Corruzione

  • Misere bugie ed ingannevoli messinscene che accusano

    La propaganda è veramente un’arma, come i cannoni o le bombe, e imparare a difendersene è importante come trovare riparo durante un attacco aereo.

    George Orwell

    L’efferata aggressione russa in Ucraina continua, mietendo migliaia di vittime innocenti, a causare ingenti danni materiali. Una inconfutabile e purtroppo orribile testimonianza della spietatezza degli invasori russi è stata resa pubblicamente nota domenica scorsa. Nella cittadina di Bucha, che si trova nelle vicinanze della capitale ucraina, è stata scoperta una fossa comune dentro la quale sono stati trovati dei cittadini uccisi, alcuni addirittura con le mani legate dietro la schiena e con un colpo d’arma da fuoco dietro la testa. Il capo dei soccorsi locali, che ha organizzato ed attuato il recupero dei corpi, secondo fonti mediatiche, ha dichiarato: “Qui, in questa fossa, sono sepolte 57 persone”. Le orrende e crudeli immagini di quello che è stato subito considerato e denominato come il massacro di Bucha hanno suscitato l’indignazione e la reazione dell’opinione pubblica ed istituzionale a livello internazionale. Quelle immagini potrebbero rappresentare un’ulteriore prova e testimonianza a supporto delle accuse di genocidio attuato da parte delle forze armate russe in Ucraina. Ovviamente, e come hanno fatto dall’inizio della guerra in Ucraina, lo scorso 24 febbraio, i rappresentanti istituzionali e la propaganda governativa russa hanno negato tutto, scaricando tutte le responsabilità ed incolpando gli ucraini. Una strategia mediatica e propagandistica quella, scelta consapevolmente ed attuata accuratamente, dall’inizio di quella che il dittatore russo, sempre per motivi propagandistici, ha denominata “operazione speciale”. E non solo con delle dichiarazioni smentite dalla vera, vissuta e tragica realtà, ma anche con una continua diffusione di notizie false. Dopo il massacro di Bucha, il ministro degli Esteri ucraino ha chiesto la presenza, al più presto possibile, di una missione della Corte penale internazionale (il Tribunale per i crimini internazionali con sede all’Aia, in Olanda; n.d.a.). Il ministro, durante un’intervista, ha dichiarato: “Urge che la Corte penale internazionale e altre organizzazioni inviino missioni a Bucha e nelle altre città e villaggi liberati della regione di Kiev per lavorare con la polizia ucraina nella raccolta di ogni possibile evidenza dei crimini di guerra russi”. Nel frattempo il presidente ucraino continua a denunciare le atrocità dei russi, che hanno causato migliaia di vittime e immensi danni materiali e a chiedere degli aiuti di ogni genere. Il presidente ucraino ha chiesto anche ieri “aiuto, ma non col silenzio”. Mentre, riferendosi all’orrendo massacro, ha detto: “…Voglio che ogni madre di ogni soldato russo veda i corpi delle persone uccise a Bucha…”. La spietata ed orribile aggressione russa in Ucraina, proprio quella che il dittatore russo classifica e chiama, con irritante ed offensivo cinismo, “operazione speciale”, giustamente sta attirando tutta la dovuta ed indispensabile attenzione dell’opinione pubblica, delle istituzioni internazionali e dei singoli Stati. Anche il nostro lettore, da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate russe, è stato sempre, continuamente, oggettivamente e responsabilmente informato da molti validi colleghi. Compreso anche l’autore di queste righe che, nel suo piccolo, ha cercato di dare il suo modesto contributo. Ragion per cui egli si ferma qui, per trattare, nei seguenti paragrafi, un caso che è ritornato la scorsa settimana all’attenzione dell’opinione pubblica, prima in Italia e poi anche in Albania. Un caso che evidenzia le misere bugie e le ingannevoli messinscene, messe in atto due anni fa, che continuano però ad accusare e che continueranno a farlo, finché la vera giustizia, al di sopra delle parti, non sia attuata e rispettata.

    Era il 29 marzo del 2020. Un gruppo di 30 medici ed infermieri, partiti dall’Albania, arrivarono a Verona, dove sono stati ufficialmente accolti. In seguito il gruppo partì e raggiunse Brescia, dove era stato prestabilito che essi prendessero servizio, a fianco dei loro colleghi italiani. Era il periodo in cui la pandemia aveva cominciato a farsi sentire con delle gravi e preoccupanti conseguenze in Italia, soprattutto nelle regioni del nord. Era anche il periodo in cui, nonostante gli effetti della pandemia in Albania non fossero simili a quelli in Italia, la situazione doveva essere affrontata con la dovuta serietà e responsabilità. Cosa che però e purtroppo non è stata fatta. L’autore di queste righe ha informato allora il nostro lettore di tutto ciò. Così come ha evidenziato, denunciato e condannato allora anche una clamorosa, irresponsabile, vergognosa ed ingannatrice messinscena mediatica, con un unico protagonista: il primo ministro albanese.

    Era il periodo in cui i cittadini albanesi erano stati costretti a rimanere chiusi in casa, abbandonati e delusi dal comportamento irresponsabile e preoccupante delle istituzioni. E tutto ciò in un Paese dove la maggior parte delle famiglie aveva delle scarsissime risorse finanziarie per affrontare degli “scenari apocalittici”, come venivano descritti dal loro primo ministro. Il quale però non diede alle famiglie bisognose nessun supporto concreto. Era un periodo però in cui, come scriveva l’autore di queste righe, il primo ministro aveva scelto “…di essere ogni giorno, e fino alla nausea, l’unico comunicatore mediatico, ‘l’uomo sapiente di tutto’ e ‘l’uomo onnipotente’ che decide di tutto e per tutti”. Era però un periodo in cui “…in tutte le sue apparizioni video, con le sue parole, consapevolmente o perché non riesce a rendersi conto, sta inculcando paura e sta generando terrore psicologico tra i cittadini segregati in casa”. Il primo ministro allora parlava soltanto di “scenari apocalittici”, di “guerre micidiali con un nemico invisibile” e di tanto altro. Ed è arrivato fino al punto di minacciare, addirittura, gli albanesi che sarebbero stati “tritati come carne di cane” dalla pandemia se non avessero ubbidito ai suoi ordini! L’autore di queste righe scriveva convinto allora, nel marzo del 2020, che “…Fatti accaduti alla mano, sembrerebbe che al primo ministro interessi soltanto l’apparizione mediatica e le immagini di facciata per usi puramente propagandistici”. E guarda caso, a fine marzo 2020, si presentò o si creò proprio l’occasione. Era il 29 marzo quando i media albanesi ed italiani annunciarono la partenza e l’arrivo in Italia di 30 medici ed infermieri che avrebbero dovuto assistere i loro colleghi italiani per combattere la pandemia. L’autore di queste righe era convinto allora, come lo è anche oggi che si trattava di “…una ghiotta opportunità per il primo ministro albanese di apparire mediaticamente a livello internazionale”. Tenendo presente la grave situazione pandemica in Italia in quel periodo, l’autore di queste righe scriveva “…I medici e infermieri che hanno scelto di affiancare i loro colleghi italiani hanno fatto un atto che merita rispetto. Ma l’uso mediatico del primo ministro è stato un atto vergognoso. E anche irresponsabile”. Allora era il periodo in cui, vista la propagazione preoccupante della pandemia, anche in Albania la presenza dei medici e degli infermieri stava diventando sempre più indispensabile. Anche perché da anni in Albania era stata evidenziata e denunciata a più riprese “…l’allarmante carenza, non solo in infrastrutture, di materiali e apparecchiature indispensabili ad affrontare la pandemia”. Così come, da alcuni anni allora, era stata denunciata a più riprese “…l’evidente carenza in risorse umane specializzate, medici ed infermieri compresi”. Si trattava di specialisti, i quali “…in seguito alle ben note e fallimentari politiche del governo nel settore della Sanità, […] hanno purtroppo scelto di lasciare il Paese ed andare a lavorare in altri Paesi, soprattutto in Germania”. E questo, allora come oggi, era ed è un fatto ben noto a tutti in Albania. Ed era proprio in una simile ed allarmante situazione pandemica che stava affrontando il Paese, quando il primo ministro albanese, decise di mandare in Italia 30 medici ed infermieri. L’autore di queste righe scriveva convinto che gli “scenari apocalittici”, di cui stava parlando da non pochi giorni allora il primo ministro albanese “non si affrontano con la propaganda, con le bugie, con gli inganni mediatici e con l’ipocrisia”. Perché “…I cittadini impauriti, psicologicamente terrorizzati, segregati in casa e minacciati di multe salatissime per le loro tasche ormai vuote hanno bisogno di certezze e garanzie. Perché i cittadini non devono sentire degli aberranti avvertimenti da parte del loro primo ministro, secondo i quali saranno “tritati come carne di cane” dalla pandemia se non obbediscono ai suoi ordini!” (Decisioni ipocrite e pericolose conseguenze; 30 marzo 2020).

    Riferendosi sempre all’arrivo in Italia del gruppo dei 30 medici ed infermieri, l’autore di queste righe informava allora il nostro lettore che “…Quell’evento è stato accompagnato da un impressionante rendiconto mediatico, seguito da un’altisonante eco, sia televisivo che della carta stampata”. Aggiungendo però che “…Al centro di tutto ciò non erano però e purtroppo i medici e gli infermieri, come giustamente e doverosamente doveva essere. No. Era, invece, il primo ministro albanese”. Considerando, perciò, tutto come “…semplicemente l’ennesima buffonata mediatica dalla quale il primo ministro albanese ha cercato di trarre vantaggio”. L’autore di queste righe esprimeva per il nostro lettore la sua ferma convinzione, secondo la quale “…Purtroppo si è trattato di una messinscena mediatica, della quale, però, i cittadini italiani sono stati ingiustamente e immeritatamente non solo disinformati, ma anche ingannati”. Un inganno quello, nolens volens, messo in atto dai media in Italia che hanno presentato il primo ministro albanese come un “modello interessante di positività.” (Obiettivi mascherati di una messinscena mediatica, 6 aprile 2020).

