E’ incomprensibile questo silenzio dei vescovi verso le stragi di cristiani che si verificano regolarmente, senza sosta, da qualche anno a questa parte. Che si tratti di Boko Haram in Nigeria o di terroristi-kamikaze in questa o in quella località del pianeta, il silenzio è di prammatica. “Come mai?” – si chiede l’ex direttore del Wall Street Journal, Gerard Baker. Il massacro dello Sri Lanka attesta quanto possano essere autodistruttive le nostre élite. Quella tragedia doveva indurre la dirigenza cristiana a parlare in difesa della propria gente. Invece il silenzio ha coperto questo orrore e non ha espresso alcun segno di solidarietà e di pietà nei confronti delle più di trecento vittime. “Come mai?” – ripetiamo anche noi, increduli che questo martirio non abbia lasciato tracce nel cuore e nell’intelligenza dei vescovi. E allora, perché il silenzio? Forse la paura di vendette? Forse il timore di interrompere i buoni rapporti con le autorità islamiche? Forse la preoccupazione di non turbare le personalità politicamente corrette che controllano i media e l’establishment culturale ? Comunque sia, il silenzio è uno scandalo ed è uno scandalo ancor più grave che non si abbia il coraggio di dire chi sono gli stragisti e da chi sono animati. La testa sotto la sabbia non ha mai giovato a nessuno e contribuire a ignorare il radicalismo islamico, non lo farà certamente scomparire. Che questo atteggiamento di rifiuto della realtà possa collocarsi nei meandri talvolta oscuri della politica può essere comprensibile (fino a un certo punto), ma è assolutamente incomprensibile che il silenzio e il vuoto arrivino anche nelle preghiere e nelle liturgie. Nella “preghiera universale” dopo il Vangelo e prima della recita del Credo, nella messa cattolica si prega per tutti e per tutto, persino per motivazioni talmente astratte da non far capire per chi si prega. Mai una volta che queste preghiere siano rivolte ai fratelli di fede martirizzati dal fondamentalismo islamico. Nel recente libro di Giulio Meotti “La tomba di Dio”- La morte dei cristiani d’Oriente e l’abbandono dell’Occidente – si documenta l’ampiezza di una tragedia la cui portata storica e morale ci mette a confronto con la nostra coscienza. “Nel corso delle settimane, dei mesi, degli anni, pagina dopo pagina, si sprigiona verso l’Occidente – afferma l’autrice della prefazione, Bat Ye’or – l’appello al soccorso dei cristiani e di altre minoranze massacrate dai jihadisti. Ma il soccorso non arriva mai. Gli occhi restano ciechi, le orecchie sorde, le bocche mute. L’Europa dei diritti dell’Uomo, così tenera, così compassionevole verso i migranti musulmani, così votata a soddisfare le richieste reclamate dai suoi protetti favoriti, i Palestinesi, rimane impassibile se non ostile a questi cristiani del mondo islamico, il cui sterminio l’importuna e si contrappone alle sue ambizioni di super potenza economica e politica mondiale”. Che muoiano in silenzio questi cristiani e non disturbino il nostro tran-tran di tolleranza con questi fondamentalisti! Di fronte a questo dramma umano di grandezza terrificante, che Meotti stende davanti a noi, ci si chiede: perché questo sradicamento selvaggio di popolazioni tranquille ed innocenti? “I cristiani d’Oriente – scrive Meotti – sono trattati come i rappresentanti di una religione che sarebbe fondamentalmente estranea alla regione, dalla quale gli ultimi rappresentanti dovrebbero essere espulsi, mentre il cristianesimo trova proprio lì la sua culla e la sua origine. Anche i loro luoghi di culto, le loro croci, i loro libri, le loro tombe, i loro rosari, le loro icone, tutto viene distrutto per cancellare anche solo il ricordo della loro presenza. Come se la loro fine sia in qualche modo naturale”. Date, nomi, luoghi, fatti, nulla è inventato. Tutto è verificabile. E l’Occidente? Che fa l’Occidente? E l’Europa dei diritti umani? Che fa questa Europa sorda e muta? Il quotidiano israeliano “Israel Hayom” del 28 aprile scorso si chiede: “L’Europa crede ancora che seppellire la testa nella sabbia sia il modo migliore per affrontare la sfida posta dall’islam radicale? Il problema peggiorerà alla luce del fallimento dell’Europa nel riassorbire le ondate di immigrazione musulmana nel continente. Questi immigrati rappresentano attualmente meno del 5 per cento dell’intera popolazione europea, ma questa percentuale potrebbe raggiungere il 20 per cento e persino un quarto della popolazione a causa del basso tasso di natalità tra gli europei nativi. In Europa nessuno è pronto a riconoscere questa sfida e ad affrontarla”. E il silenzio sulla persecuzione dei cristiani contribuisce a nascondere questa sfida e, quindi, a non affrontarla. La crudele sorte dei cristiani in certe aree del mondo è anche una vergogna dell’Occidente rinunciatario e nihilista, che non s’accorge del suo declino.
