Corte Costituzionale

  • In attesa di Giustizia: anni di piombo

    Correva l’anno 1998, mese di novembre, quando la Corte Costituzionale censurò per l’ennesima volta una riforma del codice di procedura penale mirata a garantire l’oralità del giudizio e la possibilità di interrogare e controinterrogare le fonti di accusa: il codice promulgato nel 1989, purtroppo, doveva misurarsi con una Costituzione che, pur restando di alto profilo, quanto a talune garanzie dell’imputato guardava ad un sistema inquisitorio, quello disegnato dalla legislazione degli anni ’30.

    L’Unione delle Camere Penali allora Presieduta dal Prof. Giuseppe Frigo, che proprio della Corte Costituzionale entrerà a far parte in seguito, proclamò per protesta un’astensione dalle udienze reclamando contro un ripristino strisciante del modello processuale abrogato e confliggente con quello di impronta accusatoria introdotto un decennio prima.

    Durissima e, francamente, inaccettabile fu la reazione dell’allora Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro che bollò gli avvocati come terroristi sostenendo che ribellarsi contro una sentenza della Corte Costituzionale è comportamento equiparabile a scendere in piazza armati.

    I penalisti dalle parole di Scalfaro ricavarono stimoli ancora più forti a proseguire nella loro protesta arrivando a prevedere la restituzione dei tesserini di appartenenza agli Ordini professionali – un terrorista non può essere contemporaneamente uomo della legge – querele nei confronti di Scalfaro per diffamazione del quale pretesero le scuse e raccogliendo, per vero, solidarietà bipartisan dai rappresentanti della politica.

    Tanto è vero che il 23 novembre 1999, esattamente un anno dopo, fu approvata la modifica dell’art. 111 della Costituzione con un articolato che, sostanzialmente, clona l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo introducendo i principi del c.d. giusto processo e ponendo così termine a una diatriba a colpi di modifiche normative e interventi del Giudice delle Leggi che provocò, per anni, solo incertezza del diritto e compressione delle garanzie dei cittadini. Tutti terroristi, forse, anche quei senatori e deputati che, con maggioranza qualificata e doppia lettura della novella costituzionale, avevano riequilibrato le sorti del processo penale. Almeno secondo il pensiero del Presidente Scalfaro che nel frattempo aveva lasciato il Quirinale.

    Ora ci risiamo: l’Unione ha proclamato cinque giorni di astensione a partire dal 21 ottobre per lamentare la mancata – sebbene promessa – riforma del processo penale che avrebbe dovuto fungere da ammortizzatore alla sostanziale eliminazione della prescrizione già approvata ed in vigore a partire dall’anno prossimo: astensione contro una legge dello Stato e fortemente voluta dagli illuminati giureconsulti pentastellati! Tornano gli anni di piombo? Ancora terrorismo in Toga?

    Se questo è terrorismo, allora c’è da augurarsi che sia l’anticamera di una guerra civile anzi – meglio ancora – di una guerra di civiltà, una di quelle guerre, di quelle battaglie che gli avvocati non hanno mai temuto di affrontare e mai per interessi personali o di categoria ma sempre e solo nell’interesse dei cittadini, di coloro che si trovano al cospetto di un potere che li sovrasta, il potere punitivo dello Stato.

    E’ tempo di legge finanziaria, recupero delle risorse per evitare l’aumento dell’IVA, ma è anche tempo di elezioni suppletive al C.S.M. dopo scandali e dimissioni risalenti a poche settimane addietro ma nessuno più ne parla, così come delle riforma in materia di Giustizia: questi sono temi che non garantiscono comprensione e consenso e i cittadini restano – anche se non lo sanno –  in attesa di Giustizia e anche se non sanno nemmeno questo non sono soli: con loro ci sono quei terroristi degli avvocati penalisti.

     

  • Dove si va di questo passo?

    L’illegalità è come una piovra che non si vede: sta nascosta, sommersa,
    ma con i suoi tentacoli afferra e avvelena, inquinando e facendo tanto male.

    Papa Francesco

    Il 26 agosto 1789, in Francia, veniva approvata dall’Assemblea Nazionale Costituente la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. L’articolo 16 della Dichiarazione sanciva che “Ogni società, in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione”.

