Covid

  • Dal Covid ad oggi la speculazione trova nuova forza

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    L’anno successivo al covid gli utenti hanno conosciuto la speculazione energetica basata sulle quotazioni del gas (materia prima oggetto delle sanzioni europee contro la Russia di Putin) alla borsa olandese nata, secondo la “dotta” strategia della UE, per offrire un maggiore peso all’euro nelle transazioni energetiche.

    Questa situazione prettamente finanziaria ha determinato per le imprese fornirci di energia l’esplosione di fatturato ed utili senza precedenti. Prova ne è che la Spagna ha fissato il price cap a quaranta euro ed introdotto con successo una extra tassazione straordinaria in ragione degli effetti della speculazione energetica sui fatturati delle imprese erogatrici.

    Da allora in Italia, pur essendo passati quasi quattro anni, un’altra volta i medesimi consumatori si trovano all’interno di una ulteriore speculazione ancora più ingiustificata. A fronte di una strutturale diminuzione del prezzo del gas, ora quotato circa 23 euro a megawattora contro i 340 del periodo successivo al covid ed in piena crisi russo-ucraina, le bollette arrivate in tutta Italia rappresentano l’espressione cristallina di un oligopolio di matrice sudamericana con rincari che arrivano al 300%.

    Questa gestione eversiva nell’approvvigionamento per le famiglie italiane trova oggi, come in passato, l’approvazione di tutti i governi che si sono alternati alla guida del Paese, nessuno escluso, negli ultimi decenni. Ogni compagine governativa ha omesso di operare a favore delle imprese e delle famiglie italiane mantenendo una posizione servile e mercenaria nei confronti delle grandi aziende fornitrici di energia in mano ormai a fondi privati stranieri. Lo scenario, infatti, era già chiaro nel maggio 2023 ed evidenzia il diverso destino industriale e delle famiglie tra gli stessi partner dell’Unione Europea (https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-diverso-destino-di-italia-e-francia/).

    Non soddisfatti, poi, si è pensato bene nel 2024 di aumentare di 17 punti l’Iva applicata nelle bollette (togliendo lo sconto introdotto dal governo Draghi) e, per chiudere il cerchio, con l’approvazione di una imbarazzante interpretazione della dottrina liberale, sono state eliminate le tariffe tutelate.

    Ricapitolando, grazie all’azione combinata di tutti i governi negli ultimi trent’anni la situazione risulta ormai decisamente insostenibile anche sotto il profilo della credibilità istituzionale oltre che della tenuta istituzionale. Non trova alcuna giustificazione, infatti, il fatto che nessun governo e partito si sia adoperato per introdurre, a fronte della scadenza del contratto di fornitura energetica, l’obbligo di proporne il rinnovo la cui operatività scattasse con l’ottenimento del consenso del consumatore. Si è preferito lasciare mano libera alle aziende di praticare la tariffa più alta possibile non appena il contratto di fornitura avesse raggiunto la scadenza.

    In più, quando scade un contratto tra due contraenti ed in attesa della stipula di un secondo da rendere operativo, dovrebbero nel frattempo rimanere in vigore le condizioni precedenti con la possibilità di aumenti legati all’andamento delle quotazioni internazionali.

    Desta, poi, un certo ribrezzo sentire ancora oggi qualche esperto di dottrina liberale giustificare questa apocalisse energetica come la applicazione del concetto il libero mercato. Una tesi talmente insostenibile e che esprime competenze precedenti alla caduta del muro di Berlino in quanto all’interno di un reale libero mercato tutti i soggetti dovrebbero venire sottoposti ai medesimi obblighi contrattuali.

    In Italia, viceversa, la politica, nella sua più variegata espressione, ha sempre favorito in modo indecente le società energetiche rendendo i cittadini a quel “parco buoi” con i quali la speculazione finanziaria indica i piccoli risparmiatori.

    La paura di una degenerazione atomica del conflitto russo ucraino trova la sua prima applicazione nel mercato energetico nazionale le cui vittime sono rappresentate dai consumatori italiani.

  • Usare la mascherina non è una diminuzione ma un gesto di responsabilità

    Il covid ha ripreso a correre, in tutto il mondo e perciò anche in Italia, nonostante il silenzio stampa che qualcuno ha imposto o suggerito.