Cristiani
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I cristiani perseguitati e il silenzio dei pastori del gregge
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Un missionario britannico ucciso nell’Amazonia peruviana
Il 2 aprile, a Iquitos, nel Perù nord orientale, a poche decine di chilometri dal confine con il Brasile, è stato rinvenuto il cadavere carbonizzato di un missionario britannico, Paul McAuley, della congregazione dei Fratelli delle scuole cristiane, ordine dei Lassalliani. Aveva 71 anni. Dal 1995 operava in Perù, prima in uno dei quartieri periferici di Lima dove aveva fondato il Colegio Fey Alegria, poi, dal 2000, a Iquito, una vasta area metropolitana sul Rio delle Amazzoni nel cuore della Amazzonia peruviana, abitata da quasi mezzo milione di abitanti. Ha dedicato la vita all’istruzione dei giovani indios. Dirigeva l’Instituto Superior Pedagógico Público Loreto. Inoltre aveva fondato Red Ambiental Loretana, un organismo impegnato nella lotta contro la deforestazione e lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas naturale nel sottosuolo della foresta, diventando un punto di riferimento per la difesa dell’ambiente. Il suo cadavere è stato rinvenuto da alcuni giovani indios nella Comunidad Estudiantil Intercultural dove abitava. La Conferenza episcopale peruviana ha inviato alle autorità la richiesta di indagare. La sua morte potrebbe essere legata al suo impegno in difesa dell’ambiente. Ma potrebbe essere invece stato ucciso da criminali comuni oppure da uno dei ragazzi indios a cui tentava di dare un futuro. “Fratel Paul – hanno scritto i Fratelli delle Scuole Cristiane dal Perù – ha donato la sua vita per i poveri dell’Amazzonia. Il suo impegno per custodire la “Casa Comune” è stato il suo mandato evangelico”.
Da ‘La Nuova Bussola Quotidiana’ del 4 aprile 2019, articolo di Anna Bono
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Continua la persecuzione dei cristiani in Pakistan
E’ pericoloso essere cristiani in Pakistan perché si hanno meno difese rispetto a quanti appartengono alla religione di maggioranza. Lo afferma Marta Petrosillo su La Nuova Bussola Quotidiana del 6 febbraio, elencando una serie di casi recenti che hanno coinvolto persone che praticano il cristianesimo. Il primo caso citato è quello del quattordicenne Harron, accoltellato a Karachi il 18 febbraio scorso da cinque mussulmani, subendo lesioni gravissime a un rene che gli è stato asportato. Mentre stava morendo, la sua famiglia ha ricevuto pressioni e minacce per ritirare le accuse contro i suoi aggressori. Per spingere la famiglia a ritirare la denuncia, gli assalitori o i loro familiari utilizzano la legge antiblasfemia. Vengono minacciati di spargere brandelli del Corano oppure di aver offeso il Profeta Maometto. L’avvocatessa Tabassum Yousaf si è fatta carico del caso di Harron, come di quelli di tante altre vittime cristiane che, senza di lei, sarebbero abbandonate e sole in un sistema caratterizzato dalle forti pressioni esercitate dai mussulmani sulla polizia e sui giudici. Molti suoi clienti – dice la Petrosillo – sono genitori di ragazze cristiane rapite e convertite forzatamente all’Islam, che vengono minacciati di essere accusati di blasfemia. Questa legge antiblasfemia è utilizzata come arma di vendetta contro i cristiani o contro altri appartenenti a minoranze religiose. Sempre a Karachi, il gennaio scorso, il cristiano Amjad Dildar ha chiesto alla copia mussulmana composta da Fayaz e Samina Riaz di liberare l’appartamento che avevano avuto in affitto. Per tutta risposta Samina, il 19 febbraio, ha accusato le tre figlie di Amjad e un’altra donna di aver profanato una copia del Corano immergendola in un bidone di acqua sporca. Una folla di mussulmani infuriati si è riversata nel loro quartiere, uccidendo animali e bestiame, prendendo a sassate chiese e abitazioni e costringendo almeno 200 famiglie cristiane alla fuga. Cosa accadrà ora alle donne accusate, che ora sarebbero in custodia in una località segreta? Alcuni precedenti non ci lasciano bene sperare. Uno è quello di Sawan Masih, un cristiano accusato di aver offeso Maometto nel 2013 e condannato a morte nel 2014. A Lahore, Sawan stava bevendo con un suo amico mussulmano . “Veniva spesso a casa nostra” – spiega la moglie di Sawan, che da sei anni cresce da sola i tre figli. Tra i due uomini scoppia una lite e il 7 marzo 2013 l’amico sporge denuncia contro il giovane cristiano. Proprio come nel caso di Asia Bibi, anche in questo non mancano le irregolarità. Al momento del fatto – dichiara l’avvocato di Sawan – non vi erano testimoni, ma due giorni dopo due uomini sostengono alla stazione di polizia d’aver ascoltato la presunta frase blasfema. Così il 9 marzo, aizzati dagli imam durante la preghiera del venerdì, tremila mussulmani attaccano il quartiere, dando fuoco a 200 case e a due chiese. L’accusa di blasfemia – a parere di molti – è strumentale, perché la comunità islamica locale voleva cacciare i cristiani per impossessarsi del quartiere considerato interessante perché confinante con un’area di imprese siderurgiche. Grazie all’intervento del governo, però, le 200 case distrutte sono state ricostruite ed i cristiani hanno potuto tornare a casa. Assistiamo spesso a queste contraddizioni in Pakistan. Gli estremisti islamici compiono violenze e presentano denunce di blasfemia, poi le autorità governative intervengono per rimediare agli eccessi dei fanatici fondamentalisti. Per parafrasare un vecchio detto, “c’è un giudice a Islamabad”. Il caso di Asia Bibi è esemplare, tanto per l’ingiustizia della condanna e dell’imprigionamento, quanto della sua liberazione e protezione. Anche nel caso di Sawan la contraddizione è palese. Gli 83 responsabili dell’attacco al quartiere sono tutti a piede libero, mentre Sawan è stato condannato a morte del 2014. Nella sentenza infatti il giudice ha fatto riferimento ai versetti del Corano. Da allora Sawan, che oggi ha 32 anni, attende il processo d’appello che viene rimandato continuamente, La nuova udienza è stata fissata per il 20 marzo, ma probabilmente anche stavolta il giudice troverà una scusa per non procedere.
