Dazi

  • I dazi Usa fanno calare le esportazioni cinesi

    Le esportazioni della Cina hanno registrato in novembre un calo dell’1,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. In seguito ai dazi introdotti dagli Usa, il surplus del commercio estero cinese, sempre in novembre, è sceso a 38.730 miliardi di dollari (35.022 miliardi di euro) a fronte dei 42.911 miliardi di dollari (38.802 miliardi di euro) registrati a ottobre. Il surplus commerciale con gli Usa è passato da 26.450 a 24.600 miliardi di dollari(da23.917 a 22.244 miliardi di euro). Negli 11 primi mesi del 2019 il valore dell’interscambio commerciale Cina-Usa si è ridotto del 15,2% con un ribasso del 12,5% dell’export e del 23,3% dell’import.

    Gli analisti non si attendevano un andamento negativo delle esportazioni cinese, che erano anzi previste in rialzo dello 0,8% grazie al traino degli acquisti natalizi. Novembre è stato il quarto mese del 2019 in cui l’export cinese ha accusato una caduta. Il direttore dell’ufficio statistico dell’Amministrazione generale delle Dogane, Li Kuiwen, ha affermato che il calo si deve «al rallentamento della crescita economica e commerciale internazionale» e ha sostenuto che «l’economia cinese si mantiene stabile». Un segnale in tal senso, sarebbe l’incremento delle importazioni pari allo 0,3%, il che indica che la domanda interna è alta. È il primo dato positivo dell’import cinese dell’aprile scorso.

  • Gli Stati Uniti ripristinano i dazi sui prodotti siderurgici provenienti da Argentina e Brasile

    Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato via twitter che è intenzionato a ripristinare i dazi sull’acciaio e sull’alluminio provenienti dal Brasile e dall’Argentina perché i due Paesi indebolendo le loro valute hanno colpito di conseguenza gli agricoltori americani. Entrambi i paesi, dopo aver accettato le quote, l’anno scorso sono stati esentati da tariffe su acciaio e alluminio, proprio quando Trump stava cercando di evitare una guerra commerciale con loro.

    Se il governo brasiliano ha fatto sapere di essere già in trattativa con Washington, il ministro della produzione argentino ha definito l’annuncio di Trump “inaspettato” e ha detto che avrebbe provato ad avviare dei colloqui con i funzionari statunitensi.

    Trump ha anche esortato la Banca Centrale americana a impedire ad altri paesi di svalutare le proprie valute, spiegando che tale manovra rende molto difficile per i produttori e gli agricoltori americani “esportare equamente le loro merci”.

  • Airbus: il Made in Italy paga ancora per tutti

    Da anni l’intero mondo accademico quanto quello politico continuano ad affermare che il futuro della crescita economica italiana ed europea  risulti  legato allo sviluppo di prodotti ad alta tecnologia dei quali gli aeromobili rappresentano sicuramente un esempio. Viceversa, con distanza e sufficienza vengono considerati strategici settori industriali come l’agroalimentare, espressione del Made in Italy di settori  primari e  secondari. Questi ambiti tanto poco considerati si dovranno far carico anche del costo aggiuntivo dei dazi statunitensi perché con il consenso dei governi europei sono stati concessi degli aiuti di Stato al consorzio Airbus.

    In altre parole, i prodotti ad alta tecnologia hanno goduto di aiuti di stato che il tribunale del Wto ha considerato lesivi della libera concorrenza dando il proprio consenso alla introduzione dei dazi dell’amministrazione statunitense. Sono perciò inutili i piagnistei come le prese di posizione delle autorità politiche europee ed italiane le quali, a loro volta, rappresentano la causa di questa situazione.

    Ancora una volta a pagare il conto sarà il made in Italy.

  • IMF lowers global growth projections amid Sino-American trade war

    The International Monetary Fund downgraded its growth projection for 2019 amidst a Sino-American trade war and the increasing likelihood of a no-deal Brexit.