    Ebbene, due anni dopo e proprio il 28 marzo scorso sul Corriere della Sera è stato pubblicato un articolo di Andrea Galli, intitolato Covid Lombardia, la missione albanese nel 2020 tra festini e multe (con un benzinaio infiltrato tra i medici). In quel articolo si denunciava che “Sopra il mar Adriatico, la squadra di Tirana viaggiò a bordo di un aereo in compagnia – non esiste nessuna indagine in quanto all’epoca e anche dopo non si vollero compiere accertamenti -, di soldi in contanti. Più di quelli, molti di più, ma tanti di più, che sarebbero serviti per vivere a Brescia, poiché gli albanesi furono ospiti come lo furono i russi, costatici 3 milioni di euro”. In seguito si evidenziava che però “…se già erano stati notori i bagordi e i festini alcolici degli albanesi nell’hotel che li ospitò a Brescia rimediando perfino surreali multe per gli assembramenti, e se anche in quel caso vi fu a monte un accordo tra il là premier (Edi Rama) e quello italiano Giuseppe Conte (con ruolo apicale del ministro degli Esteri Luigi Di Maio), ecco, bisognerà che qualcuno chiarisca cosa diavolo ci faceva un benzinaio nel gruppo di trenta medici e infermieri, al cui interno in ogni modo spiccarono giovani professionisti di valore”. L’autore dell’articolo pubblicato il 28 marzo scorso sul Corriere evidenzia, tra l’altro, che “…Analisti internazionali avevano sintetizzato l’essenza della delegazione quale mossa geopolitica, legittima e regolare, del premier Rama, classiche manovre diplomatiche per avanzare crediti e acquisire ulteriori punti nella corsa a entrare nell’Unione europea”. E non a caso egli sottolineava che “…a ritroso si deve per la cronaca evidenziare l’azione di collante del famoso avvocato albanese Engieli Agaci, difensore spesso di grossi narcotrafficanti e uomo assai ascoltato dalle nostre istituzioni”. Guarda caso però, quel “famoso avvocato albanese” è anche il segretario generale del Consiglio dei ministri in Albania e anche l’eminenza grigia del primo ministro.

    Chi scrive queste righe, con ogni probabilità, continuerà la settimana prossima a trattare questo argomento, perché è convinto che aiuterà molto a comprendere la gravissima realtà albanese, dovuta al consolidamento della dittatura sui generis in Albania. Una dittatura questa basata sulla connivenza del potere politico con la criminalità organizzata e certi clan occulti locali e internazionali.  Una realtà che la propaganda governativa cerca di “annientare”. Come sta facendo la propaganda del dittatore russo, da quando ha cominciato l’invasione dell’Ucraina. Aveva ragione George Orwell, secondo cui “La propaganda è veramente un’arma, come i cannoni o le bombe, e imparare a difendersene è importante come trovare riparo durante un attacco aereo.

  • Tempo di scelta tra la dittatura e la democrazia

    Deve assolutamente esistere una possibilità di togliere

    il potere immediato a chi ne fa cattivo uso.

    Bertrand Russell

    Gli ultimi sviluppi del conflitto in Ucraina, anche durante lunedì, 7 marzo, dimostrano e testimoniano tutta l’aggressività e la crudeltà delle forze d’invasione russa. Nonché dimostrano tutta l’inaffidabilità del presidente russo e dei suoi più stretti collaboratori, facendo riferimento a quanto lui e/o chi per lui dichiarano pubblicamente. Il conflitto, cominciato nelle primissime ore del 24 febbraio scorso, continua, causando ogni giorno centinaia di vittime innocenti e distruggendo tutto con i bombardamenti. I russi non hanno rispettato neanche quanto avevano accordato il 3 marzo scorso riguardo il cessate di fuoco temporaneo e i corridoi umanitari. Centinaia di migliaia di ucraini continuano, ogni giorno, a lasciare il Paese. Sono soprattutto donne e bambini, mentre gli uomini, ma non solo, rimangono a lottare contro gli invasori russi. La loro resistenza, il loro coraggio e i loro sacrifici estremi rappresentano un’ammirevole testimonianza della responsabilità civica e del loro patriottismo.

    Nel frattempo in Albania domenica scorsa, 6 marzo, si sono svolte le elezioni amministrative parziali in sei comuni. I cittadini dovevano eleggere i nuovi sindaci, dopo che i loro predecessori, tranne uno, sono stati costretti a lasciare il posto, oppure rimossi, per motivi giuridici, di corruzione e altro. E tutti loro rappresentavano il partito del primo ministro attuale. Bisogna sottolineare che il mandato dei sindaci eletti durerà soltanto un anno, fino alle nuove elezioni amministrative previste per il 2023. In più, si è trattato soltanto di elezioni dei sindaci e non dei consiglieri comunali, essendo quelli attuali eletti ormai nelle precedenti elezioni amministrative del 2019. Elezioni che sono state boicottate in un modo del tutto inspiegabile ed ingiustificato, dopo una decisione politica presa dai dirigenti dell’opposizione. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito. Domenica scorsa in lizza c’erano i rappresentanti della maggioranza governativa e quelli delle due fazioni del partito democratico albanese, il maggior partito dell’opposizione. Fazioni quelle ufficializzate dal dicembre scorso, dopo il congresso dell’11 dicembre ed, in seguito, dal referendum, svoltosi una settimana dopo, il 18 dicembre, per approvare le decisioni prese dallo stesso congresso convocato dalla maggioranza dei sui delegati, come previsto dallo Statuto del partito. Tutti i delegati del congresso, dal settembre scorso, hanno aderito a quello che da allora è ormai noto come il Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese. Un Movimento quello nato per ripristinare tutti i valori e i principi che sono stati riconosciuti ed incorporati nello Statuto dalla costituzione del partito democratico il 12 dicembre 1990, come primo partito di opposizione alla dittatura comunista. I delegati del congresso dell’11 dicembre hanno anche tolto il mandato rappresentativo a colui che, dal 2013, era diventato il capo del partito ma il suo operato, le sue alleanze e i suoi accordi occulti con il primo ministro, i cui contenuti sfuggono ai più, sono risultati fatali, in seguito, non solo per il partito democratico, ma anche per il percorso democratico della stessa Albania. Non solo: rimasto in una evidenziata e verificata minoranza, circondato da alcuni pochi ubbidienti seguaci, l’usurpatore della dirigenza del partito democratico e i suoi hanno messo in scena un [anti]congresso proprio il 18 dicembre scorso. Ma, sempre fatti accaduti alla mano, quel congresso tutto poteva essere tranne che un raduno di membri ed elettori del partito democratico, diventando così vergognosamente e pubblicamente una misera messinscena ed una bufala per salvare la faccia e la sedia. L’usurpatore della dirigenza del partito democratico albanese, in tutta questa sua impresa ingannatrice ha avuto tutto il necessario appoggio del primo ministro e delle strutture governative. Comprese anche le “comparse” per riempire gli spazi che potevano rimanere vuoti senza la loro presenza.

    Quell’usurpatore ha beneficiato anche del sostegno della propaganda governativa e degli analisti ed opinionisti a pagamento, controllati dal primo ministro e/o da chi per lui. Proprio quelli che, fino a qualche mese fa, avevano fatto dell’usurpatore un bersaglio facile da attaccare e ridicolizzare. Con il supporto del sistema “riformato” della giustizia l’usurpatore della dirigenza del partito democratico è riuscito a rimandare, chissà per quando, una decisione obbligata dalla legge del tribunale di Tirana, con la quale di doveva formalizzare quanto deciso dal sopracitato congresso dell’11 dicembre scorso. Un “prezioso” supporto quello da parte del sistema “riformato” di giustizia, personalmente controllato dal primo ministro e/o da chi per lui per la sua “stampella”. Il nostro lettore è stato informato di questi sviluppi a più riprese durante i mesi precedenti (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; Agli imbroglioni quello che si meritano, 1 novembre 2021; Un misero e solitario perdente ed un crescente movimento in corso, 22 novembre 2021; Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021).

    Ma quello del primo ministro, non era un supporto senza beneficio. Anzi, era ed è proprio il primo ministro ad essere direttamente interessato che l’usurpatore della dirigenza del partito democratico continuasse ad avere ancora in uso il timbro e la sigla del partito. E, cercando di salvare la faccia, la fazione facente capo all’usurpatore della dirigenza del partito democratico ha presentato il suo candidato in tutti i sei comuni per le elezioni amministrative parziali del 6 marzo scorso. Ma i consiglieri e gli strateghi elettorali del primo ministro avevano un altro obiettivo: quello di usare la sigla del partito democratico come una diversione, un inganno durante le elezioni per confondere i votanti e facilitare la vittoria dei propri candidati.

    Questa volta il primo ministro e i suoi non si sono “impegnati pubblicamente” durante la campagna come nelle altre precedenti elezioni. Il che, comunque, non significa che lui abbia rinunciato al “vizio” di manipolare, condizionare e controllare il risultato elettorale. Anzi! Anche durante questa campagna elettorale, nonché durante la giornata delle elezioni, sono stati verificati, documentati e denunciati dai media non controllati e dai rappresentanti della Commissione per la ricostituzione del partito democratico diversi casi di uso abusivo del potere amministrativo, dell’uso abusivo di tutti i mezzi a disposizione, in piena violazione delle leggi in vigore. Tra le tante denunce fatte c’è stata una che coinvolgeva direttamente e personalmente uno dei sei candidati della maggioranza governativa. Da una registrazione telefonica, resa pubblicamente nota il 4 marzo scorso, si sentiva chiaramente una richiesta abusiva del candidato sindaco a “scopo elettorale” a suo favore. Ebbene, in qualsiasi altro Paese democratico, dove il sistema della giustizia risulta essere uno dei tre poteri indipendenti, le istituzioni del sistema giudiziario avrebbero avviato subito un’inchiesta sul caso. Ma non in Albania però, dove purtroppo il sistema “riformato” è selettivo e agisce dietro ordini arrivati dai massimi livelli del potere politico ed istituzionale.

    Durante la campagna per le elezioni amministrative parziali del 6 marzo scorso, purtroppo sono stati verificati anche degli interventi a “gamba tesa” dell’ambasciatrice statunitense in Albania. Interventi in violazione dell’articolo 41 della Convenzione di Vienna per le relazioni diplomatiche. Lo ha fatto da quando è stata accreditata, appoggiando il primo ministro. Ma negli ultimi mesi, guarda caso, ha appoggiato, sempre abusando del suo stato istituzionale, anche l’usurpatore della dirigenza del partito democratico. Lo ha fatto “generosamente” anche durante l’ultima campagna elettorale. Questi atteggiamenti dell’ambasciatrice statunitense, in palese violazione del suo mandato istituzionale, ormai sono noti anche al nostro lettore. L’autore di queste righe ricorda al nostro lettore però cosa è accaduto in Italia, dopo che l’ambasciatore statunitense aveva chiesto ai cittadini italiani di votare ‘No’ durante il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Ormai si sa l’immediata reazione di tutti i partiti politici contro la richiesta dell’ambasciatore. Così come si sa anche la sua giustificazione e le scuse da lui chieste subito dopo.

