contraffazione

  • Concentrato di pomodoro cinese. No grazie

    L’Italia è il primo paese europeo per la produzione di pomodori e proprio nei giorni scorsi gli agricoltori hanno siglato i nuovi contratti ma, ancora una volta, una concorrenza sleale e, in alcuni casi pericolosa per la salute, arriva dalla Cina.

    La Cina è negli anni diventata, a livello internazionale, un grandissimo produttore ed esportatore di salsa di pomodoro derivante da pomodori coltivati, per la maggior parte, dagli Uiguri, la minoranza etnica mussulmana in gran parte detenuta in campi di lavoro, secondo quanto affermano le Nazioni Unite. I campi di lavoro in Cina sono molti nei quali si coltivano prodotti agricoli o sono realizzati prodotti d’abbigliamento ed altri manufatti. L’Oviesse ha da poco dichiarato che per le violazioni dei diritti umani perpetrate dal governo cinese specialmente nei campi di lavoro, e cioè in veri campi di concentramento, non comprerà più il cotone cinese.

    La Cina produce, con decine di aziende di trasformazione che lavorano i pomodori coltivati su migliaia di ettari, il triplo concentrato di salsa di pomodoro che è praticamente tutto esportato e che arriva in tutto il mondo, compresa una ingente quantità nel porto di Salerno. Qui alcune aziende italiane lo acquistano e, aggiungendo acqua e sale, lo trasformano in doppio concentrato prodotto in Italia… Questo doppio concentrato con bandierina tricolore è poi venduto ed esportato. Certo il pomodoro cinese costa meno perché la manodopera è sottopagata, o non pagata nel caso dei campi di lavoro, ed inoltre è utilizzato anche molto lavoro minorile. Se poi, oltre alla violazione dei diritti umani, teniamo conto che i sistemi di coltivazione in Cina non hanno certo le norme di controllo europee per vietare sostanze chimiche nocive per la salute si comprende bene come si debba vigilare con particolare attenzione su questo prodotto, vigilare attraverso le leggi e le autorità competenti ma anche come consumatori dobbiamo verificare, per quanti possibile, quello che acquistiamo. Le battaglie per l’ambiente e per un commercio corretto partono anche da qui, dal pomodoro.

  • Alibaba: la realtà senza tutele

    Una rassegna fieristica rappresenta l’espressione del livello raggiunto dalle imprese in un determinato settore: in altre parole rappresenta lo stato dell’arte di un determinato settore industriale o di servizi.

    All’interno di due settori trainanti per l’Italia come quello metalmeccanico e tessile-abbigliamento questi momenti fieristici presentano, attraverso la propria produzione, anche il livello di know-how (industriale e professionale) raggiunto dalle aziende ed in termini generali dal made in Italy.

    Prima dell’avvento del digitale, addirittura in occasione degli appuntamenti fieristici, in particolar modo se di prodotti intermedi, come per esempio dei tessuti o filati nel tessile abbigliamento, veniva applicata una sorta di tutela fisica dei prodotti esposti i quali potevano venire semplicemente apprezzati per la “mano” ma nulla più a fronte di tentativi di tagli e strappi finalizzati alla clonazione.

    Con l’avvento del telefonino e dell’economia digitale questi prodotti, espressione complessa di studi e ricerche notevoli, possono venire copiati in un modo istantaneo: in questo senso viene interpretato molto spesso il cartello “no photo” esposto da alcune aziende all’interno dei propri stand. In altre parole, la tutela proprio all’interno di un momento di incontro come una fiera non viene mai meno. Questo risulta fondamentale perché la semplice salvaguardia di un prodotto (finale, intermedio o strumentale non vi è alcuna differenza) rappresenta la tutela dell’intera filiera che contribuisce alla realizzazione, attraverso il proprio know how industriale e professionale, del prodotto esposto soprattutto in una logica di politica di sviluppo economico (https://www.ilpattosociale.it/attualita/made-in-italy-valore-economico-etico-e-politico/).

