criminalità

  • Governo che funziona come un gruppo criminale ben strutturato

    I criminali non muoiono per mano della legge. Muoiono per mano di altri uomini.

    George Bernard Shaw, Uomo e superuomo, 1903

    Nella mitologia della Grecia antica Crono era uno dei figli di Urano, il dio che rappresentava il Cielo, e di Gea, la dea che rappresentava la madre Terra. Urano metteva incinta Gea con la pioggia e così sono nate altre divinità della terra, del cielo e dell’acqua. Crono era il più giovane dei sei Titani, partoriti da Gea. Da Urano e Gea erano nati anche i sei Titanidi, tra i quagli Rea, nonché i tre Ciclopi, degli esseri giganteschi con un solo occhio sulla fronte, e i tre Ecatonchiri; questi ultimi avevano cento braccia ed erano dotati di una straordinaria forza fisica. Urano però, nonostante fosse un dio, temeva di essere spodestato dai propri figli, perciò, secondo la mitologia, teneva loro chiusi e sotto il suo controllo. Gea, da premurosa madre, non poteva sopportare che i suoi figli venissero trattati in quel modo da Urano, perciò decise di metter in atto un piano per liberare i propri figli. Procurò una falce e chiese a loro di aggredire Urano. Ma nessuno ebbe il coraggio di farlo, tranne Crono, il sesto dei Titani. La mitologia greca ci tramanda, tra l’altro, anche il simbolismo dello scontro tra le generazioni che ha accompagnato sempre l’umanità. Gea inganna Urano facendogli credere di voler accoppiarsi con lui. Urano, desideroso di far l’amore con la moglie, non ci pensa due volte. Nel frattempo però Crono esce da dove era nascosto, in accordo con la madre, colpisce e recide i genitali del padre con la falce che gli aveva dato Gea. Questo impariamo dalla mitologia, grazie anche al poema Theogonía (in greco significa la genealogia degli dei; n.d.a.), scritto da Esiodo, un poeta dell’antica Grecia, vissuto circa ventotto secoli fa.

    Crono, a sua volta, era sposato con Rea, una dei sei Titanidi. A Crono era stata resa nota però una profezia secondo la quale uno dei suoi figli gli avrebbe tolto il potere e lo avrebbe messo da parte. Ma non gli era stato detto chi sarebbe stato. Così come suo padre Urano, infatti, anche Crono voleva uccidere i suoi figli per non essere spodestato. Perciò Crono, deciso a mantenere per sempre il suo potere, divorava tutti i figli appena nati. Sua moglie, Rea, da madre non poteva permettere che tutti i suoi figli venissero divorati dal padre appena nati. Perciò dopo aver partorito il suo sesto figlio, invece di portare l’appena nato a Crono, diede a lui una pietra avvolta con delle fasce per farla sembrare come un appena nato. Crono non se ne accorse e divorò anche la pietra dura, convito di aver ucciso suo figlio, il quale poteva essere colui che gli avrebbe tolto il potere. Così Rea riuscì a salvare l’ultimo dei suoi figli, che era Zeus. Dalla mitologia della Grecia antica, soprattutto dal poema Theogonía scritto da Esiodo, impariamo che Rea tenne nascosto suo figlio salvato nell’isola di Creta, dove lui veniva accudito e nutrito da una ninfa chiamata Adrastea con il latte di una capra prescelta, Amaltea. Una volta cresciuto e diventato adulto, Zeus andò ed incontrò suo padre, Crono, il quale era convinto di aver divorato tutti i suoi figli. Affrontando il padre, Zeus gli chiese di portare di nuovo in vita tutti i figli. Il poeta Esiodo racconta che Crono, impaurito e costretto dalla determinazione di Zeus, cominciò a rigurgitare tutti gli altri figli che aveva divorato. E guarda caso, per primo, ha fatto uscire dalla sua gola la pietra dura che Rea gli aveva portato avvolta con delle fasce al posto di Zeus. Dopo aver riportato in vita tutti i suoi figli, a Crono sono stati tolti da Zeus tutti i suoi poteri. La divinità di Crono era stata trasferita dai greci anche tra i latini, per i quali era proprio Saturno che veniva identificato come Crono. I romani erano convinti che Crono, scacciato dall’Olimpo, si era trasferito nel Lazio. Lì, conosciuto proprio come Saturno, aveva regnato durante un periodo di pace e di sviluppo. In suo onore si celebravano nel mese di dicembre delle festività note come i Saturnalia. Durante il primo giorni delle festività dedicate a dio Saturno, gli schiavi di Roma godevano di una piena libertà e, addirittura, potevano mangiare nello stesso tavolo dei loro padroni, godendo dei loro servizi. Ma i romani pensavano che un giorno Saturno sarebbe andato via, lasciandoli soli e, così facendo, avrebbe dato inizio a delle conseguenze preoccupanti per tutti. Da Crono, il dio della mitologia greca, noto come Saturno per i romani, è stato ispirato anche il noto pittore spagnolo dell’Ottocento, Francisco Goya. Il suo celeberrimo dipinto intitolato “Saturno divora i suoi figli” presenta proprio Saturno, cioè Crono, che divora uno dei suoi figli appena nato.