    I risultati delle elezioni amministrative parziali del 6 marzo sono stati ufficialmente resi ormai noti. I rappresentanti della maggioranza governativa hanno vinto cinque dei sei comuni, dove si votava per eleggere solo il sindaco. Uno dei nuovi sindaci che hanno avuto il mandato è anche colui che, come risultava dalla sopracitata registrazione telefonica, aveva chiesto favori elettorali! Basta solo questo caso per capire quello che la propaganda governativa cerca di nascondere. I risultati ufficiali delle elezioni del 6 marzo hanno sancito anche la significativa vittoria del candidato del Movimento per la ricostituzione del partito democratico nella città simbolo dell’anticomunismo in Albania. Ma quello che bisogna sottolineare e che è altrettanto significativo riguarda il deludente, bensì atteso, risultato elettorale della fazione del partito democratico facente capo all’usurpatore della dirigenza del partito. La vistosa differenza tra i candidati delle due fazioni testimonia in modo palese e senza ambiguità chi sono i veri rappresentanti del partito democratico, così come toglie ormai ogni “giustificazione” all’usurpatore. Adesso anche il timbro e la sigla del partito devono essere consegnati ai legittimi aventi diritto. L’importanza, quella vera e a lungo termine, di queste elezioni parziali amministrative in sei comuni, riguarda il chiarimento finale e per sempre: chi rappresenta il partito democratico albanese. Si sapeva che il primo ministro, come ha fatto anche in precedenza, avrebbe messo in moto la sua ben collaudata macchina elettorale, con l’appoggio della criminalità organizzata e dei milioni provenienti dalle attività illecite e dal riciclaggio dei denari sporchi, condizionando e controllando il risultato elettorale. Così come è successo anche durante le elezioni del 25 aprile scorso, delle quali il nostro lettore è stato informato a tempo debito. Ma il risultato delle elezioni del 6 marzo scorso ha palesemente dimostrato che il Movimento per la ricostituzione del partito democratico albanese ha avuto un convincente e schiacciante appoggio elettorale, mentre l’usurpatore ha registrato l’ennesima sconfitta, la quinta e senza nessuna ben che minima vittoria, facendo lui così, a livello personale, veramente pena. Nel frattempo però un’altra “perdente illustre” di queste elezioni è anche l’ambasciatrice statunitense, dopo il suo investimento personale, in palese violazione della Convenzione di Vienna, schierandosi così apertamente in appoggio dell’altro “perdente illustre”, l’usurpatore della dirigenza del partito democratico. Proprio di colui che purtroppo, in tutti questi anni, ha facilitato il compito del primo ministro albanese e delle sue alleanze occulte, per restaurare una nuova ma sempre pericolosa dittatura.

    Chi scrive queste righe, fatti accaduti, documentati, denunciati, verificati e verificabili alla mano, è convinto che in Albania ormai è stata restaurata una nuova dittatura sui generis come espressione di una pericolosa alleanza del potere politico, istituzionalmente rappresentato dal primo ministro, con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti locali e internazionali. Chi scrive queste righe è altrettanto convinto che ormai lo scontro non è più quello tra le diverse ideologie. Lo scontro, sia a livello locale che più ampio, come nel caso dell’Ucraina, è quello tra le dittature e le democrazie e/o delle “tendenze democratiche” di società che, dopo una travagliata storia, stanno cercando di avviare dei processi democratici. Perciò per i cittadini e coloro che essi rappresentano è proprio il tempo di scelta tra la dittatura e la democrazia. E come in Russia, anche in Albania i cittadini devono reagire. Perché come era convinto Bertrand Russell, deve assolutamente esistere una possibilità di togliere il potere immediato a chi ne fa cattivo uso. E l’uso cattivo del potere lo sta facendo in Ucraina il presidente russo. Mentre in Albania il primo ministro.

  • Uso scandaloso di dati personali

    Mentire fa parte del mestiere del politico.
    Perciò, nel senso morale della parola, un politico non può mentire.

    Richard Nixon

    Era l’estate del 1972. Negli Stati Uniti d’America era in pieno svolgimento la campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 7 novembre. Di fronte al candidato repubblicano, il presidente uscente Richard Nixon, c’era il candidato democratico George McGovern. Ma proprio in quell’estate negli Stati Uniti d’America scoppiò quello che diventò uno dei più grandi scandali politici: lo scandalo Watergate. Si chiamò così perché tutto cominciò nell’albergo Watergate di Washington D.C.. In quell’albergo si trovavano gli uffici del Comitato nazionale democratico per il candidato MvGovern. Tutto si scoprì per puro caso, proprio quando una guardia della sicurezza dell’albergo notò qualcosa di sospetto in una porta che collegava il parcheggio sotterraneo con il pozzo delle scale e avvertì la polizia. Gli agenti, arrivati subito, trovarono cinque uomini entrati negli ambienti del quartier generale del Comitato nazionale democratico. Dalle indagini in seguito risultò che quelle persone erano ritornate in quelle stanze per riparare delle microspie, da loro installate, per fare delle intercettazioni telefoniche. Lo scandalo è stato seguito giornalisticamente da due giornalisti del Washington Post. Grazie al loro lavoro e alla collaborazione, di uno di  loro, con una persona allora denominata “Gola profonda – deep throat” – e rimasta sconosciuta fino al 2005, si scoprirono molti dettagli dello scandalo Watergate. Nonostante alcuni dei più stretti collaboratori del presidente uscente Nixon sapessero tutto, a scandalo scoppiato tentarono di sdrammatizzare il caso. Durante una conferenza stampa, il 19 giugno 1972, il portavoce della Casa Bianca dichiarò che si trattava semplicemente di “un tentativo di scasso di terza categoria” e che non aveva niente a che fare con il presidente e i suoi collaboratori. Ma quanto si scoprì in seguito, grazie anche ai due giornalisti del Washington Post, che nel 1973 sono stati insigniti del premio Pulitzer proprio per le loro incessanti indagini sullo scandalo Watergate, portò ad una approfondita inchiesta da parte di una commissione del Senato e di altre istituzioni specializzate statunitensi. Da quelle indagini risultò che si trattava proprio di un piano ben ideato e attuato, tramite delle intercettazioni, di spionaggio ed altro, dai collaboratori del presidente Nixon per facilitare la sua rielezione il 7 novembre 1972. Elezioni vinte proprio da lui con il 60.7% dei voti. Ma il presidente rieletto non riuscì a finire il suo secondo mandato, nonostante avesse cercato di incolpare gli altri di quello scandalo. In seguito alle dichiarazioni di alcuni collaboratori del presidente, che avevano “vuotato il sacco” davanti ai giudici, il 27 luglio 1974 la Commissione Giudicante per la Camera dei Rappresentanti ha votato a favore del impeachment per il presidente (messa in stato di accusa; n.d.a.) per “aver ostacolato il corso delle indagini”. Nei giorni successivi sono state aggiunte due altre accuse contro il presidente: quella di “abuso di potere” e quella di “ostacolo al Congresso”. Era proprio la pubblicazione, ai primi giorni di agosto 1974, di una registrazione segreta, nota da allora come la “Pistola fumante – Smoking gun”, che tolse ogni dubbio; il presidente era stato informato ed aveva permesso tutte le attività illecite, ormai note come lo scandalo Watergate. Di fronte a quegli imbarazzanti e accusatori sviluppi, Nixon diede le sue dimissioni come presidente degli Stati Uniti d’America l’8 agosto 1974.

    Era la primavera del 2021. In Albania era in pieno svolgimento la campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 aprile 2021. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di tutti i clamorosi abusi fatti, del diretto e determinante coinvolgimento della criminalità organizzata per condizionare e controllare il voto, dell’uso illegale delle risorse umane, coinvolgendo e spesso obbligando i dipendenti dell’amministrazione pubblica e i loro familiari a votare per il partito del primo ministro e di tanto altro (Scenari orwelliani in attesa del 25 aprile, 19 aprile 2021; Il regime che si sta riconfermando dopo il 25 aprile, 27 aprile 2021; Dopo il 25 aprile chi si giustifica si autoaccusa, 3 maggio 2021).

    Era l’11 aprile 2021 quando un media albanese pubblicò la notizia di un grande scandalo che coinvolgeva direttamente il partito del primo ministro ed alcune istituzioni governative. Si trattava di un sistema ben organizzato di 9027 persone, tutte con nomi e cognomi evidenziati e facilmente verificabili, chiamate anche  “patrocinatori”, intendendo come tali delle persone che dovevano “stare vicine” ad altre persone, molte più persone, non tanto per proteggerle, quanto per sapere tutto di loro, promettendo “vantaggi’ se avessero votato per il primo ministro, oppure minacciando loro se il voto a favore non fosse stato dimostrato e verificato. “Patrocinatori” si chiamavano anche i collaboratori del famigerato servizio segreto durante gli anni bui della dittatura comunista. E per contattare tutte quelle persone i “patrocinatori” hanno avuto a disposizione tutti i dati personali, dei dati confidenziali e protetti dalla legge in vigore in Albania. Dai dati ormai di dominio pubblico da quell’11 aprile 2021 risulta che sono state 910.061 le persone ad essere contattate e/o sulle quali i “patrocinatori” dovevano raccogliere ed elaborare tutte le necessarie informazioni. Dati alla mano ormai, la persona più giovane dell’elenco aveva circa 18 anni, mentre quella più anziana circa 99 anni! Ma quello che rende lo scandalo ancora più clamoroso e preoccupante è che la maggior parte dei “patrocinatori” erano dei dipendenti dell’amministrazione pubblica, sia centrale che locale. Ed erano anche dei dipendenti delle istituzioni, per i quali la legge impedisce categoricamente il diretto coinvolgimento in simili attività politiche, come tutti i dipendenti della polizia di Stato, delle strutture dell’esercito e della Guardia repubblicana. Ma in Albania le leggi, quando serve al potere politico, soprattutto quello del primo ministro, valgono quanto una carta straccia. Per il primo ministro, i suoi stretti collaboratori e la propaganda governativa i “patrocinatori” erano soltanto dei “membri del partito che fanno un valoroso lavoro” (Sic!).

    Guarda caso però, dopo essere stato reso pubblico lo scandalo dei “patrocinatori”, le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia hanno “sbagliato obiettivo”. Invece di indagare come e perché sono stati messi a disposizione per scopi elettorali e come e perché sono stati usati tutti quei dati sensibili e personali, protetti dalle leggi e dalle convenzioni internazionali, riconosciute anche dall’Albania, quelle istituzioni hanno subito cominciato le indagini contro i due giornalisti e fondatori del media che ha reso pubblico lo scandalo. I procuratori della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, una delle nuove istituzioni del “riformato” sistema della giustizia in Albania, che si sono occupati del caso, hanno chiesto ed ottenuto il permesso dal tribunale ed hanno subito sequestrato anche tutti i sistemi computeristici e i dati del media incriminato, nonché i telefonini personali dei due giornalisti. Una palese ed inconfutabile dimostrazione e testimonianza del totale controllo del sistema da parte del primo ministro e/o da chi per lui. Subito dopo i due giornalisti si sono rivolti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Con una sua immediata delibera del 22 aprile 2021, quella Corte ha considerato la decisione presa dal tribunale albanese non valida ed ha deciso che “Le autorità (del Sistema di giustizia albanese; n.d.a.) devono impedire l’attuazione della delibera […] per il sequestro della strumentazione che serve per la conservazione dei dati e delle informazioni, dei computer o altre strumentazioni elettroniche appartenenti al ricorrente (il media danneggiato; n.d.a.)”. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di questo scandalo subito dopo essere stato reso pubblico (Scenari orwelliani in attesa del 25 aprile; 19 aprile 2021).