    Non facciamo allarmismi ma torniamo, finché c’è tempo, a ricordare a tutti le precauzioni che vanno prese e che qualche medico assennato ha cercato di dire, in una generale indifferenza.

    Qualche genio della politica ha detto che è inutile ricordare agli italiani l’uso della mascherina perché ormai lo sanno…. Non commento perché la stupidità dell’affermazione è evidente.

    Per questo, mentre la campagna vaccinale va al rilento, vogliamo rivolgere un appello a tutti i nostri lettori: quando siete in un luogo aperto al pubblico usate la mascherina FFP2 ed anche all’aperto, se c’è assembramento come avviene nelle ore di punta e nei mercatini di Natale, usatela sui mezzi pubblici, anche se non è obbligatorio, e quando incontrate persone fragili o qualcuno che ha il raffreddore, usatela anche se siete voi ad averlo.

    Usare la mascherina non è una diminuzione, ed in inverno non è neppure un fastidio.

    Negli Stati Uniti i centri per il controllo e la prevenzione delle malattie hanno ribadito l’importanza di prendere tutte le precauzioni possibili perché i virus respiratori, oltre al Covid, sono in aumento, e i contagi in questi giorni hanno registrato 15.000 ricoveri ospedalieri giornalieri e 1.000 decessi alla settimana mentre da noi, e la percentuale va fatta sul numero di abitanti, i decessi settimanali sono intorno ai 300, molti di più perciò, in percentuale, che negli Stati Uniti.

    Usare le mascherine, arieggiare spesse i locali chiusi, lavarsi e disinfettarsi le mani, fare il tampone quando si hanno sintomi di raffreddamento sono le minime precauzioni che dobbiamo prendere, per noi stessi e per gli altri.

  • Secondo il “Washington Post” la Cina ha sfruttato la pandemia per raccogliere dati genetici a livello mondiale

    Le agenzie d’intelligence occidentali temono che la Cina abbia sfruttato la pandemia di Covid-19 per raccogliere una vasta mole di dati sul genoma umano a livello mondiale, da sfruttare per ottenere un vantaggio nella “corsa alle armi genetica” con gli Stati Uniti. Lo scrive il Washington Post, che ricorda come durante la pandemia Pechino abbia inviato aiuti a numerosi Paesi sotto forma dei sofisticati laboratori portatili di analisi genetica “Fire-Eye”. Il primo Paese a ricevere uno di questi laboratori, alla fine del 2021, fu la Serbia. Oltre a rilevare le infezioni da coronavirus tramite l’analisi di frammenti del virus, il laboratorio portatile sviluppato dalla Cina è in grado di svolgere complesse analisi del genoma umano, come vantato dai suoi sviluppatori: per questa ragione, l’arrivo di un esemplare del laboratorio Fire-Eye venne accolto con entusiasmo dalle autorità di Belgrado, che vantarono in quell’occasione di disporre “del più avanzato sistema di medicina e generica di precisione nella regione”.

    Nel corso della pandemia, Pechino ha donato o venduto laboratori analoghi a numerosi altri Paesi, e ora, secondo il WP, diversi analisti sospettano che la generosità della Cina sia parte di un tentativo di attingere a nuove fonti di dati genetici umani di alto valore in tutto il mondo. Si tratterebbe di uno sforzo intrapreso da Pechino da oltre un decennio ricorrendo a diversi metodi, che includerebbero anche l’acquisizione di società statunitensi del settore e una serie di operazioni di pirateria informatica. La pandemia avrebbe offerto ad aziende e istituti cinesi l’opportunità di distribuire strumenti per il sequenziamento del Dna umano in aree del Globo dove in precedenza Pechino aveva accesso limitato o nullo. I laboratori Fire-Eye si sono diffusi infatti in almeno quattro continenti e in più di 20 Paesi, inclusi Canada, Lituania, Arabia Saudita, Etiopia, Sudafrica e Australia. In diversi Paesi, come la già citata Serbia, i laboratori portatili si sono trasformati in centri di analisi genetica permanenti.