    Da sempre la sintesi dell’azione di una classe politica e dirigente dovrebbe risultare dal doppio obiettivo di una tutela del know-how espresso attraverso i prodotti dal complesso sistema industriale sempre all’interno di una politica di sviluppo. In questo contesto, allora, ecco come l’accordo siglato dal ministro Di Maio e dall’Ice con la piattaforma Alibaba (*), sulla base del quale verranno posti on-line i prodotti (strumentali ed intermedi) del Made in Italy in una piattaforma B2B, rappresenta un autogol clamoroso in assenza di una ferrea tutela del know-how e dei diritti di copyright espressi.

    Si ricorda in tal senso che solo nel settore calzaturiero italiano sono circa duemila (2.000) i marchi clonati da aziende cinesi la cui tutela è impossibile in considerazione della vastità e complessità del sistema giudiziario cinese. A conferma, infatti, solo Zegna, Kartel e Ferrero sono riuscite ad ottenere la tutela dei propri prodotti attraverso una sentenza dei Tribunali cinesi.

    In questo contesto porre on-line il nostro “stato dell’arte” come espressione del livello tecnologico, stilistico e della ricerca raggiunto in ogni settore dal Made in Italy senza contemporaneamente l’introduzione di una chiara e precisa normativa aggiuntiva a tutela di quanto viene esposto offre così la possibilità a tutte le industrie cinesi di copiare in modo ancora più agevole.

    Francamente non si riescono a capire le ragioni dell’entusiasmo di un tale ministro Di Maio incapace di comprendere le problematiche implicite di un accordo con la piattaforma cinese e che espone l’intero settore del made in Italy, privo di tutele aggiuntive, ad un vero e proprio rischio clonazione. E’ incredibile in questo contesto anche il silenzio di Confindustria. Quasi che la tutela delle produzioni dei propri associati risulti secondaria agli accordi politici con il governo.

    Non comprendere le conseguenze delle proprie scelte quando si assumono posizioni di governo non rappresenta più un difetto ma una colpa grave.

  • Il PE si prepara a votare l’accordo sulle indicazioni geografiche UE-Cina

    Il 6 novembre 2019 l’UE e la Cina hanno concluso i negoziati su un accordo autonomo in merito alla cooperazione sulla protezione delle indicazioni geografiche (IG) di prodotti, perlopiù agricoli. Il reciproco accordo UE-Cina mira a proteggere 100 IG dell’UE in Cina e 100 IG cinesi nell’UE contro l’imitazione e l’appropriazione indebita. Il 20 luglio 2020 il Consiglio UE ha approvato la firma dell’accordo e il Parlamento europeo deve ora dare il suo consenso alla conclusione del contratto. Una volta entrato in vigore, l’accordo potrebbe contribuire a promuovere le esportazioni dei prodotti alimentari di alta qualità dell’UE, compresi vini e alcolici, verso la terza destinazione più grande per le esportazioni agroalimentari dell’UE, cioè la Cina.

    L’accordo amplierebbe inoltre il riconoscimento globale del regime di protezione delle IG sui generis dell’UE, un obiettivo chiave della politica commerciale dell’UE.

  • Ricetta veterinaria obbligatoria per arginare il commercio illecito dei farmaci

    Durante il lungo periodo della chiusura giocoforza moltissime persone,in più del solito, si sono rivolte agli acquisti on line e, come purtroppo accade spesso, sono aumentate le truffe e gli illeciti.

    Il presidente dell’Anmvi, dottor Marco Melosi, si è recentemente rivolto al Ministero della Salute chiedendo un intervento urgente, quali l’applicazione delle misure che sono già allo studio ma che non sono ancora divenute esecutive, per arginare ed impedire il commercio illecito di farmaci veterinari. La vendita di farmaci veterinari senza adeguata prescrizione non è solo pericolosa in sé ma oltre a essere un illecito, consentendo guadagni esenti da ogni tassazione, è ulteriormente pericolosa perché molto spesso sono  venduti farmaci illegali o farmaci che, non utilizzati correttamente, possono portare a gravi conseguenze. Preoccupa inoltre che siano tornati attivi siti commerciali che erano già stati oscurati nel passato, il che dimostra la mancanza di controlli adeguati su quanto viaggia sulla rete.

