cure

  • Sos ospedali: mancano 100mila posti letto

    ‘Salvare gli ospedali’. E’ l’appello che 30 società scientifiche indirizzano alla premier Giorgia Meloni, sulla scorta di numeri che non lasciano dubbi circa la criticità della situazione: nel Servizio sanitario nazionale mancano 30.000 medici ospedalieri, 70.000 infermieri e circa 100.000 posti letto. In 10 anni (2011-2021), in Italia, sono stati chiusi 125 nosocomi, ben il 12%. E in soli 12 mesi eliminati quasi 21.500 posti letto. Il diritto alla salute, averte Francesco Cognetti, coordinatore del Forum delle Società Scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani (Fossc), “è in grave pericolo”.

    I medici innanzitutto: oggi sono 130mila, 60mila unità in meno della Germania e 43mila in meno della Francia. Si assiste, inoltre, a un consistente esodo di medici neolaureati e specializzandi, più di 1.000 l’anno, perché all’estero gli stipendi e le condizioni di lavoro sono nettamente migliori. In particolare, nei Pronto Soccorso la carenza di personale è quantificabile in 4.200 camici bianchi (in sei mesi, da gennaio a luglio 2022, se ne sono dimessi 600, circa 100 al mese). A fronte di ciò, sul versante economico la previsione della spesa sanitaria sul Pil per il periodo 2023-2026 registrerà già nel 2024 il ritorno al valore del 6,3% rispetto ad una media dell’8,8% dei 37 Paesi dell’Ocse e del 10% circa di Francia e Germania. Per questo, in conferenza stampa, i rappresentanti delle 30 Società Scientifiche riunite in Fossc si sono rivolti direttamente alla presidente Meloni per chiedere la completa revisione dei parametri organizzativi degli ospedali sanciti dal Decreto Ministeriale 70.

    “Vogliamo far sentire la nostra voce. Servono interventi tempestivi. Rivolgiamo le nostre richieste alla premier: più risorse per assumere personale e assicurare migliori condizioni di lavoro – afferma Cognetti -. La crisi del sistema ospedaliero, a causa delle politiche deliberatamente anti ospedaliere dei precedenti governi, paradossalmente ignorata dal Pnrr, è innegabile ed ha raggiunto livelli critici”. Tuttavia, sottolineano le società scientifiche, “abbiamo appreso con estremo interesse le intenzioni della presidente del Consiglio di voler cambiare l’indirizzo e i campi d’applicazione del Pnrr e riteniamo che questa sarebbe un’occasione unica per la sanità di impiegare una quantità cospicua di fondi”. Non bastano infatti, avvertono, “le 1350 Case di Comunità previste dal Pnrr a risolvere i problemi della sanità, se non si affrontano i nodi centrali della crisi profonda degli ospedali e delle risorse per il reclutamento del personale”. Anche l’Ocse, ricordano clinici e universitari, si è dichiarata molto preoccupata per nuove crisi sanitarie nei Paesi che investono minori risorse in sanità e per l’Italia prevede un investimento pari ad almeno l’1,4% in più rispetto al Pil 2021, che equivale ad un aumento annuo di ben 25 miliardi di euro. In questa situazione, afferma ancora il Forum, “riteniamo sia impensabile distrarre personale dai nosocomi verso le strutture territoriali previste dal Pnrr, cioè Case od Ospedali di comunità”.

    La recente Conferenza della Sanità del G7, che si è svolta in Giappone, ha prodotto un documento finale in cui viene rilanciato l’impegno a rafforzare i sistemi sanitari. Anche Papa Francesco e il presidente della Repubblica hanno più volte dichiarato la loro viva preoccupazione, lanciando moniti e raccomandazioni per sostenere il sistema sanitario pubblico. “Ci auguriamo – concludono le società scientifiche – che il governo ascolti questi moniti ed i clinici che ogni giorno curano i cittadini negli ospedali”.