    Liu Pengyu, un portavoce dell’ambasciata cinese a Washington, interpellato dal Washington Post ha negato categoricamente che Pechino possa aver avuto accesso ai dati genetici raccolti dai laboratori di sua produzione, evidenziando che oltre ad assistere i Paesi beneficiari nel contrasto alla pandemia, i laboratori donati e venduti dalla Cina stanno fornendo assistenza cruciale nello screening di altre malattie, incluso il tumore. L’azienda con sede a Shenzhen che produce i Fire-Eye, Bgi Group, sostiene di non avere accesso ai dati raccolti dai suoi laboratori portatili. Fonti statunitensi consultate dal quotidiano affermano però che Bgi sia stata selezionata da Pechino per edificare e gestire la China National GeneBank, un vasto archivio governativo dei dati genetici raccolti dalla Cina, che includerebbe già dati e profili genomici di milioni di individui di tutto il mondo. Lo scorso anno il Pentagono ha inserito Bgi nella lista delle “aziende militari cinesi” operanti negli Stati Uniti, e nel 2021 l’intelligence Usa ha stabilito che l’azienda sia legata allo sforzo globale del governo cinese teso a ottenere informazioni sul genoma umano a livello mondiale, anche negli Stati Uniti.

  • Covid Italia: in un mese casi quintuplicati e morti raddoppiati

    Tornano a crescere i numeri del Covid in Italia. Come rilevato dai dati del monitoraggio settimanale condotto dalla Fondazione Gimbe, dopo un periodo di stabilità da quattro  settimane consecutive si rileva una progressiva ripresa della circolazione virale. Dalla settimana 10-16 agosto a quella 7-13 settembre, infatti, il numero dei nuovi casi settimanali è quasi quintuplicato, passando da 5.889 a 30.777, il tasso di positività dei tamponi è aumentato dal 6,4% al 14,9%, l’incidenza è passata da 6 casi a 52 per 100mila abitanti. Ma nelle ultime 4 settimane si registra anche un numero di decessi più che raddoppiato. I ricoveri in area medica, inoltre, dal minimo (697) raggiunto il 16 luglio ad oggi sono più che triplicati (2.378), mentre in terapia intensiva dal minimo (18) del 21 luglio sono saliti a quota 76.

    “Numeri sì bassi – commenta Nino Cartabellotta, presidente Gimbe – ma anche ampiamente sottostimati rispetto al reale impatto della circolazione virale perché il sistema di monitoraggio, in particolare dopo l’abrogazione dell’obbligo di isolamento per i soggetti positivi con il Dl 105/2023, di fatto poggia in larga misura su base volontaria. Infatti, da un lato la prescrizione di tamponi nelle persone con sintomi respiratori è ormai residuale (undertesting), dall’altro con l’ampio uso dei test antigenici fai-da-te la positività viene comunicata solo occasionalmente ai servizi epidemiologici (underreporting)”.

    Secondo Gimbe, nelle ultime 4 settimane la circolazione virale risulta aumentata in tutte le Regioni e Province autonome.L’ultimo aggiornamento nazionale dei dati della Sorveglianza integrata Covid-19 dell’Istituto superiore di sanità (Iss), rispetto alla distribuzione per fasce di età, fatta eccezione per la fascia 0-9 anni in cui si registrano 22 casi per 100mila abitanti, parla di incidenza aumentata progressivamente con le decadi: da 10 casi per 100mila abitanti nella fascia 10-19 anni a 78 nella fascia 70-89 anni, fino a 83 negli over 90.

    Per quanto riguarda i ricoveri in area medica, dopo aver raggiunto il minimo (697) il 16 luglio, i posti letto occupati in area medica sono più che triplicati (2.378), mentre in terapia intensiva dal minimo (18) del 21 luglio sono saliti a quota 76. Rispettivamente i tassi nazionali di occupazione sono del 3,8% e dello 0,9%. “Se in intensiva – spiega Cartabellotta – i numeri sono veramente esigui dimostrando che oggi l’infezione da Sars-CoV-2 solo raramente determina quadri severi, l’incremento dei posti letto occupati in area medica conferma che nelle persone anziane, fragili e con patologie multiple può aggravare lo stato di salute richiedendo ospedalizzazione e/o peggiorando la prognosi delle malattie concomitanti”. Infatti, il tasso di ospedalizzazione in area medica cresce con l’aumentare dell’età, passando da 17 per milione di abitanti nella fascia 60-69 anni a 37 nella fascia 70-79 anni, a 97 nella fascia 80-89 anni e a 145 per milione di abitanti negli over 90.

