cure

  • Troppi farmaci prescritti, anche i medici scoprono che less is more

    Troppi farmaci prescritti, soprattutto agli anziani, ed i rischi di interazioni pericolose per la salute crescono. A segnalarlo sono i medici internisti, dai quali parte dunque un nuovo approccio: è il ‘deprescribing’, ovvero la ‘de-prescrizione’ che punta a ridurre la lista di medicinali non strettamente necessari ai pazienti perché a volte, avvertono gli specialisti, ‘meno è meglio’. Per il bene del paziente è cioè necessario fare marcia indietro rispetto all’eccesso di prescrizioni di terapie, sfoltendo la ‘polifarmacia’, che indica il prendere più di 5-6 medicine al giorno, condizione comune in almeno i due terzi degli anziani. Un tema nuovo e complesso che sarà al centro dei lavori del120esimo Congresso della Società Italiana di Medicina Interna (Simi).

    L’allungamento della vita, rileva la Simi, porta con sé varie conseguenze, come la comparsa di patologie croniche, che spesso si associano in uno stesso paziente. Avere una ‘regia’ centrale, come quella offerta dal medico internista, mette al riparo i pazienti dai rischi di una ‘polifarmacia’ troppo affollata, dovuta alla ‘collezione’ di tante prescrizioni di farmaci diverse, una per ogni specialista consultato, spesso in conflitto tra loro, tanto da provocare interazioni ed effetti indesiderati che possono pregiudicare la sicurezza del paziente.

    “Alcuni studi – ricorda Giorgio Sesti, presidente Simi – hanno messo ben in evidenza il fenomeno della polipharmacy e le sue ricadute. A rischio di effetti indesiderati sono soprattutto le persone con una ridotta funzionalità renale, condizione comune tra gli anziani”. Uno studio su oltre 5 mila pazienti over 65 del registro Reposi ha evidenziato che almeno la metà mostrava una compromissione moderata, il 14% una compromissione funzionale grave e il 3% molto grave. Tra i pazienti con ipertensione, diabete, fibrillazione atriale e scompenso, all’11% veniva prescritto un dosaggio di farmaci inappropriato rispetto alla funzionalità renale. E nel follow up, un’inappropriatezza prescrittiva si associava ad un aumentato rischio di mortalità per tutte le cause del 50%. “Il 66% dei pazienti adulti assume 5 o più farmaci e un anziano su 3 assume oltre 10 farmaci in un anno – rileva Gerardo Mancuso, vicepresidente Simi – provocando un aumento delle cause di ricovero per eventi avversi per interazioni farmacologiche.

    De-prescrivere le molecole farmacologiche è una attività che l’internista deve fare in tutti i pazienti, ma soprattutto negli anziani”. È dunque “necessario invertire la tendenza – sostiene Sesti – e inaugurare l’era del ‘deprescribing’. Ma perché questo avvenga, dobbiamo aumentare la consapevolezza di pazienti e medici”. La Simi, sottolinea Nicola Montano, presidente eletto Simi, “ha lanciato nel 2016 la campagna Choosing Wisely, per sensibilizzare medici e pazienti a ridurre esami e trattamenti che hanno dimostrato una scarsa utilità e quindi aumentare la sicurezza riducendo gli sprechi”. La professoressa Rita Redberg, direttore di Jama Internal Medicine e professore di cardiologia alla University of California, che prenderà parte al congresso, è una delle fautrici del movimento Choosing Wisely. È suo lo slogan ‘less is more’, sintetizzabile con il concetto che ‘fare meno talvolta è meglio che fare di più’. “Il less is more – prosegue Sesti – non vale solo per le medicine, ma anche per i troppi esami, alcuni dei quali, come le Tac, comportano rischi per la salute legati ad un eccesso di radiazioni”. E d’altronde, l’inerzia prescrittiva, che porta a ripetere le prescrizioni anno dopo anno senza una rivalutazione critica, non rappresenta una strategia vincente: secondo un’analisi recente, 1 ricovero su 11 tra gli anziani può essere ricondotto a una prescrizione sbagliata o agli effetti indesiderati dei farmaci. Altri paladini del movimento deprescribing sono gli esperti statunitensi del National Institute on Aging ed un deprescibing network è stato creato in Canada, con offerta di borse di studio e seminari. Intanto, il numero delle pubblicazioni sul deprescribing aumenta. Insomma l’era del ‘less is more’ è iniziata.