    Il principio base di ogni democrazia costituzionale, secondo il barone di Montesquieu, è la separazione dei poteri. Lo aveva trattato nel suo libro “Lo spirito delle leggi” già nel 1748. Secondo Montesquieu, le tre funzioni fondamentali dello Stato, e cioè la funzione legislativa, quella esecutiva e la funzione giuridica, debbono essere affidate a delle istituzioni diverse. Istituzioni che si devono rapportare ognuna con le altre, basandosi sulla reciproca indipendenza. Montesquieu era convinto che solo così si poteva evitare qualsiasi minaccia alla libertà.

    Il 4 giugno scorso la Corte dei Conti albanese (la sua esatta nominazione è l’Alto Controllo dello Stato; n.d.a.) ha presentato la sua strategia per il periodo 2018 – 2022. Durante quell’attività era presente anche il presidente del Parlamento. Lui, purtroppo, rappresenta nel migliore dei modi anche la continuità del regime comunista nell’attuale governo e maggioranza parlamentare. Essendo stato l’ultimo ministro degli Interni durante la dittatura, lui sembrerebbe abbia anche molti scheletri nell’armadio (Patto Sociale n.278). Ultimamente hanno attirato l’attenzione alcune strane esortazioni e dichiarazioni pubbliche. Le sue non nascoste e pubblicamente espresse nostalgie per il regime comunista, il modo in cui conduce e gestisce le plenarie, le accuse all’Olanda sulle droghe, sono soltanto alcune.

    L’ultima, il 4 giugno scorso, durante la sopracitata attività della Corte dei Conti. Il presidente del Parlamento ha dichiarato la sua convinzione, secondo la quale “Il Parlamento […] realizzerà la verifica dei conti finanziari della Corte dei Conti e farà tutto in pubblico’. Aggiungendo poi che “in questo modo risolveremmo il dilemma ‘chi vigila i guardiani’ e garantiremmo la Costituzione, la legge e i cittadini che la Corte dei Conti sia, a sua volta, un’istituzione da loro controllata”! Perché secondo il presidente del Parlamento, e riferendosi all’attività della Corte dei Conti “nessuno è perfetto […] Il governare del popolo, con il popolo e per il popolo si garantisce, prima di tutto, tramite il controllo parlamentare e la verifica finanziaria della sua attività”!

    Il presidente del Parlamento ha dimostrato così, pubblicamente, di avere un grave e intrinseco problema. Lui, impregnato della mentalità della dittatura comunista, non riconosce il principio base di ogni democrazia costituzionale, formulato da Montesquieu, e cioè quello della separazione dei poteri e dell’indipendenza delle istituzioni rappresentative. Il contenuto di queste dichiarazioni urta palesemente con quanto prevede la stessa Costituzione albanese. Il suo articolo 162, riferendosi alla Corte dei Conti, non lascia spazio a nessun equivoco. L’articolo sancisce che “La Corte dei Conti è la più alta istituzione del controllo economico e finanziario [dello Stato]. Essa si sottomette soltanto alla Costituzione e alle leggi”. Il che significa che il Parlamento, secondo la Costituzione, non ha nessun potere di controllo e/o di qualsiasi altro tipo sulla Corte dei Conti, che si sottopone, a sua volta, soltanto alle leggi che ne derivano dalla Costituzione. Sempre dalla Costituzione si sanciscono anche le istituzioni che controllano e vegliano sul rispetto delle leggi. Di certo il Parlamento non ha però nessun obbligo e/o diritto istituzionale di vegliare sul rispetto, da parte di altre istituzioni indipendenti, delle leggi deliberate del Parlamento, rappresentante soltanto del potere legislativo. E basta! La Costituzione prevede e sancisce anche quali siano le istituzioni indipendenti nella Repubblica d’Albania. E per la Costituzione, essere indipendente significa chiaramente che tali istituzioni non debbano avere nessuna dipendenza dagli altri due poteri (esecutivo e giuridico) e neanche dal potere politico. Perché la Costituzione non prevede, in nessun suo articolo, che la Corte dei Conti si possa “sottomettere alla volontà della maggioranza governativa”. Volontà espressa, con le sue sopramenzionate dichiarazioni, dal presidente del Parlamento, quale rappresentante di quella maggioranza. Da sottolineare che, da alcuni anni, nei rapporti ufficiali della Corte dei Conti sono stati evidenziati molti scandali e abusi clamorosi in vari ministeri e/o istituzioni statali e dell’amministrazione pubblica. Valida ragione, perciò, per “mettere sotto controllo” anche la Corte dei Conti. Su “Il Patto Sociale” della scorsa settimana (n.314) l’autore di queste righe trattava l’incapacità, da qualche settimana, della Corte Costituzionale albanese di deliberare. Nel frattempo anche la Corte Suprema si trova bloccata nella sua attività. Adesso si tenta di “mettere sotto controllo” anche la Corte dei Conti. Dove si va di questo passo?!