Sawan intanto rimarrà in carcere, insieme ad altri 24 cristiani accusati di blasfemia. Sono in tutto 220 i cristiani accusati di questo crimine dal 1987 ad oggi. Le accuse di blasfemia formulate in totale in questi anni sono state 1534, ma dopo l’introduzione di modifiche alla legge, solo il 15% di esse è rimasto in essere, una percentuale comunque ben superiore al misero 2% che la comunità cristiana rappresenta all’interno della popolazione pachistana.
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L’Europa ha bisogno di riscoprire i suoi valori
L’Europa con i suoi valori e principi fondanti è al centro di due manifesti che ribadiscono la necessità di ritornare a quelle idee per fermare un’Europa che sta perdendo la sua identità sostituendola con un profondo declino culturale.
Il primo manifesto, lanciato il 25 febbraio dalla Federazione europea delle associazioni familiari cattoliche (Fafce), si rivolge nello specifico ai candidati alle prossime elezioni europee (23-26 maggio 2019) invitandoli a riconoscere «il ruolo fondamentale della famiglia come unità di base della società». Il documento è suddiviso in 10 punti, il primo dei quali è un incoraggiamento alla creazione di un patto per la natalità che interessi tutti i Paesi dell’Ue, perché «i nostri figli sono il nostro bene comune primario». I politici che firmeranno il manifesto si impegnano anche a prendere in considerazione le famiglie in tutte le decisioni comunitarie e dare loro voce attraverso le associazioni familiari. Al punto 4 si ricorda il ruolo economico delle famiglie, che «aiutano a dare sollievo alle finanze pubbliche in difficoltà», e si chiedono opportune misure di giustizia fiscale. La famiglia ha un ruolo chiave nella «promozione dell’inclusione sociale» e da ciò discende la necessità che venga riconosciuto «il valore del lavoro a casa della madre e del padre».
Il manifesto della Fafce chiede poi ai firmatari di adoperarsi per riservare la domenica come giorno comune di riposo settimanale, bilanciando le condizioni lavorative con i bisogni della famiglia, così da assicurare «condizioni di vita che facilitino il tempo insieme». Al punto 7 si riconosce la complementarità tra uomo e donna, rifiutando ogni tentativo normativo di cancellare od offuscare l’importanza delle differenze sessuali, alla base della procreazione; e al punto 8, strettamente collegato, si ricorda che «più forti legami familiari migliorano il benessere delle persone», respingendo «ogni interferenza dell’Unione europea nella definizione legale del matrimonio», istituto che come sappiamo è stato sottoposto in questi anni a pressioni fortissime – e deleterie – da parte della lobby gay.
Nel documento, con un no implicito ad aborto ed eutanasia, si legge poi che «la famiglia è il luogo naturale dove ogni nuova vita è benvenuta» e i firmatari rispettano «la dignità di ogni vita umana, a ogni suo stadio, dal concepimento alla morte naturale». L’ultimo punto è dedicato alla libertà di educazione e quindi a rispettare «il diritto dei genitori a educare i propri figli in conformità con le proprie tradizioni culturali, morali e religiose che favoriscano il bene e la dignità del bambino».
Le firme dei candidati al Parlamento europeo che avranno aderito al manifesto saranno rese pubbliche dalla Fafce il 15 maggio, dunque a ridosso delle elezioni.
L’altro manifesto fa riferimento, invece, alle radici del decadimento dell’Europa ed è stato scritto dal filosofo francese Rémy Brague per la piattaforma culturale One of us (Uno di noi), già impegnata nel riconoscimento della dignità dell’embrione e nella relativa petizione firmata da 1.7 milioni di cittadini (respinta dalla Commissione europea).
Brague, nell’analizzare le ragioni alla base della «profonda crisi morale che minaccia la sua sopravvivenza come civiltà», scrive che l’Europa è rimasta per molto tempo fedele a tre grandi eredità, oggi perlopiù accantonate, cioè la «filosofia greca, il diritto romano e le religioni bibliche: Ebraismo e Cristianesimo». Senza queste tre eredità, che sono state il terreno fertile per la «scienza moderna e il riconoscimento delle libertà fondamentali» nel Vecchio Continente, «non sono comprensibili né la cultura europea né le sue grandi creazioni artistiche». Secondo il filosofo francese è stato questo il principale punto di riferimento al quale alcuni dei padri fondatori dell’Europa si sono ispirati, Tra questi sicuramente De Gasperi, Adenauer, Schuman e che l’attuale Ue deve riscoprire per non tradire se stessa.