  • Nuovi dati del Metodo Di Bella

    E’ stato  pubblicato sulla banca dati  biomedica  www.pubmed.gov  lo studio clinico sull’applicazione del Metodo Di Bella negli osteosarcomi. Il dato che emerge è la sopravvivenza a 5 anni degli osteosarcomi metastatici trattati con i protocolli oncologici del 30,5% e dell’ottanta per cento col metodo Di Bella.

    A retrospective observational study on cases of osteosarcomas treated with a multitherapy: The rationale and effectiveness. – Di Bella G, Di Bella L, Borghetto V, Moscato I, Costanzo E., Neuro Endocrinol Lett. 2022 Sep 16;43(3):173-179. Online ahead of print.PMID: 36179729

    Nella pubblicazione sono riportati i meccanismi biomolecolari che rendono particolarmente elevata l’incidenza degli osteosarcomi nell’età scolare e nell’adolescenza. Questi meccanismi spiegano l’aggressività con metastasi prevalentemente polmonari  e le mediane di sopravvivenza particolarmente limitate nell’osteosarcoma metastatico , quasi sistematicamente ad esito infausto. La coincidenza del livello minimo di melatonina nelle fasce di età colpite, in coincidenza col picco massimo dell’ormone della crescita ( GH), particolarmente concentrato nelle stesse zone di accrescimento osseo in cui si sviluppa il tumore , spiega il meccanismo biomolecolare dell’insorgenza del sarcoma e la sua risposta positiva al Metodo Di Bella mediante gli elevati dosaggi di melatonina e della somatostatina inibitore biologico dell’ormone della crescita, il GH. Diversi dei quindici casi metastatici pubblicati, guariti stabilmente da oltre cinque anni, hanno già superato i 10 anni in assenza di malattia.

  • Zimbabwe approves long-acting HIV prevention drug

    Zimbabwe has become the first county in Africa to approve a long-acting injectable drug that prevents HIV transmission.

    The first two injections of Cabotegraviror CAB-LA are administered four weeks apart, followed by an injection every eight weeks.

    The drug has received regulatory approval in two other countries, the US and Australia.

    Zimbabwe will begin rolling out the drug after regulators approved its use. The authorities say it will provide a crucial layer of protection for risk groups.

    Large scale studies of the drug showed 79% reduction in HIV risk compared with oral pre-exposure prophylaxis, according to the World Health Organisation.

    Zimbabwe approved a long-acting HIV preventative vaginal ring earlier this year.

    While African countries have dramatically reduced the number of new HIV infections, adolescent girls and young women remain at risk accounting for 63% of new infections last year.

  • I problemi degli ospedali, dei pazienti e dei medici

    Secondo alcune notizie l’Ospedale S. Anna di Como ha chiamato una paziente per una visita richiesta 11 anni prima, in Calabria si assumono medici venuti d’oltre oceano e in Veneto dalla Spagna.
    La carenza di medici ed infermieri è ormai nota da molti anni, nonostante il personale andato in pensione sia stato in molti casi richiamato in servizio i problemi, per i pazienti, aumentano di giorno in giorno mentre il personale sanitario lamenta turni di servizio eccessivi.
    L’assistenza sul territorio è purtroppo quella che conosciamo e durante il covid abbiamo visto tutte le carenze ed inadeguatezze con il conseguente aggravarsi dei problemi per i pronto soccorsi.
    In questi giorni a Bobbio, in provincia di Piacenza, come in tanti altri presidi di pronto soccorso, è in atto una nuova crisi che, per mancanza di personale, penalizzerà ancora i malati.
    All’ospedale di Piacenza molti medici sembra abbiano deciso, o stiano meditando, di lasciare l’incarico per indirizzarsi verso strutture private e che ci sia una certa insofferenza per eventuali posti apicali che sarebbero riservati a medici di Parma, comunque il personale resta insufficiente.
    Per questi e altri motivi che i cittadini di Piacenza conoscono bene, visto che alcuni ormai si rivolgono direttamente a Milano, ci chiediamo quali obiettivi, effettivamente utili alla collettività, ci siano dietro il continuo insistere per la costruzione di un nuovo ospedale, per il quale ci vorranno anni e che si troverà comunque con lo stesso problema di carenza di personale.
    Non sarebbe più sensato, specie in un momento di grave crisi come questo, pensare a rendere più funzionante l’attuale ospedale mettendosi alla ricerca dei medici ed infermieri necessari e dando  maggior soddisfazione a quelli che già faticosamente lavorano nella struttura?
    E questa considerazione vale, ovviamente, per le tante realtà simili per il resto d’Italia.