    Anche i decessi tornano ad aumentare, risultando più che raddoppiati nelle ultime 4 settimane: da 44 nella settimana 17-23 agosto a 99 nella settimana 7-13 settembre). Secondo i dati dell’Iss, i decessi si riferiscono a persone over 80, con 28 per milione di abitanti su 31 decessi per milione di abitanti in tutte le fasce di età.

    Le varianti circolanti appartengono a tutte alla famiglia Omicron. Nell’ultimo report dell’European centre for disease prevention and control (Ecdc) del 7 settembre 2023 non vengono segnalate ‘varianti di preoccupazione’, ma solo ‘di interesse’. In Italia, l’ultima indagine rapida dell’Iss, effettuata su campioni notificati dal 21 al 27 agosto 2023, riporta come prevalente (41,9%) la variante EG.5 (cd. Eris), in rapido aumento in Europa, Stati Uniti e Asia. La prossima indagine rapida dell’Iss, secondo quanto indicato dalla circolare del 15 settembre 2023, sarà effettuata su campioni raccolti nella settimana 18-24 settembre.

    Il report Gimbe, riguardo alla campagna vaccinale, sottolinea come il 1° settembre 2023 è stato interrotto l’aggiornamento della dashboard sulla campagna vaccinale. Di conseguenza, non è possibile riportare aggiornamenti periodici, ma solo rilevare che di fatto la somministrazione dei vaccini è sostanzialmente residuale, sia come ciclo primario sia come richiami. Le indicazioni preliminari per la campagna di vaccinazione anti-Covid 2023-2024 sono contenute nella Circolare del ministero della Salute del 14 agosto. Se però la Circolare prevedeva di iniziare la campagna in concomitanza con quella antinfluenzale, il ministro Schillaci ha invitato le Regioni a iniziare per le categorie più a rischio a fine settembre.

    Dal 2 giugno al 31 agosto (ultimo dato disponibile) agli over 80 sono state somministrate 827 quarte dosi e 2.156 quinte dosi. Diventa urgente quindi avviare al più presto la campagna vaccinale per questa fascia di età e più in generale per i fragili.

    “Nel prossimo autunno-inverno il vero rischio reale del Covid-19 è quello di compromettere la tenuta del Servizio sanitario nazionale, oggi profondamente indebolito e molto meno resiliente, in particolare per la grave carenza di personale sanitario”, spiega il presidente di Gimbe Cartabellotta, che invita “le Istituzioni a mettere in atto tutte le azioni necessarie per proteggere anziani e fragili, incluso fornire raccomandazioni per gli operatori sanitari positivi asintomatici, oltre a rimettere in campo – se necessario – le misure di contrasto alla diffusione del virus”. E rivolge “alla popolazione l’invito a mantenere comportamenti responsabili”, per non incorrere nel rischio di vedere crollare il servizio sanitario nazionale.

  • Nuovi sospetti sull’origine made by China del Covid

    Nel novembre del 2019, poche settimane prima che venissero accertati i primi casi di Covid-19 in Cina, tre ricercatori dell’Istituto di virologia di Wuhan si ammalarono di una patologia mai accertata. Lo indicano informazioni dell’intelligence statunitense che sono state pubblicate oggi dal quotidiano Wall Street Journal e che sembrano avvalorare la tesi della “fuga da laboratorio” all’origine del coronavirus, una teoria sposata nei mesi scorsi anche dal Federal Bureau of Investigation (Fbi) e dal dipartimento dell’Energia di Washington. Uno dei tre scienziati, identificato come Ben Hu, lavorava su un progetto finanziato dal governo Usa e volto proprio a studiare gli effetti dei coronavirus sugli umani. Secondo l’intelligence statunitense, i sintomi mostrati dal ricercatore nel novembre del 2019 sono compatibili sia con quello che successivamente sarebbe stato chiamato Covid-19 che con un’influenza stagionale. Nessuno dei ricercatori, comunque, è deceduto a causa della malattia. A tre anni di distanza, dopo che la pandemia ha mietuto quasi sette milioni di vittime in tutto il mondo, l’origine del virus è ancora oggetto di dibattito. L’ipotesi iniziale, quella del salto di specie, non è mai stata confermata, e la comunità scientifica internazionale resta ancora divisa sul tema. Lo scorso anno, contribuendo ad alimentare ulteriormente le tensioni con la Cina, l’Fbi ha determinato “con un moderato grado di fiducia” che all’origine del virus potrebbe esserci una fuga da laboratorio avvenuta proprio all’Istituto di virologia di Wuhan. Successivamente il dipartimento dell’Energia è giunto a una simile conclusione.

