criminalità

  • Avvisaglie di coinvolgimento elettorale della criminalità

    Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello
    stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.

    Paolo Borsellino

    Ieri in Italia è stata celebrata la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Non a caso è stato stabilito che una simile ricorrenza, dal 1996, avvenga proprio il 21 marzo, il primo giorno della primavera. Un giorno che simboleggia la rinascita della vita e la speranza. Il presidente Mattarella ieri, nel suo messaggio, ha ribadito che “Le mafie cambiano le forme, i campi di azione, le strategie criminali. Si insinuano nelle attività economiche e creano nuove zone grigie di corruzione e complicità. Sono un cancro per la società e un grave impedimento allo sviluppo”. Un chiaro e molto significativo messaggio per tutti, e non solo in Italia. Sì, le mafie, la criminalità organizzata, non si fermano di fronte a niente, anzi! Cambiano le strategie, approfittando senza scrupoli di qualsiasi opportunità creata. Anche della pandemia. Lo ha detto chiaramente Papa Francesco ieri durante l’Angelus, nell’ambito della stessa ricorrenza: “Le mafie sono presenti in varie parti del mondo e, sfruttando la pandemia, si stanno arricchendo con la corruzione”. La criminalità organizzata, in qualsiasi parte del mondo, rappresenta una seria minaccia per tutti. Sì, perché prima o poi, in un modo o in un altro, chi più e chi meno, tutti saranno preda e vittime delle attività della criminalità organizzata. Compresi anche gli stessi dirigenti e/o membri, di qualsiasi livello, delle organizzazioni criminali. La storia sempre ci insegna. Come ci insegna che le conseguenze delle attività criminali, soprattutto quando si svolgono con la connivenza di coloro che devono gestire la cosa pubblica, sono gravi e creano vittime di ogni genere. Perché le vittime della criminalità organizzata non sono soltanto quelle che perdono la vita con le pallottole della criminalità. Sono molte di più le vittime causate dalle conseguenze dirette e/o indirette delle attività criminali e della connivenza della criminalità organizzata con il potere politico.

    Per definire un determinato modo di (mal)governare, c’è una parola particolare: la kakistocrazia. Come la maggior parte delle parole, usate ormai quotidianamente in molte lingue del mondo e che definiscono i sistemi sociali e politici, questa parola è stata coniata nell’antica Grecia. È una parola composta da due singole parole, kàkistos, che significa peggiore, e kratos, che significa comando. Perciò tradotta letteralmente, significherebbe “il potere dei peggiori”. Una parola che, da alcuni decenni, si sta riutilizzando sia in ambienti che si occupano degli studi che in quelli politici e mediatici. La kakistocrazia perciò è una parola che definisce e sintetizza il modo di governare dei peggiori. Il solo fatto che questa parola si sta utilizzando di nuovo testimonia, purtroppo, che in determinati Paesi del mondo la situazione è realmente drammatica e molto preoccupante. Una situazione che dovrebbe destare una reale preoccupazione, non solo per chi di dovere e i cittadini responsabili in questi Paesi, ma anche per le cancellerie degli altri Paesi confinanti e le istituzioni internazionali. Perché il Male non ha, non conosce e, men che meno, rispetta confini. Anche di tutto ciò la storia ci insegna.

    La kakistocrazia, purtroppo, è la parola che definirebbe propriamente il modo in cui, ormai da alcuni anni, stanno governando la cosa pubblica e tutto il resto in Albania. L’autore di queste righe, riferendosi alla realtà vissuta e sofferta dalla maggior parte della popolazione, da tempo sta sottolineando e ripetendo che in Albani è stata volutamente restaurata e si sta consolidando una nuova dittatura. Un regime sui generis quello albanese, come espressione concreta dell’alleanza dell’attuale potere politico, rappresentato dal primo ministro, con la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti internazionali. Un regime dei peggiori, perciò una kakistocrazia, che sta generando gravi sofferenze per gli albanesi non coinvolti con il regime. Ragion per cui, chiunque cerca di trattare oggettivamente la realtà albanese non può chiudere gli occhi e le orecchie e far finta di niente di fronte a questa drammatica realtà e a quanto sta quotidianamente accadendo. Come hanno fatto da anni e continuano a farlo i soliti “rappresentanti internazionali” in Albania e, spesso, anche a Bruxelles e in determinate cancellerie in Europa ed oltreoceano. Ragion per cui l’autore di queste righe continuerà a ribadire e sottolineare la pericolosità e la gravità delle conseguenze generate dalla kakistocrazia in Albania. Cercando, in questo modo, di descrivere quanto più oggettivamente possibile, riferendosi soltanto a dati e fatti pubblicamente noti, documentati e denunciati, la vissuta e sofferta realtà albanese.

