Crimini

  • Europol presenta la sua prima relazione contenente un inventario delle reti criminali in tutta l’UE

    Venerdì 5 aprile il Commissario per la Giustizia Didier Reynders e la Commissaria per gli Affari interni Ylva Johansson parteciperanno alla presentazione, da parte di Europol, dei risultati della relazione dal titolo “Decodificare le più minacciose reti criminali dell’UE”, la prima mai dedicata a questo tema. Come indicato nella tabella di marcia dell’UE per contrastare il traffico di droga e la criminalità organizzata dell’ottobre 2023, la realizzazione di un inventario delle reti criminali ad alto rischio è un presupposto fondamentale per smantellarle. La relazione fa seguito alle azioni indicate nella tabella di marcia e rappresenta un risultato fondamentale nell’ambito della strategia dell’UE per la lotta alla criminalità organizzata 2021-2025.

    La relazione analizza oltre 800 reti criminali e 25 000 singoli individui, sulla base di dati provenienti da tutti gli Stati membri e da 17 paesi terzi. L’attenzione è rivolta alle principali attività criminali, tra cui il traffico di stupefacenti, le frodi, i reati contro il patrimonio, il traffico di migranti e la tratta di esseri umani. La relazione getta chiaramente luce non solo sulle attività criminali, ma anche sui loro responsabili, fornendo alle autorità di contrasto informazioni preziose sul funzionamento delle reti criminali nell’UE e rendendo così possibili azioni più mirate per combattere la criminalità organizzata.

    La relazione sarà presentata alle ore 8: 30 durante la conferenza stampa del Commissario Reynders e della Commissaria Johansson, insieme al direttore esecutivo di Europol Catherine De Bolle, al ministro belga dell’Interno, Annelies Verlinden, e al ministro belga della Giustizia Paul Van Tigchelt.

  • Russia: dall’inizio della guerra il giallo della morte di 14 esponenti di spicco

    Con la morte del viceministro russo Kucherenko sono ormai 14 le morti “misteriose” di importanti personaggi di vertice improvvisamente defunti per incredibili suicidi o per altrettanti incredibili malori.

    Se di questi decessi, visto i ruoli ufficiali che ricoprivano, abbiamo avuto notizia certamente non sappiamo, e forse non sapremo mai, quante altre persone di secondo piano sono sparite o morte.

    La sciagurata guerra di Putin, che ha raso al suolo intere città dell’Ucraina, reso inagibile, anche per la produzione agricola, sterminate porzioni del territorio, portato alla morte civili, bambini, soldati ucraini e, in numero ancora più elevato, soldati russi miete anche vittime, illustri e chissà quante sconosciute, persone che hanno avuto il coraggio di dire no alla sanguinosa invasione.

    Continuiamo a chiederci a cosa effettivamente serva l’ONU quando non solo non è in grado di impedire la più palese violazione dei suoi principi costitutivi ma neppure di espellere, o almeno sospendere, chi questi principi ha violato e continua a violare.

    Qualcuno ha cominciato, dopo essersi posto le domande, a trovare delle risposte?

    Intanto Putin continua ad uccidere, sul campo di battaglia e in ogni dove perché qualunque mezzo gli è congeniale e consentito per tenere il potere e sopprimere ogni voce di dissenso.

  • A ciascuno quello che si merita

    La giustizia non è mossa dalla fretta… e quella di Dio ha secoli a disposizione.

    Umberto Eco

    Il 20 novembre 1945 nella città di Norimberga, nota per le celebrazioni organizzate dal Partito del Reich di Hiltler, una delle città simbolo del regime nazista, ebbero inizio i processi giudiziari contro i crimini di guerra. I processi durarono per circa un anno e sono stati svolti presso la Corte Militare Internazionale. La decisione per la costituzione di quella Corte, che doveva giudicare i crimini di guerra dei nazisti, era stata presa già prima della fine della seconda guerra mondiale dalle tre potenze vincitrici: Stati Uniti d’America, Unione Sovietica e Regno Unito. Nel primo processo di Norimberga venivano giustiziati i più stretti collaboratori di Hiltler, tutti giudicati colpevoli e condannati a morte per impiccagione. La stessa Corte dichiarò criminale anche la famigerata Organizzazione delle SS (le Schutzstaffel – squadre di protezione; n.d.a.). Secondo i giudici, le SS sono state colpevoli di “…persecuzione e lo sterminio degli ebrei, brutalità ed esecuzioni nei campi di concentramento, eccessi nell’amministrazione dei territori occupati, l’amministrazione del programma di lavoro schiavistico e il maltrattamento e assassinio di prigionieri di guerra”.. Un altro processo di Norimberga, chiamato anche il “processo ai dottori”, giudicava le responsabilità dei rappresentanti di rango inferiore nella gerarchia nazista. Quanto ebbe inizio 75 anni fa a Norimberga e le seguenti decisioni della Corte Militare Internazionale rappresentano una significativa e valida esperienza e non soltanto giuridica.