  • Si potrebbero evitare 4 tumori su 10 ma il 50% non accetta l’invito a fare lo screening

    Molti tumori sono prevenibili e gli screening possono letteralmente salvare la vita. Eppure, un italiano su due non effettua i test che il Servizio sanitario nazionale (Ssn) offre gratuitamente per tre neoplasie – il cancro al seno, al colon-retto e al collo dell’utero – e ancora troppi ignorano il dato che ben il 40% dei decessi per cancro può essere prevenuto attraverso i corretti stili di vita. A rilanciare il forte invito alla prevenzione è stato, dal Festival di Sanremo, il ministro della Salute Orazio Schillaci, mentre l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) ha annunciato l’avvio di una grande campagna.

    “Oggi abbiamo a disposizione gratuitamente lo screening per tre tipi di tumore e stiamo lavorando per ampliare le possibilità, ma farli è fondamentale perché con lo screening si individua prima la malattia e si può far sì che venga completamente curata. Farlo sapere agli italiani è fondamentale perché purtroppo, ancora oggi il 50% non risponde quando arriva la domanda di effettuare lo screening”, ha detto Schillaci. E la scelta di lanciare questo messaggio proprio dal Festival della canzone non è stata casuale: “Credo sia un valore aggiunto perché si arriva in tutte le case e si parla ai giovani, come agli adulti e agli anziani. Era giusto lanciare da qui un messaggio importante sulla prevenzione oncologica”. Prevenire, ha ribadito, “è fondamentale, perché circa il 40% dei tumori può essere evitato con corretti stili di vita”. E proprio alla prevenzione punta la nuova campagna degli oncologi Aiom, che partirà nelle prossime settimane: un grande progetto di sensibilizzazione per migliorare l’adesione al test contro il cancro al colon-retto, che prevede spot, opuscoli, una campagna social ed il coinvolgimento delle farmacie. In Italia è il secondo tumore più frequente dopo quello alla mammella, con 48.100 casi nel 2022, ovvero +4.400 in 2 anni. Eppure, 7 italiani su 10 non aderiscono allo screening e non eseguono il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci, che il Ssn offre gratuitamente ogni due anni a tutti i 50-69enni.

    È dimostrato che il test è in grado di ridurre la mortalità di circa il 30%. Non solo. Proprio questa neoplasia è stata l’esempio dell’efficacia dei programmi di prevenzione: nel 2020, i tassi di incidenza erano in diminuzione del 20% rispetto al picco del 2013. Ma lo stop agli screening durante la pandemia ha vanificato i risultati ottenuti. A questo si aggiungono le forti differenze tra le Regioni: oggi, afferma il presidente Aiom Saverio Cinieri, “assistiamo ad un’epidemia di nuove diagnosi. Ma se al Nord il 45% dei cittadini esegue il test del sangue occulto, al Centro è il 31% e al Sud soltanto il 10%. Inoltre, solo 5 Regioni superano il target del 50% di adesione: Veneto, Trentino, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna e Friuli”. La prevenzione è dunque prioritaria: “Nel 90% dei casi – spiega Sara Lonardi, direttore Oncologia 3 all’Istituto Oncologico Veneto di Padova – tale tumore si sviluppa da lesioni precancerose. Per questo lo screening è così efficace: ci permette di rimuovere i polipi prima che diventino neoplastici”.

    Ma un grande peso hanno anche gli stili di vita. Tra i fattori di rischio, conclude Filippo Pietrantonio dell’Oncologia Gastroenterologica all’Istituto Tumori di Milano, «rientrano proprio gli stili di vita scorretti: sedentarietà, fumo, sovrappeso, obesità, consumo eccessivo di farine e zuccheri raffinati, carni rosse, alcol, insaccati e ridotta assunzione di fibre vegetali”.