    In qualsiasi Paese normale, dove si rispettano i sani principi morali, dove si garantisce il funzionamento dello Stato di diritto, come prevedono i criteri di Copenaghen (istituzioni statali e pubbliche stabili che possano garantire la democrazia, lo Stato di diritto ecc..), la criminalità organizzata e i raggruppamenti occulti si considerano parte integrante di un Male che danneggia seriamente la società. In qualsiasi Paese normale tutti loro sono considerati “dei peggiori”. Così come si considerano anche quelli, ai quali è stato conferito potere politico ed istituzionale e che, invece, cercano di mettere volutamente in atto la connivenza con la criminalità organizzata e i raggruppamenti occulti. Al contrario, i criteri morali e quelli “operativi” di coloro che gestiscono la cosa pubblica in Albania sono del tutto diversi. Il che, purtroppo, ha reso possibile, da qualche anno, la restaurazione e il consolidamento, in Albania, di una nuova dittatura sui generis, gestita dai “peggiori”, come rappresentanti di una funzionante e pericolosa kakistocrazia. Non a caso, in questi ultimi anni, i “peggiori’ in Albania, oltre a stabilire una stretta alleanza con la criminalità organizzata locale, hanno stabilito e rafforzato i legami anche con la criminalità internazionale. Compresa la ‘Ndrangheta italiana. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò a tempo debito e a più riprese. Anche alcune settimane fa (Pericolose e preoccupanti presenze mafiose; 1 febbraio 2021 e Pericoli che oltrepassano i confini nazionali; 8 febbraio 2021).

    Proprio in una simile grave e molto preoccupante realtà, il 25 aprile prossimo in Albania si svolgeranno le elezioni politiche. Il primo ministro, il rappresentante istituzionale del potere politico dei “peggiori”, sta cercando, costi quel che costi, un terzo mandato. Per se stesso ma anche per tutti gli altri “alleati”, rappresentanti della criminalità organizzata e dei raggruppamenti occulti, locali ed internazionali. Nel frattempo la situazione è tutt’altro che rassicurante in Albania. Anzi! La situazione si sta aggravando ogni giorno che passa. Lo stanno testimoniando le tante cose che stanno accadendo a ritmo pauroso e allarmante. La criminalità è diventata molto attiva. Attentati mafiosi e regolamenti di conti stanno insanguinando le vie e le piazza in diverse città. Ma la criminalità organizzata, quella alleata con il potere politico, si sta facendo valere. Ed è proprio questa criminalità che sta intimidendo anche i cittadini per costringerli a votare in modo tale da “facilitare” l’ottenimento del terzo mandato al primo ministro. Una testimonianza e una concreta dimostrazione di questa strategia ben ideata, programmata e messa in atto da qualche tempo ormai, è stata anche quella verificatasi il 14 marzo scorso. Durante la celebrazione di una festività di origini pagane, in una città albanese, si sono scontrati ed affrontati fisicamente due gruppi di sostenitori politici. Un significativo e molto eloquente caso, visto che si trattava di due gruppi capeggiati personalmente, uno dal primo ministro e l’altro dal capo dell’opposizione. Non si sa bene chi ha provocato chi. Quello che si sa ormai, perché è stato visto e rivisto da diverse registrazioni televisive e/o in rete, è che ci sono stati degli scontri fisici, con pugni e calci, tra i sostenitori del primo ministro e quelli del capo dell’opposizione. E i primi hanno avuto il meglio. Ma quello che è ancora più grave è che la maggior parte dei sostenitori del primo ministro erano membri della criminalità locale. Erano proprio quelli che circondavano il primo ministro, mentre lui camminava per le vie della città, come se fossero le sue guardie del corpo! Sono tutte persone con precedenti penali, ben note anche dalle strutture della polizia. Ma, nonostante la polizia di Stato fosse presente, nessuno degli aggressori è stato fermato. E poi, in seguito, anche dopo che l’opposizione ha denunciato l’accaduto con tanto di nomi e cognomi di tutti gli aggressori, accompagnatori del primo ministro quel 14 marzo scorso, le istituzioni del sistema “riformato” di giustizia non si sono mosse, come prevede la legge. Come se niente fosse accaduto!