    Il simbolismo dei figli divorati dal padre ha accompagnato sempre il genere umano. E non solo sotto forma di quella che viene riconosciuta come la “sindrome di Crono”, e cioè di uno stato in cui il padre “uccide” non necessariamente fisicamente il proprio figlio. Si tratta, ovviamente, di un simbolismo, che si riferisce, metaforicamente, al sacrificio delle persone care per tutelare se stessi. Si tratta spesso di un simbolismo che comprende anche l’abbandono consapevole degli amici e dei collaboratori, per non essere incaricati delle stesse colpe a loro riconosciute. Un simbolismo, quello del “divoramento dei figli”, che, come la storia ci insegna, è legato anche al carattere del singolo individuo e si verifica in tutto il mondo. Le cronache legate alla criminalità organizzata, soprattutto quando si tratta di mettere in salvo i vertici delle organizzazioni criminali, ci testimoniano che, non di rado, si possono “sacrificare” gli altri.

    Quanto sta accadendo in questi ultimi giorni in Albania testimonierebbe alcuni fatti importanti e, allo stesso tempo, molto preoccupanti. Risulterebbe, documenti e denunce rese pubbliche alla mano, che il governo albanese sta funzionando come un gruppo criminale ben strutturato. In più risulterebbe che il primo ministro, per salvare se stesso da scandali milionari che lo vedono direttamente e/o indirettamente coinvolto, sempre documenti e denunce rese pubbliche alla mano, sta “sacrificando” uno dopo l’altro, molti dei suoi “amici” e “stretti collaboratori”. Risulterebbe altresì e purtroppo, che lui, il primo ministro albanese, sempre documenti e denunce rese pubbliche alla mano, per riuscire in tutto questo si serve delle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia che controlla personalmente e/o da chi per lui, con un pugno di ferro. E la stessa persona, il primo ministro, controlla ovviamente il potere esecutivo e quello legislativo, avendo la maggioranza in parlamento. Montersquieu, nella sua ben nota opera voluminosa De l’esprit des lois (Dallo spirito delle leggi; n.d.a.) pubblicata nel 1748, tratta ampiamente e argomenta perché la separazione e l’indipendenza dei tre poteri, quello esecutivo, legislativo e giudiziario è un conditio sine qua non per la stessa esistenza di un sistema democratico. Ogni violazione del principio della separazione dei poteri indebolisce e, addirittura annienta la democrazia. Da alcuni anni purtroppo è proprio questo che sta accadendo in Albania. Il nostro lettore è stato informato spesso di una simile e molto pericolosa e preoccupante realtà, sempre con la necessaria oggettività e sempre dati e fatti accaduti, documentati e denunciati pubblicamente alla mano. Si tratta purtroppo si una realtà legata al continuo consolidamento in Albania di una nuova dittatura sui generis, come alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti internazionali. Una dittatura che cerca di coprire tutto con una parvenza, una facciata di pluripartitismo. Ma quanto è accaduto in Italia ed in Germania prima della Seconda guerra mondiale e anche quanto sta accadendo durante questi anni in Russia ed in altri Paesi del mondo testimonia che si tratta semplicemente di facciate che non impediscono ai dittatori di esercitare indisturbati il loro potere.