    Ma quella era solo una parte di uno scandalo ben più grande e clamoroso. Scandalo che diventò pubblico il 21 dicembre scorso. E si trattava sempre dell’uso abusivo, illegale e scandaloso dei dati personali dei cittadini albanesi, con tutte le preoccupanti e pericolose conseguenze derivanti. Si trattava di dati che riguardavano i codici delle carte d’identità, i nomi e cognomi di circa 630.000 cittadini, albanesi e non, il posto di lavoro, il loro compito lavorativo e i rispettivi stipendi, sia nell’amministrazione pubblica e statale, che nel settore privato. Alcuni giorni dopo sono state rese pubbliche anche le targhe delle macchine e chi le possiede. Da quei dati, sempre protetti dalla legge in vigore in Albania, che sono in possesso soltanto delle poche e ben evidenziate istituzioni governative, sono emerse altre inconfutabili testimonianze dell’abuso di potere conferito per uso elettorale. Sono state evidenziate delle “assunzioni elettorali” tra il gennaio e l’aprile 2021, proprio prima e durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 aprile 2021, con le quali il primo ministro ha “vinto” il suo ambito terzo mandato. Ma, allo stesso tempo, sono stati evidenziati, palesemente documentati e testimoniati anche dei casi eclatanti di “stipendi d’oro” e di “doppi ed ingenti stipendi” non giustificati e non giustificabili, sia nel settore pubblico che quello privato. Stipendi esorbitanti per molti analisti ed opinionisti che da anni hanno venduto l’anima e si sono messi a disposizione della propaganda governativa. E tutto ciò in uno dei Paesi più poveri dell’Europa. Anche di fronte a questo nuovo scandalo il primo ministro e i suoi più stretti collaboratori, nonché i media da lui controllati, hanno cercato di spostare l’attenzione pubblica su degli aspetti minori ed insignificanti dello scandalo stesso. Ed in qualche modo ci sono riusciti. Anche perché gli scandali si susseguono in Albania. Mentre il sistema “riformato” della giustizia, guarda caso, non riesce mai a trovare i veri colpevoli. Nel frattempo però, proprio mentre il 21 dicembre scorso era stato reso pubblico “lo scandalo degli stipendi”, scandalo che ha attirato anche l’attenzione mediatica internazionale, l’ambasciatrice statunitense continuava e continua ad elogiare i “successi” del Sistema di giustizia in Albania. Quello “riformato”, anche e soprattutto con centinaia di milioni di dollari dei contribuenti statunitensi, mai giustificati. Chissà perché?! Ma anche con altre centinaia di milioni di euro dei contribuenti dei Paesi dell’Unione europea, come ha evidenziato la settimana scorsa il rapporto annuale della Corte dei Conti europea. Bisogna però sottolineare che tra lo scandalo Watergate e i due sopracitati casi dell’uso scandaloso, preoccupante e pericoloso dei dati personali in Albania, c’è un elemento in comune: quello di fare di tutto per mantenere il potere. E quando poi lo scandalo diventa pubblico si cerca di insabbiare la verità e di minimizzare e sdrammatizzare tutto.

    Chi scrive queste righe, riferendosi all’uso scandaloso dei dati personali in Albania, ma non solo, è convinto che il sistema “riformato” della giustizia è tutt’altro che indipendente. Ragion per cui ha indagato i due giornalisti, che hanno pubblicato lo scandalo, invece dei veri responsabili. Chi scrive queste righe si chiede cosa sarebbe successo negli Stati Uniti d’America se invece di indagare i collaboratori del presidente Nixon per lo scandalo Watergate le istituzioni specializzate avessero indagato i due giornalisti del Washington Post come colpevoli? Ma negli Stati Uniti, dove funziona il sistema della giustizia, sono state condannate tutte le persone coinvolte e il presidente si è dimesso. Mentre i due giornalisti sono stati insigniti del premio Pulitzer. Invece in Albania il primo ministro, godendo il suo terzo mandato, si vanta addirittura del contributo dei “valorosi patrocinatori” e cerca di minimizzare, mentendo, tutto il resto. Aveva ragione perciò il presidente Nixon, secondo il quale “Mentire fa parte del mestiere del politico. Perciò, nel senso morale della parola, un politico non può mentire”. Ne è testimonianza il primo ministro albanese.

  • Il caso Georgieva scuote il Fmi e gli Usa valutano le dimissioni

    Il ‘caso Georgieva’ scuote e imbarazza il Fondo monetario internazionale a ridosso del tradizionale appuntamento autunnale che a Washington vedrà riuniti tutti i ministri dell’economia e i governatori delle banche centrali mondiali. La posizione della direttrice del Fondo appare sempre più in bilico dopo le gravi accuse secondo cui avrebbe favorito la Cina quando lavorava alla Banca Mondiale, manipolando alcuni dati.

    Così all’indagine interna condotta dal board del Fondo si sarebbe aggiunta quella del Tesoro americano che, secondo fonti dell’amministrazione Biden, starebbe discutendo anche l’ipotesi di clamorose dimissioni. In particolare, nella stanza del segretario al Tesoro Janet Yellen si starebbe valutando se debbano essere gli Stati Uniti, i maggiori azionisti del Fondo monetario internazionale, a chiedere eventualmente il passo indietro della direttrice. Anche se per ora al Tesoro nessuno conferma e ci si limita ad affermare pubblicamente come per gli Usa “l’integrità delle istituzioni internazionali è una priorità assoluta”.

    Intanto Kristalina Georgieva, 68 anni, economista e politica bulgara che è stata anche commissario europeo per la programmazione finanziaria e il bilancio, si difende con forza respingendo ogni addebito. Sentita dal board del Fondo avrebbe affermato – secondo il testo della sua testimonianza ottenuto dal Financial Times – di non aver “mai fatto pressione per alterare dati o analisi solo per far piacere a un particolare governo”, e di non aver “mai fatto pressione su nessuno per manipolare dati”. La direttrice generale del Fondo avrebbe quindi evidenziato “cinque errori fondamentali” commessi secondo lei nel rapporto dello studio legale WilmerHale, quello a cui la Banca Mondiale ha affidato l’inchiesta: “Sono giunti a conclusioni sbagliate sulla base di impressioni e opinioni di persone che non hanno partecipato agli eventi”, ha denunciato la Georgieva.

    Ma in base alle testimonianze di centinaia di ex dipendenti della Banca Mondiale la politica bulgara sarebbe stata “direttamente coinvolta” negli sforzi per migliorare il posizionamento della Cina nel rapporto ‘Doing Business 2018’, mantenendola al 78mo posto invece di certificare lo scivolone all’85ma posizione. Si tratta di un rapporto annuale in cui si misurano i costi sostenuti dalle aziende in base alle leggi e ai regolamenti in 190 Paesi, per stabilire così dove è più conveniente fare impresa. Le presunte pressioni della Georgieva per modificare i dati, aggiunge l’inchiesta, sarebbero state esercitate mentre la Banca mondiale cercava di ottenere l’appoggio di Pechino per un aumento di capitale.

  • Meglio perderli che trovarli

    Basta una sola persona che ci governa ricattata,

    o ricattabile, perché la democrazia sia a rischio.

    Tina Anselmi

    Forse adesso sono poche le persone che si ricordano dell’ex ministro dell’Informazione di Saddam Hussein nel 2003. Si tratta di Mohamed Said al-Sahaf, un diplomatico che per circa nove anni, fino al 2001, è stato anche il suo ministro degli Esteri. Lui divenne “internazionalmente noto” ma anche “internazionalmente ridicolo” per le sue dichiarazioni, soprattutto nei primi giorni di aprile 2003. Allora, da quasi tre settimane, a partire dal 19 marzo 2003, un contingente composto da trecentomila soldati statunitensi e inglesi aveva cominciato una vasta operazione militare in Iraq, denominata “Iraqi Freedom”. L’obiettivo di quell’operazione era il rovesciamento del regime di Saddam Hussein. La motivazione ufficiale dell’attacco militare era il diretto e multiforme coinvolgimento di Saddam Hussein in sostegno del terrorismo islamico internazionale. Il 9 aprile 2003 le truppe d’attacco entrarono a Bagdad. Rimangono nella memoria collettiva le immagini trasmesse in diretta televisiva e seguite in tutto il mondo di quel 9 aprile. Specialmente quelle dove si vedeva la gigantesca statua del dittatore cadere giù. Un simbolismo molto significativo. Da quel 9 aprile 2003 il regime di Saddam Hussein non c’era più. Ma proprio mentre le truppe alleate avanzavano verso Bagdad, il ministro iracheno dell’Informazione, con diverse sue dichiarazioni televisive, assicurava non solo la resistenza dell’esercito iracheno ma, addirittura, la sconfitta degli alleati occidentali. Proprio due giorni prima della caduta del regime, il ministro dichiarava che le truppe di Saddam “…stavano comodamente vincendo la guerra”. Aggiungendo anche che “… i soldati americani, terrorizzati dai “colleghi” iracheni, si stavano suicidando, impiccandosi ai cancelli delle città”! Mentre l’indomani, e cioè l’8 aprile 2003, lo stesso ministro dichiarava: “…i carri armati statunitensi saranno catturati o bruciati. Gli americani si arrenderanno”! Stranamente a quelle dichiarazioni, all’inizio, credettero non solo parte degli iracheni che non vivevano a Bagdad, ma anche alcuni media dei Paesi arabi vicini. Proprio per quelle sue “invenzioni propagandistiche”, per quelle dichiarazioni totalmente irreali, a Mohamed Said al-Sahaf, ministro dell’Informazione di Saddam Hussein, i media occidentali diedero il soprannome “Ali il comico”. Il nome “Ali”, non essendo propriamente suo, faceva semplicemente riferimento ad un altro ministro di Saddam Hussein. Faceva riferimento al ministro della Difesa, Ali Hassan al-Majid, il quale era stato precedentemente soprannominato “Ali il chimico”. Un nomignolo coniato dopo l’attacco contro la cittadina di Halabja, nel Kurdistan iracheno, durante la guerra Iran-Iraq (1986-1989). In quell’attaco, comandato proprio da Ali Hassan al-Majid e svolto nel 1988, in seguito ad una sua barbara decisione, sono stati usati gas nervini contro gli abitanti della cittadina. Le vittime sono state alcune decine di migliaia. Invece e per fortuna le dichiarazioni irreali di “Ali i comico”, fatte semplicemente per “tenere alto il morale” dei soldati e dei cittadini iracheni, non hanno fatto nessuna vittima. Hanno fatto semplicemente ridere tutti coloro che conoscevano la vera realtà di quei giorni in Iraq.