    Quattro altre agenzie d’intelligence Usa, invece, ritengono più probabile che l’origine del virus sia naturale. La Cia non si è mai espressa. Secondo il Wall Street Journal, la comunità d’intelligence statunitense dovrebbe però desecretare proprio nei prossimi giorni nuove informazioni riguardanti il dossier, forse contenenti anche dettagli sui ricercatori ammalatisi nel novembre del 2019. Stando alle informazioni già in possesso del quotidiano, gli altri due scienziati sarebbero Yu Ping e Yan Zhu, il primo autore proprio quell’anno di una tesi sul coronavirus dei pipistrelli. Il nome più importante resta tuttavia quello di Hu, che secondo le fonti ebbe un ruolo centrale nelle ricerche sul coronavirus a Wuhan, alcune di queste finanziate proprio dagli Stati Uniti. Hu era anche uno stretto collaboratore di Shi Zhengli, esperta tra le più note in materia di coronavirus. Il primo caso ufficiale di Covid-19 fu confermato nella stessa Wuhan l’8 dicembre. La Cina ha sempre respinto l’ipotesi che il Covid-19 sia stato il risultato di una fuga di laboratorio e nel corso degli anni ha anche messo in dubbio che la pandemia abbia avuto origine a Wuhan. “Il vero ostacolo per lo studio delle origini del Covid è la manipolazione politica degli Stati Uniti”, ha dichiarato lo scorso marzo il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Wang Wenbin.

  • Prevenire è meglio che curare

    Al momento sembra che le allarmanti dichiarazioni di Pechino sull’esponenziale aumento del covid non abbiano destato particolari preoccupazione o piani di prevenzione.

    Le cifre preannunciate sono decisamente allarmanti: la variante XBB di omicron sta causando, in Cina, 40 milioni di contagi a settimana e la previsione, per fine giugno, è di 65 milioni di casi a settimana mentre l’industria farmaceutica cinese sembra aver individuato due nuovi tipi di vaccini.

    Dall’Oms l’epidemiologia Kerkhove ha avvertito che la minaccia del covid, anche se nessuno ne vuole più parlare, non è svanita e per questo i governi devono tenersi pronti ad una ripresa dei contagi.

    In Italia il periodo, che porta a vivere di più all’aria aperta, non ha però azzerato la diffusione del virus, se anche nessuno pubblica più i dati ed è stato dato il via libera a vivere senza le mascherine anche in ospedali e luoghi chiusi ed affollati, il 19 maggio i dati della settimana precedente sono di 14.346 nuovi casi con 162 morti.

    In Italia, al momento, ci sono 121.816 persone in isolamento domiciliare, 83 in terapia intensiva con 2.251 ricoverati.

    Senza allarmismi sono dati che vanno tenuti in considerazione e la situazione in Cina deve essere monitorata specialmente per quanto riguarda gli spostamenti che cittadini cinesi fanno e faranno in altre parti del mondo, l’esperienza infatti ci deve ricordare quante tragedie sono derivate dal non avere avuto, nel 2020, notizie più certe e tempestive e precauzioni più immediate.

    Certo oggi conosciamo la malattia, abbiamo i vaccini ma sappiamo anche che il covid ha molte varianti e mutazioni.

    Secondo un vecchio detto “meglio prevenire che curare“, questo ci attendiamo dal governo: una specifica vigilanza sulla situazione cinese, eventuali decisioni per controlli, non solo negli aeroporti, e l’invito, chiaro e non fumoso, a usare quelle regole di prevenzione necessarie, dalla mascherina nei luoghi affollati, come i mezzi di trasporto pubblico, alla disinfezione delle mani.