    Durante la scorsa settimana è stato denunciato un altro fatto grave. Si tratta dell’accordo tra l’Albania e la Grecia per il confine marino. Un accordo del tutto non trasparente, da parte delle autorità albanesi (Patto Sociale n. 297; 301). La gravità di questo scandalo la svela e la conferma anche una dichiarazione del ministro greco della Difesa del 6 giugno scorso. Lui affermava che la Grecia sta vivendo un “…importante momento storico della storia della nazione”. Lui è altresì convinto che “molto presto” allargheranno le loro acque territoriali, [avranno] “il riconoscimento delle aree economiche esclusive, lo sfruttamento delle risorse sottomarine e il Paese entrerà in una nuova epoca”. Se risultasse tutto vero, per le autorità albanesi si tratterebbe addirittura d’un atto di alto tradimento, come previsto e definito dalla Costituzione e dalle leggi in vigore.

    Sempre durante la scorsa settimana il primo ministro bulgaro, in visita a Tirana, ha dichiarato che “in Albania verrà aperto un Centro di Coordinamento per i combattenti dell’ISIS che rientranno”. Si tratterebbe di un progetto di cui si sta parlando nelle cancellerie europee, come ha fatto sapere anche il noto quotidiano francese “Le Monde”. La reazione pubblica in Albania è stata immediata, mentre manca, come sempre in questi casi, la trasparenza da chi di dovere. Lo scandalo è tuttora in corso e ormai nessuno può fare lo struzzo.

    Chi scrive queste righe, la scorsa settimana, dalle pagine de “Il Patto Sociale” si domandava: “Nel malaugurato caso l’Albania, per volere del presidente, del primo ministro e/o di chi di dovere, possa essere orientata verso un conflitto armato o un qualsiasi altro atto che potrebbe rappresentare alto tradimento, chi lo può stabilire? Perché la Corte Costituzionale non funziona più!”. Forse si sta verificando almeno uno. Egli è altresì convinto che l’Albania, di questo passo, sta andando verso un nuovo regime. Perciò anche la reazione dei cittadini e di chi di dovere deve essere immediata, massiccia e decisa. Perché se no, gli albanesi saranno costretti a rivivere il loro recente passato.

  • Costituzione senza interprete e garante

    L’illegale lo facciamo subito. Per l’anticostituzionale ci vuole un pochino di più.

    Henry Kissinger

    Che la situazione in Albania sia allarmante si sa ormai da un bel po’ di tempo. Lo sanno i cittadini albanesi. Lo sanno anche nelle cancellerie di molti Paesi, che ne constatano le conseguenze. Tra le più problematiche ci sono i traffici illeciti, l’esportazione della criminalità organizzata e l’aumento accentuato dei richiedenti asilo. Lo sanno benissimo anche alcuni alti rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea, nonostante certe loro dichiarazioni pubbliche. Una situazione che si aggrava pericolosamente e quotidianamente, tra l’altro e soprattutto, dalla corruzione capillare e diffusa e dalla connivenza della criminalità organizzata con i più alti livelli del potere politico.

    Ma da qualche settimana a questa parte, la situazione in Albania si è aggravata ulteriormente e molto seriamente. Purtroppo si sta cercando di nascondere questa nuova realtà, le cui ripercussioni potrebbero risultare seriamente problematiche. Chiudere gli occhi e far finta di niente significa contribuire a reggere il gioco pericoloso di coloro che sono i veri responsabili. Significa, tra l’altro, paralizzare delle importanti e vitali funzioni dello Stato e tanto altro.

    Si tratta della Corte Costituzionale albanese. O meglio, e più esplicitamente ancora, si tratta ormai dell’incapacità di questa Corte di deliberare. La ragione: il mancante numero dei giudici costituzionali per raggiungere il quorum necessario previsto dalla legge. La Costituzione albanese prevede che la Corte Costituzionale sia composta da nove membri, nominati con un mandato di nove anni, non rinnovabile. Essi vengono nominati dal Presidente della Repubblica e approvati dal Parlamento. La Costituzione prevede anche che un terzo dei membri della Corte venga rinnovato ogni tre anni.