    Durante il periodo buio della dittatura comunista in Albania (1945 – 1991), una delle più spietate e sanguinose dell’Europa dell’est, il dittatore comunista ha eliminato, ha “divorato” molti dei suoi “compagni”. Lo aveva fatto anche prima, durante la Seconda guerra, subito dopo la costituzione del partito comunista albanese, nel novembre 1941. Ha continuato poi a farlo nei primi anni dopo la guerra. Ma il periodo in cui il “divoramento dei compagni” ha raggiunto i massimi livelli è stato quello dal 1975 al 1982. Il dittatore dichiarava e accusava dei gruppi di “nemici del partito e del popolo” e condannava per primo in pubblico i “nemici”. In seguito si muovevano tutte le apposite strutture della dittatura per “giudicare i nemici”, la maggior parte dei quali venivano in seguito condannati ed uccisi. Il dittatore comunista ha fatto tutto questo perché era ossessionato di perdere il suo potere. Come Crono della mitologia greca che divorava i propri figli. Lo stesso sta facendo adesso il primo ministro albanese che, tra l’altro, è un diretto discendente di una famiglia della nomenklatura comunista. E fatti accaduti alla mano, lui, il primo ministro, sta mettendo in atto i metodi della dittatura, seguendo le orme del suo “padre spirituale”, il dittatore comunista.

    Per tutta la scorsa settimana, l’attenzione dell’opinione pubblica in Albania è stata attirata dalla richiesta d’arresto di uno dei più stretti collaboratori del primo ministro, Si tratta del suo vice che è stato anche ministro delle finanze e di altri ministeri importanti, dove si gestiva il denaro pubblico, nonché deputato  L’ordine è stato firmato dal dirigente della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, una nuova istituzione del sistema “riformato” della giustizia il 7 luglio scorso, Ordine che è stato reso noto dal parlamento con tre giorni di ritardo, il 10 luglio scorso. Giorni molto utili per il diretto interessato che, come è stato confermato in seguito dal suo avvocato, non si trovava più in Albania! L’ex vice primo ministro veniva accusato di corruzione in quello che ormai è noto come lo scandalo degli inceneritori. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito di questo scandalo milionario (Misere bugie ed ingannevoli messinscene che accusano, 4 aprile 2022; A ciascuno secondo le proprie responsabilità, 26 aprile 2022; Diaboliche alleanze tra simili corrotti, 9 maggio 2022; Corruzione scandalosa e clamoroso abuso di potere, 19 luglio 2022; Un regime totalitario corrotto e malavitoso, 13 agosto 2022; Irresponsabile abuso di potere e scandali molto altolocati, 21 novembre 2022 ecc…). Uno scandalo, quello degli inceneritori, che ha sperperato milioni del denaro pubblico e continua a farlo, nonostante nessuno dei tre inceneritori sia in funzione. Anzi, due di loro figurano solo nei contratti abusivi, illegali e milionari che hanno la firma del primo ministro, perché non esistono fisicamente come tali. Soprattutto quello della capitale.

    L’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore quasi un anno fa: “Un clamoroso scandalo quello dei tre inceneritori che rappresenta un’inconfutabile dimostrazione e testimonianza della galoppante, radicale e gerarchicamente diffusa corruzione in Albania. Ma, allo stesso tempo, rappresenta anche una significativa dimostrazione e testimonianza del controllo, da parte del primo ministro e/o da chi per lui, del sistema “riformato” della giustizia e delle sue “efficienti istituzioni”. Si tratta di uno scandalo nel quale, […] risulterebbero essere coinvolti lo stesso primo ministro, alcuni attuali ministri ed ex ministri, il segretario generale del Consiglio dei ministri, il sindaco della capitale ed altri alti funzionari delle istituzioni governative e delle amministrazioni locali” (Irresponsabile abuso di potere e scandali molto altolocati, 21 novembre 2022).