    Purtroppo con la fine della seconda guerra mondiale e dopo le decisioni prese dal Processo di Norimberga non ebbero fine i crimini di guerra commessi in diversi paesi del mondo. E neanche in Europa. Compresi quelli nell’ex Jugoslavia, durante l’inarrestabile processo di disgregazione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Sono note e testimoniate ormai le crudeltà fatte dalle forze armate, militari e paramilitari della Serbia e subite dalle diverse popolazioni dell’ex Jugoslavia. Crimini che ormai sono stati giudicati e condannati dal Tribunale Penale internazionale per l’ex Jugoslavia, un’istituzione giuridica delle Nazioni Unite con un mandato provvisorio. È stato costituito nel maggio del 1993, in base alla Risoluzione 827 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di giudicare e decidere sui crimini di guerra commessi dalle strutture militari e paramilitari dell’ex Jugoslavia dal 1991 in poi. Quel Tribunale ha avuto l’obbligo istituzionale di trattare i crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio ecc., durante i conflitti armati in Croazia (1991-1995), in Bosnia-Erzegovina (1992-1995) in Kosovo (1998-1999) ed in Macedonia (2001). Quel Tribunale ha concluso definitivamente la sua attività, come previsto, il 31 dicembre 2017.

    Tornando ai giorni nostri, il 5 novembre scorso il Tribunale speciale del Kosovo ha ordinato l’arresto del presidente della Repubblica kosovara. Negli stessi giorni sono stati arrestati, sempre con ordine del Tribunale speciale del Kosovo, anche tre altri alti rappresentanti politici di primo piano. La scorsa settimana il nostro lettore ha avuto modo di informarsi su quanto sta attualmente accadendo in Kosovo (Che siano semplicemente delle fortuite coincidenze! 16 novembre 2020). Subito dopo essere stata resa nota la decisione del Tribunale, il presidente della Repubblica del Kosovo ha rassegnato le sue dimissioni. Attualmente gli arrestati si trovano nella sede del Tribunale speciale all’Aia (Olanda). Dal 9 novembre scorso sono iniziati i processi giudiziari contro gli arrestati. Bisogna sottolineare che nonostante il Tribunale speciale abbia sede all’Aia, si tratta sempre di un Tribunale del Kosovo, costituito nell’agosto del 2015, dopo l’approvazione del Parlamento in Kosovo. L’obiettivo del Tribunale è quello di indagare e deliberare sui crimini di guerra commessi dai dirigenti dell’Esercito di Liberazione Nazionale e/o da altri, contro le “minoranze etniche e oppositori politici” residenti in Kosovo, durante la guerra tra la Serbia ed il Kosovo (1998-1999) e negli anni a seguire. Il Tribunale speciale si compone di quattro Camere specialistiche e dell’Ufficio dei procuratori specializzati. La costituzione di quel Tribunale è stata chiesta dopo la pubblicazione di un Rapporto del Consiglio d’Europa, redatto da un senatore svizzero. In quel documento ufficiale si rapportava di crimini di guerra commessi da dirigenti e membri del Esercito di Liberazione del Kosovo, durante e subito dopo il conflitto armato del 1998-1999 tra la Serbia ed il Kosovo. In seguito, tra i rappresentanti delle istituzioni del Kosovo e dell’Unione europea, si sono negoziate e concordate le modalità del funzionamento del Tribunale speciale, dei suoi obiettivi e delle procedure da svolgere. Bisogna sottolineare però che non tutti i partiti in Kosovo hanno votato per la costituzione del Tribunale speciale. Le ragioni principali erano legate al fatto che un simile Tribunale non doveva giudicare soltanto i crimini, fatti dagli albanesi nel territorio del Kosovo durante la guerra e negli anni successivi, ma anche quelli fatti, sempre in Kosovo e sempre nello stesso periodo, dai serbi (militari e/o cittadini). In più, secondo quelli che hanno votato contro, il Tribunale, che non aveva nessun giudice dal Kosovo, doveva avere la sua sede in Kosovo e non all’Aia, perché così si minimizzava l’autorità dello del Kosovo. Quelli che hanno votato contro hanno ribadito comunque che rispettavano la professionalità e la serietà dei giudici e dei procuratori del Tribunale speciale. Da anni però in Kosovo una parte consistente dell’opinione pubblica, degli analisti e degli opinionisti ha espresso delle perplessità sulle decisioni che prenderà il Tribunale speciale. Non tanto per la professionalità, quanto, secondo loro, perché si potrebbero confondere le colpe individuali di singoli dirigenti kosovari, con la bontà e la giustezza della guerra di liberazione del Kosovo dalla Serbia. Una Guerra quella fortemente sostenuta, sia diplomaticamente che militarmente, dalle grandi potenze internazionali. Ma temendo anche dei “parallelismi” tra i crimini di guerra, ormai documentati e condannati, fatti dalla Serbia, con dei crimini di alcuni dirigenti che devono rispondere individualmente, nel caso le accuse fatte dall’Ufficio dei procuratori specializzati risultino fondate. A proposito, un’altra fossa comune è stata scoperta il 16 novembre scorso in una miniera nel sud della Serbia, dopo mesi di scavi, con dei cadaveri che secondo gli specialisti, con molta probabilità, potrebbero essere degli albanesi del Kosovo uccisi durante la guerra.