    Da qualche tempo e per vari motivi, il numero dei giudici della Corte Costituzionale stava diminuendo. Sia per esaurimento del mandato, sia per dimissioni. Questa realtà è stata discussa a più riprese. L’opposizione, gli esperti costituzionalisti e gli analisti politici hanno analizzato la situazione, ne hanno denunciato quanto stava accadendo e quello che poteva succedere, nel caso non si fossero prese le dovute e necessarie misure previste dalla Costituzione e dalle leggi in vigore. Ma nonostante tutto, le istituzioni responsabili non hanno sbloccato questa grave situazione che stava precipitando, fino ad arrivare, nelle ultime settimane, al blocco delle funzioni della Corte Costituzionale. Il colpo di grazia lo ha dato il processo della verifica e della selezione dei giudici, prevista dalla riforma della giustizia. Una riforma che, nonostante le premesse e le “buone intenzioni”, sta bloccando il sistema stesso. E quello che è peggio e molto grave è che il sistema della giustizia sta passando sotto il controllo diretto del primo ministro. Il lettore de “Il Patto Sociale”, dal 2016 in poi, è stato spesso e a tempo debito informato di tutto ciò.

    Sono in tanti, giuristi e costituzionalisti, ad essere convinti che una simile situazione si poteva evitare. Ovviamente, se non ci fosse l’intenzione [nascosta] di arrivare a questo punto. E cioè di bloccare la capacità della Corte Costituzionale di deliberare, con tutte le debite conseguenze. I posti vacanti creati si potevano riempire, senza urtare con quanto prevede anche la riforma della giustizia. Gli specialisti ne hanno spiegato come. Ma coloro che dovevano agire non lo hanno fatto. Avranno avuto le loro “buone ragioni”.

    Adesso l’Albania ha una Costituzione, ma non ha più l’interprete e il garante della Costituzione. E cioè la Corte Costituzionale. Così è stato stabilito dalla Costituzione stessa. Adesso in Albania si possono approvare leggi, come prima, con solo i voti della maggioranza governativa. Ma l’unica istituzione che dovrebbe verificare, interpretare e garantire la loro costituzionalità non si può esprimere più. Le conseguenze di una simile situazione possono essere veramente gravi. Soprattutto se si tiene conto della volontà espressa del primo ministro di controllare tutto e tutti. Gli esempi non solo non mancano, ma, purtroppo, stanno aumentando con il tempo. Adesso il primo ministro può passare ogni legge in Parlamento, quelle previste con una maggioranza semplice. E nel caso ci siano delle violazioni della Costituzione, nessuno può fermare l’attuazione di quelle leggi anticostituzionali. La situazione sta diventando veramente preoccupante.

    Tornando alla Corte Costituzionale, chi verificherà, valuterà e deciderà sulle presunte violazioni delle leggi? Chi valuterà la (mancata) costituzionalità degli accordi presi dalle istituzioni con altre istituzioni? Siano quelle locali e/o internazionali. Chi, in ultima istanza, difenderà i diritti dei cittadini, in tutti i casi previsti dalla Costituzione? Spingendo il ragionamento sull’assurdo, si potrebbe arrivare ad una bizzarra e altresì pericolosa situazione. Nel malaugurato caso l’Albania, per volere del presidente, del primo ministro e/o di chi di dovere, possa essere orientata verso un conflitto armato, o un qualsiasi altro atto che potrebbe rappresentare alto tradimento, chi lo può stabilire? Perché la Corte Costituzionale non funziona più!

    Chi è responsabile di una simile e grave situazione, oltre al primo ministro? Dove sono gli ambasciatori e/o gli “esperti locali e/o internazionali” che hanno assistito e redatto, dall’inizio, la riforma della giustizia? Dove sono adesso tutti coloro che hanno ignorato quanto dicevano gli specialisti dell’opposizione e i più noti giuristi albanesi? Dove sono adesso tutti coloro che hanno ignorato quanto consigliava la Commissione di Venezia (Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto) sulla riforma della giustizia? Arrivando addirittura a “tradurre erroneamente” i testi e oltrepassare le loro responsabilità e diritti istituzionali! Sono diversi i casi evidenziati, dei quali il lettore de “Il Patto Sociale” è stato sempre informato. Perché adesso si nascondono e non hanno il coraggio di assumersi le proprie responsabilità?! Grazie al loro “supporto”, ormai il primo ministro controlla la Procura a tutti i livelli e l’intero sistema della giustizia. Non ha detto una parola però, su quanto sta succedendo con la Corte Costituzionale. Proprio lui, che in ogni sua “esaltazione verbale” si vantava ed elogiava il successo della sua riforma di giustizia. Proprio di quella riforma che ha causato anche questa insolita, unica nel suo genere e allarmante situazione con la Corte Costituzionale oggi, e con la Corte Suprema domani.