    Chi scrive queste righe seguirà ed informerà il nostro lettore di questo scandalo tuttora in corso. Ma in base a quanto è stato reso pubblico, egli è convinto che il governo albanese sta funzionando come un gruppo criminale ben strutturato. Egli è altresì convinto che il sistema “riformato” della giustizia risulta essere agli ordini del primo ministro. E non vale a niente la richiesta per l’arresto dell’ex-vice primo ministro, un altro “figlio divorato dal padre”, se non viene ancora indagato lui, il primo ministro albanese. Chi scrive queste righe, parafrasando George Bernard Shaw, auspica che possa venire anche per l’Albania il tempo in cui i criminali possano morire per mano della legge e non per mano di altri uomini. E che il primo ministro non possa più “divorare” i suoi più stretti collaboratori, solo per salvare se stesso e mantenere più a lungo il suo smisurato potere.

  • Le istituzioni più forti della delinquenza

    Il 16 gennaio, con la cattura di Messina Denaro, segna la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra che tutti vogliamo sia quella del rafforzamento dello Stato, della Giustizia e della sconfitta della criminalità organizzata, sotto qualunque nome operi o si nasconda.

    Il grande lavoro di tutte le forze di sicurezza, l’abnegazione e spesso il sacrificio hanno permesso di dimostrare che le istituzioni sono più forti della delinquenza e del terrorismo partendo proprio da quanto fece il Generale Dalla Chiesa per arrivare ai giorni nostri.

    Mentre rivolgiamo il nostro ringraziamento ai Carabinieri ed alla magistratura ricordiamo a noi stessi, in questa giornata di vittoria contro la criminalità, tutte le vittime, tutti coloro che con il loro sacrificio hanno difeso la nostra libertà.

    La loro memoria è onorata dalla cattura di colui che era considerato nel mondo uno dei 10 più importanti latitanti, e continuerà ad essere onorata se tutti, dal primo all’ultimo cittadino, sapremo, a fianco di coloro che sono al servizio dello Stato, rispettare le leggi e combattere qualsiasi infiltrazione.

  • 15 milioni di euro, nostri, dati, con il reddito di cittadinanza, a vari criminali. I 5 Stelle risarciscano

    15 milioni d’euro è il conto, fino ad oggi, di quanto lo Stato, e cioè tutti noi, ha elargito a migliaia di persone che non avevano diritto al reddito di cittadinanza.

    15 milioni in gran parte andati a camorristi, ndranghetisti, esponenti di varie attività, criminali, detenuti etc etc.

    Soldi che non saranno mai restituiti e che sarebbero invece stati vitali per tanti anziani ed invalidi con pensioni minime e assolutamente insufficienti per consentire loro di sopravvivere.

    Il reddito di cittadinanza non solo va immediatamente bloccato, e rivisto in chiave effettivamente sociale, sia perché non è stato un mezzo per l’avviamento al lavoro, sia perché ha portato truffe di ogni genere, ma vanno anche cercate le responsabilità di chi non ha, nella legge d’attuazione, messo in essere i necessari controlli per individuare le idoneità a percepirlo.

    C’è una grave responsabilità politica ma anche una gravissima responsabilità amministrativa, il forte danno allo Stato, e perciò ai cittadini, non può continuare a rimanere sotto silenzio o risolversi con qualche dichiarazione fine a se stessa.

    Chi ha sbagliato deve assumersene le conseguenze anche dal punto di vista giuridico ed economico.

    I 5 Stelle vantano di aver restituito in varie forme, al loro movimento o ad associazioni di loro scelta, una parte dei loro emolumenti ora risarciscano lo Stato ed i contribuenti.

  • In attesa di Giustizia: tutto il mondo è paese

    Tutto il mondo è paese: non che il “mal comune mezzo gaudio” debba essere davvero motivo di consolazione ma è corretto registrare che anche altrove l’amministrazione della giustizia alimenta polemiche di ogni genere.

    Probabilmente in California non è mai giunta l’eco delle prodezze e dei programmi di intervento di Pubblici Ministeri come Piercamillo Davigo (“rivolteremo l’Italia come un calzino”) ma, tant’è, vi è stata recentemente una vera e propria sollevazione contro quella che si è definita “politica permissiva” di alcuni Procuratori distrettuali, come quello di Los Angeles che è stato addirittura destituito attraverso un referendum popolare: cosa possibile, perché nel sistema americano, i pubblici ministeri sono un organo politico eletto direttamente dal popolo e il popolo ai referendum va a votare.