  • Gli italiani ricorrono meno agli antibiotici, metà degli anziani li usa

    Scende l’uso degli antibiotici in Italia, soprattutto al Nord, ma le prescrizioni sono sempre troppe rispetto a quelle di molti paesi europei. Nel confronto internazionale emerge nel nostro paese un maggior ricorso ad antibiotici ad ampio spettro, che hanno un impatto più elevato sullo sviluppo delle resistenze antibiotiche. E cresce in ospedale il ricorso all’utilizzo di antibiotici indicati per la terapia di infezioni causate da microrganismi multi-resistenti. Nel 2021 la metà degli anziani è stata sottoposta ad una terapia antibiotica ed un antibiotico su 4 è comprato privatamente.

    Il Rapporto “L’uso degli antibiotici in Italia – 2021», dell’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed) dell’Aifa, pubblicato sul portale dell’Agenzia, prende in esame l’uso degli antibiotici in ambito ospedaliero, l’acquisto privato di antibiotici di fascia A, il consumo degli antibiotici non sistemici e gli indicatori di appropriatezza prescrittiva nell’ambito della Medicina Generale. I dati stabiliscono che continua il trend in riduzione del consumo di antibiotici in Italia: -3,3% nel 2021 rispetto al 2020. Nel 2021 circa tre cittadini su dieci hanno ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici, con una prevalenza che aumenta all’avanzare dell’età, raggiungendo il 50% negli over 85. Fra i bambini i maggiori consumi si concentrano tra i 2 e i 5 anni, fascia in cui circa 4 bambini su 10 hanno ricevuto nell’anno almeno una prescrizione di antibiotici.

    Più di un quarto dei consumi a livello territoriale (26,3%) corrisponde ad acquisti privati di antibiotici rimborsabili dal Ssn (classe A). Nel 2021 il consumo medio giornaliero di antibiotici di classe A acquistati privatamente dai cittadini è stato pari infatti a 4,1 dosi ogni 1000 abitanti, ovvero il 24% del consumo totale di antibiotici, mentre la spesa pro capite è stata di 2,25 euro (134 milioni di euro), rappresentando il 17% della spesa complessiva degli antibiotici e l’8,8% dell’intera spesa privata dei farmaci di classe A. Le penicilline in associazione agli inibitori delle beta-lattamasi si confermano la classe a maggior consumo (36% dei consumi totali), seguita dai macrolidi e dai fluorochinoloni. Resta la grande variabilità regionale nei consumi a carico del Ssn, che sono maggiori al Sud rispetto al Nord e al Centro. Nelle regioni del Nord si registrano inoltre le riduzioni maggiori (-6,1%), mentre al Sud sono più contenute (-2,2%).

  • Il pericolo dell’accoppiamento tra cani consanguinei

    Da molto tempo e da più parti vi sono state segnalazioni di cani, acquistati presso allevamenti, che hanno, dopo i primi mesi, manifestato diverse patologie o turbe caratteriali.

    La ricerca di un cane sempre più corrispondente ai desideri dei possibili acquirenti ha portato, complice anche una non scusabile ignoranza della genetica ed una imperdonabile volontà di ottenere il massimo risultato con la minima spesa, alcuni allevamenti a procedere ad accoppiamenti tra cani strettamente consanguinei.

    Questa pratica è diventata talmente diffusa e pericolosa, per la salute degli animali e per il mantenimento delle caratteristiche di ogni diversa tipologia di cane, da portare finalmente ad un intervento ufficiale che stabilisce quanto va assolutamente vietato.

    L’eccessiva consanguineità porta ad un grave indebolimento del sistema immunitario, alla trasmissione di patologie ereditarie, ad una minore longevità, all’aumento dell’infertilità e della mortalità dei feti e dei cuccioli, alla riduzione del pool genetico solo per fare alcuni esempi.

