costruzioni

  • Dalla Ue 123 milioni di euro alla Tunisia per la costruzione di un ponte ad opera di una ditta cinese

    La Banca europea per gli investimenti (Bei) stanzia un finanziamento di 123 milioni di euro, coperto da garanzia dell’Unione europea (Ue), al progetto del ponte di Biserta, in Tunisia, che si va ad aggiungere a un prestito da 122 milioni di euro della Banca africana allo sviluppo (Afdb). Un impegno congiunto di Bei, Ue, Adb e Stato tunisino per sviluppare le infrastrutture di trasporto del Paese rivierasco. “La firma del contratto di costruzione dà il via ai lavori di costruzione di 38 mesi”, si legge in un comunicato congiunto che sottolinea: “La Banca europea per gli investimenti – la Banca dell’Ue – conferma il proprio sostegno finanziario di 123 milioni di euro (circa 416 milioni di dinari) per la costruzione del nuovo ponte a Biserta, nel nord della Tunisia, in collaborazione con la Banca africana di sviluppo (AfDB) che prevede un finanziamento di 122 milioni di euro e lo Stato tunisino. Sin dal suo avvio nel 2016, questo progetto ha beneficiato del sostegno dell’Ue attraverso una donazione di circa 3 milioni di euro (più di 10 milioni di dinari) destinata agli studi di fattibilità e alla fase di progettazione”.

    L’iniziativa mira a migliorare significativamente la mobilità e la qualità della vita dei residenti della regione. Situato in posizione strategica tra il Lago di Biserta e il Mediterraneo, questo ambizioso progetto mira a costruire un moderno ponte lungo 2,07 chilometri e alto 56 metri, con un budget totale di circa 250 milioni di euro. La firma del contratto di costruzione segna quindi l’inizio dei lavori, con un periodo di costruzione stimato in 38 mesi per il ponte e 27 mesi per le strade e gli svincoli associati. “Questo progetto – prosegue il comunicato – è fondamentale per la città di Biserta, perché mira a convogliare il traffico fuori dal centro cittadino, ridurre l’inquinamento atmosferico e decongestionare il traffico urbano. La costruzione di questo ponte rappresenta un passo importante verso lo sviluppo sostenibile della regione e la preparazione del futuro per le nuove generazioni, riflettendo l’impegno di Bei ed Ue a sostegno delle infrastrutture moderne e sostenibili in Tunisia”.

    Il contratto di costruzione è stato assegnato alla Sichuan Road and Bridge Group (Srbg), selezionata a seguito di una gara internazionale, per un costo di 200 milioni di euro, pari al 79 per cento dell’investimento totale. I lavori prevedono tre fasi, ovvero la realizzazione di un collegamento sud tramite l’autostrada di 4,5 chilometri, la costruzione del ponte principale, e la realizzazione di un collegamento nord e di un’autostrada di 2,5 chilometri. Questa nuova struttura, molto attesa dagli abitanti di Biserta, convoglierà il traffico fuori dal centro cittadino e libererà il transito attraverso il ponte mobile, attualmente utilizzato da più di 44 mila veicoli al giorno. Oltre a razionalizzare il traffico, il progetto sosterrà anche l’attività economica regionale facilitando l’accesso al porto di Biserta e stimolando lo sviluppo locale.

    Marcus Cornaro, ambasciatore dell’Ue in Tunisia, ha dichiarato: “Confermiamo il nostro impegno nella realizzazione di questo progetto strategico che contribuirà a migliorare la vita quotidiana degli abitanti di Biserta e lo sviluppo economico della regione. Attraverso il suo contributo, l’Ue riafferma il proprio impegno a fianco delle istituzioni e dei cittadini tunisini per lo sviluppo sostenibile”. Jean-Luc Revéreault, capo della rappresentanza della Bei in Tunisia ha ribadito che “al di là del suo notevole aspetto tecnico, questo ponte tanto atteso ridurrà il traffico nel centro della città di Biserta e migliora gli scambi economici con la regione del nord-est e la frontiera algerina. Questo risultato riflette il nostro impegno per soluzioni durature e un futuro promettente per i cittadini tunisini”.

  • Ognuno faccia la sua parte

    Chi ha attenzione per il futuro del pianeta ha visto con interesse i pochi ma speriamo concreti passi avanti fatti durante il Cop28 di questi giorni e sono state apprezzate le affermazioni del Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni che si è riferita alla necessità di uno sviluppo sostenibile e di un ambiente da difendere.