    C’è poi il problema dei test per le facoltà sanitarie e speriamo che, prima o poi, sarebbe meglio prima, qualcuno se ne occupi.

    Rimane, nonostante tante parole, aperto il problema della sanità territoriale con gravi conseguenze, specie per i cittadini più anziani o nei casi di epidemie.
    Al nuovo governo un rinnovato augurio e l’invito a dare una svolta seria alla sanità.

  • Il 44% delle morti per tumori è dovuta fattori di rischio evitabili

    Nel 2019 il 44,4% dei decessi per cancro nel mondo sono stati causati da fattori di rischio, come fumo, alcol, peso eccessivo o esposizione a contaminanti ambientali. La gran parte di essi è potenzialmente prevenibile.

    È il dato che emerge da uno studio internazionale che ha coinvolto oltre mille ricercatori in tutto il mondo nell’ambito della GBD 2019 Cancer Risk Factors Collaboration. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista The Lancet.

    “Il cancro è la seconda causa di morte nel mondo e l’esposizione ai fattori di rischio gioca un ruolo importante nella biologia e nell’impatto di molti tipi di tumori”, scrivono i ricercatori. “È fondamentale comprendere il contributo relativo dei fattori di rischio modificabili al carico complessivo del cancro per orientare gli sforzi per contrastare la malattia sia a livello locale sia globale”.

    Il team ha analizzato l’impatto di 34 fattori di rischio sul numero di decessi per cancro nel 2019, utilizzando i dati del Global Burden of Disease Study, un programma di ricerca sull’impatto delle principali malattie nel mondo. Nel lungo elenco di fattori presi in considerazione ci sono quelli comportamentali (per esempio il fumo, la sedentarietà o un’alimentazione povera di fibre), metabolici (come un alto indice di massa corporea), ambientali e occupazionali (per esempio l’esposizione a inquinamento atmosferico o a sostanze come l’amianto). È emerso che i fattori di rischio analizzati sono stati responsabili di oltre 4,45 milioni di decessi per cancro nel 2019, pari al 44,4% di tutti i decessi per tumori.

    Sono stati giudicati inoltre responsabile della perdita di 105 milioni di anni di vita in salute (i cosiddetti Daly). Il singolo fattore di rischio con un maggiore impatto in ambo i sessi è il fumo, responsabile del 33,9% dei decessi nei maschi e del 10,7% nelle donne. Gli altri principali fattori di rischio, nei maschi, sono l’alcol, l’alimentazione scorretta e l’inquinamento ambientale, responsabili rispettivamente del 7,4%, il 5,9% e il 4,4% dei decessi; nelle donne, il sesso non sicuro (8,2% dei decessi), l’alimentazione scorretta (5,1%) l’alto indice di massa corporea (4,7%). Tra i tumori maggiormente influenzati dai fattori di rischio al primo posto c’è il cancro del polmone, seguito da colon, esofago e stomaco nei maschi e cervice uterina, colon e seno nelle donne.

    Lo studio ha inoltre riscontrato ampie differenze tra le diverse aree del mondo e una tendenza che vede la crescita dell’impatto dei fattori di rischio metabolici rispetto a un decennio addietro.

  • Ucraina, ANMVI: supporto alla regolarizzazione dei pets

    Il Presidente dell’ANMVI ha scritto al Ministero promuovendo il coinvolgimento dei Medici Veterinari liberi professionisti nella regolarizzazione dei pets al seguito di rifugiati ucraini in Italia. “Coordinandosi con l’Autorità Competente, in particolare con i Servizi Veterinari territorialmente competenti, i Medici Veterinari liberi professionisti potrebbero essere invitati, anche a titolo gratuito, ad eseguire adempimenti minimi necessari, come l’identificazione/registrazione e la vaccinazione antirabbica stante che l’Italia non ha previsto alcuna deroga di profilassi e pertanto sul territorio nazionale non sono ammessi pets da Paesi UE o extra UE non vaccinati contro la rabbia“.