Brague parla della degenerazione subita dalla filosofia moderna, a causa del “rifiuto della sua vera definizione come ricerca della verità”, che va di pari passo alla svalutazione del cristianesimo operata dal mondo odierno. «Il secolarismo radicale e militante si sta diffondendo ed è la fonte di una forma di ‘cristianofobia’. Non stiamo solo screditando la nostra fede e i nostri valori cristiani ma anche il contributo del Cristianesimo alla cultura europea, quando in realtà l’Europa deve a esso la stragrande maggioranza della sua arte, del suo pensiero e dei suoi costumi». Il rigetto della fede e della cultura cristiana si riflette in un’«idolatria della tecnologia» e nelle deviazioni del diritto, che finisce per essere manipolato a uso e consumo di chi esercita il potere.
Segni di questo abbrutimento generale sono i «declinanti tassi di natalità, la crisi dell’unità familiare e del matrimonio, il negare l’identità culturale dell’Europa» e ancora «l’ascesa del relativismo e multiculturalismo, gli attacchi alla libertà di coscienza e di espressione, la negazione del significato della vita, la negazione dell’oggettività dei principi e degli standard morali, l’accettazione sociale di aborto, eutanasia e altri atti contro la dignità umana, l’ideologia gender e certe forme di femminismo radicale», nonché «la diffusione dell’ateismo», tutti fattori che portano alla «disumanizzazione dell’umanità». Perciò la protezione della famiglia come entità fondata sul matrimonio, la complementarità tra maschio e femmina, la difesa della riproduzione naturale contro i tentativi di costruire l’essere umano in laboratorio, sono capisaldi del manifesto di One of us.
Spiega ancora Brague: “Tra i contributi delle religioni bibliche, e in particolare del Cristianesimo, allo sviluppo dello spirito europeo ci sono l’idea di un Dio personale e dell’amore come essenza di Dio, l’idea della persona e della sua dignità, il significato della creazione, la speranza di una vita piena, eterna, la libertà e responsabilità dell’uomo…». Queste erano le premesse, un tempo generalmente accettate, che hanno permesso alla civiltà europea di fiorire. Sarebbe il caso di recuperarle.
Tratto dall’articolo di Ermes Dovico pubblicato sulla Nuova Bussola Quotidiana il 27/02/2019
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Asia Bibi è libera ma deve rifugiarsi in un luogo sicuro
I giudici della Corte Suprema del Pakistan, riuniti in udienza il 29 gennaio, hanno respinto l’istanza di revisione della sentenza che lo scorso ottobre ha assolto Asia Bibi dall’accusa di blasfemia. La donna adesso è libera di rivedere i suoi famigliari dopo nove anni e mezzo di carcere ma i problemi per lei, purtroppo non sono finiti. Le proteste e le violenze dei fondamentalisti del partito Tehreek-e-Labaik, che alla vigilia della sentenza avevano minacciato i giudici (e i loro famigliari) affinché non assolvessero Asia Bibi, non si faranno attendere. Già accusano infatti il governo di Imran Kahn di essere “al soldo” dell’Occidente. La sentenza giunge infatti in un momento di apertura alla minoranza cristiana: lo scorso 25 dicembre è stato festeggiato il Natale, con tanto di auguri da parte del governo ai cristiani in Pakistan, ed è stato assolto un altro cristiano “blasfemo”, la cui famiglia è stata però distrutta negli ultimi anni. Piccoli passi che fanno pensare positivamente, anche se con tutte le cautele del caso, ad un periodo di apertura. Nel frattempo però Asia Bibi deve allontanarsi dal Pakistan e rifugiarsi in un luogo sicuro con tutta la sua famiglia per non correre rischi.