    È proprio tornando in Italia che dobbiamo chiedere al premier come pensa di intervenire per impedire che siano nuovamente usati, sia nelle nuove costruzioni che nelle ristrutturazioni, materiali che sono a rischio incendio, che sono nocivi per la salute e pericolosi.

    La recente, e deprecabile, vicenda del 110%, per mancanza di leggi chiare, ha consentito che per una gran parte delle case, alle quali è stato fatto il “cappotto”, sono stati usati pannelli pericolosi e a rischio combustione, come dimostra quello che è avvenuto recentemente a Roma con la conseguenza che decine di persone sono rimaste senza abitazione e che tutta la zona è stata inquinata dai fumi.

    Una delle prime leggi che il governo dovrebbe immediatamente varare è proprio quella che impedisca nell’edilizia l’uso di materiali insicuri, inquinanti, pericolosi e nocivi. Un capitolato certo che, se non rispettato, sanzioni in modo efficace chi ha tradito la fiducia e violato la legge.

    L’ambiente, l’ecosistema si tutelano dalle foreste amazzoniche alle costruzioni di casa nostra, dalla cura del verde pubblico al riutilizzo di quanto è possibile riciclare, ognuno faccia la sua parte e il governo, senza essere inutilmente vessatorio con elefantiache e sterili burocrazie, produca leggi chiare e ne controlli il rispetto.

  • Webuild compra asset di Clough, punta sull’Australia

    Dopo lunghi mesi di trattative, Webuild ha acquistato gli asset aziendali di Clough, tra le principali aziende ingegneristiche dell’Australia, fondata a Perth nel 1919.

    Il perimetro dell’acquisizione, avvenuta per 23,4 milioni visto l’importante riassetto finanziario del quale necessita il gruppo australiano, include l’organizzazione centrale di Clough, compresi uffici, brand, credenziali, qualifiche, senior management, personale di sede e oltre 4 miliardi di progetti nel ‘backlog’ a fine 2022, con la relativa forza lavoro. L’integrazione di Clough in Webuild, che garantisce la continuità dei progetti e la salvaguarda di 1.100 dipendenti, creerà un gruppo tra i maggiori player in Australia. I progetti inclusi nel perimetro di acquisizione sono tra le più importanti infrastrutture in corso di realizzazione in Australia e Papua Nuova Guinea. Webuild va così verso i 10 miliardi di fatturato, entra nella Difesa e con Clough, che diventa piattaforma del gruppo italiano in Australia, i dipendenti nel Paese oceanico salgono a circa 3mila.

    “Questa è un’operazione storica per Webuild, che consolida la strategia di crescita in mercati a basso rischio, in linea con la politica di derisking adottata negli ultimi anni”, commenta l’amministratore delegato di Webuild, Pietro Salini. «Con l’integrazione di Clough diventiamo uno dei maggiori player del settore, anche in segmenti limitrofi come energia, impianti e infrastrutture per la difesa, in un mercato in forte crescita e in continua espansione”, conclude Salini.

  • Risposte

    Alcuni organi di stampa hanno sottolineato l’interesse della Commissione europea a finanziare quanto necessario per poter partire con l’edificazione del famoso ponte sullo Stretto, opera sulla quale vi sono da anni pareri contrastanti.

    Il Ministro Salvini, appena entrato in carica, ha fatto del ponte sullo Stretto di Messina la bandiera del suo dicastero e ne rivendica l’assoluta priorità rispetto ad altre opere che sarebbero assolutamente urgenti per il sud Italia e per la Sicilia, dalle strade alle ferrovie.

    Fatta questa premessa chiediamo al Ministro, ora che la legge di bilancio è stata approvata, cosa intende fare per i troppi cantieri non finiti e le opere abbandonate che ci sono sul territorio italiano.

    Conosciamo i dati forniti nell’aggiornamento pubblicato dall’allora Ministro Giovannini: 410 opere incompiute costate 2,5 miliardi mentre ultimare dighe, ponti, scuole etc costerebbe ancora più di due miliardi ma non sappiamo cosa, e in che tempi, intenda fare il Ministro Salvini.