    Lo scrive il Presidente dell’ANMVI Marco Melosiin una lettera inviata al Capo dei Servizi Veterinari italiani, Pierdavide Lecchini.
    Il riferimento è alle misure eccezionali disposte dalla Direzione Generale della Sanità Animale (Dgsaf) per consentire l’ingresso nell’UE di animali domestici movimentati al seguito di rifugiati provenienti dall’Ucraina. L’Italia è fra i Paesi che hanno dato seguito alle indicazioni della Commissione Europea per facilitare gli spostamenti. Una volta nel Paese di destinazione, i pets devono essere regolarizzati.

    Desideriamo suggerire e promuovere il ricorso ai Medici Veterinari liberi professionisti, a supporto degli interventi necessari per conformare i suddetti pets ai requisiti del regolamento (UE) 576/2013 – scrive Melosi –  quanto sopra anche alla luce di stime di consistenti ingressi in Italia di cittadini ucraini con pet al seguito“.

    Fonte: Comunicato ANMVI

  • Dai nuovi dati covid quello che si dovrebbe cominciare a fare

    Ieri, 16 novembre, in Italia ancora 7.698 casi e 74 morti con 481 pazienti in terapia intensiva mentre si susseguono manifestazioni dei no vax e no pass, tutti che sfilano assembrati e senza mascherina continuando ad ignorare ogni precauzione e regola ed infischiandomene della salute degli altri. Intanto sulla rete aumentano i messaggi di odio e di violenza contro scienziati, giornalisti, politici, persone vaccinate. La gran parte dei malati più gravi ricoverata negli ospedali è non vaccinata, è morta anche una giovane mamma con la neonata ma nulla ferma l’irrazionale protesta contro gli unici strumenti in grado di proteggerci dal virus- Protesta che ormai è evidente ha sponsor e fomentatori anche in forze ed interessi transnazionali perché la ricerca dell’instabilità per alcuni è il modo per incanalare frustrazioni, per altri di trovare nuovi spazi ai propri interessi sia economici che di notorietà. Per cercare di arginare l’ulteriore diffondersi del virus si apprestano, ancorché un po’ tardive, nuove misure di controllo come sui mezzi pubblici in Italia, mentre alcuni presidenti di regione chiedono di seguire l’esempio di quei paesi, in primis l’Austria, che applicano il lockdown ai non vaccinati. Proprio il premier austriaco ha rilevato che dopo il lockdown è aumentato il numero delle persone che vanno a vaccinarsi, la linea severa è l’unica soluzione se vogliamo convincere a vaccinarsi quei cittadini che, in buona fede, non l’hanno ancora fatto. In Europa la situazione è molto grave, in Olanda vi è stato un picco di 1.920 casi in 24 ore, il numero più alto dal 19 maggio con una media in aumento del 19% solo nella settimana dal 7 al 13 novembre. L’Oms rivela che l’Europa è l’unica area al mondo nella quale contagi e decessi sono in costante aumento. Particolarmente grave la situazione nel Paesi dell’est, in questi paesi la resistenza e contrarietà alla vaccinazione porta ad un continuo aumento di infettati. In Romania sono da tempo ormai saturi gli ospedali, in repubblica ceca da fine ottobre si è passati da una media di 2.000 contagi a 8500, Croazia, Bulgaria e Serbia sono in grave difficoltà per i ricoveri. In Russia si è arrivati a 1.239 decessi in 24 ore con più di 40.000 contagi al giorno e solo il 35% della popolazione è vaccinata mentre in Spagna, con una copertura vaccinale del 89% i contagi sono contenuti il che dimostra, ancora una volta, che quei paesi, come l’Italia, nei quali la popolazione si è vaccinata si può contenere l’epidemia. Pesantissima la situazione in Germania, nonostante i reiterati appelli della cancelliera, solo il 67% della popolazione si è vaccinata, in Francia la percentuale dei vaccinati è del 69% e la media dei contagiati non si arresta, nel Regno Unito la situazione comincia a migliorare invece grazie al fatto che già 12 milioni di persone hanno ricevuto la terza dose.