    In ogni parte del mondo ci sono molte persone che somigliano ad “Ali il comico”. Come ci sono tante altre che, purtroppo, somigliano ad “Ali il chimico”. Anche in Albania. Ci sono due soprattutto, note pubblicamente per le loro ripetute e ridicole bugie, nonché per le loro “invenzioni propagandistiche” e le loro promesse mai mantenute. Una è il primo ministro. L’altra è il dirigente di quello che è rimasto del partito democratico, il primo partito d’opposizione in Albania, costituito nel dicembre 1990. Era quel partito che ha guidato gli albanesi a rovesciare la dittatura comunista. Anche adesso il partito democratico è il maggior partito di quella che dovrebbe essere una determinata e motivata opposizione e che, purtroppo, è diventata semplicemente un’opposizione di facciata e molto comoda per la propaganda del primo ministro. Ma fatti accaduti alla mano, in Albania ci sono anche delle persone che somigliano ad “Ali il chimico”. Alcuni pubblicamente note, come l’ex ministro degli Interni, che dietro gli ordini dell’attuale primo ministro, due anni fa ha usato ripetutamente ed in modo sproporzionato gas chimici nocivi contro cittadini inermi. E non solo contro i cittadini che protestavano, contestando il malgoverno, gli abusi di potere e la galoppante corruzione. Con l’uso dei gas chimici nocivi lo stesso ex ministro degli Interni, sempre anche con il beneplacito del primo ministro, ha ordinato alla polizia di Stato, in più occasioni, di far uscire dalle proprie abitazioni molti cittadini nelle primissime ore del giorno, compresi bambini e persone anziane. Tutto semplicemente perché quelle abitazioni, legalmente possedute, si dovevano demolire e al loro posto i “clienti del governo” dovevano costruire blocchi di edifici in cemento armato, guadagnare ingenti somme di denaro, per poi spartirle con chi aveva permesso tutto ciò. Le cattive lingue dicono che la vera ragione era il riciclaggio del denaro sporco, proveniente dai traffici illeciti e dalla corruzione. E le cattive lingue in Albania quasi sempre dicono la verità. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò a tempo debito.

    Colui che dirige quello che è rimasto del partito democratico in Albania, molto somigliante ad “Ali il comico”, è la persona che, dal 2013 ad oggi, ha fatto di quel partito un’impresa famigliare e clientelistica molto rimunerativa. Fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, dal 2013 ad oggi, dimostrano palesemente che lui, purtroppo, è un grande e recidivo bugiardo perdente. Lui ha promesso mari e monti e non ha mantenuto una, ma proprio una delle sue promesse. Come il primo ministro tra l’altro. Sembrano siano due gemelli, caratterialmente parlando. Da grande bugiardo, impostore e ciarlatano, ha sgretolato le strutture del partito e proprio come “Ali il comico”, ogni perdita ha cercato di presentarla come una grande vittoria, rendendosi così miseramente ridicolo.

    Colui che dirige quello che è rimasto del partito democratico in Albania, più che un legittimo dirigente, è un usurpatore del suo potere istituzionale. Lo dimostrano palesemente molti fatti accaduti, con tutte le derivanti e molto preoccupanti conseguenze per gli albanesi. Nonostante lui non abbia usato gas chimici nocivi contro di loro, per le gravose e drammatiche conseguenze delle sue scelte e delle cose [non]fatte, avrebbe anche lui delle somigliane con “Ali il chimico”. L’autore di queste righe da anni ormai, ha informato il nostro lettore di tutto ciò, compresi anche i due ultimi, sull’argomento, in ordine di tempo (Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Usurpatori che consolidano i propri poteri, 19 Luglio 2021).

    Giovedì scorso l’usurpatore di quello che è rimasto del partito democratico albanese, da misero impostore, ma anche da persona ricattabile, ricattata e sottomessa agli “ordini” detti e scritti in inglese, ha superato se stesso. In palese e clamorosa violazione dello Statuto del partito, ignorando anche le strutture dirigenziali, i cui membri sono stati ultimamente da lui selezionati e nominati, da solo nel suo ufficio, ha reso pubblica una sua personale decisione, sottolineando lui stesso che era tale. Ha, infatti, “deciso” di espellere dal gruppo parlamentare il capo storico del partito democratico, allo stesso tempo ex presidente della repubblica ed ex primo ministro. Lo ha fatto, da vigliacco, da misero ipocrita, bugiardo ed impostore qual è, all’ultimo momento, proprio la sera di giovedì scorso e poche ore prima che cominciasse, nella mattinata del giorno seguente, la prima sessione della decima legislazione del Parlamento. Una forzata e ordinata decisione, presa da una persona che, come dicono in tanti in Albania, è sotto pressione, perché è ricattata e ricattabile.

    Tutto cominciò il 19 maggio scorso, quando il Segretario di Stato statunitense dichiarò come persona “non grata” il capo storico del partito democratico albanese. Una decisione che suscitò molte reazioni in Albania. Sia per la sua fondatezza, che per la sua “imparzialità”. Il diretto interessato, subito dopo, ha presentato ricorso, come libero cittadino, accusando di calunnia il Segretario di Stato presso il Tribunale correzionale (Tribunal correctionnel; n.d.a.) di Parigi (Eclatanti e preoccupanti incoerenze istituzionali; 24 maggio 2021). La sera di giovedì scorso, l’usurpatore del partito democratico albanese, con un aspetto turbato e lugubre, riferendosi all’espulsione del capo storico del partito dal suo gruppo parlamentare, ha detto: “…Ho deciso che fino alla conclusione del trattamento della richiesta legale per fare trasparenza e fino alla definitiva decisione giudiziaria, il sig. Berisha (cognome del capo storico del partito; n.d.a.) non sarà membro del gruppo parlamentare del partito democratico”. Con quella decisione personale, che con molta probabilità è stata presa dietro una ripetuta pressione e dietro ricatto in lingua inglese, l’usurpatore ha violato quanto prevede e sancisce lo Statuto del partito. Lui, da laureato in giurisprudenza, ha violato anche uno dei principi base della stessa giurisprudenza; il principio della presunzione di innocenza. Principio, secondo il quale nessuno si può e si deve considerare colpevole sino a che non sia provato il contrario. Ma a lui, all’usurpatore del partito, poco importa. Basta che lui sia “in regola”, ubbidendo a coloro che lo tengono sotto pressione ricattandolo. Soprattutto a quelli che parlano e scrivono in inglese. Loro e lui sanno anche il perché! Nel frattempo è stata immediata e determinata la reazione del capo storico del partito. Ma non solo la sua. Sono state tantissime, in questi giorni, le reazioni della base del partito, nonché quelle di molti analisti ed opinionisti. Tutti condannano la “personale” decisione, letta giovedì scorso, con un aspetto turbato e lugubre, dall’usurpatore del partito democratico albanese.

    Chi scrive queste righe anche in questo caso, avrebbe avuto tanti altri argomenti da trattare e da analizzare oggettivamente per il nostro lettore. Cosa che farà nelle prossime settimane. Egli però pensa che, con molta probabilità, quello che sta accadendo in questi giorni in Albania potrebbe rappresentare un nuovo ed auspicabile inizio. Non solo per il partito democratico, ma, essendo quel partito un importante asset nazionale, anche per gli albanesi in generale e la costituzione, finalmente, di una vera democrazia in Albania. Rovesciando così la dittatura sui generis, ormai in azione e con tutte le drammatiche conseguenze per gli albanesi. Mentre persone come l’usurpatore del partito democratico ed il suo simile, il primo ministro Albanese, meglio, ma veramente meglio, perderli che trovarli. Per il bene di tutti. Perché, come diceva Tina Anselmi, basta una sola persona che ci governa ricattata, o ricattabile, perché la democrazia sia a rischio.

  • La lotta contro le frodi e la corruzione ai danni del budget europeo nel nuovo episodio di UÈ! che Podcast

    È possibile ascoltare il nuovo episodio di UÈ! che Podcast per scoprire come l’Unione europea lavora ai casi di frode e corruzione ai danni del budget europeo, insieme a Rita Di Prospero, Capo unità di intelligence e analisi operativa di OLAF, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode.

    L’OLAF si muove a livello transnazionale per assicurarsi che i soldi dell’Ue, erogati sotto forma di fondi, non siano utilizzati illegalmente. Dagli scambi di merci tra stati alle indagini interne, le segnalazioni di casi sospetti possono essere effettuate dagli uffici che si occupano della gestione dei fondi europei, dagli operatori economici ma anche dai cittadini stessi. Si tratta quindi di uno strumento di controllo e verifica che lavora a stretto contatto con le autorità nazionali per portare a termine indagini molto importanti: lo dimostrano le ricerche sui recenti casi di frode legati all’arrivo di dispositivi di protezione individuale durante la pandemia Covid-19, che hanno portato al sequestro di oltre 44 milioni di articoli. E poiché frode e criminalità non conoscono confini, vengono messe in atto anche operazioni congiunte con paesi terzi per indagare su traffici mondiali di prodotti specifici quali, ad esempio, pesticidi contraffatti.

    Un impegno che si coordinerà al lavoro della nuova Procura Europea (EPPO), organo indipendente dell’Unione, di cui fanno parte 22 paesi membri, diventato operativo dal 1 giugno 2021 per svolgere indagini e azioni penali a protezione del budget europeo contro attività illegali.

    Ascoltando il podcast si saprà come l’Unione europea agisce nella lotta alle frodi e alla corruzione al budget europeo.

    Fonte: Commissione europea

  • Nasce la Procura europea, seguirà 3mila casi all’anno

    E’ operativa dal primo giugno la Procura europea, il nuovo organismo destinato a contrastare le frodi sui fondi Ue ha preso vita dopo alcuni mesi di ritardo ma in tempo per monitorare l’utilizzo dei miliardi di euro del Recovery Fund che stanno per essere distribuiti. Il suo lancio non è stato senza intoppi. Inizialmente previsto per la fine del 2020, è stato rinviato in particolare perché i 22 Stati partecipanti hanno tardato a nominare i loro procuratori delegati. Due non lo avevano ancora fatto alla vigilia dell’entrata in funzione dell’organo: Slovenia e Finlandia.