    Opere da finire, o da demolire se non sono più necessarie, ma l’Italia non può restare con centinaia di cantieri dismessi e di piccoli e grandi ecomostri.

    Anche i candidati presidenti per le prossime elezioni regionali dovrebbero assumersi impegni concreti, con il ministero ed i cittadini, per quanto è di loro competenza.

    Scandalo nello scandalo, delle opere iniziate e non finite, è il vertiginoso costo già fatto e quello che ancora andrebbe fatto per ultimarle.

    Sperare in qualche risposta è così velleitario o è velleitario, scorretto, dannoso, parlare di nuove opere  senza aver finito è neppure programmato di finire le vecchie?

  • Un po’ meno burocrazia: per le vetrate sui balconi non serve più il permesso

    Novità in arrivo per le verande. Le vetrate scorrevoli, amovibili e totalmente trasparenti, in grado di ridurre la dispersione termica e favorire il risparmio energetico, rientreranno d’ora in poi nell’edilizia libera, e potranno quindi essere realizzate senza alcun titolo abilitativo, certificazione o autorizzazione. La semplificazione arriva nel decreto Aiuti bis che ha appena ottenuto il via libera definitivo del Senato e si appresta a diventare legge.

    Ad essere inseriti tra le attività di edilizia libera previste dal Testo unico sull’edilizia saranno sono le cosiddette Vepa, le vetrate panoramiche, “dirette ad assolvere funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici, miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, riduzione delle dispersioni termiche, di parziale impermeabilizzazione delle acque meteoriche, dei balconi aggettanti dal corpo dell’edificio o di logge rientranti all’interno dell’edificio. Purché – viene specificato – tali elementi non configurino spazi stabilmente chiusi con conseguente reazione di volumi e di superfici”. Non dovrà insomma essere creata “nuova volumetria” e non si potrà comportare “il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile”. Il profilo estetico dovrà essere preservato in modo da “ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e da non modificare le preesistenti linee architettoniche”.

    La semplificazione arriva proprio mentre scoppia l’ennesima polemica sul Superbonus, stavolta senza l’intervento però dei partiti politici. L’oggetto del contendere è il video che Deloitte, che gestisce la cessione del credito per conto di alcune banche, ha chiesto ai tecnici asseveratori per illustrare rapidamente i lavori effettuati. Una prova ‘anti-frode’, secondo i diretti interessati, che però ha suscitato le proteste proprio dei tecnici, degli architetti e degli ingegneri. L’Oice aderente a Confindustria l’ha definita “un’ulteriore inutile incombenza a carico dei professionisti”, mentre gli architetti si dicono ‘sconcertati’ per la pretesa di un adempimento “non obbligatorio e non richiesto dalla normativa”. I periti industriali non usano mezzi termini e parlano di ‘Grande fratello’.

  • Come si inquadra l’attestazione dello stato legittimo degli immobili nell’ambito del superbonus edilizio al 110%

    Per effetto dell’introduzione del co. 13-ter nell’art. 119 del DL 34/2020 ad opera dell’art. 33 del DL 77/2021, gli interventi relativi al 110%, anche qualora riguardino le parti strutturali degli edifici o i prospetti, con la sola eccezione di quelli effettuati in un contesto di demolizione e ricostruzione dell’edificio, vengono considerati alla stregua di interventi di manutenzione straordinaria, per la cui autorizzazione è sufficiente la CILA (comunicazione di inizio lavori asseverata).

    La disposizione ha come obiettivo il superamento dell’attestazione dello stato legittimo degli immobili di cui all’art. 9-bis co. 1-bis del DPR 380/2001, posto che va a esplicitare che “la presentazione della CILA non richiede l’attestazione di stato legittimo” di cui al richiamato art. 9-bis.

    Nella CILA sono attestati gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile oggetto d’intervento o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione ovvero è attestato che la costruzione è stata completata in data antecedente all’1.9.67.

    Ad una prima lettura della norma ancorata esclusivamente all’art. 119 co. 13-ter del DL 34/2020, la decadenza del superbonus al 110% potrà aversi “esclusivamente nei seguenti casi “:

    • mancata presentazione della CILA;
    • realizzo di interventi difformi rispetto a quelli oggetto della CILA appositamente presentata;
    • assenza, nella CILA, dell’attestazione degli estremi del titolo abilitativo di costruzione dell’immobile, oppure degli estremi del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione, oppure del fatto che la costruzione dell’immobile è stata completata ante 1.9.67;
    • non corrispondenza al vero delle attestazioni di cui al co. 14 dell’art. 119 del DL 34/2020, ossia delle attestazioni che devono essere rese da tecnici abilitati, sui requisiti degli interventi di efficienza energetica e degli interventi di miglioramento sismico, nonché sulla congruità dei relativi costi, per poter beneficiare del superbonus al 110% sulle spese.