    La rapida scorsa di questi dati e la memoria di quanto abbiamo vissuto dal febbraio 2020 dovrebbe finalmente far comprendere all’Europa la necessità, per andare in aiuto agli Stati membri, di mettere in atto una immediata campagna di incentivazione alla vaccinazione per aiutare gli Stati a convincere i cittadini e di indicare obbligatorie, come Unione, quelle norme di protezione che oggi solo alcuni paesi tengono in vita: la mascherina al chiuso e anche all’aperto in casi di affollamento e sempre durante le manifestazioni, l’obbligo di controllo sia  alle frontiere esterne che a quelle interne per evitare che si possa arrivare, con un aumento esponenziale dei casi, a delle chiusure. Ancora oggi mentre per viaggiare in aereo c’è il controllo di tamponi e certificati vaccinali per i viaggi in treno e in autobus con percorso transnazionale non c è alcun controllo, lo stesso problema riguarda chi viaggia in macchina. Sono misure semplici che possano salvare vite, socialità ed economia ma sono misure che bisogna avere il coraggio di prendere, l’Europa deve ritrovare coraggio sempre nella speranza che quell’Unione politica della quale si è tanto parlato per anni, senza alcun risultato, cominci a prendere forma ora partendo proprio da quanto il virus ci ha insegnato: senza il principio che nessuno si salva da solo non si va da nessuna parte.

  • Singapore: la negazione della democrazia

    Quali valori trovano sempre una tutela all’interno di una democrazia liberale? Quale pericolo corre veramente un sistema democratico in relazione alla decisioni dei governi nella problematica gestione della pandemia?

    La forte contrapposizione, infatti, si esprime ormai quasi come una guerra di posizione e sempre più ideologica tra i due schieramenti, “vaccinati e sì green pass” contrapposti ai “no vax e no green pass”, e sta esasperando le posizioni spingendo i manifestanti ad inutili e controproducenti forme ripetute di protesta sempre più invasive i cui costi ricadono sempre sulle attività del centro storico.

    Contemporaneamente la compagine opposta e quella di maggioranza si avvicinano sempre più a soluzioni assolutamente incompatibili con uno Stato democratico e con l’unico inconfessabile obiettivo di annullare l’avversario. Viceversa un liberale, magari vaccinato e titolare di green pass, rimane sempre fedele ai propri ideali e quindi consapevole del loro valore e conseguentemente non proporrà MAI, cosa che in Italia da tempo viene suggerita, di chiedere il pagamento delle spese sanitarie a coloro non ancora vaccinati adottando il modello di Singapore. A sostegno di questa antidemocratica tesi adottata dallo stato insulare si indicano le conseguenze per la gestione del sistema sanitario nazionale del costo giornaliero di un paziente in terapia intensiva (oltre 1.600 euro) in contrapposizione al costo del vaccino (circa 20 euro).

    Partendo da questo semplice confronto relativo ai costi emerge come la “nuova” coscienza democratica si ponga non tanto in rapporto alla validità degli stessi quanto al loro impegno economico. Si assiste quindi ad una banale “monetizzazione” di un diritto alla salute il quale è tutelato ma fino a quando non si oltrepassi una soglia di “sostenibilità economica” per il SSN.

    All’interno di una democrazia liberale, invece, i diritti fondamentali, specialmente come quello alla salute, non possono risultare soggetti a nessuna valutazione di costo economico ma salvaguardati in quanto espressione della stessa democrazia.

    Fedele a questo concetto di assetto democratico, allora, il diritto alla salute non dovrebbe venire sottoposto ad una valutazione da parte dello Stato e di chi in suo nome opera (https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-sistema-sanitario-nazionale-ed-il-paradosso-progressista/). Singapore, invece, rappresenta ora la prima pericolosa deriva verso uno Stato etico nel quale il diritto fondamentale alla salute viene sottoposto ad una valutazione da parte dello Stato per essere considerato valido ed applicabile.

    Sottoporre, quindi, ad una valutazione il legittimo diritto all’assistenza sanitaria da parte dello Stato in relazione alla congruità dei comportamenti del paziente rispetto al protocollo definito dallo Stato stesso rappresenta di per sé la fine della garanzia democratica.