    Al “District Attorney” della Città degli Angeli è stato attribuito l’aumento della criminalità di strada – quella maggiormente percepita dalla popolazione – perché con la sua politica avrebbe ridotto la sicurezza pubblica.

    Come? Alleggerendo, per esempio, i requisiti per la cauzione e in tal modo rendendo più facile per i presunti autori di reati tornare liberi ed anche rifiutandosi di perseguire determinati reati, come il vagabondaggio o la prostituzione: altra cosa possibile, sì,  perché, sempre nel sistema americano, l’azione penale è facoltativa e non obbligatoria come da noi, dove Travaglio – per un’iniziativa simile – avrebbe scatenato  una sorta di guerra civile.

    Eppure è un dato statistico costante che, in America, negli Stati dove vige la pena di morte il tasso di criminalità è addirittura più elevato rispetto a quelli dove quella massima è l’ergastolo.

    Anche oltre Oceano, quindi, il denominatore comune del populismo è lo stesso che da noi: più repressione uguale più sicurezza.

    Forse non sarebbe sbagliato riconsiderare che il problema non nasca  da un facilitato accesso  alla libertà su cauzione ma vi sia un rapporto causa/effetto nella coincidenza temporale fra l’inizio della pandemia e l’aumento della criminalità di strada. Il populista medio, però, fa un uso normalmente contenuto della elaborazione del pensiero.

    Tutto il mondo è paese: è cronaca di questi giorni il susseguirsi di reati contro il patrimonio tipicamente “da strada”, soprattutto a Milano e – forse non a caso – in coincidenza con la fiera del mobile e del design; evidentemente vi è un malessere diffuso, un problema sociale che non può essere risolto attraverso il sistematico ricorso al diritto punitivo ed il tintinnare delle manette che non svolgono alcuna reale funzione deterrente…e giustizia e sicurezza sono concetti adiacenti ma non analoghi ed i rigori della prima non possono essere la soluzione della seconda per la quale il rimedio è la prevenzione.

    Prevenzione che – a certi livelli – si realizza anche con interventi che pertengano la salvaguardia dell’occupazione e l’adeguatezza della retribuzione dei lavoratori. L’impoverimento è la prima causa di devianza, particolarmente della microcriminalità  e non si contrasta né con il carcere né con misure quali il reddito di cittadinanza che non è una cura ma un cerotto su una ferita.

    Indipendentemente dall’esito dei referendum nostrani di sicurezza e di problemi della giustizia si continuerà a parlare perché la verità è che la politica tende ad ignorarli sebbene si abbattano sui cittadini e che ai magistrati interessa più la loro politica interna, correntizia, piuttosto che quella del Palazzo. E la prova è che tutti parlano da sempre dei mali dell’amministrazione dei tribunali senza che sia mai stata trovata una soluzione. Anzi,  l’impressione è che, più se ne parla, meno si fa e più i mali della giustizia si aggravano. Prendiamo il sovraffollamento carcerario che si ripropone a cadenze regolari di qualche anno o la lunghezza dei processi che sembravano eterni già negli anni Settanta ed oggi durano ancora di più. La ragione di tutto questo? Sciatteria, è la prima parola che viene in mente.

  • In Italia 30mila piccole aziende a rischio usura

    In Italia 30mila piccole aziende del commercio e dei pubblici esercizi sono oggi a elevato rischio usura e altri eventi criminali. Il dato emerge da un’analisi di Confcommercio presentata nel corso della nona edizione della giornata nazionale “Legalità, ci piace!”. Lo studio ha calcolato il “costo” dell’illegalità per le imprese italiane del commercio nel 2021: quasi 31 miliardi di euro, che comprendono le perdite dirette di fatturato dovute a eventi come abusivismo commerciale e nella ristorazione, contraffazione o taccheggio patite dal settore regolare, le spese difensive, gli oneri in eccesso rispetto a una situazione di assenza di criminalità e i costi del cybercrime. La perdita complessiva annua del fatturato dei settori colpiti è del 6,3% del valore aggiunto, 4,7 miliardi in meno, e mette a rischio quasi 200mila posti di lavoro regolari.