    Le persone non vanno spaventate od assillate ma devono essere tenute informate della realtà e di come evolve, solo così ciascuno sarà consapevole delle proprie scelte.

  • C’è più lavoro che prima del Covid: in due anni un milione di posti

    Il lavoro cresce più del pre-Covid ed è stabile. La ripresa dell’occupazione, nonostante il rallentamento alla fine dell’anno scorso, riesce così a “riassorbire completamente” la caduta causata dalla pandemia: tanto che in due anni, tra il 2021 e il 2022, conta quasi un milione di nuovi posti. A certificare il bilancio positivo è il rapporto sul mercato del lavoro realizzato da ministero del Lavoro, Banca d’Italia e Anpal.

    I dati dicono che nel solo 2022 sono stati creati più di 380mila posti, un valore superiore a quello registrato nel 2019, prima dell’emergenza sanitaria, quando si erano toccati i 308mila. E questa crescita occupazionale è legata quasi esclusivamente alle assunzioni a tempo indeterminato: oltre 400mila i posti di lavoro stabili in più, a fronte di una sostanziale stazionarietà dei contratti a termine e di un calo di oltre 50mila dei contratti di apprendistato. Aggiungendo i risultati del 2021, con oltre 600mila posizioni lavorative in più, ecco che nell’ultimo biennio il settore privato ha creato quasi un milione di nuovi posti.

    Tuttavia si conferma il rallentamento del mercato del lavoro a fine dell’anno scorso. La domanda, sottolinea il rapporto, “è rimasta sostenuta fino all’inizio dell’estate, riportando l’occupazione sul sentiero di crescita pre-pandemico. Nei mesi successivi la dinamica è rimasta positiva ma si è indebolita”.

    E comunque non va allo stesso modo per tutti. Tra i settori, la ripresa occupazionale dell’ultimo biennio è stata infatti eterogenea. Il comparto del turismo, che maggiormente ha risentito della crisi sanitaria, malgrado il buon andamento della stagione estiva, rimane ancora sotto i livelli pre-Covid. Meglio, invece, per le costruzioni che, anche sulla spinta del Superbonus, hanno registrato tassi di crescita molto elevati a partire dall’estate del 2020; nonostante il più recente rallentamento, la domanda di lavoro in questo settore dovrebbe rimanere sostenuta, viene evidenziato, anche grazie ai piani di investimento previsti dal Pnrr. Un rallentamento che ha pesato nella seconda metà dell’anno scorso particolarmente sul Sud, dove di più il comparto edile aveva spinto l’occupazione. In generale comunque la crescita si è concentrata nel Centro Nord. A dicembre il numero dei contratti a termine ha ripreso a salire.

    A novembre, intanto, è risalito il fatturato dell’industria: dopo due mesi di flessioni, come indicato dall’Istat, è tornato a crescere su base mensile mettendo a segno un +0,9% con una dinamica positiva sul mercato interno (+0,6%) e su quello estero (+1,3%). Su base annua, la crescita è dell’11,5% (+10,1% sul mercato interno e +14,3% su quello estero). Tra i raggruppamenti principali di industrie, l’aumento tendenziale più alto si registra per l’energia (+19,5%) che, però, su base mensile scende dell’1,8%.

    Sul fronte delle imprese, restano in territorio positivo ma rallentano le nascite di nuove attività. Dopo il brusco stop del 2020 (quando il saldo si fermò a solo +19mila) e il rimbalzo del 2021 (+87mila), con il 2022 il bilancio tra aperture e chiusure si attesta a 48mila attività in più (+0,8%) rispetto all’anno precedente, come emerge dai dati Movimprese, elaborati da Unioncamere e InfoCamere sulla base del Registro delle imprese delle Camere di commercio. Anche in questo caso, il contributo più rilevante al risultato annuale arriva dal settore delle costruzioni (+21mila). Nel confronto con il 2021 si vede però che le nuove aperture diminuiscono del 6% e invece aumentano le chiusure (+7,5%): in valori assoluti sono rispettivamente 313mila e 265mila.