    Chi scrive queste righe pensa che questa situazione possa aggravare anche il percorso europeo dell’Albania. Perché quelli che decideranno, nell’Unione europea e nei singoli Stati dell’Unione, sull’apertura dei negoziati con l’Albania, come Paese candidato all’adesione all’Unione europea, non sono i leccapiedi e gli “eunuchi” del primo ministro albanese. Non sono neanche certi rappresentanti diplomatici in Albania e/o alcuni alti rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea.

    Nel frattempo la Costituzione albanese è rimasta senza il suo interprete, il suo garante e il suo guardiano: la Corte Costituzionale. E chissà per quanto tempo?!

     

  • In attesa di Giustizia: purezze opacizzate

    Peculato, che brutta parola non fosse altro che per le assonanze: è – per i non tecnici – l’appropriazione con utilizzo “privato” da parte di un pubblico ufficiale di un bene di cui abbia disponibilità per ragioni del suo ufficio; se l’utilizzo del bene è temporaneo, si definisce “d’uso” e le pene sono significativamente ridotte rispetto al massimo di dieci anni di reclusione per l’ipotesi più grave.

    Due casi clamorosi in una settimana: il primo riguarda il Giudice della Corte Costituzionale Nicolò Zanon che avrebbe consentito l’impiego della sua auto blu alla moglie per trasferimenti che nulla avrebbero a che fare con esigenze istituzionali. Zanon, mostrando una certa sensibilità, ha presentato le dimissioni dalla Corte (respinte), si è – comunque – autosospeso dalle funzioni e messo a disposizione della Magistratura per chiarire i fatti. Fatti modesti, obiettivamente, anche se provati…anche se un gentiluomo che guadagna un migliaio di euro al giorno (lordi, è vero..) potrebbe permettersi di pagare il taxi alla consorte ed anche se rimane oscuro il motivo per cui i Giudici Costituzionali che dispongono di un alloggio prospicente la Corte debbano disporre di una vettura di servizio di cui mantengono il privilegio, autista e manutenzione inclusa, anche una volta cessati dall’incarico. Peculato d’uso, nel caso e Zanon, che è un giurista di alto profilo, oltre che essere accompagnato dalla presunzione di innocenza  merita grande rispetto per come si è comportato.

    Un po’ diverso è il caso di Antonio Ingroia, già Pubblico Ministero del pool antimafia di Palermo, dimissionatosi dalla Magistratura e più volte candidato in differenti tornate elettorali con risultati men che modesti.

    L’uomo, accasatosi come Amministratore della società regionale Sicilia e Servizi si sarebbe autoliquidato rimborsi spese non dovuti ma – soprattutto – un’indennità di risultato pari a 117.000 euro a fronte di un utile di gestione di 33.000. Come dire: con il  generoso bonus riconosciutosi da solo il bravo amministratore ha mandato il bilancio in rosso…e qui la vicenda si fa più intricata per quanto neppure ad Ingroia si possa negare la presunzione di non colpevolezza e sebbene anche con riguardo ai rimborsi spese resta da capire, tra le altre cose, perché alloggiasse in strutture con mai meno di cinque stelle nonostante che la regola generale per i dipendenti pubblici – anche di alto livello – sia quella del limite a quattro per le strutture alberghiere; la Sicilia, però, ha stravaganti normative in materia di indennità e stipendi: il dubbio che in questo caso possa non aver violato la legge è ragionevole in attesa almeno che i suoi ex Colleghi della Procura di Palermo (sul caso ci lavorano in quattro, compreso il Procuratore Capo) concludano le indagini.

    Certo è che i due casi si prestano a valutazioni molto differenti non fosse altro che nel secondo dei due vi sono dei dati contabili acquisiti, stabilizzati in più bilanci di esercizio e che sono originati dallo stesso soggetto che ora deve giustificarli: e i numeri difficilmente mentono. Staremo a vedere:  Ingroia ha sempre voluto offrire di sé l’immagine del cavaliere senza macchia e senza paura ma per ora – pur rispettandone il diritto di difendersi, discolparsi e fors’anche essere assolto –  resta il fatto, ed il lettore può autonomamente fare le sue valutazioni sulla base dei dati forniti, che liquidarsi un premio di produzione per i risultati economici ottenuti di gran lunga superiore agli stessi potrebbe non essere penalmente rilevante ma è eticamente opinabile…e sovviene il pensiero di Pietro Nenni: “a fare a gara tra i puri, trovi sempre uno più puro che ti epura”.

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