    Nel successivo comma 13-quater, tuttavia, il legislatore si è preoccupato di specificare che, fermo restando quanto previsto al co. 13-ter, resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell’immobile oggetto di intervento.

    Dunque gli interventi col superbonus non hanno alcun effetto di sanatoria sugli abusi edilizi esistenti prima dell’intervento.

    Quella clausola di riserva espressamente inserita dal predetto comma 13-quater ha confermato apertamente la possibilità di verifiche dello Stato legittimo in qualsiasi momento: immediatamente dopo la presentazione della CILA e prima dell’effettivo inizio dei lavori; durante lo svolgimento del cantiere “Superbonus 110”; e anche dopo la sua fine lavori. Queste verifiche potranno anche riguardare non solo gli aspetti puramente urbanistico edilizi, solitamente individuati con pratiche comunali, ma anche ogni altra normativa speciale e di settore (es. antisismica, paesaggistica, vincoli, ecc).

    Ritorna, allora, più attuale che mai, il rimando all’art. 49 del Testo Unico Edilizia che prevede una generale decadenza dalle agevolazioni fiscali in caso di violazioni edilizie. Decadenza che non viene affatto sanata, per quanto in precedenza argomentato, dall’art. 119 del DL 34/2020 che non deroga, in alcun modo, alla disciplina generale del TUE il cui tenore non lascia spazio a differenti interpretazioni: “Fatte salve le sanzioni di cui al presente titolo, gli interventi abusivi realizzati in assenza di titolo o in contrasto con lo stesso, ovvero sulla base di un titolo successivamente annullato, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti, né di contributi o altre provvidenze dello Stato o di enti pubblici. Il contrasto deve riguardare violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che eccedano per singola unità immobiliare il due per cento delle misure prescritte, ovvero il mancato rispetto delle destinazioni e degli allineamenti indicati nel programma di fabbricazione, nel piano regolatore generale e nei piani particolareggiati di esecuzione”.

    Il problema di chiarire che non sussistano difformità è quindi comune a tutti i tipi di detrazione per recupero del patrimonio edilizio, non solo a quelle del superbonus 110%, e non può essere aggirato nemmeno tramite lo sconto in fattura o la cessione del credito che non liberano il primo cedente nel caso in cui il credito venisse successivamente disconosciuto a seguito di controlli da parte dell’ADE. (in senso conforme la circolare n. 24 del 2020).

    Nemmeno l’anzianità degli immobili può consentirci deroghe alla normativa sin qui analizzata, posto che l’art. 9-bis del TUE, che disciplina la documentazione amministrativa e lo stato legittimo degli immobili, risulta applicabile anche ai fabbricati realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio.

  • Autostrade: la sintesi vergognosa tra politica e “prenditori”

    Le frasi ironiche estrapolate dalle conversazioni dell’attuale presidente di Edizioni Holding Mion con i vertici di Autostrade in relazione alla felicità dei Benetton, i quali traevano maggiori profitti dalla minore manutenzione, lascia allibiti per la qualità umana dei protagonisti. Dimostra, ora in modo inequivocabile, quello che una volta poteva essere semplicemente ipotizzato, il vergognoso spessore culturale ed etico di questa famiglia di “prenditori” del nord est trasformatasi in semplici esattori.

    Contemporaneamente non solo il Re è Nudo ma anche l’impero brucia. In questo vergognoso scambio di valutazioni tra questi biechi personaggi che agivano in nome e per conto della famiglia trevisana viene contemporaneamente messa a nudo quella dottrina politico-economica degli anni ‘90 che i governi Prodi, D’Alema e Berlusconi, con i loro ministri economici, hanno portato avanti.