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Le persecuzioni contro i cristiani continuano
E’ inspiegabile il silenzio che circonda la persecuzione dei cristiani nel mondo. Ed è inspiegabile pure l’accanimento contro di essi che viene praticato, sia pure in forme diverse, in ogni parte del mondo, Europa compresa. Da noi, per fortuna, l’accanimento non è sanguinario, si limita per ora ad essere culturale, ma di accanimento di tratta, perché riesce addirittura a cambiare la storia e a negare che il cristianesimo abbia influenzato il nostro continente. C’è l’arte – se non si vuole parlare di religione – a testimoniare la sua presenza, per secoli, nella vita dei nostri popoli: pittura, scultura, architettura, musica, letteratura. Eppure i dirigenti della Convenzione europea, istituita nel dicembre del 2001 in occasione della riunione del Consiglio Europeo di Laeken, hanno avuto l’impudenza di negare questa realtà, che ha dato la sua impronta a quella che oggi viene considerata la civiltà europea. Un’impudenza che addirittura ha fatto considerare le Chiese cristiane come un’associazione sindacale o di categoria. Chi ha protestato allora per condannare questa sconsideratezza? I politici cristiani al potere nei vari governi europei? Ma nemmeno per sogno! Furono San Carol Woytila, allora Papa, e dopo di lui il Papa Emerito Benedetto XVI. Furono voci clamanti nel deserto, perché la politica non ebbe reazioni e nessuno propose correzioni alla lettura improvvida e falsa della storia fatta da Giscard d’Estaing allora presidente della Convenzione. Nemmeno il Parlamento europeo, che parla sempre di tutto, ha mai detto una parola per correggere questa impertinente sfrontatezza. Mi si dirà che è una interpretazione eccessiva quella di considerare come persecuzione un atteggiamento culturale. Può darsi che la lettura si presti a questo eccesso, ma è indubbio che negare la storia per darle un’interpretazione ideologica rimane un’operazione d’infimo livello, con conseguenze che contribuiscono a nutrire l’odio e a farlo maturare in atti concreti di persecuzione. Non ci sono cifre che possano pesare questa negatività. Ci sono soltanto segnali, che non diremmo positivi per la vita di una società, che si possono definire come nichilismo, relativismo, sfiducia radicale, mancanza si speranza, depressione, ecc. Le cifre, invece, sono implacabili per le persecuzioni non culturali, ma materiali: nel mondo, ogni giorno, vengono mediamente uccisi dodici cristiani, dodici, come gli apostoli – dice il sito che dà la notizia. Sono uomini, donne, vecchi, ragazzi, bambini. La mattanza non ha luoghi preferiti. Si ammazzano in chiesa, in pellegrinaggio, nelle loro case, negli asili, nelle scuole. La loro colpa è di avere una fede, di credere in Cristo. Non ci sono altre ragioni. Se le vittime sono donne possono subire anche lo stupro, se bambini e ragazzi la tortura, ma non si deve parlare di queste orrendi cose: potrebbero incitare all’odio. Il non parlarne potrebbe anche dire che queste cose non fanno più notizia per i media che vanno per la maggiore, quelli che dettano ogni giorno come ci si deve correttamente comportare. E’ meglio parlare di Sanremo, di calcio, della povertà che in Italia è scomparsa – come afferma un vicepresidente del Consiglio – oppure del nuovo ambasciatore italiano all’Unesco, uomo di grande cultura. Eppure questi dati sono veri, non sono inventati come le fake news del governo. Il rapporto che ce li fa conoscere è dell’organizzazione internazionale Open Dors. Come ha dichiarato la sua responsabile britannica, Henrietta Blyth: “la nostra ricerca svela un aumento scioccante della persecuzione dei cristiani a livello globale”. E’ passato da 3.066 del 2017, a 4.305 del 2018 il numero dei cristiani uccisi per ragioni legate alla loro fede. La Nigeria capeggia questa drammatica classifica con 3.731 vittime.
I cristiani perseguitati nel mondo sono saliti a oltre 245 milioni in 73 Paesi, contro i 58 precedenti. In questa lista figurano molti paesi islamici e laddove vengono citate nazioni inattese (come la Russia) è perché nel Caucaso ci sono stati attentati islamisti contro cristiani. Attentati di cui non parlano i nostri TG, siano essi di governo o di privati, ma che non per questo gli attentati non sono accaduti. I responsabili hanno sempre una precisa identità: sono islamisti, induisti e comunisti. Si, comunisti, perché questi regimi rimangono dei feroci avversari del cristianesimo e dei suoi martiri. La classifica vede in testa Nord Corea, Afghanistan, Somalia, Libia, Pakistan. Un livello molto alto di persecuzione è stato registrato in India, Siria, Iraq, Arabia Saudita, Uzbekistan e in altri numerosi Paesi islamici. Allo stesso tempo l’India è finita per la prima volta nelle prime dieci posizioni. In Nigeria, che è al 12° posto della classifica, la mattanza di cristiani è quotidiana. La Cina ha guadagnato 16 posizioni in questa tragica classifica, raggiungendo il 27° posto dopo l’entrata in vigore delle nuove leggi sulla religione nel febbraio 2018. La Turchia è al 26° posto e rientra tra i Paesi con un alto livello di persecuzione. Il Pakistan è al 5°.
Il cristianesimo è la religione più diffusa al mondo, sia come numero di fedeli, che come estensione geografica. Perché allora è la più perseguitata? Il direttore di “Aiuto alla Chiesa che soffre”, Monteduro, risponde: “Perché i cristiani sono pacifici e pacificatori. Sono fondamentali per il dialogo anche fra le altre comunità religiose, fra ebrei e musulmani, fra sciiti e sunniti. Nessuno è come noi, e anche, e forse proprio per questo, siamo i più odiati al mondo”. Per Monteduro “la persecuzione dei cristiani si sta acuendo, perché al fondamentalismo di matrice islamica si accompagnano nuove forme correlate ai nazionalismi religiosi, come il divieto di cambiare religione introdotto nell’India induista, che ricorda il reato di blasfemia delle teocrazie islamiche”. Intanto la strage dei cristiani continua, nel silenzio degli strumenti di comunicazione di massa, Nel silenzio della stessa Chiesa di Roma, che non ricorda nemmeno questi martiri nella preghiera universale prevista nella liturgia della parola durante la Messa.
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«I cristiani nel Medio Oriente sono vicini all’estinzione immediata»
Il settimanale TEMPI del 4 dicembre scorso ha pubblicato il seguente articolo, che crediamo opportuno far conoscere ai nostri lettori per l’importanza dell’argomento e per la tragica situazione in cui si trovano i cristiani in quella parte del mondo. Che sia l’arcivescovo di Canterbury a lanciare l’allarme è abbastanza significativo, poiché il Regno Unito ha rifiutato, recentemente, di accogliere la domanda d’asilo dei genitori di Asia Bibi, la contadina pachistana condannata a morte per blasfemia e ritenuta innocente dalla Corte Suprema, ma tenuta nascosta dalle autorità governative per proteggerla dalla minacce degli estremisti islamici. E’ un’implicita critica al suo governo? Così parrebbe, anche se i toni sfumati non possono essere intesi come un aperto attacco.