    L’Ufficio del procuratore generale europeo – Eppo in inglese -, guidato dall’ex capo della procura anti-corruzione romena Laura Kovesi, lavorerà “in completa indipendenza dalla Commissione, da altre istituzioni e organi dell’Ue, nonché dagli Stati membri”.

    L’organismo sovranazionale ha il compito di indagare, ma anche perseguire e assicurare alla giustizia i responsabili di reati che incidono sul bilancio dell’Ue. Un potere senza precedenti, che l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) non aveva. Si tratta dei reati di appropriazione indebita di fondi europei e corruzione, frode transfrontaliera dell’Iva che coinvolge almeno due Stati membri e importi superiori a 10 milioni di euro, riciclaggio di denaro. Per le sole frodi Iva transfrontaliere, l’Ue stima un danno annuo tra i 30 e i 60 miliardi di euro. Per gli altri reati le stime si aggirano intorno ai 500 milioni di euro all’anno. La Procura europea prevede di trattare circa 3 mila casi all’anno.

    L’Eppo si compone di un livello centrale, con sede in Lussemburgo. Al vertice, Laura Kovesi circondata da un collegio di 22 procuratori, uno per Stato partecipante. Dei 27 Paesi dell’Ue, Ungheria, Polonia, Irlanda, Svezia e Danimarca non sono parti interessate. I procuratori hanno prestato giuramento a settembre e sono responsabili della supervisione delle indagini
    e dei procedimenti giudiziari. Le attività’ vengono svolte sul campo dai procuratori aggiunti negli Stati membri.

    Finora sono stati nominati 88 vice procuratori in 20 Paesi, il che è sufficiente per l’inizio dei lavori. In Francia ce ne sono 4, in Italia 15, in Germania sono 11. Possono agire su tutto il territorio nazionale, organizzare il sequestro di beni, emettere mandati di cattura, avviare procedimenti.

    I Paesi hanno difficoltà a indagare sui reati transfrontalieri. Per ottenere informazioni da altri Stati, devono fare rogatorie, che a volte richiedono settimane, quando vanno a buon fine. Passaggi non più necessari con la Procura europea. “Possiamo semplicemente fare una telefonata o inviare un’email al nostro collega in Slovacchia o in Italia”, spiega il vice procuratore tedesco, Marcus Paintinger. “E’ un grande valore aggiunto”. E diventa fondamentale alla luce della partenza del gigantesco piano di ripresa da 750 miliardi di euro e sui chi bisognerà vigilare per evitare frodi. L’accusa “seguirà molto da vicino l’attuazione del Next Generation Eu in modo da garantire che tutti i fondi vengano utilizzati per aiutare le nostre economie a superare la crisi”, ha affermato il commissario europeo alla Giustizia, Didier Reynders.

  • Eclatanti e preoccupanti incoerenze istituzionali

    L’arroganza, la presunzione, il protagonismo, l’invidia:

    questi sono i difetti da cui occorre guardarsi.

    Plutarco

    Il 19 maggio scorso, un’inattesa notizia, arrivata da oltreoceano, ha scombussolato la politica e l’opinione pubblica in Albania. Il Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America ha pubblicato, nel suo account personale Twitter, la dichiarazione come “persona non desiderata per entrare negli Stati Uniti” dell’ex Presidente della Repubblica (1992-1997) e l’ex primo ministro (2005-2013). Con lui anche sua moglie e i due figli. Questa drastica decisione è stata presa perché gli atti corruttivi dell’ex Presidente “…hanno minato la democrazia in Albania”. Il Segretario di Stato ha espresso la sua convinzione che l’ex primo ministro “…. era coinvolto in atti corruttivi come l’uso improprio dei fondi pubblici, interventi nei processi pubblici, compreso l’uso del suo potere a beneficio e all’arricchimento degli alleati politici e dei membri della sua famiglia”. Il Segretario di Stato ha ribadito anche che l’ex primo ministro, con la sua retorica, “…è pronto a difendere se stesso, i membri della sua famiglia e gli alleati politici, a scapito delle indagini indipendenti, degli sforzi anticorruzione e delle misure sulla responsabilità [penale]”.

    Per facilitare la chiave di lettura, il nostro lettore deve sapere che ormai l’ex primo ministro albanese, dichiarato “persona non grata” il 19 maggio scorso, dopo la sua sconfitta elettorale nel 2013 ha dato le dimissioni da ogni responsabilità istituzionale e politica, tranne quella di deputato, della quale ha beneficiato fino al febbraio 2019. Il che vuol dire che lui, da circa otto anni ormai, non gode di nessun “potere corruttivo”. Nel frattempo, nonostante le accuse politiche, nonostante il continuo e assordante accanimento verbale dell’attuale primo ministro e della propaganda governativa e mediatica contro di lui, nessun processo legale, in Albania e/o altrove, ha trattato quelle accuse e, men che meno, ha condannato l’ex primo ministro. Colui che dal 19 maggio scorso è stato dichiarato “persona non grata” per gli Stati Uniti d’America. Bisogna sottolineare che lui è anche il capo storico del partito democratico, il primo partito oppositore alla dittatura comunista, fondato in Albania nel 1990. Mentre l’attuale primo ministro è anche lui, dal 2005, il capo del partito socialista nel quale si “commutò”, nel 1991, il partito comunista albanese, l’unico partito durante la dittatura. Bisogna tenere presente anche che l’attuale primo ministro albanese, conoscendo il suo modo di fare e le immense potenzialità di cui dispone, non avrebbe mai e poi mai risparmiato il suo predecessore e avversario politico.

    Nel frattempo bisogna sottolineare che naturalmente l’Albania, per gli Stati Uniti d’America, non rappresenta un Paese al quale bisogna prestare nessuna attenzione particolare. Questo per diverse ed ovvie ragioni. Perciò, anche nel Dipartimento di Stato, dell’Albania si occupa qualche ufficio “periferico”, il cui compito è quello di procurare, mettere insieme ed elaborare informazioni e materiali che riguardano quello che accade lì, nella regione dei Balcani e che potrebbe “nuocere” agli interessi statunitensi. Oppure degli interessi, sempre nella stessa regione, di qualche “potere occulto” che è sempre in grado di esercitare delle influenzare lobbistiche su determinati uffici e/o funzionari di vari livelli dell’amministrazione statunitense. Nonostante quello che l’Albania rappresenta realmente per gli Stati Uniti d’America, per principio e comunque, nel rispetto e per garantire la credibilità delle istituzioni, dovrebbe essere sempre importante verificare prima l’attendibilità della fonte dalla quale provengono le informazioni e i materiali. Come dovrebbe essere altrettanto importante verificare la veridicità di quelle informazioni e del contenuto di quei materiali che verranno in seguito elaborati. Nel caso in questione, soltanto due giorni dopo che il Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America dichiarava l’ex primo ministro albanese “persona non grata”, proprio dal Dipartimento di Stato sono state rese note anche le fonti dell’informazione e dei materiali che hanno costituito la base della drastica decisione presa. Alla richiesta di un media albanese fatta al Dipartimento di Stato è stata data ufficialmente la risposta che le informazioni e il materiale elaborato sul caso dell’ex primo ministro erano procurati dai media e dalle organizzazioni della società civile in Albania! Ebbene, chi conosce abbastanza la realtà albanese dovrebbe sapere benissimo anche che sia la maggior parte dei media che quelle organizzazioni della società civile da tempo sono controllate e pagate dal governo albanese e/o da chi per lui! Queste palesi verità le dovrebbero sapere anche gli impiegati dei vari uffici dell’ambasciata statunitense in Albania! Proprio quelli che devono procurare e poi preparare le dovute informazioni per i loro superiori negli Stati Uniti. Ma visto quanto è accaduto vengono naturali le domande: come mai l’ambasciatrice statunitense, che rappresenta ed è responsabile di quegli impiegati, sostiene, in fin dei conti, l’operato del primo ministro?! Come mai lei non vede, non sente e non conosce tutto ciò che accade realmente in Albania?! Come mai lei non se ne accorge della galoppante corruzione, del devastante abuso di potere, del diretto coinvolgimento della criminalità nei processi elettorali?! Come anche del coinvolgimento, in palese violazione della legge, della polizia di Stato negli stessi processi! E come mai lei non vede e non se ne accorge neanche del totale e palese fallimento della riforma del sistema di giustizia, che lei ha così tanto a cuore?! Un sistema messo ormai sotto il diretto controllo del primo ministro! Anche quanto è accaduto e denunciato prima, durante e dopo le elezioni del 25 aprile scorso ne rappresenta una inconfutabile testimonianza di tutto ciò! In più, sempre dalla sopracitata risposta del Dipartimento di Stato alla richiesta del media albanese risulta che parte delle informazioni e del materiale elaborato sul caso dell’ex primo ministro albanese dichiarato “persona non grata” dal Segretario di Stato sono state procurate dai rapporti preparati dallo stesso governo albanese! Tutto ciò potrebbe far capire al nostro lettore l’attendibilità delle fonti usate, la veridicità delle informazioni e del materiale raccolto e poi elaborato e la serietà/credibilità della decisione presa dal Dipartimento di Stato e dichiarato dal Segretario di Stato sul suo account personale Twitter il 19 maggio scorso!

    Immediata è stata anche la reazione del diretto interessato, l’ex primo ministro albanese. Con una risposta pubblica al Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, lui ribadiva il suo rammarico per la decisione presa, considerandola “senza nessuna base concreta”. Lui invitava il Segretario di Stato a “…rendere pubblico ogni fatto e documento che la Sua amministrazione, oppure chiunque al mondo, potesse avere a disposizione, per argomentare la Sua pretesa”. In seguito, come ha dichiarato anche durante una conferenza stampa, l’ex primo ministro ha presentato ricorso, come libero cittadino, accusando di calunnia il Segretario di Stato presso il Tribunale correzionale (Tribunal correctionnel; n.d.a.) di Parigi. Adesso tutto rimane ad essere seguito!

    Bisogna informare il nostro lettore che le sopracitate accuse del Segretario di Stato nei confronti dell’ex primo ministro albanese sono tutt’altro che convincenti. Anche se si fa riferimento al periodo prima del 2013. Sì, perché la stessa persona, nel 2009, quando era il consigliere per la sicurezza nazionale dell’allora vice presidente Biden, ha usato parole ben diverse ed elogiative nei confronti dell’allora primo ministro albanese e adesso da lui accusato e dichiarato persona “non grata”! Sono proprio sue le seguenti parole rivolte nel 2009 al primo ministro, quale rappresentante del governo albanese. L’attuale Segretario di Stato allora diceva: “Io valuto il successo del governo albanese nella lotta contro la criminalità organizzata, la corruzione e le riforme economiche”. E si tratta della stessa persona, l’ex primo ministro albanese, allora elogiato e adesso accusato e dichiarato “non grato” dalla stessa persona, allora consigliere per la sicurezza nazionale del vice presidente Biden e adesso suo Segretario di Stato. Eloquenti contraddizioni quelle del Segretario di Stato, ma anche eclatanti e preoccupanti incoerenze istituzionali. Lui, però, sa certamente anche il perché di simili atteggiamenti pubblici!