  • Effetto Covid: in rosso col fisco il 39% delle imprese

    L’impatto del Covid sull’economia viene a galla nelle dichiarazioni fiscali delle imprese. Nell’anno d’imposta 2020, quello in cui più forte è stato l’effetto della pandemia sul Pil italiano, arretrato di ben il 9%, le dichiarazioni Ires delle società di capitali, quelle presentate cioè nel corso degli anni 2021 e 2022, sono state quasi 1,3 milioni, in crescita dell’1,4% rispetto all’anno precedente. Ma se il 54% delle aziende ha dichiarato un reddito d’impresa rilevante ai fini fiscali (in netto calo rispetto al 64% all’anno precedente) e il 7% ha chiuso l’esercizio in pareggio, ben il 39% ha dichiarato una perdita, mostrando in questo caso un deciso aumento rispetto al 29% registrato nel 2019.

    I dati appaiono dalle statistiche del Dipartimento delle Finanze del Mef secondo cui il reddito fiscale dichiarato, pari a 162,8 miliardi di euro, ha subito una riduzione dell’11,6%. Tra i settori che hanno registrano una contrazione maggiore del reddito compaiono innanzitutto quelle più colpite dalle restrizioni Covid: quindi le attività dei servizi di alloggio e ristorazione (-75%), il trasporto e magazzinaggio (-43%) e poi le “attività finanziarie” (-20%).

    La perdita fiscale complessiva è salita a 86,3 miliardi di euro, con un incremento del 49%. L’aumento delle perdite ha colpito anche in questo caso in particolare il settore alloggio e ristorazione, il cui valore è triplicato rispetto al 2019, e il trasporto e magazzinaggio, con un valore raddoppiato rispetto al 2019. Nel 2020, precisa ancora il ministero dell’Economia, le società di capitali hanno dichiarato un imponibile di 129,2 miliardi di euro (-13,1% rispetto al 2019). Quelle che hanno dichiarato imposta sono pari al 50,3% del totale, in forte diminuzione rispetto l’anno precedente; il rimanente 49,7% non ha dichiarato imposta o ha un credito.

    Andamento al ribasso infine anche per l’Irap: il numero dei soggetti che hanno presentato la dichiarazione è stato di 3,3 milioni (-2,1% rispetto al 2019). La contrazione ha interessato in misura prevalente le persone fisiche (-4,5% rispetto al 2019) e le società di persone (-3,7% rispetto al 2019), a causa soprattutto della forza attrattiva del regime forfettario.

  • In attesa di Giustizia: la fabbrica della peste

    Bene ma non benissimo: questa volta, invece di affidarsi a spifferi di cancelleria o Questura, la notizia della chiusura delle indagini, nome degli indagati, incolpazioni è stata ufficializzata direttamente dalla Procura della Repubblica di Bergamo prima ancora che venissero effettuate le notifiche a difensori ed accusati. Il riferimento è all’inchiesta per epidemia colposa a causa della mancata istituzione della zona rossa: un’opera investigativa mastodontica che ha fatto incetta di migliaia di documenti, sms, mail e – neanche a dirlo – della corposa  consulenza del virologo di turno, Crisanti naturalmente, il quale ha precisato che il suo intento non era quello di formulare un atto di accusa ma restituire la verità agli italiani: evidentemente dispone anche di una sfera di cristallo tramite la quale ha divinato il numero di morti, precise al decimale, che si sarebbero potute evitare  applicando le restrizioni.

    Anche dalla Procura orobica si levano voci e considerazioni circa l’esigenza di soddisfare la “sete di verità” che con un processo penale ha poco a che vedere: il Capo dell’Ufficio per primo ha affermato “noi non accusiamo nessuno (e due!) ma offriamo uno spunto di riflessione”; bizzarro, e noi che credevamo che le Procure avessero come compito quello di perseguire  i reati e non di far meditare quel popolo italiano nel cui nome viene amministrata la giustizia e neppure di valutare scelte politiche, districandosi tra competenze comunali, regionali e governative confusamente accavallatesi di fronte ad un “nemico” sconosciuto ed apparentemente invincibile: un’analisi che competerà alla istituenda Commissione d’Inchiesta Parlamentare…se mai verrà istituita.

