane, nuove famiglie comprese, diventa la più dinamica con un aumento del 56% nei primi 9 mesi, dopo che per anni a trainare gli acquisti con il 70% sono gli over 50 di reddito medio alto. Vendite più robuste con prezzi medi al consumo previsti in graduale ascesa con +1,4% rispetto al 2019, un’annata in cui il 60% di prodotto disponibile sugli scaffali era di provenienza estera. Da qui la raccomandazione della Coldiretti di leggere sempre con attenzione l’etichetta che deve riportare l’obbligo di origine, per non cadere nell’inganno di falsi prodotti italiani. Qualche buona notizia arriva però anche dalla bilancia commerciale, dove l’Ismea segnala importazioni in flessione del 12% in valore nel 2019 e del 12,4% nei primi mesi 2020, con le esportazioni anch’esse in calo di oltre il 25%. Una scarsa competitività per il miele italiano dovuto al prezzo, visto che quello cinese arriva a 1,25 euro/Kg, mentre quello dai paesi dell’Est a 3 euro/kg.

  • L’Istat registra un nuovo calo dei consumi, vola solo il commercio on-line

    Tornano a scendere i consumi in Italia. Secondo quanto rilevato dall’Istat, a luglio le vendite al dettaglio segnano una diminuzione rispetto a giugno del 2,2%, dopo il +10,2% di giugno. Una diminuzione generalizzata che vede solo l’eccezione del commercio on-line che anche al termine del periodo di lockdown continua a volare. E le principali associazioni di categoria chiedono interventi risoluti al governo per rilanciare i consumi. In particolare risultano in calo sia le vendite dei beni non alimentari (-3,2%), sia quelle dei beni alimentari (-1%). Su base annua, quindi nei confronti di luglio 2019, si registra una diminuzione delle vendite del 7,2%, determinata soprattutto dall’andamento dei beni non alimentari (-11,6%), in notevole diminuzione sia nella grande distribuzione sia nelle imprese operanti su piccole superfici. In calo anche le vendite dei beni alimentari (-1,1%). Rispetto a luglio 2019, il valore delle vendite al dettaglio diminuisce del 3,8% per la grande distribuzione e dell’11,7% per le imprese operanti su piccole superfici. Le vendite al di fuori dei negozi calano del 7,0% mentre il commercio elettronico è in crescita (+11,6%).

    L’andamento preoccupa le categorie di settore a cominciare da Confcommercio che però vede qualche segnale di ottimismo. “Il dato sulle vendite di luglio – spiega in una nota – pur rappresentando un segnale preoccupante va letto alla luce di alcune specificità. In particolare, il rinvio ad agosto dei tradizionali saldi estivi può aver spinto le famiglie a spostare al mese successivo gran parte degli acquisti, non solo per abbigliamento e calzature. È presumibile, dunque, un rimbalzo statistico di entità apprezzabile nei dati di agosto che implicherebbe un riallineamento delle dinamiche tendenziali”. Federdistribuzione chiede invece interventi decisi. “Le preoccupazioni relative al proprio stato personale e le incertezze economiche per il futuro, unite a una riduzione diffusa del potere d’acquisto – sottolinea il presidente Claudio Gradara – continuano a frenare i consumatori. Per invertire questa rotta occorre lavorare non solo su azioni dirette a sostegno dei consumi ma anche sul fattore fiducia che deve essere rialimentato con un piano strutturale che preveda misure lungimiranti e di ampio respiro.

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