    Quanto sta accadendo in Kosovo ha suscitato reazioni anche in Albania. Subito è stata attivata la propaganda governativa per accusare il capo dell’opposizione, il quale, durante la guerra del Kosovo, era stato assunto come traduttore dall’UNMIK (la Missione dell’Amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo; n.d.a.). Il primo ministro albanese ha messo in atto la sua ennesima “buffonata” propagandistica, basandosi su delle accuse “prefabbricate ad arte”, con la speranza di spostare, anche per poco tempo, l’attenzione dai suoi innumerevoli scandali.

    Chi scrive queste righe pensa che il capo dell’opposizione albanese ne ha delle colpe, ma che riguardano il modo in cui ha fatto “opposizione” a questo primo ministro. Ne ha colpe anche, e soprattutto, per aver compromesso e sgretolato sistematicamente lo spirito di rivolta e di protesta dei cittadini albanesi, dopo le tante “forti” promesse fatte da lui pubblicamente e mai mantenute. Chi scrive queste righe pensa che, sia nel caso dei dirigenti del Kosovo, ormai arrestati e sotto processo, che nel caso del capo dell’opposizione albanese, è la giustizia che si deve esprimersi.  Egli è convinto però che il tempo è galantuomo e che, prima o poi, a ciascuno sarà dato quel che si merita. Che il processo di Norimberga sia un esempio! La giustizia non è mossa dalla fretta. E quella di Dio ha secoli a disposizione.

  • Crimini contro le donne: se ne parla in un convegno a Roma

    Si svolgerà mercoledì 16 maggio alle ore 15.00 in Sala Italia della Società Umanitaria (sede di Roma) l’incontro organizzato in collaborazione con l’Associazione Donne Giuriste per presentare il nuovo libro “Crimini contro le donne. Politiche, leggi, buone pratiche” di Fabio Roia, Presidente sezione Penale del Tribunale di Milano. Quasi ogni giorno si legge e si sente parlare in televisione di femminicidio ma queste sono tragedie assolutamente evitabili. Le convenzioni e le leggi ci sono. Le politiche pensate per creare un diverso approccio culturale nei confronti del rispetto del genere femminile anche. Si tratta allora di lavorare sulla cultura, di applicare gli istituti, di fare i processi in maniera intelligente, di lavorare con un approccio multidisciplinare sul caso, di formare tutti gli operatori che vengono a contatto con una donna vittima di violenza.

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