    Coloro che desiderano un’informativa più completa sul problema che trattiamo in questo numero del Patto Sociale possono documentarsi anche leggendo la lunga e puntuale relazione pubblicata dalla rivista I nostri cani, numero di aprile, redatta dal professore Michele Polli e dal ricercatore Stefano Marelli del dipartimento di Medicina veterinaria e scienze animali dell’Università di Milano.

    Gli allevatori di cani gestiscono di norma un numero limitato di esemplari per la riproduzione e questo incide sull’efficacia con la quale si riesce ad allevare cani che si tramandino le caratteristiche migliori. Poiché le razze canine sono un numero chiuso, l’accoppiamento tra consanguinei non è infrequente (perché l’ambito entro cui trovare cani di analoga razza da far accoppiare non è molto vasto) e di conseguenza (visto anche l’alto tasso di consanguineità che si registra spesso tra i cani accoppiati) è più difficile garantire la procreazione di esemplari per ciascuna razza sani e coi tratti migliori della razza stessa. L’evidenza empirica attesta infatti che la consanguineità (particolarmente stretta tra genitori e figli o fratelli e fratellastri) porta non di rado a esemplari di salute cagionevole e a un tasso di mortalità e di minor longevità non trascurabile.

    Attraverso le «norme tecniche del libro genealogico del cane di razza» emanate col decreto ministeriale n. 116130 del 22 febbraio 2023 ed in vigore dal prossimo 1 settembre viene vietato l’accoppiamento tra consanguinei stretti. O meglio, come recita il testo normativo: «Non possono essere iscritti negli albi genealogici cani nati dall’accoppiamento tra genitori e figli, cani nati dall’accoppiamento tra fratelli pieni o mezzi fratelli, cani nati da fattrici di età inferiore a 16 mesi». Chi sia iscritto al Registro degli allevatori e dei proprietari viene quindi disincentivato dal procedere a questi accoppiamenti, perché – come si legge ancora al punto 1 dell’articolo 6 delle norme in questione – «Eventuali piani di allevamento che eccezionalmente contemplino accoppiamenti nelle consanguineità strette non consentite dal presente articolo dovranno essere sottoposti alla Commissione Tecnica Centrale per una preventiva autorizzazione» (la commissione in questione è quella dell’Eni).

    La norma mira a favorire il ricorso a un maggior numero di riproduttori da parte del singolo allevatore, a non affidarsi insomma a un numero ristretto (se non solo a uno) di riproduttori, così da evitare o almeno ridurre gli effetti frequenti dell’accoppiamento tra consanguinei, vale a dire: depresso da consanguineità; alleni recessivi, omozigosi e riduzione del pool genetico; alleni deleteri, malattie ereditarie e malformazioni congenite; diminuzione della fertilità e aumento della mortalità dei cuccioli alla nascita; indebolimento del sistema immunitario.

    Fondamentalmente, il punto è questo: quanto più un cane è figlio di genitori tra loro originariamente estranei (cioè non consanguinei), tanto più alto e ricco sarà il suo patrimonio genetico (tanto più vari saranno i suoi alleli) e tanto più raro sarà che nella sua fisiologia si manifestino quelle caratteristiche genetiche che lo rendono più debole, più aggredibile da malattie, mentre al contrario tanto più facilmente si manifesteranno quei tratti che garantiscono la salubrità e la specificità della razza canina cui appartiene. Insomma, meno in comune hanno i genitori, tanto più sana e bella, robusta, longeva e prestante sarà la cucciolata.

    Controlli veterinari ed esami del Dna, va da sé, sono l’ovvio corollario per coadiuvare i cani stessi ad accoppiarsi nel modo migliore per assicurare cucciolate di tal fatta.