«I cristiani nel Medio Oriente sono vicini all’estinzione immediata». È l’allarme lanciato dall’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, domenica alla Bbc. Il primate d’Inghilterra ha spiegato che i cristiani devono affrontare «quotidiane minacce di morte, violenza, assassinio, intimidazione, pregiudizio e povertà» e si trovano nella peggior situazione «dai tempi dell’invasione dei Mongoli del XIII secolo».
In un articolo per il Telegraph, l’arcivescovo ha aggiunto che «negli ultimi anni i cristiani sono stati massacrati dallo Stato islamico. Molti se ne sono andati dalla loro terra. Centinaia di migliaia hanno abbandonare le proprie case sotto costrizione. Molti sono stati uccisi, ridotti in schiavitù, perseguitati e convertiti a forza. Anche coloro che sono rimasti si domandano: “Perché dovremmo restare?“».
Welby ha perciò sottolineato che, «ora che il Natale si avvicina, dobbiamo pregare per loro e parlare in loro difesa. Dobbiamo appoggiarli, aiutarli e sostenerli in ogni modo, in modo pubblico e visibile». Le parole del primate contengono un’implicita critica al Regno Unito, che ha accolto solo un cristiano ogni 400 siriani che hanno chiesto asilo nel paese.
Non possiamo permettere, ha concluso Welby, «che le comunità cristiane, eredi di quelle che hanno fondato la Chiesa universale, spariscano davanti alla minaccia dell’immediata estinzione». Anche le Chiese del Medio Oriente si stanno muovendo nella direzione di convincere i giovani a restare nonostante le difficoltà. «Mettete su famiglia, resistete alla tentazione di partire, contate sulla presenza di Dio nella storia, decidete di essere testimoni di Cristo», è l’appello lanciato dal patriarca maronita, il cardinale libanese Bechara Rai, durante riunione di tutti i patriarchi cattolici d’Oriente, che si è tenuta dal 26 al 30 novembre in Iraq.
Leone Grotti
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Asia Bibi giudicata innocente dalla corte suprema pakistana
Sta succedendo quello che si temeva. Alla gioia seguita alla proclamazione di non colpevolezza da parte della Corte Suprema, è subito subentrata la paura che i fondamentalisti islamici riescano a fare un nuovo processo e a condannare a morte, per la seconda volta, la povera Asia Bibi, una contadina cristiana che vive in Pakistan, colpevole, secondo questi estremisti, di blasfemia e di aver offeso il Profeta. La Corte Suprema, con estremo coraggio, dato il clima di odio e di persecuzione contro i cristiani che è ormai radicato in Pakistan, ha sentenziato che Asia non ha commesso nessuna colpa. Le accuse, quindi, erano false e pretestuose, montate ad arte per far condannare a morte la povera donna. Ciò nonostante Asia è rinchiusa in prigione da 10 anni, in una cella buia e senza finestre, senza avere alcun contatto con l’esterno. Basti pensare che in tutto questo tempo il marito ed i figli non hanno mai potuta incontrarla e che dopo la recente sentenza sono stati costretti a nascondersi per il timore di essere a loro volta perseguitati e sottoposti alle violenze dalla folla, che a decine di migliaia ha invaso le piazze del Paese, ubriaca di odio e di fobia contro i cristiani, chiedendo la morte per Asia.
Asia è innocente, ma deve morire perché cristiana. La sua sola colpa è credere in Gesù Cristo e nel suo amore. Che cosa alimenta questo odio feroce e disumano contro i cristiani? I laudatores dell’islam dicono che questa è una religione amorevole, non violenta. Vorremmo crederlo, ma in tutto il mondo le persecuzioni contri i cristiani provengono da fedeli mussulmani o da istituzioni civili controllate da essi. Non si sente mai dire che i buddisti perseguitino i cristiani, o che lo facciano gli animisti. Sono sempre gli appartenenti all’islam quelli che odiano e che perseguitano i credenti in Cristo, cioè gli infedeli, come dice il Corano. Forse la situazione sarebbe diversa se nel Corano non ci fossero le “sure” che incitano ad ammazzare gli infedeli e addirittura indicano come farlo. Se l’Islam è considerato amorevole, perché i loro saggi, i loro maestri non si pongono il problema della estrema violenza dei versetti di certe “sure” contro gli infedeli? La questione non riguarda soltanto il Pakistan, dilaniato da questo genere di violenza, è ormai pericoloso anche per gli islamici moderati, ma tutti quei Paesi in cui la persecuzione anti cristiana è pane quotidiano. Quando poi dalla persecuzione si passa all’affermazione politica di questi principi, si arriva all’aberrazione delle stragi, come è già accaduto a Parigi e a Nizza e alla creazione del Califfato, cioè di una entità pseudo statuale retta dal Corano, considerato come gli Stati democratici considerano la Costituzione. La violenza è talmente reale, che lo stesso avvocato di Asia Bibi, Saif ul-Mulook, che l’ha salvata dall’impiccagione per blasfemia, ha lasciato il paese temendo per la sua vita, dopo le minacce da parte degli islamici radicali. Che cosa succederà ora? Vi sarà un nuovo processo? Con quali garanzie di obiettività? Gli interrogativi vanno al di là dei confini pakistani e investono le tutela dei diritti umani. E i governi dell’Occidente, sempre pronti a muoversi quando all’orizzonte appaiono segni contrari, hanno intrapreso iniziative diplomatiche per tutelare questi diritti? E l’Unione europea, tramite la sua Alta Rappresentante