    Le aziende si sentono meno sicure, specialmente nelle grandi città e nel Mezzogiorno. A preoccupare principalmente gli imprenditori è l’usura, fenomeno percepito in maggior aumento (27%), seguito da abusivismo (22%), racket (21%) e furti (21%). L’11% dei titolari delle aziende ha avuto notizia diretta di episodi di usura nella zona dove svolge l’attività, mentre il 17,7% è molto preoccupato per il rischio di esposizione a questi reati. Ancora una volta, i timori maggiori nelle città con il maggior numero di abitanti (22%) e al Sud (19%).

    Quella dell’usura, sottolineano da Confcommercio, è una questione che contribuisce a comprimere la crescita di lungo termine dell’economia. Ed è un fenomeno ancora caratterizzato da “numeri oscuri”: le denunce, 156 nel 2021, non rappresentano le reali dimensioni del problema. “Nonostante l’usura sia il reato maggiormente diffuso tra le imprese del commercio, della ristorazione e della ricettività, e nonostante quasi il 60% degli imprenditori ritenga la denuncia il primo indispensabile passo di fronte all’usura, questo è uno dei reati che emergono con maggiore difficoltà”, afferma il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli. “Le vittime – aggiunge – hanno bisogno della vicinanza delle istituzioni, del presidio del territorio delle forze dell’ordine. Ma hanno anche bisogno del nostro sostegno, della nostra prossimità operosa, tanto più in questo momento drammatico di crisi su crisi”. Anche perché sono proprio le crisi, secondo Sangalli, a costituire linfa vitale “dei fenomeni criminali, e in particolare dell’usura”.

  • Bruxelles chiede all’Italia maggior cooperazione nella lotta alla criminalità

    La lotta alla criminalità e al terrorismo in Europa è una questione delicata interamente basata sulla cooperazione giudiziaria e di polizia dei 27 Stati membri. Uno sforzo comune che di fatto l’Italia ‘ostacola’ fin dal 2011, perché non ha mai aperto le sue banche dati come chiedevano le norme Ue entrate in vigore quell’anno proprio per facilitare le indagini a livello europeo. Per questo motivo la Commissione Ue ha deciso di andare avanti con la procedura d’infrazione già aperta da anni, e ha deferito l’Italia alla Corte Ue. Un passaggio che potrebbe portare a una condanna e a sanzioni pecuniarie se il Governo non si dovesse mettere in regola a breve.

    La Commissione contesta all’Italia di non essersi adeguata alle cosiddette “decisioni di Prum”, cioè quell’insieme di norme fissate dal Consiglio dei ministri dell’Interno della Ue nel 2008, allo scopo di rafforzare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri. Per Bruxelles si tratta di “uno strumento fondamentale nella lotta al terrorismo e alla criminalità”. Esse consentono agli Stati membri di scambiarsi rapidamente informazioni su Dna, impronte digitali e dati nazionali di immatricolazione dei veicoli, permettendo a procura e polizia di identificare i sospetti e di stabilire collegamenti tra i casi penali in tutta l’Unione. Tutte possibilità che l’Italia non ha ancora concesso ai suoi partner europei.

    La Commissione aveva avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia già nel 2011, quando lo scambio di informazioni diventava operativo, e non ricevendo alcuna risposta nel 2017 è passata al secondo passo, inviando un parere motivato, ed esortando l’Italia a rispettare pienamente gli obblighi giuridici. Ma dopo ripetute indagini sui progressi compiuti dal Paese nell’adempimento dei suoi obblighi, “si constata che a tutt’oggi l’Italia ancora non consente agli altri Stati membri di accedere ai propri dati relativi al Dna, alle impronte digitali e all’immatricolazione dei veicoli”, fa sapere la Commissione europea. Ora sarà la Corte a doversi esprimere, ed eventualmente ad imporre sanzioni se il Governo non agirà in fretta.