  • Giornata mondiale della Veterinaria

    Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa dell’Associazione nazionale medici veterinari italiani

    La medicina veterinaria è il risultato di una catena di costi economici tutti sopportati in proprio dai Medici Veterinari, senza alcun contributo pubblico. Sostenere la defiscalizzazione delle cure veterinarie: oggi lo Stato sborsa 5 centesimi al giorno

    Sabato 29 aprile si celebra la giornata mondiale della Veterinaria (World Veterinary Day). L’iniziativa è promossa, a livello globale, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul contributo dei Medici Veterinari alla salute degli animali, delle persone e dell’ambiente.  In Italia, la Giornata è l’occasione per ricordare che la medicina veterinaria non riceve aiuti finanziari pubblici e che gli sforzi dei professionisti Veterinari per garantire un elevato livello clinico e scientifico non sono ripagati da una adeguata considerazione pubblica e mediatica.

    Quest’anno la Giornata mondiale si intitola “Promuovere la diversità, l’equità e l’inclusività nella professione veterinaria”, contro ogni ostacolo che possa minare lo sviluppo e il benessere dei singoli professionisti e della collettività veterinaria. A livello globale, la professione veterinaria soffre ancora varie forme di disparità e tra i sistemi veterinari sono ancora presenti importanti dislivelli di competenza e scarso riconoscimento istituzionale e sociale.

    L’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani (ANMVI) mette in luce il messaggio della Giornata mondiale: i Medici Veterinari sono i professionisti della salute e del benessere animale. Si sono formati per mettere al servizio delle popolazioni animali una Medicina Veterinaria basata su investimenti personali ed economici. In Italia, questi sforzi sono integralmente sostenuti in proprio dai Medici Veterinari. Tuttavia questo aspetto.

    Vale la pena ribadire, nella Giornata mondiale, che la medicina veterinaria è una catena di valore che ha dei costi economico-finanziari in tutte le sue fasi – dalla produzione di materiali e strumenti sanitari fino alla prestazione intellettuale sul paziente-animale. In nessuna di queste fasi sono riconosciuti aiuti pubblici ai Medici Veterinari. Né sono riconosciuti sostegni alla spesa finale delle cure. Fanno eccezione le detrazioni fiscali: 5 centesimi al giorno che l’ANMVI chiede al Governo di innalzare a livelli dignitosi.

  • Una riforma della legislazione farmaceutica per medicinali più disponibili, a prezzi più accessibili e più innovativi

    La Commissione ha proposto la riforma più ampia in oltre 20 anni della legislazione farmaceutica dell’UE per renderla più agile, flessibile e adeguata alle esigenze dei cittadini e delle imprese dell’UE. La revisione migliorerà la disponibilità e l’accessibilità, anche in termini di prezzi, dei medicinali. Sosterrà l’innovazione e darà slancio alla competitività e all’attrattiva dell’industria farmaceutica dell’UE promuovendo al contempo i parametri ambientali più elevati. Oltre alla riforma la Commissione presenta anche una proposta di raccomandazione del Consiglio per intensificare la lotta contro la resistenza antimicrobica.

    La riforma è volta a superare sfide di fondamentale importanza. I medicinali autorizzati nell’UE non giungono ancora ai pazienti con sufficiente rapidità e non sono accessibili in egual misura in tutti gli Stati membri. Vi sono notevoli lacune in termini di risposta a esigenze mediche non soddisfatte, malattie rare e resistenza antimicrobica. I prezzi elevati dei trattamenti innovativi e le carenze di medicinali rimangono causa di forte preoccupazione per i pazienti e i sistemi sanitari. Inoltre, per conservare la propria attrattiva come luogo per gli investimenti e mantenere il proprio ruolo di leader mondiale nello sviluppo di medicinali, l’UE deve adattare il proprio sistema normativo alla trasformazione digitale e alle nuove tecnologie, pur riducendo la burocrazia e semplificando le procedure. Da ultimo, le nuove norme devono mitigare l’impatto ambientale della produzione di medicinali in linea con gli obiettivi del Green Deal europeo.