per la politica estera, l’italiana Mogherini, che azioni ha tentato per impedire l’ennesima flagrante ingiustizia? Ed i cattolici italiani, a parte qualche lodevole reazione privata, cosa hanno tentato di fare per dare una mano alla povera Asia? Lodevole l’iniziativa di Giulio Meotti, giornalista de “Il Foglio”, che ha raccolto più di 14.000 firme all’appello “Portiamo Asia Bibi in Italia” lanciato sulla piattaforma change.org. “L’Italia non può restare in silenzio e inerme davanti alla sorte di Asia Bibi, simbolo della persecuzione di cui sono vittime i cristiani in tutto il mondo… Impedire che sia portata a compimento la condanna a morte per un reato inaccettabile e inesistente è un dovere di tutti, cristiani e non cristiani”. Anche Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, ha annunciato che si sta muovendo in modo discreto, cioè seguendo i criteri della diplomazia, che non urla e non strepita, ma agisce, discretamente appunto, per risolvere il problema di Asia. Il marito di Asia, intanto, si è rivolto ad alcuni governi, compreso, pare, quello italiano, per chiedere il diritto di asilo. Come risponderanno questi governi, se risponderanno? Sarà disposto il governo pachistano ad aprire eventuali trattative con quelli che fossero disposti ad accogliere la famiglia Bibi, Asia compresa? La questione ci sembra molto delicata, per non dire di difficile soluzione. Fin tanto che la violenza prevarrà sulla legge, non c’è nulla da sperare, a meno che alla violenza della piazza non si sostituisca quella legale del governo per impedire un “delitto ufficiale”. Lasciamo il campo alla diplomazia e, per altri versi, ai credenti, che pregano perché il miracolo si compia.
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16 mila cristiani assassinati in tre anni in Nigeria
Il Foglio di oggi, nell’editoriale di prima pagina, dà voce e spazio alla richiesta di aiuto rivolta all’Occidente dai vescovi nigeriani. “E’ in corso una pulizia etnica” – hanno dichiarato, contraddicendo il Papa che ha più volte invitato alla prudenza circa l’uso di tale termine: “A me non piace, e voglio dirlo chiaramente, a me non piace quando si parla di un genocidio dei cristiani: questo è un riduzionismo, è un riduzionismo. La verità è una persecuzione che porta i cristiani alla fedeltà, alla coerenza nella propria fede. Non facciamo un riduzionismo sociologico di quello che è un mistero della fede: il martirio”. Non vogliamo ridurre ciò che succede in Nigeria ad una polemica sull’interpretazione da dare al fenomeno. Certo, il martirio nella scala dei valori, viene prima della pulizia etnica, è un mistero di fede che non si deve ridurre a fatto puramente sociologico, ma qualunque sia la lettura del fenomeno, un dato è certo: in Nigeria in tre anni sono stati assassinati 16 mila cristiani, vale a dire la popolazione di un’intera città come Todi, o Sorrento, o Brunico. Il fatto che ha provocato l’intervento dei vescovi è stato l’assassinio di più di cento contadini cristiani avvenuto il 23 giugno scorso nello stato di Plateau, nella Nigeria Centrale. Gli autori del massacro sono stati i pastori islamici fulani, una etnia nomade dedita alla pastorizia e al commercio. E’ in questa occasione che il vescovo di Gboko, mons. William Amove Avenya, ha parlato di “una vera e propria pulizia etnica” ed ha invitato a “non commettere lo stesso errore che è stato fatto con il genocidio in Ruanda. Era sotto gli occhi di tutti, ma nessuno lo ha fermato. E sappiamo bene come è andata a finire”, ha aggiunto. Nel 2018, nel solo stato di Benue ci sono stati 492 morti. Nella diocesi di Maiduguri in gennaio, ce ne sono stati più di settanta. Il vescovo Oliver Dashe Doeme tiene la conta delle vittime dei fulani con quelle perpetrate dai miliziani jihadisti di Boko Haram (2.050), tra stupri, incendi e distruzioni di chiese e rapimenti quasi sempre di ragazze. I vescovi denunciano l’esistenza di una chiara agenda per islamizzare la Middle Belt nigeriana, un termine che designa la regione centrale della Nigeria. I principali ispiratori di questa strategia sono il governo e il presidente Muhammadu Buhari, di etnia fulani. In un comunicato della Conferenza episcopale nigeriana di qualche giorno fa si legge che “Non si può più considerare una mera coincidenza il fatto che gli autori di questi crimini odiosi sono della stessa religione di coloro che controllano gli apparati di sicurezza, incluso lo stesso presidente. Le parole non bastano al presidente e ai capi dei servizi di sicurezza per convincere il resto della cittadinanza che i massacri non facciano parte di un progetto religioso più ampio. Questi assassini “sono criminali e terroristi, ma non fanno le stesse cose nei territori a maggioranza musulmana” – ha aggiunto mons. William Amove Avenya in una dichiarazione all’ “Aiuto alla chiesa che soffre”. Sono da anni che le chiese cristiane della Nigeria lanciano l’allarme, invocando un aiuto dell’Occidente, che non è mai arrivato. Non si tratta solo di un nuovo Ruanda; la partita è ben più grossa e decisiva – afferma Il Foglio – e cita uno dei massimi studiosi delle religioni, Philip Jenkins, il quale ha scritto che “l’equilibrio tra islam e cristianesimo in Africa sarà deciso in Nigeria” che secondo tutte le stime diverrà entro trent’anni uno tra i dieci paesi con più cristiani al mondo.