    La ricetta veterinaria, ricorda il presidente, è un atto sanitario ed eludere la ricetta non è solo una violazione ma può portare a conseguenze nocive, non solo per l’animale che si deve curare. Infatti Il problema diventa particolarmente rilevante quando si tratta di medicinali per animali d’allevamento, l’utilizzo, ad esempio, di eccessivi antibiotici, sia per gli animali da latte che da carne, comporta conseguenze negative anche per la salute e per  l’alimentazione delle persone. Inoltre spesso i medicinali venduti in rete, senza i debiti controlli, sono contraffatti, come è già più volte avvenuto per i farmaci per gli umani. Dietro la vendita illegale o di prodotti contraffatti vi è un enorme giro di denaro che arricchisce le associazioni criminali. Il governo ha voluto la tracciabilità dei farmaci veterinari tramite l’obbligo della ricetta veterinaria proprio per la tutela della salute degli animali e degli uomini ed i medici veterinari si sono sobbarcati questo incarico. La loro disponibilità e attenzione non può oggi essere vanificata dalla mancanza di controllo dei siti commerciali.

    Aggiungiamo, assumendocene la responsabilità, che ci siamo, anche come clienti, assoggettati a questa regola anche quando, in certi casi, per gli animali da compagnia, non sarebbe stata così indispensabile proprio perché crediamo nella necessità di identificare e tutelare ogni ruolo rivolto alla salvaguardia del benessere animale ed i veterinari si sono sobbarcati questo ulteriore sforzo di organizzazione che ha consentito, durante la chiusura, di poter usufruire direttamente in farmacia della ricetta veterinaria. Tollerare perciò che vi siano ancora tanti modi per eludere la legge e mettere in pericolo la salute è inaccettabile,  i medicinali devono essere tracciabili e si deve essere in grado di  contrastare tutte le pratiche illecite.

     

  • Vigo: con Combimais premiata la filiera completa riconoscibile

    Lo scorso 17 luglio l’Azienda lombarda ‘Innovagri ‘dei fratelli Mario e Alberto Vigo ha ricevuto, dalle mani del Premier Giuseppe Conte e alla presenza del Ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio, un importante premio indetto da Confagricoltura per le aziende agricole che maggiormente si sono distinte per i sistemi innovativi adottati per la coltivazione. ‘Innovagri’ ha vinto grazie al progetto Combi Mais Idrotechnologies che da qualche anno ha messo in campo, con numerosi e molto soddisfacenti risultati.  Abbiamo incontrato il presidente di ‘Innvagri’, Mario Vigo, per sapere di più del progetto, e non solo.

    1) Come è nata l’idea di Combi Mais?

    “Combimais” nasce per dare una risposta all’interno di Expo ad una agricoltura mirata del nuovo millennio, interpretando le necessità che portano ad un agroalimentare produttivo, qualitativo e sostenibile.

    2)  Come è stata accolta nella sua azienda e dai consumatori ‘tradizionali’ questa idea?

    Nella mia azienda il protocollo “Combimais”è stato accolto in maniera estremamente positiva in quanto facilita il lavoro degli operatori agricoli e crea le condizioni per un minor impatto ambientale a tutto vantaggio della società in cui viviamo. Altrettanto favore, il prodotto “Combimais” è stato accolto dai consumatori per la tracciabilità, sostenibilità a garanzia di un prodotto “made in Italy” addirittura “milanese”

    3) Quale è stato secondo lei l’aspetto considerato più innovativo meritevole del premio di Confagricoltura?

    Trattasi di progetto unico nel suo genere che crea una filiera completa tale da definirsi “dal chicco alla tavola”, generando innovazione e ricerca con il doppio compito di poter interpretare un nuovo modo di fare agricoltura garantendo al consumatore, oltre la qualità, la sostenibilità.

    4) E’ a conoscenza di altri progetti simili in Italia?

    Esistono in Italia diversi progetti per le diverse colture, es. Linea biscotto sostenibile di ‘Barilla’ che prevede una coltivazione improntata alla sostenibilità. Tutto ciò fa scuola per disegnare quel modello di agricoltura già interpretato dal protocollo “Combimais”.