    Contemporaneamente si sancisce così l’ingresso in pompa magna all’interno di uno Stato etico, nel quale i diritti risultano tali in relazione solo ed esclusivamente alla aderenza ad un modello statale predefinito e magari nella italica versione essere al di sotto della soglia di sostenibilità economica PRECEDENTEMENTE indicata dallo Stato.

    All’interno di una istituzione etica emerge evidente come prenda di nuovo forma ed espressione quella ideologia socialista già disintegrata dalla storia la quale ora ha modificato la propria definizione (certo non la sostanza) in politicamente corretto.  Un pericolosissimo declino etico ed ideologico all’interno del quale il diritto diventa soggetto ad analisi e validazione statale invece di venire considerata tale. In altre parole, avanza il pericoloso principio in base al quale lo Stato diventa non più la somma di una perfettibile e democratica separazione dei poteri ma esso stesso diventa ed opera come entità etica suprema ed autonoma e nuovo soggetto istituzionale come sintesi suprema degli altri poteri indicando le procedure da seguire affinché i diritti poi vengano riconosciuti in relazione alla loro rispondenza ai protocolli statali.

    Si passa ad uno Stato supremo risultante dall’espressione di un’ideologia massimalista e prevaricatrice. Una deriva che da anni nel nostro Paese annovera già parecchi sostenitori tra i cosiddetti “progressisti”, i quali rappresentano in modo ormai inequivocabile quella mancanza del minimo sindacale di bagaglio culturale democratico per ricordarsi come un principio ed un diritto democratico valgano in quanto tali e non possano essere soggetti ad alcuna valutazione etica o morale e tanto meno di sostenibilità economica.

    Singapore rappresenta perciò un primo pessimo passo verso questo declino antidemocratico dello Stato e contemporaneamente la prima forma istituzionale di reale supremazia dello stato sui diritti del singolo cittadino.

    All’interno di uno stato liberale e democratico, viceversa, il diritto alla salute, come ogni altro diritto tutelato dalla carta costituzionale, non può essere mai sottoposto ad una valutazione di merito dello stato per ottenere la propria applicazione. Mai.

  • Iva agevolata su spese veterinarie e alimentazione animale

    La riforma delle aliquote è nell’agenda di Palazzo Chigi e della Commissione Europea. Anche il Premier è un pet owner.

    (Cremona 7 ottobre 2021) – “Siamo fiduciosi che il Presidente del Consiglio Mario Draghi riesca a spostare la nostra IVA in fascia agevolata. Può essere davvero la volta buona”. Lo dichiara Marco Melosi, Presidente dell’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani (ANMVI).

    Questo perché anche Mario Draghi possiede un cane? “Perché questo è il momento storico più favorevole- spiega Melosi- e perché sulle aliquote si muovono contemporaneamente sia il Governo Draghi che la Commissione Europea”.
    Da sempre i Medici Veterinari italiani chiedono l’aliquota agevolata (al 10%) sulle cure veterinarie e sugli alimenti per gli animali da compagnia (oggi su entrambi grava l’IVA del 22%). Adesso che l’Unione Europea e il Governo Draghi hanno avviato la revisione delle aliquote, si aprono nuove prospettive per una fiscalità più proporzionata ed equa.
    Essendo a sua volta proprietario di un cane, un bracco ungherese, il Presidente Draghi sarà più sensibile alla causa di milioni di proprietari? “I proprietari italiani conoscono ormai bene il concetto one health, sanno che curare gli animali è curare le persone. E sanno anche che alimentarsi è un bisogno primario anche per gli animali da compagnia, sia nelle case che nei rifugi. Lo ribadisco, l’ANMVI crede in questo contesto storico straordinario” – chiosa Melosi.

    Restano valide e attuali le argomentazioni della lettera aperta firmata nel 2020 da numerose sigle promotrici di un allineamento definitivo, al ribasso, delle aliquote IVA applicate al settore della salute e del benessere animale. Nel 2021 le stesse ragioni sono avvalorate dalla concomitante riforma europea delle aliquote alla quale si aggancerà la riforma fiscale italiana.