E l’Occidente? Che farà l’Occidente? Nulla, temiamo, come non ha fatto nulla per il genocidio etnico in Ruanda. E l’Italia? E la Santa Sede? L’Italia è troppo impegnata a piangere le vittime delle tragiche migrazioni sui gommoni insicuri nel Mediterraneo e a maledire chi vuole bloccare questo commercio di persone. Le migliaia di vittime innocenti che vengono trucidate in Nigeria per mano assassina, nell’intento di far scomparire i cristiani da quelle terre non interessano nessuno, nemmeno gli “indignati” in servizio permanente effettivo, soprattutto se si tratta di credenti in Dio.
La Santa Sede grida al “martirio”, non al genocidio religioso, e non trova nemmeno il tempo di includere nella liturgia della “preghiera universale” in ogni messa, un ricordo particolare per questi fratelli martiri. L’Occidente sta diventando a-cristiano e rifiutando le radici cristiane che l’hanno ispirato si autocondanna al declino e rischia di soccombere alla occupazione islamica.
Grazie al Foglio ed all’autore dell’articolo, Matteo Matzuzzi, che hanno la sensibilità di porre in prima pagina una notizia che altri organi d’informazione nascondono.
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L’Occidente? Come una barca ubriaca nella notte
Ogni anno nel mese di maggio è tradizione che si svolga un pellegrinaggio che parte da Parigi per arrivare, dopo un’ottantina di chilometri, alla cattedrale di Chartres. Quest’anno i pellegrini erano quindicimila ed hanno impiegato tre giorni per percorrere l’itinerario. Il 21 maggio, lunedì di Pentecoste, ad accoglierli nella magnifica cattedrale gotica consacrata alla Madonna (Notre Dame), c’era il card. Sarah, originario della Guinea, attuale prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, che ha officiato la messa e tenuto un’omelia dai toni forti e chiari, un discorso che meriterebbe di essere pubblicato per intero. Lo spazio a nostra disposizione non ce lo permette e cercheremo di evidenziare i punti più sensibili.
“La società occidentale ha scelto di organizzarsi senza Dio, cadendo nella menzogna e nell’egoismo, abbracciando le ideologie più folli e diventando il bersaglio di un terrorismo etico e morale più distruttivo di quello degli islamisti. Perdonatemi queste parole, ma bisogna essere lucidi e realisti. Chi condurrà tante persone sul cammino della verità? Chi reagirà davanti all’attacco di un nichilismo disperato e un islamismo aggressivo?”. Sarah ha definito l’Occidente “come una barca ubriaca nella notte. Non ha abbastanza amore per accogliere i bambini, per proteggerli nell’utero della madre, non sa più come rispettare i suoi vecchi, accompagna i malati a morte. Non ha altro che vuoto e nulla da offrire”. Ai sacerdoti ha chiesto di “non diventare semplici assistenti sociali, perché così porteremo al mondo non la luce di Dio, ma la nostra luce umana, che non può bastare”. Ha in seguito criticato “l’ideologia che distrugge la famiglia” e “la struttura onusiana che impone una nuova etica mondiale alla quale tutti dovrebbero sottomettersi”. Il cardinale si è rivolto ai giovani citando il poeta inglese T.S. Eliot: “In un mondo di fuggitivi, la persona che prende la direzione opposta sembra un disertore”, ma dovete avere il coraggio di “combattere tutte le leggi contro natura che vi impongono, e di opporvi a tutte le leggi contro la vita e la famiglia. Cercate di prendere la direzione opposta, osate andare controcorrente. Amare davvero è morire per l’altro, come quel giovane gendarme, il colonnello Arnaud Beltrame”.
E ancora: «Cari pellegrini di Francia, guardate questa cattedrale; i vostri avi l’hanno costruita per proclamare le loro fede; non erano senza peccato, ma volevano che la luce della fede illuminasse le loro tenebre. Oggi anche tu, popolo di Francia, risvegliati, scegli la Luce e rinuncia alle tenebre”.
“Caro popolo di Francia, sono i monasteri che hanno fatto la civiltà del tuo Paese. Sono le persone, gli uomini e le donne che hanno accettato di seguire Gesù fino alla fine, radicalmente, che hanno costruito l’Europa cristiana. Perché hanno cercato Dio, hanno costruito una civiltà bella e pacifica come questa cattedrale”. Ed ha concluso: “Popoli dell’Occidente, tornate alle vostre radici, tornate alle vostre fonti, tornate al monastero”.