    Ma la cooperazione giudiziaria non è l’unico fronte aperto per l’Italia nel settore della giustizia. Bruxelles ha aperto anche una nuova procedura d’infrazione perché la legislazione nazionale applicabile ai magistrati onorari “non è pienamente conforme al diritto del lavoro dell’Ue”. La Commissione ricorda che diverse categorie di magistrati onorari, quali i giudici onorari di pace, i viceprocuratori onorari (Vpo) e i giudici onorari di tribunale (Got), non godono dello status di “lavoratore” in base al diritto nazionale italiano, ma sono considerati volontari che prestano servizi a titolo “onorario”. Non avendo lo status di lavoratore, “non godono della protezione offerta dal diritto del lavoro dell’Ue e risultano penalizzati dal mancato accesso all’indennità in caso di malattia, infortunio e gravidanza, dall’obbligo di iscriversi presso il fondo nazionale di previdenza sociale per i lavoratori autonomi, nonché da divari retributivi, dalla discriminazione fiscale e dal mancato accesso al rimborso delle spese legali sostenute durante procedimenti disciplinari e al congedo di maternità retribuito”. L’Italia ha 2 mesi per adottare le misure necessarie, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di inviare un parere motivato.

  • Ancora traffico internazionale di cuccioli

    Nonostante la costante attività delle forze di Polizia e dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e delle associazioni che controllano il territorio, per impedire il traffico di animali da compagnia, le organizzazioni criminali, con la complicità di persone che per denari sono disposte anche a tradire i principi deontologici della loro professione, continuano ad esercitare il loro traffico internazionale.

    Nei giorni scorsi sono partite ben quaranta denunce per esercizio abusivo della professione e per reati di maltrattamenti sugli animali in merito al traffico internazionale di cuccioli importati in Italia con falsi certificati, la maggior parte dei cuccioli sono stati sottratti alla madre prima del compimento dei due mesi di vita il che è contro la legge ma anche gravemente compromissorio per la stabilità psichica e relazionale del cucciolo e per il suo futuro di cane adulto. Sono state registrate cinquantadue amputazioni illegali di orecchie e code e 42 cani erano senza libretto sanitario o con documenti falsi e privi delle vaccinazioni obbligatorie e necessarie come l’antirabbica. Il nucleo Cites, dei Carabinieri Forestali di Ancona, durante l’operazione denominata ‘Crudelia demon’, come la donna cattiva che voleva uccidere i cuccioli nel famoso film La carica dei 101, ha denunciato 29 allevatori di razze pregiate di cani, gli allevamenti dei quali sono disseminati in nove regioni italiane. Nel corso dell’operazione, durata due anni e diretta dalla procura di Ancona, si è arrivati a scoprire anche un traffico di cani da e per gli Stati Uniti, sono stati denunciati, oltre agli allevatori, 11 veterinari che si erano prestati a coprire e a collaborare al losco traffico.

  • In attesa di sanzioni più severe per i trafficanti illegali di animali

    Più volte Il Patto Sociale si è occupato delle zoomafie ma, nonostante l’impegno delle forze di sicurezza che spesso, dopo attente indagine e superando i soliti muri di omertà, riescono a sequestrare animali entrati illegalmente in Italia e tenuti in condizioni abominevoli ed altri utilizzati per lotte e gare clandestine, il business delle associazioni criminali continua. Soltanto nel 2019, secondo i dati della Lav, sono stati sequestrati ai malviventi 457 cani, l’anno prima erano stati 309, il che testimonia un chiaro incremento di questo traffico che arriva soprattutto dall’est Europa.

    In dieci anni, dal 2010 anno nel quale è stata introdotta la legge contro la tratta dei cuccioli, sono stati sequestrati ai trafficanti, che godono di varie complicità, 5609 cani e 86 gatti per un valore che si aggira sui 5 milioni di euro. Cifre importanti perché i cani ed i gatti dei quali si occupano i trafficanti appartengono a razze scelte e di moda e troppe persone si fidano acquistandole via internet o tramite negozianti compiacenti o sprovveduti. Un traffico che si collega anche a farmaci illegali e a passaporti e vaccinazioni fasulle.

    In aumento ormai anche il traffico di gatti esotici e addirittura di animali provenienti in aereo dalla Cina e stoccati nelle vicinanze di città italiane come Prato. All’inizio dell’attuale legislatura furono presentate varie proposte di legge per aumentare i controlli e potenziare l’attività di polizia contro le zoomafie ma al momento rimangono ancora ferme. L’unica nota positiva è la risoluzione approvata, con 607 voti favorevoli, dal Parlamento europeo nel febbraio 2020. Nella risoluzione si chiede alla Commissione europea un sistema obbligatorio unico per l’identificazione di cani e gatti e sanzioni molto più severe per il commercio illegale. Ora si attende che qualcuno si decida a mettere in pratica, sia in sede europea che nazionale, quanto chiesto ed approvato dal Parlamento europeo. È richiesto da parlamentari italiani, in primis l’on. Michela Vittoria Brambilla.