    The Washington-based institution now projects 3,2% global growth rather than 3,3% projected in April and 3,6% projected in January. The downgrade is mostly justified by declining investment, as business confidence is collapsing and the market is risk-averse. Consumer confidence is also affected.

    In May 2019 China and the US were embroiled in a spiralling trade was of escalating tariffs. Some US companies are moving their supply chains out of China to avoid tariffs. Global trade volumes are said to have declined by 0,5% since the first quarter of 2019.

    The IMF model still presumes an orderly UK exit, which means the risk to global growth is on the downside. The UK’s projected growth stands at 1,3% for 2019, which is marginally better than the 1,2% earlier this year.

    However, if the UK leaves without a transition arrangement, the economy could suffer a serious shock. For 2020, the IMF projects 1,4% growth, provided there is no disorderly Brexit. As for the US economy, the trade war is expected to cost dearly: from 2,9% growth projected in 2019, growth will drop to 1,9% in 2020.

    Another downside shock for the European economy – particularly Germany – would be the introduction of tariffs on European cars imported to the US.

    Responding to the economic slowdown, the US Federal Reserve is expected to cut interest rates by at least 25 basis points at the end of July. According to Der Spiegel, the European Central Bank is preparing for the second wave of quantitative easing by November. Both the ECB and the Bank of Japan already have their interest rates at zero.

    On Tuesday, American trade negotiators told CNBC that U.S. officials are planning to travel to China sometime between Friday and Thursday, August 1, but a deal is nowhere in sight. The US is willing to discuss easing restrictions on China’s Huawei in exchange for the purchase of U.S. agricultural produce but this will not pave the way to an end to the ongoing trade war.

  • L’Africa sarà liberata dai dazi

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi pubblicato su ‘Italia Oggi’ il 16 luglio 2019.

    Domenica 7 luglio, a Niamey in Niger, il vertice straordinario dei capi di Stato dei paesi dell’Unione Africana ha sancito l’inizio della fase attuativa dell’Accordo continentale africano di libero scambio (Affcta è l’acronimo in inglese) che mira ad abbattere progressivamente tutti i dazi e le altre barriere doganali all’interno dell’intero continente. Esattamente il contrario della politica delle barriere e dei dazi di Trump. È un evento di portata epocale, che potrebbe presto incidere sugli assetti geopolitici e geoeconomici mondiali. La visione e lo spirito che muovono l’Accordo hanno radici profonde e prospettive di lungo periodo: il rinascimento dell’Africa e il panafricanismo.

    Hanno firmato 54 dei 55 membri dell’Unione africana, fatta eccezione per l’Eritrea per le tensioni con l’Etiopia. Ha sottoscritto anche la Nigeria, che rappresenta il Paese più popoloso e potente dell’Africa. L’Affcta darà il contributo più forte per il superamento di 84 mila km di frontiere interne ereditate dal colonialismo. Lo scopo è l’integrazione, senza ridisegnare nuove frontiere. Eliminando i dazi sul commercio infra-africano, si crea un mercato di 1,2 miliardi di cittadini e di consumatori che potrebbe raddoppiare entro il 2050. Il commercio interno all’Africa rappresenta meno del 15% del totale delle esportazioni. Quello interno all’Unione europea è il 70% del totale e quello infra-asiatico è già del 50%. Perciò si prevede di portare il commercio fra i paesi africani almeno al 25% entro il 2023.

    La creazione della Zona di libero scambio e dell’unione doganale è il primo passo di un percorso ben programmato che prevede la realizzazione del mercato comune africano nel 2025 e l’unione monetaria nel 2030. I paesi africani si sono chiaramente ispirati all’esperienza dell’Unione europea, facendo tesoro delle difficoltà e degli errori commessi in Europa. Infatti, hanno messo l’unione monetaria alla fine del percorso.