    Chi scrive queste righe considera tutto ciò come un significativo anticipo di quello che accadrà in Albania durante questa vigilia delle elezioni politiche del 25 aprile prossimo. Egli è convinto che sono delle preoccupanti avvisaglie di coinvolgimento elettorale della criminalità organizzata, per far vincere al primo ministro il suo terzo mandato. Egli teme, altresì, che anche adesso il potere politico, rappresentato dal primo ministro, e le mafie non fanno la guerra tra di loro. Macché, loro, i peggiori”, si sono messi di nuovo d’accordo per condizionare e controllare l’esito delle prossime elezioni e continuare a gestire la cosa pubblica insieme. Che tutto ciò sia un chiaro, significativo e serio messaggio non solo per le persone responsabili in Albania, ma anche per le cancellerie europee e i massimi rappresentanti dell’Unione europea!

  • Relazione della Dia al Parlamento: la criminalità organizzata dietro il gioco d’azzardo

    Con il gioco d’azzardo la criminalità organizzata dimostra tutta la sua abilità nel saper gestire attività lecite e illecite e nel far sembrare legale ciò che è in realtà illegale. E dimostra, ancora, tutta la sua abilità nel creare “relazioni internazionali” e nel sapersi muovere tra legislazioni di Paesi diversi, sapendo sfruttare le falle di ognuna. E’ quanto emerge dall’ultima relazione sull’attività della Direzione Investigativa Antimafia (Dia), presentata dal Ministro dell’Interno al Parlamento e relativa al periodo gennaio-giugno 2019.

    Le indagini della Dia hanno confermato che mafia, camorra, ‘ndrangheta, Sacra Corona Unita e i clan della mafie straniere (cinese e romena in particolare) sono coinvolte sia nel settore illegale delle scommesse, del gioco on line e delle slot machine, sia nella gestione legale di sale da gioco o punti di raccolta scommesse. Quando l’attività è legale serve soprattutto per riciclare denaro sporco.

    Diverse indagine hanno anche evidenziato che mafia, camorra e Sacra Corona collaborano tra loro per mettere in piedi sistemi di gioco illegale. “Un ambito in cui le cosche pugliesi continuano a dimostrare elevate competenze tecniche e capacità di interazione con le mafie tradizionali è quello del riciclaggio nei settori del gioco d’azzardo e delle scommesse on-line – si legge nel rapporto della Dia – . L’illecita raccolta delle puntate su giochi e scommesse, posta in essere sul territorio italiano attraverso società ubicate all’estero (al fine di aggirare la più rigida normativa sul sistema concessorio-autorizzatorio del nostro Paese), costituisce un indotto di portata strategica, come dimostrato dalle inchieste parallelamente condotte, a novembre del 2018, dalle Dda di Bari (operazione “Scommessa”), Reggio Calabria (operazione “Galassia”) e Catania (operazione “Gaming offline”) che hanno ricostruito una rete tra criminalità organizzata barese, ‘ndrangheta e  mafia siciliana. L’attività, svolta in modo pressoché sovrapponibile dalle tre consorterie criminali, ha consentito una capillare infiltrazione dell’intero settore della raccolta del gioco, assicurando di fatto una posizione di predominio alle famiglie mafiose rispetto agli operatori del circuito legale e contribuendo in maniera determinante a rendere difficoltosa l’attività di controllo da parte degli organi istituzionali preposti, favorendo così il reimpiego di capitali illeciti”.