    La revisione comprende proposte di una nuova direttiva e di un nuovo regolamento che rivedono e sostituiscono la legislazione farmaceutica esistente, anche per quanto riguarda i medicinali per uso pediatrico e per le malattie rare. La revisione mira a conseguire i seguenti obiettivi principali:

    creare un robusto mercato unico dei medicinali tale da garantire che tutti i pazienti nell’intera UE dispongano di un accesso tempestivo ed equo a medicinali sicuri, efficaci e a prezzi accessibili;

    continuare a offrire un quadro attraente e favorevole all’innovazione per la ricerca, lo sviluppo e la produzione di medicinali in Europa;

    ridurre drasticamente gli oneri amministrativi accelerando fortemente le procedure, velocizzando il rilascio delle autorizzazioni per i medicinali in modo che queste giungano più rapidamente ai pazienti;

    migliorare la disponibilità e garantire che i medicinali possano essere forniti sempre ai pazienti, indipendentemente dal luogo in cui vivono nell’UE;

    contrastare la resistenza antimicrobica e la presenza di farmaci nell’ambiente seguendo un approccio “One Health”;

    migliorare la sostenibilità dal punto di vista ambientale dei medicinali.

    Il pacchetto proposto comprende anche una proposta di raccomandazione del Consiglio che contiene misure complementari per contrastare la resistenza antimicrobica nei settori della sanità umana, della salute animale e dell’ambiente, grazie al cosiddetto approccio “One Health”. La proposta sostiene l’uso prudente degli antimicrobici raccomandando obiettivi concreti e misurabili per ridurne l’uso e promuovere livelli elevati di prevenzione delle infezioni, in particolare in ambiente ospedaliero, e di controllo nel campo della sanità umana.

    Le proposte legislative saranno trasmesse al Parlamento europeo e al Consiglio.

  • Una vecchiaia serena e dignitosa per tutti

    Il caffè di Gramellini, pubblicato il 29 marzo sul Corriere della Sera, spero sia stato letto da molti, politici in primis, nella speranza che, tra i tanti problemi che la nostra società deve affrontare, non sfuggano ancora quelli legati alla vita delle persone anziane e al loro diritto, appunto, di poter scegliere come vivere.

    Stabilito il diritto che gli anziani hanno di scegliere come e dove vivere, compatibilmente alle varie esigenze, si dovrebbe affrontare il tema dei servizi alla persona, che in troppe occasioni non sono erogati dal comune né gratuitamente né, per chi può, a pagamento.

    Siamo in una situazione, per le case di riposo, che in certi casi rasenta la detenzione, troppi anziani legati ai letti, non soddisfatti per le loro necessità corporali, strattonati e malmenati se disturbano, messi a tavolo con cibi spesso immangiabili.

    Molti sono stati gli scandali e le denunce che sono usciti in questi ultimi anni ma ancora stiamo tutti aspettando un piano del governo che ci dica la reale situazione delle case di riposo, che dia il via alla organizzazione di nuove strutture che consentano una vita più integrata e dignitosa mentre, contestualmente, ci si occupi del potenziamento di tutti gli interventi di aiuto che possano consentire, a chi lo può fare, di rimanere nella sua abitazione anche se non completamente autosufficiente.

    Non dimentichiamoci, inoltre, che le nuove tecnologie, ormai imposte per una serie di pratiche, non sono agevoli da utilizzare, a volte risultano impossibili, per molte persone anziane che non hanno un parente disponibile ad aiutarli. In tutte le cose occorre gradualità.

    Sappiamo tutti che la vita si è allungata e che vi è l’impellente necessità, in una società dove ormai sono più gli anziani che i giovani, di affiancare subito alla politica per incentivare le nascite quella necessaria a garantire una vecchiaia serena e dignitosa.