    5) Quali sono i progetti futuri di Combi Mais?

    “Combimais” è un progetto che, grazie alla capacità di aziende che sono leader nel settore agricolo, si rinnova di anno in anno, offendo soluzioni che diventano sempre più premianti per gli imprenditori agricoli, contestualmente, offrendo ai consumatori un prodotto altamente qualitativo.

    6) Nell’agroalimentare esiste da anni un serio problema di contraffazione, malgrado siano in vigore, finalmente, leggi europee precise in materia di etichettatura per sapere tutto sull’origine di un prodotto. Nel vostro settore come state arginando questo fenomeno?

    Proprio per rispondere ad un problema di contraffazione abbiamo voluto un prodotto di produzione che non solo garantisca la qualità ma addirittura la zona ed il metodo di coltivazione. Lasciamo alle Istituzioni sia nazionali che europee il compito di vigilare con leggi che appaiano realmente tutelare il lavoro ed il prodotto dell’agroalimentare italiano così ben apprezzato il tutto il mondo.

  • Coldiretti teme un’invasione di formaggi italian sounding dagli Usa

    Coldiretti teme che gli Usa vogliano invadere l’Europa con imitazioni a stelle e strisce dei formaggi europei (negli Stati Uniti solo i tarocchi di formaggi italiani hanno raggiunto il quantitativo record di 2,4 miliardi di chili all’anno). Una lettera inviata al presidente Donald Trump nell’ambito della procedura di consultazione per far scattare nuovi dazi Usa nei confronti di prodotti importati dall’Unione Europea per la disputa sull’industria aeronautica, che si è conclusa il 28 maggio, l’associazione casearia statunitense chiede di imporre dazi alle importazioni di formaggi europei se non verrà aperto il mercato dell’Unione ai tarocchi statunitensi venduti anche con nomi che richiamano esplicitamente le specialità casearie più note del Belpaese anche se – sottolinea Coldiretti – a differenza delle produzioni Dop quelle statunitensi non rispettano i rigidi disciplinari di produzione dell’Unione Europea (che definiscono tra l’altro, le aree di produzione, il tipo di alimentazione e modalità di trasformazione).

    La produzione di imitazioni dei formaggi italiani in Usa secondo l’analisi Coldiretti su dati Usda ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi 30 anni ed è realizzata per quasi i 2/3 in Wisconsin e California mentre lo Stato di New York si colloca al terzo posto. In termini quantitativi in cima alla classifica c’è la mozzarella con 1,89 miliardi di chili, seguita dal parmesan con 204 milioni di chili, dal provolone con 180 milioni di chili, dalla ricotta con 108 milioni di chili e dal Romano con 26 milioni di chili. Il risultato è che sul mercato americano appena l’1% in quantità dei formaggi di tipo italiano consumati ha in realtà un legame con la realtà produttiva tricolore mentre il resto è realizzato sul suolo americano. Una situazione che rischia di aggravarsi con la minaccia di Trump di imporre dazi su una black list di prodotti europei che comprende anche i formaggi Made in Italy con il valore dell’export che ha raggiunto 273 milioni nel 2018.

    Invero nel mirino del presidente degli Stati Uniti Donald Trump è finita circa la metà (50%) degli alimentari e delle bevande Made in Italy esportate in Usa dove nel 2018 si è registrato il record per un valore di 4,2 miliardi (+2%). Nella black list sotto esame sono finiti infatti oltre ai formaggi anche vini tra i quali il Prosecco ed il Marsala, l’olio di oliva, gli agrumi, l’uva, le marmellate, i succhi di frutta, l’acqua e i superalcolici.

  • Direttiva Ue contro le pratiche sleali nell’agroalimentare

    Il Parlamento Europeo ha approvato delle nuove misure per proteggere gli agricoltori dalle pratiche commerciali sleali da parte degli acquirenti e dei distributori. La direttiva anti-UTPs (‘Unfair Trading Practices’) deve essere formalmente approvata dal Consiglio prima di poter entrare in vigore. Gli Stati membri disporranno di 24 mesi per introdurla nelle legislazioni nazionali. Le nuove norme dovrebbero essere applicate 30 mesi dopo l’entrata in vigore.