    Indubbiamente si è tenuto conto anche dell’esistenza dei paesi Brics, che hanno saputo costruire nuove alleanze e istituzioni indipendenti, capaci di giocare un ruolo incisivo sullo scacchiere economico e politico globale. È un disegno ambizioso.

    L’Italia e l’Unione europea non possono limitarsi a guardare per vedere se l’Africa riuscirà o no a realizzarlo. Sarebbe grave, a nostro avviso, se ci si soffermasse a valutare i comportamenti presenti e passati dei governi e delle leadership africane. C’è un Grand Design da realizzare. È una sfida anche per la cooperazione internazionale ed europea.

    Il tutto inizia, nel maggio 2013 ad Addis Abeba in occasione della celebrazione del cinquantesimo anniversario dell’Organizzazione dell’Unione Africana, quando si definì il programma Agenda 2063 per «un’Africa integrata, prospera e pacifica guidata dai suoi stessi cittadini e che rappresenta una forza dinamica sulla scena internazionale». L’Agenda 2063 dettaglia, infatti, una serie d’iniziative da realizzare in tutti i campi per trasformare l’Africa in un moderno continente sovrano, che prenda in mano il proprio destino.

    In primo luogo vi è la realizzazione di una rete integrata continentale di treni ad alta velocità. Le infrastrutture occupano un posto prioritario nella lista dei progetti, come già evidenziato nel Piano di Sviluppo delle Infrastrutture in Africa (Pida). Senza infrastrutture stradali, ferroviarie, fluviali, portuali, aeroportuali, energetiche e della comunicazione, la Zona di libero scambio resterebbe una scatola «paralizzata» che bloccherebbe qualsiasi piano di sviluppo industriale, economico e civile.

    Si prevede la formulazione di una «strategia africana sulle commodity» per rendere il continente più forte nella definizione dei contratti di sfruttamento delle materie prime con i partner internazionali, per evitare che rimanga solo una grande miniera a cielo aperto e un semplice fornitore di minerali per il resto del mondo. L’Africa legittimamente vuole promuovere l’industrializzazione e la creazione di manifatture per garantire lavoro e reddito per i propri cittadini.

    L’Africa, purtroppo, finora è stata oggetto di un crescente land grabbing: vasti territori accaparrati da grandi interessi privati, da società internazionali e anche da altri Stati. Il fine è lo sfruttamento agricolo e minerario intensivo per fornire prodotti per destinazioni fuori dal continente africano. Spesso la mano d’opera locale è sfruttata al massimo e pagata al minimo, minando anche il tessuto sociale tradizionale, stravolgendo l’ambiente e lasciando, poi,sacche di povertà e di abbandono.

    Purtroppo, com’è noto, la regione sub-sahariana è il bersaglio principale di tali spregiudicate operazioni, che si giovano anche della corruzione di potentati locali e dell’ignoranza di molti. Si stima che, di tutti i territori acquisiti attraverso il land grabbing a livello mondiale, oltre il 40% sia in questa regione. Per esempio, una ricerca di alcuni anni fa quantificava l’acquisizione di terreni nella sola Repubblica Democratica del Congo in 7,2 milioni di ettari. Un terzo dell’Italia!

    9 su 10 paesi dell’Africa sub-sahariana sono «dipendenti dalle commodity», perché oltre il 60% di tutto il loro export è dato dalle commodity. Ed è una tendenza in crescita anche a livello globale. La Banca Mondiale conferma, infatti, l’aumento del rapporto debito/export nella regione sub-sahariana che è passato dal 65% del 2011 al 136% del 2017.

    L’Agenda 2063 è ricca di altri progetti relativi alle nuove tecnologie, alla finanza e anche alla ricerca spaziale. Fondamentale è la previsione di costruire un «grande museo africano» per promuovere la cultura africana in linea con gli ideali del pan-africanismo. Si vuole preservare il patrimonio culturale, stimolare gli africani a scrivere la vera storia dell’Africa e mostrare la sua influenza artistica, scientifica e letteraria sulle varie culture del mondo.