    Ma purtroppo quello suo non è l’unico caso con il quale si mette in dubbio la serietà e l’imparzialità delle decisioni prese dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore di un altro eclatante caso accaduto quattro mesi fa. Allora egli scriveva che “Il 23 febbraio scorso, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America ha conferito un nuovo Premio, quello dei “Campioni Internazionali dell’Anticorruzione”, a dodici personalità scelte che operano nel campo della giustizia in altrettanti Paesi del mondo”. Tra quei dodici premiati c’era anche un giudice albanese. Quel giudice premiato dall’attuale Segretario di Stato è “…una persona molto “chiacchierata” in questi ultimi anni. Non solo perché è un ex inquisitore del regime comunista […].Ma si tratta anche di un “uomo della legge” che, dati e fatti accaduti alla mano, ha continuamente infranto la legge”. (Un vergognoso, offensivo e preoccupante sostegno alla dittatura; 1 marzo 2021).

    Chi scrive queste righe, anche in questo caso avrebbe avuto bisogno di molto più spazio, per trattare questo argomento. Egli si chiede però quanto ne sappia il Segretario di Stato sull’Albania di oggi. Perché, come diceva alcuni giorni fa un ex ambasciatore italiano in Albania, la realpolitik pratica è particolarmente pericolosa, quando l’ignoranza prevale sulla sapienza. Anche perché, come era convinto Plutarco circa duemila anni fa, l’arroganza, la presunzione, il protagonismo sono tra i difetti da cui occorre guardarsi. Chi scrive queste righe aggiunge anche l’incoerenza.

  • Preferisce essere chiamato anche asino, ma mai e poi mai ladro

    Nei tempi antichi, barbari e feroci, i ladri s’appendevano alle croci:
    ma nei presenti tempi più leggiadri, s’appendono le croci in petto ai ladri.

    Giuseppe Mazzini

    Una mattina Pinocchio si accorse che qualcosa di strano era accaduto con le sue orecchie. Questo ci ha maestosamente raccontato Carlo Collodi nel capitolo 32 del suo famoso libro Le avventure di Pinocchio, Storia di un burattino. Proprio così, si accorse stordito che “…gli orecchi gli erano cresciuti più d’un palmo”. Si alzò, ma non trovando uno specchio per potersi vedere, Pinocchio empì d’acqua la catinella del lavamano, e specchiandovisi dentro, rimase stupefatto. Si, perché, come ci racconta Collodi, “…vide quel che non avrebbe mai voluto vedere: vide, cioè, la sua immagine abbellita di un magnifico paio di orecchi asinini”. Era così grande la vergogna e la disperazione del povero Pinocchio, che subito “…cominciò a piangere, a strillare, a battere la testa nel muro”. Una Marmottina, che abitava nel piano di sopra, preoccupata dalle grida e dai pianti, entrò nella stanza di Pinocchio e cominciò a prendersi cura di lui. Gli tastò il polso e poi, sospirando, disse: “…tu hai una gran brutta febbre… la febbre del somaro”. Una grave malattia quella, che avrebbe fatto diventare Pinocchio, entro poche ore, un asinino. E Marmottina spiegò a Pinocchio anche che “…oramai è scritto nei decreti della sapienza, che tutti quei ragazzi svogliati che, pigliando a noia i libri, le scuole e i maestri, passano le loro giornate in balocchi, in giuochi e in divertimenti, debbano finire prima o poi col trasformarsi in tanti piccoli somari”. Allora Pinocchio capì tutto e piangendo disse a Marmottina: “…Ma la colpa non è mia: la colpa, credilo, Marmottina, è tutta di Lucignolo!”. Si proprio di Lucignolo, di quel suo compagno di scuola, che un giorno lo aveva convinto a non andare più a scuola, perché lì si annoiava a studiare. Era, invece, il Paese dei Balocchi dove dovevano andare e divertirsi dalla mattina alla sera. Dopo aver finito di parlare con Marmottima, ficcando un gran berretto di cotone in testa, Pinocchio andò subito ad incontrare Lucignolo. Ma, guarda caso, trovò anche lui sofferente della stessa sua malattia; la febbre del somaro. E mentre si confidarono che “…erano colpiti tutt’e due dalla medesima disgrazia”, qualcosa di incredibile cominciò ad accadere. Prima con Lucignolo e poco dopo anche con Pinocchio. Tutti e due “…si piegarono carponi a terra e, camminando colle mani e coi piedi, cominciarono a girare e a correre per la stanza”. Collodi, però, ci racconta anche che “…il momento più brutto e più umiliante fu quello in cui sentirono spuntarsi di dietro la coda”. Tutti e due erano diventati degli asini che, invece di parlare tra di loro, cominciarono a ragliare. Erano tutte le brutte conseguenze della febbre del somaro. Questo ci ha raccontato Carlo Collodi nel capitolo 32 del suo famoso libro Le avventure di Pinocchio, Storia di un burattino.

    Era il 3 dicembre 2020, quando il primo ministro albanese, durante un’intervista televisiva in prima serata, ha fatto quello che fa sempre quando si trova in difficoltà: ha mentito in pubblico, cercando di dare la colpa agli altri. Quella volta è capitato alla sua fedelissima ministra della Giustizia, la quale mai e poi mai avrebbe osato di agire di testa sua, senza aver ricevuto, prima, ordine dal primo ministro e/o da chi per lui! Si trattava di una proposta di legge “presentata” dalla ministra che, da alcuni giorni, aveva suscitato una forte reazione pubblica. Un suo articolo prevedeva addirittura la condanna in carcere per chi produceva e/o propagava memi attraverso internet! Durante quell’intervista televisiva il primo ministro ha cercato di apparire come uno che non sapeva niente! Proprio lui che controlla tutto e tutti! E per convincere e rassicurare che non era responsabile dell’inserimento di quel articolo ha cercato di fare quello che lui non è mai stato: ha cercato di fare l’innocente e l’onesto. A forza di sembrare credibile, in quell’occasione, il primo ministro albanese ha dichiarato che “…non ho nessun problema se qualcuno si esprime in modo negativo nei miei confronti. Se mi dicono [che sono un] somaro, questa è un’opinione e non è un problema per me”. Ma poi ha detto proprio quello che, più che dal suo conscio, è stato suscitato e dettato dal suo subconscio. E cioè ha dichiarato che “…nel caso in cui mi dicessero [che sono un] ladro, allora questa non è [più] un’opinione”. Lasciando così capire che, in quel caso, il suo atteggiamento sarebbe stato ben diverso e che sarebbero stati guai per colui che avrebbe fatto una simile intollerabile accusa nei suoi confronti. Sì, perché per il primo ministro è proprio insopportabile e intollerabile che qualcuno lo consideri e, men che meno, lo chiami ladro in pubblico. Si tratterebbe di una reazione del suo subconscio, che cerca in tutti i modi di reagire e di cancellare, anche per se stesso, la tremenda verità; quella di essere un ladro. Ma non un ladro comune però, un ladro qualsiasi, bensì un ladro che, consapevolmente, da anni ha abusato e continua ad abusare dei milioni della cosa pubblica. Anche adesso, in tempo di pandemia!

    Tanto è vero e reale questo suo incubo, questa sua sofferenza psichica, che il 15 ottobre 2020, sempre durante un dibattito televisivo in prima serata, il primo ministro albanese ha ripetuto se stesso, facendo un’altra “strana” dichiarazione. Una dichiarazione quella, sempre suscitata dal suo subconscio e che riguarda il suo incubo di essere chiamato ladro. Durante quel dibattito, per convincere tutti che lui, uomo politico, non era un ladro, ha detto ai giornalisti: “…voi dite che i politici sono tutti ladri. Ma dovete scordarlo, perchè non ci sono ladri e bugiardi sopra i due metri”. E visto che il primo ministro ha una spiccata altezza corporea, si capisce, intendeva se stesso con quella affermazione. Ma anche in questo caso, nonostante parlasse dei “politici” in generale, lui, nel suo subconscio, continuava a reagire diversamente, riferendosi, come sempre, a se stesso. Mentre per quanto riguarda la sua dichiarazione sui ladri, sì, forse non ci sarebbero molti ladri con quella altezza corporea. Anche perché la percentuale degli esseri umani con quella altezza è molto limitata in tutto il mondo. In più, per motivi “tecnici” del mestiere, i ladri comuni, che devono entrare/nascondersi anche in spazzi stretti e limitati, non possono avere quell’altezza e quel volume corporeo. Invece il primo ministro albanese non è un ladro comune. Lui, dati e fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, da primo ministro, ha abusato e continua ad abusare del bene pubblico. E come se non abusa! Anche in questo periodo di pandemia. Lui abusa, sempre usufruendo del suo potere istituzionale, tramite il controllo, la gestione e l’orientamento delle influenze. Sia nel settore pubblico, che in quello privato. Facilitando così anche la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti, locali ed internazionali, con lui alleati. Anche questa è una realtà ben nota. Nel frattempo non si sa niente del numero dei bugiardi sopra i due metri, ai quali si riferiva il primo ministro durante il dibattito televisivo del 15 ottobre 2020! Molto probabilmente, anche in questo caso sarebbe stato il suo subconscio che avrebbe reagito, visto che la bugia è uno dei sui vizi innati. E proprio per le irresponsabilità istituzionali del primo ministro, per i suoi abusi di potere, per le sue bugie e inganni, nonché per le sue vendette personali, gli albanesi devono continuare a subire. Una brutta e preoccupante notizia è stata resa pubblica il 2 aprile scorso. L’Albania ha perso definitivamente la causa giudiziaria avviata nel 2015. Una causa avviata dopo la chiusura fortemente voluta per “vendetta” dal primo ministro, di una televisione privata, proprietà di un imprenditore italiano. Con quella decisione definitiva in appello è stata confermata la delibera del 2019,con la qualle ICSID (l’acronimo di International Centre for the Settlement of the Investment Disputes; una struttura specializzata, facente capo alla World Bank; n.d.a.) condannò lo Stato albanese a pagare all’imprenditore italiano, per danni subiti, la somma di 110 milioni di euro! Anche in questo caso i poveri cittadini albanesi devono pagare di tasca propria i vizi del primo ministro. Di colui che preferisce essere chiamato anche asino, ma mai e poi mai ladro!