    La criminalità organizzata inoltre sta puntando molto sul gioco d’azzardo on line, in particolare le scommesse sportive. L’online, tra l’altro, permette ai clan di mettere in piedi vere e proprie truffe, sempre legate al gioco d’azzardo, con il metodo del match fixing, ossia truccando e manipolando i risultati di incontri sportivi. Le indagini della Dia hanno così documentato “come anche le tecnologie offrano opportunità di infiltrazione, soprattutto in ambito transnazionale attraverso il sistematico ricorso a piattaforme di gioco predisposte per frodi informatiche, spesso allocate all’estero, che consentono l’evasione fiscale di consistenti somme di denaro”. Vengono aperte società di gaming e di betting in altri Paesi dell’Unione europea (soprattutto a Malta), che poi di fatto raccolgono scommesse o offrono giochi on line anche sul territorio italiano.

    E se non sono direttamente i clan a gestire il traffico, ci sono comunque imprenditori che, dietro una facciata di legalità, si appoggiano ai boss mafiosi per fare affari. “Recenti indagini di polizia giudiziaria hanno dimostrato che, non di rado, concessionari di siti legali (sovente proprietari anche di siti illegali) ed i loro ‘master’, per garantire la diffusione del proprio circuito di centri scommesse nel territorio, si sono rivolti direttamente ai vertici delle varie articolazioni territoriali di Cosa nostra, stringendo accordi illeciti”. Grazie all’operazione Game Over, è emerso, per esempio, che un imprenditore del settore, con l’appoggio della famiglia mafiosa di Partinico, riusciva a imporre il proprio circuito illegale di raccolta scommesse sportive in una vasta area anche di Palermo.

    Nelle 700 pagine della relazione della Dia (dedicata ovviamente a tutte le attività della criminalità organizzata) il gioco d’azzardo, legale o illegale, compare ormai come attività scelta dai clan a fianco ad altri settori più “classici” come il traffico di stupefacenti, le estorsioni o l’usura. E il fenomeno non riguarda solo le regioni del Sud Italia. Arresti e sequestri sono stati eseguiti un po’ in tutte le regioni, sia nelle grandi città come in piccoli comuni. A Roma e provincia “la vastità del territorio della città e la presenza di numerose attività commerciali fanno della Capitale un luogo favorevole per una silente infiltrazione delle organizzazioni mafiose del sud – scrive la Dia – . L’area metropolitana viene considerata un mercato su cui svolgere affari, piuttosto che un territorio da controllare. Pertanto, le presenze criminali autoctone sono diventate per le mafie tradizionali il volano per intessere relazioni e rapporti affaristici di reciproca convenienza. Rapporti che non possono prescindere da una rete di professionisti e di pubblici funzionari compiacenti e necessari per la gestione e il reinvestimento dei capitali mafiosi. Questo approccio ha indubbiamente favorito lo sviluppo di una ‘criminalità dei colletti bianchi’ che, attraverso prestanome e società fittizie, sfrutta il contesto per riciclare e reinvestire capitali illeciti”.

    La più attiva nel settore del gioco d’azzardo a Roma è la camorra, “attraverso la gestione diretta di attività imprenditoriali correlate al settore dei giochi e delle scommesse, costituite o rilevate con il reinvestimento di attività illecite, ma a propria volta produttrici di ulteriore ricchezza in favore della consorteria criminale”. Le indagini hanno fatto emergere anche il coinvolgimento dei Casamonica e del clan Spada nella gestione del gioco illecito.