  • Prima dell’autonomia regionale bisogna dare a tutti gli italiani un uguale ed efficiente servizio sanitario

    Tra i diversi temi che ci sono quotidianamente riproposti c’è la riforma per le autonomie con tutti i pro e i contro che ogni schieramento sostiene, tra i tanti problemi emergono le spaventose carenze del sistema sanitario al quale mancano medici, infermieri, tecnici e adeguate strutture sul territorio. La pandemia ha, una volta di più, dimostrato che un buon sistema ospedaliero può collassare se non funziona la medicina territoriale.

    Ci sentiamo, perciò, di chiedere alla Presidente del Consiglio e ai due ministri competenti, per Sanità e Autonomie regionali, se, prima di varare la riforma per le autonomie, abbiano verificato, in modo corretto ed esaustivo, la reale situazione della sanità in tutte le regioni italiane. Se sia stato valutata la necessità, per il comparto sanità, di procedere alle autonomie solo quando ad ogni italiano sarà garantito un servizio funzionante e non differenziato e carente a seconda delle aree geografiche di appartenenza.

    Il Ministro della Sanità è in possesso, o ha già richiesto, una mappatura dei servizi sanitari territorio per territorio, non solo su base esclusivamente regionale? Si conoscono quanto personale sanitario occorre nelle varie strutture ospedaliere, quanto sul territorio, quanti macchinari sono mancanti o non funzionanti ed obsoleti?

    Si conoscono i tempi di attesa per gli esami diagnostici e per le visite specialistiche?

    Se a Milano, città che sappiamo ha una sanità di gran lunga migliore di tante altre realtà, ci sono tempi d’attesa, come riporta un’inchiesta del Corriere della Sera del 9 novembre 2022, incompatibili con le necessità dei malati, cosa avviene in altre città e regioni? Alcuni esempi dei tempi di Milano, riportati nell’articolo e ovviamente mai smentiti, cinque mesi per una visita ginecologica con ecografia, sette mesi per una ecografia alla spalla e alla colonna vertebrale.

    L’assessore regionale della Lombardia Guido Bertolaso ha detto in Consiglio regionale, l’8 novembre, che al fabbisogno lombardo mancano 1120 dirigenti medici e 1521 infermieri, quanti mancano nelle altre regioni?

    Qualunque riforma deve prendere atto della realtà e di quanto va fatto, subito, per ridare a tutti gli italiani un servizio sanitario all’altezza delle oggettive necessità.

  • Diagnosi di tumore in aumento dopo pandemia

    Aumentano le diagnosi di tumore in Italia rispetto al 2020 e il peso della pandemia si fa sentire. Nel 2022 sono infatti stimati 390.700 nuovi casi, 14.100 in più in 2 anni. E se nella fase post-pandemica, sono ripresi gli screening di prevenzione, sono però gli stili di vita scorretti a destare preoccupazione. Come il sovrappeso, che riguarda il 33% degli adulti, l’obesità, il 10%, ma anche la sedentarietà, che raggiunge il picco del 31%, e il fumo, un’abitudine per il 24%.  Emerge dal volume ‘I numeri del cancro in Italia 2022’.

    Il tumore più frequentemente diagnosticato, nel 2022, è il carcinoma della mammella (55.700 casi, +0,5% rispetto al 2020), seguito dal colon-retto (48.100, +1,5% negli uomini e +1,6% nelle donne), polmone (43.900, +1,6% negli uomini e +3,6% nelle donne), prostata (40.500, +1,5%). La pandemia, rilevano gli esperti, ha determinato nel 2020 un calo delle nuove diagnosi legato in parte all’interruzione degli screening, ma oggi si assiste alla ripresa dei casi di tumore come in altri Paesi europei.