    La sensazione è che la montagna (di atti d’indagine) partorirà un topolino (in termini di risultato sotto il profilo della rimproverabilità penale) ma nel frattempo una prima risposta – per quanto ondivaga – c’è stata per mano dei pubblici dispensatori di sicurezza e giustizia e l’immagine del processo esemplare trasmessa a reti unificate.

    Gli indomiti paladini della legge, a prescindere da quali responsabilità verranno mai accertate, se mai lo saranno, hanno dalla loro un precedente lombardo cui – forse – si sono ispirati per saziare quella ribadita aspettativa di verità dei cittadini: gli untori ed il processo che portò al supplizio Giangiacomo Mora e Guglielmo Piazza.

    Ecco, sì, gli untori: tipologia di uomini partoriti dalla irrefrenabile voglia di individuare un bersaglio in carne ed ossa grazie anche al contributo delle bizzarre teorie di dotti e benpensanti del 1630 (e qui, la similitudine si rafforza con gli accadimenti ed i protagonisti dei giorni nostri). Serve sempre un colpevole, giustiziato il quale un traballante equilibrio sociale va a ricomporsi sul principio “occhio per occhio, dente per dente”.

    Gli untori del XXI secolo sono, però, più sofisticati e tecnologicamente avanzati: forse si annidavano originariamente nei sotterranei di qualche segretissimo laboratorio dedicato allo studio dei virus per impiego bellico ed i loro complici involontari sono politici imbelli ed incapaci, ma la tendenza di vedere negli uomini le tracce di una malvagità da estirpare è sempre formidabilmente radicata non meno  dell’aspettativa di una giustizia da realizzare a furor di popolo, nella post moderna erezione di una colonna infame questa volta stampata sulle pagine di una avviso di conclusione delle indagini invece che iscritta nella epigrafe “lungi, adunque, da qui buoni cittadini, chè  voi l’infelice, infame suolo, non contamini”.

    Tuttavia, quando il furore entra nelle aule di Tribunale per rispondere ad una salvifica missione, con il vento in poppa del senso comune, l’errore è dietro l’angolo ed è da scongiurare avendo come monito proprio quella colonna, rimossa nel 1778, che un simbolo lo è diventata ma di segno opposto: quello della giustizia ingiusta.

  • Piano pandemico non aggiornato? Dal 2006 al 2020 sette ministri della Sanità

    Abbiamo tutti letto, ed in molti apprezzato, che i Pm di Bergamo, dopo una lunga e difficile indagine, abbiano deciso, per poter accertare chi abbia vere responsabilità, di indagare diciannove tra politici e tecnici per quanto avvenuto durante i primi tragici mesi di covid.

    Ovviamente non entriamo nel merito per quanto riguarda la mancata zona rossa e la chiusura ed apertura dell’ospedale di Alzano, attendiamo la magistratura e speriamo che anche i media si astengano da processi televisivi o sulla carta stampata.

    Su questi punti, e su altri altrettanto inquietanti, ci siamo già espressi nel libro I nostri domiciliari pubblicato dalla casa editrice Ulisse nel febbraio 2021, libro che è stato anche presentato sul secondo canale Rai, il nostro pensiero, da impotenti settori chiusi in casa è stato scritto in modo chiaro.

    Vogliamo però, sommessamente, ricordare, per quanto riguarda il mancato aggiornamento del piano pandemico, piano che risale al 2006 e che da allora è rimasto fermo, che dal 2006 al 2020 si sono succeduti, nella Sanità, diversi ministri e riteniamo che ciascuno di loro avrebbe potuto, dovuto aggiornare il piano.

    Sono in effetti molti perché è stato un lungo periodo con numerosi e diversi governi.

    Andando a memoria Livia Turco, Sacconi, Ferruccio Fazio, Balduzzi, Lorenzin, Giulia Grillo fino ad arrivare a Roberto Speranza che, oggettivamente, essendo l’ultimo della catena non dovrebbe essere l’unico al quale imputare il mancato aggiornamento del piano pandemico.

    Detto questo e sperando che anche su questo ci sia un chiarimento vorremmo anche sapere se oggi il piano pandemico è aggiornato anche rispetto all’allerta che l’Oms ha fatto alcune settimane fa per l’influenza aviaria, secondo il detto, mai sufficientemente applicato, prevenire è meglio che reprimere.

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