    Chi scrive queste righe pensa che il primo ministro è la persona istituzionalmente e direttamente responsabile della grave situazione in cui si trova attualmente l’Albania. Proprio lui, il quale ogni volta che si trova in difficoltà, per via degli innumerevoli scandali governativi e abusi di potere, cerca di passare la colpa a chicchessia e a trovare “nemici” ovunque. Lui però non riconosce mai le sue colpe e le sue responsabilità. Chi scrive queste righe ricorda bene che per Pinocchio era veramente tremendo, era insopportabile e vergognoso essere diventato un somaro. Mentre per il primo ministro albanese essere un somaro non è un problema! Lo ha dichiarato lui stesso. Basta che nessuno lo chiami ladro! Chissà perché?! Chi scrive queste righe pensa che quanto affermava circa due secoli fa Giuseppe Mazzini, il grande statista italiano, riferendosi ai ladri, purtroppo continua ad essere attuale in diversi Paesi del mondo. Anche in Albania. E cioè che “Nei tempi antichi, barbari e feroci, i ladri s’appendevano alle croci: ma nei presenti tempi più leggiadri, s’appendono le croci in petto ai ladri.”. Il primo ministro albanese però, invece di essere “appeso alla croce” per quello che ha fatto, con la sua ben nota arroganza e la sua irresponsabilità ha messo a se stesso la croce al petto. Fino a quando però un asino sarà anche un ladro?!

  • Avvisaglie di coinvolgimento elettorale della criminalità

    Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello
    stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.

    Paolo Borsellino

    Ieri in Italia è stata celebrata la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Non a caso è stato stabilito che una simile ricorrenza, dal 1996, avvenga proprio il 21 marzo, il primo giorno della primavera. Un giorno che simboleggia la rinascita della vita e la speranza. Il presidente Mattarella ieri, nel suo messaggio, ha ribadito che “Le mafie cambiano le forme, i campi di azione, le strategie criminali. Si insinuano nelle attività economiche e creano nuove zone grigie di corruzione e complicità. Sono un cancro per la società e un grave impedimento allo sviluppo”. Un chiaro e molto significativo messaggio per tutti, e non solo in Italia. Sì, le mafie, la criminalità organizzata, non si fermano di fronte a niente, anzi! Cambiano le strategie, approfittando senza scrupoli di qualsiasi opportunità creata. Anche della pandemia. Lo ha detto chiaramente Papa Francesco ieri durante l’Angelus, nell’ambito della stessa ricorrenza: “Le mafie sono presenti in varie parti del mondo e, sfruttando la pandemia, si stanno arricchendo con la corruzione”. La criminalità organizzata, in qualsiasi parte del mondo, rappresenta una seria minaccia per tutti. Sì, perché prima o poi, in un modo o in un altro, chi più e chi meno, tutti saranno preda e vittime delle attività della criminalità organizzata. Compresi anche gli stessi dirigenti e/o membri, di qualsiasi livello, delle organizzazioni criminali. La storia sempre ci insegna. Come ci insegna che le conseguenze delle attività criminali, soprattutto quando si svolgono con la connivenza di coloro che devono gestire la cosa pubblica, sono gravi e creano vittime di ogni genere. Perché le vittime della criminalità organizzata non sono soltanto quelle che perdono la vita con le pallottole della criminalità. Sono molte di più le vittime causate dalle conseguenze dirette e/o indirette delle attività criminali e della connivenza della criminalità organizzata con il potere politico.

    Per definire un determinato modo di (mal)governare, c’è una parola particolare: la kakistocrazia. Come la maggior parte delle parole, usate ormai quotidianamente in molte lingue del mondo e che definiscono i sistemi sociali e politici, questa parola è stata coniata nell’antica Grecia. È una parola composta da due singole parole, kàkistos, che significa peggiore, e kratos, che significa comando. Perciò tradotta letteralmente, significherebbe “il potere dei peggiori”. Una parola che, da alcuni decenni, si sta riutilizzando sia in ambienti che si occupano degli studi che in quelli politici e mediatici. La kakistocrazia perciò è una parola che definisce e sintetizza il modo di governare dei peggiori. Il solo fatto che questa parola si sta utilizzando di nuovo testimonia, purtroppo, che in determinati Paesi del mondo la situazione è realmente drammatica e molto preoccupante. Una situazione che dovrebbe destare una reale preoccupazione, non solo per chi di dovere e i cittadini responsabili in questi Paesi, ma anche per le cancellerie degli altri Paesi confinanti e le istituzioni internazionali. Perché il Male non ha, non conosce e, men che meno, rispetta confini. Anche di tutto ciò la storia ci insegna.

    La kakistocrazia, purtroppo, è la parola che definirebbe propriamente il modo in cui, ormai da alcuni anni, stanno governando la cosa pubblica e tutto il resto in Albania. L’autore di queste righe, riferendosi alla realtà vissuta e sofferta dalla maggior parte della popolazione, da tempo sta sottolineando e ripetendo che in Albani è stata volutamente restaurata e si sta consolidando una nuova dittatura. Un regime sui generis quello albanese, come espressione concreta dell’alleanza dell’attuale potere politico, rappresentato dal primo ministro, con la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti internazionali. Un regime dei peggiori, perciò una kakistocrazia, che sta generando gravi sofferenze per gli albanesi non coinvolti con il regime. Ragion per cui, chiunque cerca di trattare oggettivamente la realtà albanese non può chiudere gli occhi e le orecchie e far finta di niente di fronte a questa drammatica realtà e a quanto sta quotidianamente accadendo. Come hanno fatto da anni e continuano a farlo i soliti “rappresentanti internazionali” in Albania e, spesso, anche a Bruxelles e in determinate cancellerie in Europa ed oltreoceano. Ragion per cui l’autore di queste righe continuerà a ribadire e sottolineare la pericolosità e la gravità delle conseguenze generate dalla kakistocrazia in Albania. Cercando, in questo modo, di descrivere quanto più oggettivamente possibile, riferendosi soltanto a dati e fatti pubblicamente noti, documentati e denunciati, la vissuta e sofferta realtà albanese.

    In qualsiasi Paese normale, dove si rispettano i sani principi morali, dove si garantisce il funzionamento dello Stato di diritto, come prevedono i criteri di Copenaghen (istituzioni statali e pubbliche stabili che possano garantire la democrazia, lo Stato di diritto ecc..), la criminalità organizzata e i raggruppamenti occulti si considerano parte integrante di un Male che danneggia seriamente la società. In qualsiasi Paese normale tutti loro sono considerati “dei peggiori”. Così come si considerano anche quelli, ai quali è stato conferito potere politico ed istituzionale e che, invece, cercano di mettere volutamente in atto la connivenza con la criminalità organizzata e i raggruppamenti occulti. Al contrario, i criteri morali e quelli “operativi” di coloro che gestiscono la cosa pubblica in Albania sono del tutto diversi. Il che, purtroppo, ha reso possibile, da qualche anno, la restaurazione e il consolidamento, in Albania, di una nuova dittatura sui generis, gestita dai “peggiori”, come rappresentanti di una funzionante e pericolosa kakistocrazia. Non a caso, in questi ultimi anni, i “peggiori’ in Albania, oltre a stabilire una stretta alleanza con la criminalità organizzata locale, hanno stabilito e rafforzato i legami anche con la criminalità internazionale. Compresa la ‘Ndrangheta italiana. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò a tempo debito e a più riprese. Anche alcune settimane fa (Pericolose e preoccupanti presenze mafiose; 1 febbraio 2021 e Pericoli che oltrepassano i confini nazionali; 8 febbraio 2021).

    Proprio in una simile grave e molto preoccupante realtà, il 25 aprile prossimo in Albania si svolgeranno le elezioni politiche. Il primo ministro, il rappresentante istituzionale del potere politico dei “peggiori”, sta cercando, costi quel che costi, un terzo mandato. Per se stesso ma anche per tutti gli altri “alleati”, rappresentanti della criminalità organizzata e dei raggruppamenti occulti, locali ed internazionali. Nel frattempo la situazione è tutt’altro che rassicurante in Albania. Anzi! La situazione si sta aggravando ogni giorno che passa. Lo stanno testimoniando le tante cose che stanno accadendo a ritmo pauroso e allarmante. La criminalità è diventata molto attiva. Attentati mafiosi e regolamenti di conti stanno insanguinando le vie e le piazza in diverse città. Ma la criminalità organizzata, quella alleata con il potere politico, si sta facendo valere. Ed è proprio questa criminalità che sta intimidendo anche i cittadini per costringerli a votare in modo tale da “facilitare” l’ottenimento del terzo mandato al primo ministro. Una testimonianza e una concreta dimostrazione di questa strategia ben ideata, programmata e messa in atto da qualche tempo ormai, è stata anche quella verificatasi il 14 marzo scorso. Durante la celebrazione di una festività di origini pagane, in una città albanese, si sono scontrati ed affrontati fisicamente due gruppi di sostenitori politici. Un significativo e molto eloquente caso, visto che si trattava di due gruppi capeggiati personalmente, uno dal primo ministro e l’altro dal capo dell’opposizione. Non si sa bene chi ha provocato chi. Quello che si sa ormai, perché è stato visto e rivisto da diverse registrazioni televisive e/o in rete, è che ci sono stati degli scontri fisici, con pugni e calci, tra i sostenitori del primo ministro e quelli del capo dell’opposizione. E i primi hanno avuto il meglio. Ma quello che è ancora più grave è che la maggior parte dei sostenitori del primo ministro erano membri della criminalità locale. Erano proprio quelli che circondavano il primo ministro, mentre lui camminava per le vie della città, come se fossero le sue guardie del corpo! Sono tutte persone con precedenti penali, ben note anche dalle strutture della polizia. Ma, nonostante la polizia di Stato fosse presente, nessuno degli aggressori è stato fermato. E poi, in seguito, anche dopo che l’opposizione ha denunciato l’accaduto con tanto di nomi e cognomi di tutti gli aggressori, accompagnatori del primo ministro quel 14 marzo scorso, le istituzioni del sistema “riformato” di giustizia non si sono mosse, come prevede la legge. Come se niente fosse accaduto!

    Chi scrive queste righe considera tutto ciò come un significativo anticipo di quello che accadrà in Albania durante questa vigilia delle elezioni politiche del 25 aprile prossimo. Egli è convinto che sono delle preoccupanti avvisaglie di coinvolgimento elettorale della criminalità organizzata, per far vincere al primo ministro il suo terzo mandato. Egli teme, altresì, che anche adesso il potere politico, rappresentato dal primo ministro, e le mafie non fanno la guerra tra di loro. Macché, loro, i peggiori”, si sono messi di nuovo d’accordo per condizionare e controllare l’esito delle prossime elezioni e continuare a gestire la cosa pubblica insieme. Che tutto ciò sia un chiaro, significativo e serio messaggio non solo per le persone responsabili in Albania, ma anche per le cancellerie europee e i massimi rappresentanti dell’Unione europea!

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