    La storia, infatti, testimonia come l’intera classe politica, accademica e dei media appoggiasse tutta unita la cessione di monopoli infrastrutturali come autostrade e successivamente Telecom Tim a soggetti privati con la già risibile allora motivazione legata ad una ricerca dell'”efficentamento” e finalizzata “al miglioramento del servizio” per l’utenza. Obiettivi raggiungibili secondo questa dottrina politica tutta italiana solo con un sano spirito imprenditoriale privato.

    Allora come oggi la privatizzazione di un servizio indivisibile come autostrade è essenzialmente la donazione ad un concessionario privato per il quale il concetto di efficientamento rappresenta una clamorosa menzogna in quanto il monopolio rimane tale.

    La Germania e la Svizzera dimostrano, invece, come un’infrastruttura fisica ed indivisibile non possa essere soggetta alla concorrenza e quindi un semplice trasferimento di un monopolio da pubblico a privato non possa assicurare alcun efficientamento. Come logica conseguenza delle strategie economiche di questi due paesi, che certamente non fanno parte dell’area socialista, all’interno di un sistema economico la gestione pubblica diventa un fattore fondamentale nella crescita della competitività dell’intero sistema nazionale. In Italia, viceversa, la gestione di un servizio indivisibile diventa un’occasione speculativa offerta dalla politica ad un’imprenditoria incapace ormai di reggere il confronto con il mondo globale.

    Si rimane comunque basiti di fronte a questa insensibilità dimostrata dai manager scelti su mandato dell’azionista e per perseguire gli obiettivi economici indicati dall’azionista di riferimento.

    Una povertà morale, umana ed etica dimostrata in questa vicenda drammatica dal gruppo trevisano nella sua articolata complessità nella quale, si ricorda, sono decedute quarantatré (43) persone solo ed esclusivamente per responsabilità della mancata manutenzione.

    Una scelta speculativa ed irresponsabile che però assicurava un extra dividendo all’azionista. Vergognatevi.

  • Webuild chiude l’acquisizione di Astaldi

    Webuild ha chiuso l’acquisizione del 65% Astaldi, dando vita a un gruppo leader sul mercato italiano e tra i principali player internazionali, con un portafoglio ordini di oltre 40 miliardi di euro e 70.000 dipendenti tra diretti e indiretti. Si concretizza così quella che la stessa Webuild, con le parole dell’ad, Pietro Salini, definisce “la più rilevante operazione di sistema in Progetto Italia”, il nuovo polo delle costruzioni del Paese, a due anni dalla prima offerta manifestata al Tribunale di Roma per l’acquisizione.

    “È un momento di grande soddisfazione per il gruppo e l’avvio di un percorso per un polo più grande e competitivo che ci fa guardare con ottimismo al futuro del settore in Italia” ha commentato Salini. Progetto Italia “si conferma un’operazione industriale di rilancio del Sistema Paese – ha aggiunto il presidente del gruppo, Donato Iacovone – un nuovo modello industriale che può essere replicato anche in altri settori, come risposta alla durissima crisi economica che l’Italia, ma anche l’Europa, sta vivendo con la pandemia”. Astaldi, che aveva visto inizialmente il titolo volare in Borsa ha chiuso debole (-0,29% a 0,34 euro) e Webuild ha guadagnato (+3,17% a 1,02 euro).

    L’operazione, come da concordato, è stata perfezionata con un aumento di capitale per cassa in Astaldi di 225 milioni di euro, riservato a Webuild, destinato in parte al pagamento dei debiti privilegiati e prededucibili e in parte a servizio del piano di continuità. Un passo che Webuild ha finanziato con la liquidità derivante dall’aumento di capitale interamente sottoscritto e versato a novembre 2019, da parte di Salini Costruttori, Cdp Equity, Banco Bpm, Intesa Sanpaolo, UniCredit e altri investitori istituzionali.  “Un significativo pool di investitori qualificati – ha evidenziato Salini – tra cui l’imprenditore Leonardo Del Vecchio, che hanno creduto in un’iniziativa che solo un anno fa sembrava pioneristica e che invece diventa realtà”. “Sarà anche un passo fondamentale – ha detto il ceo di Unicredit, Jean Pierre Mustier – a supporto del piano di sviluppo infrastrutturale promosso dal governo per dare impulso all’economia italiana”. “Fin dall’inizio – ha sottolineato il ceo e consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina – abbiamo voluto sostenere Progetto Italia, certi che ciò avrebbe consentito la messa in sicurezza di tutta la filiera e favorito nuove opportunità in termini di posti di lavoro, soprattutto per i nostri giovani”.