  • Contrastare il randagismo ma anche i ricavi che fa la malavita con gli animali

    Continuano le indagini sui furti di cavalli purosangue e comunque non allevati per la macellazione. Sia l’anno scorso che quest’anno, secondo quanto risulta da interrogazioni parlamentari, dalle risposte del governo e dalle indagini dei carabinieri, diversi cavalli, nel Lazio, allevati per le corse e perciò anche con la somministrazione di sostanze e medicinali veterinari estremamente pericolosi per l’essere umano, qualora fossero destinati alla macellazione clandestina e alla vendita per il consumo di carne, sono stati rubati e sono misteriosamente spariti. Per quanto è nella nostra esperienza, è pero più facile e plausibile che gli animali sottratti siano stati utilizzati o saranno utilizzati per organizzare corse clandestine. E’ infatti noto, come Il Patto Sociale ha più volte denunciato, che i cavalli, purosangue o mezzo sangue, allevati per le corse, le gare d’equitazione o i maneggi siano stati rubati per incrementare le gare illegali, molte delle quali si svolgono nel centro sud. Queste gare sono organizzate dalle associazioni criminali  e intorno alle corse clandestine vi è un vertiginoso giro di scommesse sulle quali la criminalità organizzata ricava importanti introiti come abbiamo ricordato anche nel recente articolo sulle ecomafie. Che poi alla fine di queste gare molti cavalli si facciano male o siano comunque abbattuti, specie se riconoscibili dai microchip, e che la loro carne sia venduta nelle macellerie regolari o irregolari è sicuramente un pericolo per la salute umana. L’ecomafia continua ad aumentare il suo potere e giro di denaro sporco e insanguinato e se è sicuramente un passo avanti l’annuncio, ad aprile, del ministro dell’Interno di predisporre uno stanziamento di un milione di euro per la prevenzione ed il contrasto del maltrattamento animale è anche vero che i finanziamenti non sono stati ancora distribuiti nelle regioni indicate come le prime ad avere bisogno di un intervento (Puglia, Campania, Lombardia, Piemonte, Lazio, Toscana, Emilia, Marche e Sicilia) e resta un mistero il motivo per il quale sia stata saltata la Calabria, regione nella quale vi è estrema urgenza di interventi. Lo stanziamento è stato sopratutto indirizzato a contrastare il randagismo e la tragica situazione di molti rifugi e le prefetture avrebbero dovuto, entro il 30 giugno, dare al Ministero una attenta e specifica analisi della situazione. Quello che il Ministero non ha però ancora varato in termini chiari è la lotta all’ecomafia che, con le sue diverse sfaccettature, continua ad arricchirsi con i combattimenti tra cani, le corse clandestine di cani e cavalli, con le relative scommesse, l’importazione di cuccioli malati dall’est Europa, le truffe via internet etc. etc. Speriamo che questa nuova vicenda dei cavalli rubati nel Lazio riporti l’attenzione del ministro sul problema principale: se vogliamo salvaguardare correttamente gli animali è necessario 1) sradicare tutti i furbastri che aprono rifugi falsi che diventano lager ed anticamera di morte e sofferenze e perciò dare competenze e risorse vere alle strutture pubbliche e private corrette, e per garantire la correttezza occorrono veri e periodici controlli, 2) iniziare una capillare lotta alle associazioni criminali che usano gli animali per incrementare il loro business.

  • Rolls Royce: chi inneggia al consumo di droga è complice della criminalità

    E’ comprensibile che in un periodo, che si protrae da molto tempo, di incertezza, problemi e cattive notizie, molti abbiano voglia di qualcosa di leggero come il Festival di San Remo. Purtroppo però, ancora una volta, le aspettative sono state tradite da polemiche politiche che nulla c’entrano con le canzoni, belle o brutte che siano. Polemiche politiche che dimostrano anche la pochezza di politici e stampa che hanno nuovamente perso l’occasione di stare zitti. Speriamo che i cantanti, quelli che sanno cantare, continuino a fare il loro lavoro, dal primo all’ultimo anche se Ultimo avrebbe  voluto essere primo! Qualcuno avrebbe desiderato maggior riconoscimento, il che è legittimo ma è altrettanto legittima la vittoria di chi ha vinto. Quello che invece non è legittimo, e ci preoccupa molto, è che sia stata portata a San Remo una canzone che è un vero inno alla droga ed alla devianza e ancor di più che questa canzone, ed il suo interprete, siano stati accolti in diverse trasmissioni, non solo di intrattenimento. Coloro che non si sono resi conto della gravità delle situazione tossicodipendenza, del continuo aumento del consumo, dell’abbassamento dell’età dei consumatori, ormai l’età a rischio parte dai 10-11anni, della disperazione di una società incapace di impedire il vero e proprio suicidio di decine di migliaia di ragazzi, non credo debbano continuare ad essere maestri di pensiero nella televisione pubblica pagata dai cittadini, e cioè anche da tutte quelle madri e quei padri che passano le notti a cercare i figli drogati nei giardinetti dei quartieri di ogni città italiana.

    E’ molto grave che una canzone che prende come esempio di vita personaggi che hanno abusato di sostanze stupefacenti che li hanno portati alla morte, anche per suicidio, sia stata  presentata a San Remo e che il cantante abbia avuto addirittura il plauso di noti presentatori televisivi. Infatti il danno è stato  ulteriormente aumentato dalla diffusione di Rolls Royce in varie trasmissioni.