    Le nuove regole bandiscono le pratiche sleali come i ritardi nei pagamenti per i prodotti consegnati; le cancellazioni unilaterali tardive o modifiche retroattive dell’ordine; il rifiuto dell’acquirente di firmare un contratto scritto con il fornitore; e l’uso improprio di informazioni riservate. «Davide ha finalmente sconfitto Golia – ha dichiarato il relatore Paolo De Castro – equità, cibo più sano e diritti sociali hanno finalmente prevalso sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare. Per la prima volta nella storia dell’UE, gli agricoltori, i produttori alimentari e i consumatori non saranno più vittime di bullismo da parte dei grandi attori». Soddisfatto anche il Ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio: «Grazie alle nuove norme il lavoro degli agricoltori italiani e tutto il sistema agricolo avrà maggiore dignità».

    Saranno vietate anche le minacce di ritorsioni contro i fornitori che vogliono presentare reclami, ad esempio la cancellazione degli ordini dei loro prodotti o il ritardo nei pagamenti. Gli acquirenti non potranno più richiedere ai fornitori dei pagamenti per il deterioramento o la perdita dei prodotti avvenuta nella propria sede, a meno che ciò non sia dovuto alla negligenza dei fornitori. Altre pratiche, quali la restituzione dei prodotti invenduti al fornitore senza pagarli, l’obbligo per i fornitori di pagare per la pubblicità dei prodotti, l’addebito ai fornitori per lo stoccaggio o la quotazione dei prodotti, o l’imposizione di costi di sconti al fornitore, saranno anch’esse vietate, a meno di non essere state concordate preventivamente nel contratto di fornitura.

    I fornitori di prodotti alimentari potranno presentare reclami nel luogo in cui si trovano, anche se il commercio sleale si è verificato in altre parti dell’Unione europea. Le autorità nazionali preposte all’applicazione della normativa tratteranno i reclami e condurranno le indagini.

    Le nuove norme proteggeranno i piccoli, medi e medi fornitori con un fatturato annuo inferiore a 350 milioni di euro. Tali fornitori saranno suddivisi in cinque sottocategorie (con un fatturato inferiore a 2 milioni di euro, 10 milioni di euro, 50 milioni di euro, 150 milioni di euro e 350 milioni di euro), con la protezione più ampia per i più piccoli.

  • Medicinali falsificati: nuove norme per migliorare la sicurezza dei pazienti

    Ancora un passo da parte dell’Unione europea per tutelare la sicurezza dei cittadini davanti in presenza di truffe e contraffazioni. Dal 9 febbraio, infatti, si applicheranno le nuove norme sulle caratteristiche di sicurezza per i medicinali soggetti a prescrizione nell’UE. Per troppo tempo la falsificazione dei medicinali ha rappresentato una grave minaccia per la salute pubblica nell’UE. D’ora in poi l’industria dovrà apporre alle confezioni dei medicinali soggetti a prescrizione un codice a barre bidimensionale e un dispositivo anti-manomissione. Le farmacie (comprese quelle online) e gli ospedali dovranno verificare l’autenticità dei medicinali prima di dispensarli ai pazienti. Si tratta della fase finale di attuazione della direttiva sui medicinali falsificati, adottata nel 2011, che mira a garantire la sicurezza e la qualità dei medicinali venduti nell’UE.

    I medicinali privi di caratteristiche di sicurezza, prodotti prima di sabato 9 febbraio 2019, possono anche restare sul mercato fino alla data di scadenza, ma in base al nuovo sistema di verifica a monte e a valle le persone autorizzate (in particolare farmacisti e ospedali) dovranno verificare, lungo tutta la catena di fornitura, l’autenticità dei prodotti. Il nuovo sistema consentirà agli Stati membri di tracciare meglio i singoli medicinali, in particolare qualora uno di essi susciti perplessità.