    Il gruppo, che realizza grandi infrastrutture complesse per mobilità sostenibile, energia idroelettrica, acqua e green building, ha inoltre l’ambizione di contribuire all’avanzamento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) dell’Onu e alla lotta ai cambiamenti climatici. “Sentiamo il dovere – ha concluso Salini – di modernizzare il Paese, sbloccando e avviando nuovi progetti in un’ottica di sostenibilità della crescita di lungo periodo, anche grazie alla straordinaria occasione dei fondi europei. Un dovere che diventa vera e propria urgenza soprattutto in questo periodo, in funzione anticiclica, per rilanciare l’economia post pandemia e dare lavoro e una nuova speranza ai giovani”.

  • Il Wwf paventa cemento su un’area 2,5 volte più grande di Roma

    Avanza la cementificazione in Italia e, secondo le stime più ottimistiche, il rischio è che, nei soli prossimi 30 anni, al 2050, le aree urbanizzate, dove già vive più di un terzo della popolazione, divorino altri 800 chilometri quadrati di aree libere, pari a un’area due volte e mezzo Roma. Questo quanto emerge nel rapporto ‘Natura urbana 2020’ del Wwf pubblicato alla vigilia della ‘Festa della Natura in Città’.

    Le previsioni (elaborate su dati Ispra dal gruppo di ricerca dell’Università dell’Aquila che da anni lavora col Wwf) parlano anche di assedio dei Siti Natura 2000 (quelli tutelati dall’Ue) con il rischio di cancellare quasi altri 10.000 ettari di pregio, considerando che sono già 140mila gli ettari delle aree buffer dei siti comunitari già urbanizzate in tutte le aree del Paese.

    “Durante il lockdown – scrive il Wwf nel rapporto dal titolo ‘Safe Cities in armonia con la Natura: per città più verdi, più sane e più sicure’ – paradossalmente abbiamo apprezzato l’importanza della natura che ha bussato alle porte delle nostre città e con cui conviviamo nei nostri centri urbani e abbiamo capito l’importanza di fare scelte per vivere in Safe Cities, in aree urbane che siano sane, sicure e in armonia con la natura”.

    Ma le previsioni, appunto, “dimostrano che c’è ancora molto da fare”. Il Wwf chiede dunque, dati alla mano, azioni urgenti e non più rinviabili per “riprogettare le nostre città, realizzando piani e progetti di trasformazione e rigenerazione urbana che diano più spazio alla natura, garantendo, già da ora, la resilienza dei sistemi naturali e, nelle città attraversate dai corsi d’acqua, interventi realizzati con ‘nature based solutions'”. In tal senso il gruppo di ricerca dell’Università dell’Aquila coordinato dal professor Bernardino Romano, oltre a fornire le stime sull’espansione urbana, ricorda anche che negli ultimi 50 anni negli ambiti fluviali si è consumato suolo per circa 2mila Kmq, l’equivalente di 310mila campi di calcio.

    “Ora – dice il Wwf – è il momento delle scelte”. E nel rapporto ‘Natura urbana’ l’associazione avanza proposte concrete ad amministratori pubblici e ai cittadini, fornendo esempi virtuosi già realizzati e soluzioni di frontiera da tutto il mondo e dalle varie parti d’Italia, e che sono illustrati da 18 esperti che hanno risposto alla chiamata del Wwf. Nel mondo, storia di successo è la sfida lanciata dal Wwf internazionale “One Planet City Challange” che ha raccolto l’adesione di 600 città che stanno già facendo scelte sostenibili per contenere i cambiamenti climatici. Guardando all’Italia, a Milano si sta intervenendo per la realizzazione del nuovo parco urbano del Giambellino 129, nell’ambito del piano di rigenerazione del quartiere Lorenteggio; per il rinverdimento della fermata ferroviaria Tibaldi nella zona sud della città; e con un diffuso progetto di pareti e tetti verdi in tutta l’area urbana. Altro punto qualificante sono le ‘città agricole’. Lo segnala Davide Marino, professore associato di Economia ed Estimo Rurale all’Università del Molise, che richiama, tra l’altro, l’esempio del Parco di Casal del Marmo a Roma. Nel Rapporto del Wwf anche la tutela e la riqualificazione del lago naturale dell’area ex Snia Viscosa nel quartiere Pigneto-Prenestino di Roma dove sono state censite 80 diverse specie di uccelli, il Parco della Salute nei pressi di Porta Felice a Palermo e la realizzazione del Parco Alex Langer a Rovigo con la riqualificazione di un’area boschiva di 7 ettari.