    Il trend rischia però di peggiorare se non si pone un argine proprio agli stili di vita scorretti. I dati 2020-2021 “segnano un momento di accelerazione per lo più in senso peggiorativo per quanto riguarda i fattori di rischio comportamentali – ha sottolineato infatti il ministro della Salute Orazio Schillaci- si tratta di un dato che non può non destare preoccupazione se si considera che il 40% dei casi e il 50% delle morti oncologiche possono essere evitati intervenendo su fattori di rischio prevenibili, soprattutto sugli stili di vita”. Pesano anche i ritardi nell’assistenza accumulati durante la pandemia, ma si registra una ripresa dei programmi di prevenzione secondaria e degli interventi chirurgici in stadio iniziale. In particolare, nel 2021 i programmi di screening sono tornati ai livelli prepandemici, per esami mammografici, per il tumore del colon-retto e quello della cervice uterina. I dati “invitano sempre di più a rafforzare le azioni per contrastare il ritardo diagnostico e per favorire la prevenzione secondaria e soprattutto primaria, agendo sul controllo dei fattori di rischio a partire dal fumo, dall’obesità, dalla sedentarietà, dall’abuso di alcol”, ha affermato Saverio Cinieri, presidente Aiom, Associazione italiana di oncologia medica. Un dato positivo è che a fronte dei 2,5 milioni di persone che vivevano in Italia nel 2006 con una pregressa diagnosi di tumore, si è passati a circa 3,6 milioni nel 2020, il 37% in più di quanto osservato solo 10 anni prima. “Dobbiamo recuperare in fretta – ha aggiunto Schillaci – ritardi diagnostici, rafforzare la prevenzione primaria e secondaria”. Gli oncologi chiedono di “rendere attuabile e finanziato il Piano oncologico nazionale”. E Schillaci ribadisce “l’impegno ad una rapida adozione del Piano, nell’ambito delle azioni per rafforzare soprattutto nel territorio la prevenzione, la diagnosi, la cura e l’assistenza”.

  • Tornano i viaggi per curarsi, nel 2021 spesi 2,5 miliardi

    Riprendono i viaggi della ‘speranza’ per curarsi degli italiani tra una regione e l’altra. Nel 2021 il valore dell’attività legata agli spostamenti per cure è stato di quasi 2,5 miliardi di euro, in aumento rispetto al 2020 ma ancora sotto i valori del pre pandemia, ovvero gli anni 2017, 2018 e 2019. Lo indicano i dati sulla mobilità sanitaria presentati dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas). Dati che possono in alcuni casi essere specchio di inappropriatezza o di carenza di servizi in alcuni Regioni.

    L’area del Portale statistico di Agenas dedicata alla Mobilità sanitaria mette a disposizione i dati degli ultimi cinque anni rispetto all’attività interregionale dei ricoveri. Ne emerge, ad esempio, che nel 2021 nell’area della cura dei tumori “alcune regioni continuano ad avere un alto indice di fuga di pazienti, come Molise e Calabria, ma anche Basilicata, Valle d’Aosta e Liguria. Lombardia e Veneto hanno invece maggior potere attrattivo”, ha spiegato Maria Pia Randazzo, responsabile Unità Operativa Statistica e Flussi Informativi Sanitari di Agenas. In particolare quest’ultima sul carcinoma del pancreas ha il più alto indice di attrazione, in virtù della presenza di strutture d’eccellenza. Anche il Lazio – ha concluso – vede un trend con saldo positivo di attrazione per le prestazioni di area oncologica”.

    “E’ un dato di fatto – ha detto il direttore Agenas Domenico Mantoan – che alcune regioni attraggano più di altre e in alcune attragga più il pubblico mentre in altre il privato. Va tenuto conto che c’è anche una mobilità apparente, ovvero quella di cittadini che vivono in altra regione da quella in cui risultano residenti. C’è poi la mobilità di chi decide liberamente di farsi operare da specifici medici o ospedali di fiducia in una Regione diversa da quella di residenza. C’è però sicuramente una parte di mobilità interregionale dettata da inappropriatezza, su cui è possibile e bisogna intervenire. Il compito dell’agenzia è fornire dati precisi e fornirli velocemente, per consentire al decisore di prendere correttivi”.

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