    Se siamo  contrari alla censura e favorevoli alla libertà di espressione dobbiamo anche definire cosa è lecito e cosa non è lecito! Istigare al consumo di droga, quella droga che da un lato uccide e dall’altro fa guadagnare fortune immense alla criminalità organizzata, non può essere consentito a nessuno. Vorremmo sentire cosa hanno da dire tanti autorevoli politici, dirigenti Rai, giornalisti e scrittori su quanto avvenuto e come si intenda affrontare nel prossimo futuro il problema. Ci auguriamo che Saviano ed altri non rimangano silenziosi perché su certi fatti il silenzio è complicità allo spaccio e perciò alla criminalità.

  • In attesa di Giustizia: Ipocrisia

    Giovanni Falcone ebbe in vita molti critici e non pochi avversari che ne condizionarono il percorso professionale ma nessuno ebbe mai l’ardire di sostenere che fosse inadeguato al ruolo che ricopriva  – prima all’Ufficio Istruzione e poi alla Procura della Repubblica di Palermo – perché era siciliano, perché riuscì a far collaborare Tommaso Buscetta parlandogli in dialetto e convincendolo perché sapeva come ragionare con lui conoscendone la mentalità.

    Il contesto è diverso, il paragone con un grandissimo magistrato martire non vuole neppure apparire quasi irriverente ma qualcosa di simile sta accadendo nelle ultime settimane in Lombardia dove la Regione ha inteso istituire una Commissione formata da esperti del settore che si occupi e studi i fenomeni di criminalità organizzata sul territorio.

    Tra i candidati, o meglio, tra i soggetti indicati per l’incarico provenienti da differenti aree politiche vi è anche un’ eccellente avvocato donna di origine calabrese ma che esercita principalmente a Milano: Maria Teresa Zampogna, segnalata dal centro destra.

    Tale proposta ha scatenato il fuoco di sbarramento da parte di tuttologi, professionisti dell’antimafia, soloni, censori dell’ultim’ora e pseudo tecnici della materia: sarà un caso ma tutti appartenenti al versante politico dell’opposizione in ambito regionale.

    Questa è una vicenda di cui un po’ si sono già occupati gli organi di informazione ma su cui è calato poi il silenzio in corrispondenza con il periodo di ferie estive: tutti al mare e se ne riparlerà tra poco nelle sedi competenti ma forse senza gli onori della cronaca: la critica rivolta all’Avv. Zampogna consiste essenzialmente nel fatto che il suo curriculum professionale segnala molteplici impegni in processi di grande criminalità, tra l’altro attribuendole pure in maniera imperfetta incarichi difensivi.

    In sostanza, l’inadeguatezza della candidata risiederebbe proprio nel fatto che ha maturato esperienza nel settore di cui si dovrebbe interessare in veste di componente di una struttura tecnica di emanazione politica: ragionamento zoppicante la cui zoppia esprime i molteplici fattori negativi retrostanti: dall’evidente preconcetto politico alle ragioni di inidoneità che sono tutt’altro che in conflitto proprio con la funzione designata e che soprattutto sottendono l’abusata e inaccettabile assimilazione tra il difensore e i propri assistiti.

    Quest’ultimo aspetto è quello che forse maggiormente inquieta perché non è un caso isolato, perché troppo spesso e del tutto immotivatamente si omologa l’avvocato al criminale – o meglio, presunto tale – che difende dimenticando volutamente che il suo ruolo è quello di custode delle garanzie che il codice di procedura penale assegna a chi sia soggetto alla pretesa punitiva dello Stato.

    Ma c’è un altro aspetto deteriore in questa vicenda che non può essere trascurato: l’ipocrisia che sorregge la tesi avversa alla nomina dell’ Avv. Zampogna e che è volta a mascherare – almeno a parere di chi scrive – becere questioni di appartenenza politica in un conflitto tra poteri dello Stato che sembra non avere mai fine, agevolata e stimolata dalle esondazioni della Magistratura dal proprio ambito istituzionale. E come diceva Piero Calamandrei, quando per la porta della Magistratura entra la politica, la giustizia – quella di cui noi siamo in attesa – esce dalla finestra.

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