    Intanto l’invito, a tutti coloro che desiderano un cane o un gatto, a vigilare e a denunciare qualsiasi cosa appaia poco chiara tenendo presente che un animale per essere venduto deve avere un libretto di vaccinazioni e che è diritto dell’acquirente saperne la provenienza accertabile.

  • Il contrasto europeo al crimine organizzato raccontato nel nuovo episodio di UÈ! che Podcast

    UÈ! che Podcast torna come ogni settimana con un nuovo episodio sul lavoro della Commissione europea, illustrando questa volta le azioni europee di contrasto al crimine organizzato in compagnia di Floriana Sipala, capo dell’unità crimine organizzato e politiche antidroga della Direzione generale migrazione e affari interni.

    L’Unione europea è in prima linea nella lotta ai fenomeni illegali che più attanagliano la società e l’economia dei paesi membri: tratta di esseri umani, reati legati all’immigrazione, traffico di droga e il traffico di medicinali contraffatti sono solo alcuni dei crimini contro cui la Commissione mette in atto strategie comuni in termini di cooperazione politica, giudiziaria e di polizia.

    Solo nel 2019, i proventi illeciti dei mercati criminali sono ammontati a circa 140 miliardi di euro, vale a dire l’1% del PIL europeo. Non solo, nel contesto della pandemia Covid-19, il crimine organizzato ha trovato un terreno fertile per intensificare le proprie attività illegali, approfittando delle difficoltà provocate dall’emergenza sanitaria.

    Muoversi con una sola voce, quella europea, è la risposta più efficace alle minacce criminali transnazionali rappresentate, tra gli altri, dalla presenza delle mafie sul territorio europeo e dalla loro infiltrazione nelle economie legali.

    In questo episodio, Sipala spiega come lavora la Direzione generale migrazione e affari interni in questi settori e racconta gli importanti risultati raggiunti dalla Commissione: dal dialogo con gli stati terzi agli accordi internazionali, dalla cooperazione tra le forze di polizia e autorità giudiziarie al contrasto alla corruzione. Tra le recenti azioni della Commissione si trova inoltre la nuova strategia contro la tratta degli esseri umani, che conta un numero preoccupante di vittime identificate, spesso legate allo sfruttamento sessuale.

    Nel contrasto di sistemi illegali così diffusi e ramificati, le singole soluzioni nazionali non sembrano essere sufficienti.

    Fonte: Commissione europea

  • La Commissione Ue predispone una nuova strategia contro la criminalità organizzata

    La commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, ha aperto la presentazione dell’ultima relazione di Europol sulla valutazione della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata e dalle forme gravi di criminalità nell’Ue. La relazione, pubblicata ogni quattro anni, analizza la minaccia delle reti criminali, in particolare quelle che commettono atti di violenza, ricorrono alla corruzione e riciclano le loro attività criminali, e guiderà l’attività congiunta delle autorità di contrasto europee nel quadro della piattaforma multidisciplinare europea di lotta alle minacce della criminalità (EMPACT) fino al 2025. La relazione rivolge particolare attenzione agli attacchi informatici, ai reati contro le persone (quali la tratta di esseri umani a fini di sfruttamento lavorativo e sessuale, il traffico di migranti, l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori), alle frodi, alla criminalità organizzata contro il patrimonio e alla criminalità ambientale. Lo studio affronta anche l’impatto della pandemia di Covid-19 sul panorama criminale dell’Ue e l’evoluzione dei metodi utilizzati dalle reti criminali per trarre vantaggio dalla situazione.

    La criminalità organizzata e le forme gravi di criminalità minacciano gravemente e in maniera persistente la sicurezza dei cittadini dell’Ue. Per questo motivo, la Commissione presenterà a breve una nuova strategia dell’Ue per la lotta alla criminalità organizzata, che definirà gli strumenti e le misure da adottare nei prossimi 5 anni per smantellare i modelli economici e le strutture delle organizzazioni criminali a livello transfrontaliero, sia online sia offline.

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