    Fonte: Ufficio Stampa ANMVI – Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani

  • Venti milioni di italiani perdono i capelli e a Roma nasce il primo Centro europeo per loro

    Tra i 15 e i 20 milioni di italiani, donne e uomini, giovani o più avanti con gli anni, perdono i capelli per patologie del cuoio capelluto, malattie differenti o semplicemente per fattori ereditari. Chi ne soffre – dicono gli specialisti – prova un profondo disagio con ripercussioni negative psicologiche e sociali. Per affrontare in modo sistematico la calvizie di qualsiasi tipo è nato a Roma, primo in Europa, il Centro Integrato Alopecie (Cia) presso l’Istituto dermopatico dell’Immacolata (Idi) Irccs, struttura in grado di gestire in maniera coordinata sotto lo stesso tetto le fasi di diagnosi e terapia di tutte le affezioni del cuoio capelluto. Il Centro, diretto da Gianfranco Schiavone, accoglie fino a 700 pazienti al mese: di cui una ventina al giorno sono giovani tra i 15 e i 22 anni, donne il 20% di questi.

    Secondo i dati dell’Idi, il fenomeno colpisce, diversamente da quanto si creda, circa il 50% del sesso femminile in fasi differenti della vita: con esordio dalla pubertà nei casi più gravi, ma di solito dopo la gravidanza o la menopausa. Per il sesso maschile, a 30 anni la caduta riguarda mediamente il 30% della popolazione, a 50 anni il 50%, a 70 anni l’80%.

    “Il paziente tipo è un ragazzo molto giovane – spiega Schiavone – che comincia a vedere la stempiatura o lo sfoltimento in cima alla testa, molto ansioso per come può evolvere la situazione, specie nel caso in cui i genitori abbiano lo stesso problema. Rispetto al passato, le terapie attuali non rappresentano un rischio poiché non alterano alcun assetto ormonale. Nei casi in cui è necessario, si procede con il trapianto”.

    La nascita del Cia è stata fortemente voluta, anche per superare il vecchio concetto di ambulatorio con visita tricologica, oltre che per garantire ai pazienti un approccio scientifico complessivo e integrato a cui prendono parte specialisti di diversi settori. Come per esempio nel caso delle donne che perdono i capelli a causa dell’ovaio policistico e che vengono seguite contemporaneamente da dermatologi e ginecologi. Non solo: la creazione di un Centro integrato, già punto di riferimento per tutto il Centro-Sud, evita la trafila spesso senza successo presso privati legati a società commerciali che vendono prodotti e trapianti anche di dubbio valore scientifico. Del resto a far comprendere il peso e la diffusione del fenomeno basta guardare alla crescita esponenziale del cosiddetto turismo medico degli ultimi anni in Albania o Turchia per i trapianti di capelli. “A Istanbul, diventata come Rio De Janeiro per la chirurgia estetica degli anni ’80, si spende la metà che da uno specialista privato in Italia – racconta Schiavone – ma ci sono quei rischi legati a possibili complicanze post-operatorie che non vanno trascurati. Se quando si è tornati a casa si presenta un’infezione, la febbre, le croste, difficilmente il paziente riprenderà l’aereo per tornare in Turchia o in Albania. Con tutte le conseguenze del caso”.

    Per combattere la forma più diffusa di calvizie, l’alopecia androgenetica, all’Idi vengono utilizzate tra l’altro le terapie biologiche a base di derivati del plasma nella loro ultima variante il-prf (evoluzione del prp), erogata in ospedale sotto il controllo del Centro trasfusionale secondo le direttive del Centro nazionale sangue. La fotobiomodulazione (low level laser therapy); il microneedling, sia chirurgico che domiciliare tramite derma-pen e derma-stamp associato o meno alla somministrazione di sostanze topiche come alcuni biorivitalizzanti. Contro l’alopecia androgenetica i dermatologi del Cia usano pureil trapianto di cellule staminali dal grasso autologo, una sorta di lipofilling su cui stanno convergendo le ricerche per che richiede un piccolo intervento chirurgico ambulatoriale, nei casi di pazienti resistenti alle altre terapie.

    La rivoluzione nell’assistenza dei pazienti comprende altri due punti: le terapie per le persone trattate con cure oncologiche e il versante estetico. Ossia il trapianto, eseguito in associazione alle terapie biologiche seguendo una nuova metodica chiamata Beht (biologically enhanced hair transplantation). Al Cia i pazienti pagano il ticket e, nel caso di trapianto e trattamenti estetici, la spesa è calmierata rispetto agli studi privati.

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