  • Nel 2017 le dogane dell’UE hanno sequestrato oltre 31 milioni di prodotti contraffatti alle frontiere

    I nuovi dati pubblicati  dalla Commissione europea rivelano che le autorità doganali hanno sequestrato oltre 31 milioni di prodotti falsi e contraffatti alle frontiere esterne dell’UE, per un valore commerciale di oltre 580 milioni di euro. Dal 2016 è calato il numero totale di sequestri, ma in compenso è aumentata la proporzione di prodotti contraffatti potenzialmente pericolosi destinati all’uso quotidiano, come i prodotti sanitari, i farmaci, i giocattoli e gli apparecchi elettrici, che rappresentano oggi ben il 43% dei sequestri complessivi. Al primo posto tra i beni contraffatti la categoria dei prodotti alimentari (24% degli articoli confiscati), seguiti dai giocattoli (11%), dalle sigarette (9%) e dall’abbigliamento (7%).

    Pierre Moscovici, Commissario per gli Affari economici e finanziari, la fiscalità e le dogane, ha dichiarato: “L’Unione doganale dell’UE è in prima linea quando si tratta di proteggere i cittadini da prodotti falsi, contraffatti e talvolta anche molto pericolosi. Fermare le importazioni di beni contraffatti nell’UE rappresenta anche un sostegno all’occupazione e all’economia nel suo complesso. L’Unione europea è schierata in supporto alla proprietà intellettuale e porterà avanti la campagna per tutelare la salute dei consumatori e proteggere al contempo le imprese dalla violazione penale dei loro diritti.”

    I dati che si evincono dalla nota diramata dalla Commissione europea qui pubblicata se da un lato sono fonte di entusiasmo dall’altro dimostrano quanto ancora il sistema contraffazione sia diffuso e quanto risulti difficile arginarlo. Anche questi, infatti, sono i nefasti risultati dovuti alle scelte sbagliate del Consiglio europeo che ha negato il via alla denominazione d’origine dei prodotti extra UE nel 2010, nonostante il voto positivo, a larga maggioranza, del Parlamento europeo, relatrice l’on. Cristiana Muscardini, e il parere della Commissione europea che aveva dato avvio al progetto. Il Consiglio era stato pressato al no dalla Germania e l’Italia non era stata capace di difendere una normativa necessaria per i consumatori, per le aziende manifatturiere e per la lotta alla contraffazione ed alle merci illegali. L’on. Muscardini ha sottolineato come l’Europa rimane imbelle di fronte ad un problema grave come quello evidenziato dai massicci sequestri anche per non aver voluto, nonostante le reiterate richiesta fatte in Commissione, armonizzare il sistema doganale.

  • La contraffazione costa 142 euro l’anno a ciascun italiano

    Secondo una nuova ricerca dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) l’Itala perde ogni anno 8,6 miliardi a causa della contraffazione e l’intera Ue 60 miliardi.

    La contraffazione colpisce soprattutto 13 settori economici: cosmetici e igiene personale; abbigliamento, calzature e accessori; articoli sportivi; giocattoli e giochi; gioielleria e orologi; borse e valigie; musica registrata; alcolici e vini; prodotti farmaceutici; pesticidi, smartphone, batterie e pneumatici.

    In Italia, i prodotti contraffatti presenti sul mercato italiano costano 8,6 miliardi, cioè 142 euro a testa, con un impatto sulle vendite dirette del 7,9%, mentre si bruciano 52.700 posti di lavoro ogni anno; a livello europeo l’impatto sulle vendite è del 7,5%, con un costo di 116 euro pro capite all’anno e una perdita di 434mila posti di lavoro.

    I modelli imprenditoriali più comuni si avvalgono in modo significativo di Internet per distribuire i prodotti falsi e promuovere la distribuzione e il consumo di contenuti digitali illegali. Secondo una recente ricerca di Confesercenti che includeva anche il settore del turismo oltre un consumatore su quattro (25,6%) si è trovato a comprare almeno una volta un prodotto o un servizio illegale o contraffatto sul web. “Il cospicuo valore, le troppo lievi pene inflitte e gli elevati ritorni sugli investimenti incentivano a intraprendere attività di contraffazione”, denunciano dall’EUIPO.

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