La democrazia determina i propri tempi i quali spesso si trasformano anche in costi aggiuntivi specialmente per la comunità.
Già l’anno scorso in primavera, in piena pandemia, era evidente l’incapacità del governo in carica (Conte 2) nella gestione della stessa emergenza sanitaria utilizzando piani sanitari taroccati nella data di aggiornamento e ridicole promesse di risorse finanziarie (6 aprile, Conte: “con questa manovra aggiuntiva arriviamo a 750 miliardi di risorse meta del Pil…”) non in quanto insufficienti quanto frutto di promesse assolutamente insostenibili (https://www.ilpattosociale.it/attualita/draghi-tra-omt-e-credito-alle-imprese/).
Siamo tristemente passati dalla convinzione di rappresentare un modello europeo della gestione pandemica in soli pochi mesi al peggiore modello di gestione europeo dell’emergenza sanitaria, per non parlare del piano vaccinale.
Un anno durante il quale sono state sprecate risorse finanziarie per banchi a rotelle, ora nei depositi delle scuole, bonus monopattini made in China supportati da una visione di ripresa economica priva di ogni riscontro con la realtà (“nessuno perderà il posto di lavoro”, ministro Gualtieri). Questo disastro economico-politico, per fortuna, viene mitigato dall’ottenimento delle risorse per il Recovery Fund.
A distanza di un solo anno finalmente il presidente Mattarella ha compreso quanto questa classe politica abbia certificato la propria incapacità nella gestione di questa emergenza economica e sanitaria, e comunque priva di una qualsiasi visione economica strategica.
La possibile nascita del governo Draghi si basa anche sulla assoluta mancanza di una vera cultura politica la cui assenza permette di passare obtorto collo ma con estrema leggerezza dall’essere sostenitori dell’uscita dall’euro ad offrire il proprio sostegno all’ex presidente della Bce. Per una involontaria fortuna la paura di perdere la posizione di privilegio che le ultime elezioni hanno assicurato permettono la formazione dell’unica compagine governativa che trae la propria vis dal proprio presidente Mario Draghi ma soprattutto da una implicita ammissione di resa incondizionata di quelle forze politiche che si apprestano a sostenerlo.
Contemporaneamente una parte della politica (decisamente minoritaria) e del pensiero economico (numericamente già più importante) propone visioni complottistiche in relazione alla scelta del presidente Mattarella su quanto hanno operato quelle del presidente designato dal 1992 in poi.
Vengono partorite e vomitate sul web visioni relative all’impatto e al ruolo di Mario Draghi soprattutto in relazione alla vendita dai patrimonio delle partecipazioni statale. Nel 1992 lo Stato italiano, dopo una delle peggiori crisi finanziarie, portò il governo Amato ad una decisione senza precedenti, cioè il prelievo forzoso del 6×1000 sui conti correnti per trovare liquidità: questo nonostante lo Stato stampasse moneta espressione di uno sterile sovranismo monetario. Lo spread arrivò a segnare i 769 punti base quando nella crisi che portò Monti al governo nel 2011 toccò i 528.
All’interno di questa drammatica situazione finanziaria e con l’obiettivo di riequilibrare le finanze pubbliche inevitabilmente per reperire nuove risorse finanziarie venne ceduta sul mercato l’argenteria di casa (le diverse partecipazioni statali) fino alla vendita con il governo D’Alema di veri e propri monopoli come autostrade (questo sì un gravissimo errore anche sotto il profilo finanziario ed operativo).
All’interno di queste risibili visioni complottistiche il presidente incaricato Mario Draghi viene indicato come la figura operativa in nome di una lobby massonico ebraica familistica. In questa visione si omette di rilevare come nel 1994 il debito pubblico italiano avesse raggiunto il 121% sul PIL.
A fronte di questo disastro economico-finanziario l’azione di Mario Draghi, come dei governi successivi, ha avuto come unico obiettivo quello di fornire un ritrovato equilibrio finanziario al nostro Paese.
Risulta quindi piuttosto semplice comprendere come tutte queste “analisi” non tengano in alcuna considerazione il momento storico vanificandone ogni attendibilità.
La figura del presidente incaricato sicuramente rappresenta la nostra ultima carta ma soprattutto indica in modo inequivocabile il fallimento colossale di una classe politica la quale, dall’ingresso nell’Euro, che ci ha permesso dei risparmi notevoli sul costo del debito pubblico per i tassi di interesse minori, è comunque riuscita ad aumentare la spesa pubblica del 85% dal 2000 ad oggi.
Un aumento della spesa pubblica che ovviamente si ripercuote sul sempre minore avanzo primario riducendolo, nonostante la continua ascesa della pressione fiscale che non riesce a coprire in minima parte le spese di servizio al debito aumentando quindi l’importo del debito stesso.
La nascita, si spera, di questo governo ma anche la sola sua ipotesi rappresenta l’azzeramento completo del valore espresso da una classe politica la quale, nella sua articolata complessità, ha dimostrato di non meritare il mandato come la fiducia elettorale. La corsa nel salire sul carro del presidente designato ne certifica la sonora bocciatura: ovviamente a propria insaputa.