  • Allarme dei costruttori: città condannate al degrado

    Una “politica demagogica e irresponsabile” che rischia di abbandonare le città al declino, lasciandole “diventare cimiteri”. Sono parole pesanti quelle usate dal presidente dell’Associazione nazionale dei costruttori, Gabriele Buia. Accuse rivolte al governo che nel decreto Semplificazioni ha inserito “un paradosso”. Provvedimento che, sottolinea il numero uno dell’Ance, “ci aspettavamo che andasse verso la direzione della rigenerazione urbana. Ma poi cosa vediamo? Vincoli a livello nazionale che impattano in maniera differenziata e problematica”. Il riferimento va al testo stesso del dl ma anche ai tentativi parlamentari di mediazione che non soddisfano le imprese del settore.

    Si tratta di un nodo politico che agita anche la maggioranza. L’articolo in questione è il 10 e mira, come è scritto in capo allo stesso articolo, a “semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese”, assicurando “il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana”. Insomma si tratta di sburocratizzare anche per consentire l’adeguamento energetico degli edifici e la loro messa in sicurezza. Tenendo conto che, come ha certificato il Consiglio Nazionale degli Architetti e della Rete Professioni Tecniche, quasi la metà degli edifici, il 45%, ovvero 5,2 milioni, ha più di 50 anni.

    Già nel testo si vanno a porre dei paletti agli interventi di demolizione e ricostruzione nelle cosiddette “zone omogenee A”, grossomodo coincidenti con i centri storici. Ma i confini di queste aree a seconda del Comune variano. E in città come Roma risultano particolarmente estese. Ci sono emendamenti dem che puntano a rimuovere questi paletti ed emendamenti Leu di senso opposto. La riformulazione fatta sulle proposte di Liberi e Uguali non convince tutta la maggioranza. E tanto meno le aziende. “Significherà bloccare tutte le città e condannarle al degrado”, attacca il presidente dell’Ance”. Perché, spiega, Buia, “non si potranno toccare neanche edifici degli anni ‘50 o ‘60 che magari si potrebbero demolire perché non belli, inquinanti e spesso insicuri”. Posto che le norme in questione “non toccano”, tiene a precisare l’associazione dei costruttori, “edifici storici, culturali o che denotano un tessuto storico consolidato. Lì ci sono altri strumenti come il restauro, il restauro conservativo”.

    L’argomento sarà affrontato dalle commissioni Affari Costituzionali e Lavori pubblici del Senato e poi in aula. Venerdì 27 agosto le votazioni si sono protratte nella notte e gran parte degli emendamenti è stata sfrondata. C’è stata, infatti, un’accelerazione nell’ultima seduta delle commissioni, che per il Governo seguendo il sottosegretario ai Trasporti e alle Infrastrutture, Salvatore Margiotta. Il clima tra maggioranza e opposizione si fa quindi collaborativo, con l’accoglimento anche di diversi emendamenti della minoranza. Tra gli ultimi approvati anche quello a firma Lega che estende su tutto il territorio nazionale i finanziamenti agevolati per i giovani agricoltori. Sempre il 28 è passata la proposta del Pd che elimina i blocchi ai mezzi con targa straniera guidati dai frontalieri italiani.

    Intanto scoppiano scintille tra Italia Viva e il Partito democratico sull’ammodernamento degli stadi. Il leader di Iv, Matteo Renzi, che ha presentato un emendamento a riguardo, per eliminare i poteri delle soprintendenze, lamenta come i colleghi di maggioranza stiano sul punto “tergiversando”. Replica a stretto giro la senatrice dem, Caterina Biti, sostenendo che la proposta dai lei fatta sullo stesso tema è “tecnicamente inattaccabile”. Renzi invece si dice sicuro che “l’emendamento del M5s contro l’aeroporto di Firenze non passa”. Si tratta dell’emendamento, per ora accantonato, del senatore pentastellato Gianluca Ferrara, che introduce per i lavori di ampliamento anche l’obbligo di Vas, la valutazione ambientale strategica.

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