    Il summit di Niamey ha dovuto comunque riconoscere che l’impegno assunto nel 2013 di far tacere tutte le armi entro il 2020 non è stato ancora realizzato. La pacificazione e il superamento degli attuali conflitti in alcuni paesi sono, però, la condizione per l’effettiva operatività della Zona continentale africana di libero scambio senza dazi e barriere. E’ una grande sfida. Così come lo è il superamento delle frontiere e l’emissione di un unico passaporto africano per il libero movimento delle persone, che dovrebbe essere operante già dal prossimo anno.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • US moves against intel-linked Chinese tech companies

    The US is considering blacklisting the Chinese technology company Hikvision – a world leader in video surveillance products that include artificial intelligence, speech monitoring and genetic testing which broadens the capacity for facial and body traits recognition -after the Commerce Department brought forth foreign and human rights considerations to the House Armed Services and Intelligence Committees.
    Hikvision supplies surveillance cameras that the Chinese government uses in the Muslim-majority Xinjiang region, where more than 3 million ethnic Uyghurs, a Turkic-speaking Muslim people, are being rounded up by the Chinese Communist Party and thrown into reeducation camps.
    Washington could invoke the Magnitsky Act, which allows the US to sanction government officials implicated in human rights abuses, high-ranking officials such as Chen Quanguo, Xinjiang’s Communist Party head since August 2016.
    The technology developed by Hikvision is being exported to nations that seek a surveillance capacity similar to the what is employed by China’s secret police, including Ecuador, Pakistan, Uzbekistan, Zimbabwe, and the United Arab Emirates. Hikvision employs 34,000 staff worldwide and has also taken major contracts such as the Beijing Olympics, the Brazilian World Cup, and the Linate Airport in Milan. Since 2019, Congress has banned the use of Hikvision technology by federal agencies.
    US Secretary of State Mike Pompeo referred to Chinese surveillance capacity as “stuff reminiscent of the 1930s” and undermines US national security. The White House is campaigning to limit Chinese access to advanced American technology. The Department of Commerce is drawing up new regulations to restrict US exports of 14 advanced technologies, including robotics and quantum computing.
    Chinese companies spend billions in buying products from US companies and the move could hurt companies such as Qualcomm and Intel. Washington gives Huawei 90-day reprieve
    The Commerce Department issued a 90-day reprieve on their ban on dealing with Huawei. This will give the Chinese tech giant a temporary license to deal with US companies for a temporary transition period.
    “The Temporary General Licence grants operators time to make other arrangements and (gives) the Department space to determine the appropriate long-term measures for Americans and foreign telecommunications providers that currently rely on Huawei equipment for critical services,” said Secretary of Commerce Wilbur Ross.
    The delay does not change the ban imposed by the White House, which was based on national security grounds. US intelligence believes Huawei is backed by the Chinese military and its equipment provide Beijing’s intelligence services and serves as a backdoor into the communications networks of rival countries.
    Washington has applied pressure on its European allies – the second biggest market for Huawei after China – to ban the company from procurement for the development of 5G infrastructure.
    Google has already announced that it would restrict Huawei’s access to the Android operating software, a move that will be followed by US semiconductor manufacturers Intel, Broadcom, Qualcomm, Micron, and Cypress.
    The founder of Huawei, Ren Zhengfei, said Huawei was “very grateful” to US companies that were instrumental in building up the company, while also underscoring that the Chinese behemoth was instrumental in the growth of Android around the world.
    Huawei’s rival, ZTE, maybe in a worse position to deal with the disruption of supply in semiconductors as it produces none of its own. France will not exclude Huawei from 5G network development. France’s Finance Minister Bruno Le Maire said that any decision for the development of 5G network infrastructure will be based on security and performance considerations and that Huawei would be excluded in principle.
    “We will make decisions based on the technological interest and strategic security of our networks,” Le Maire said, while adding that it is not certain Huawei had the best technology in the sector, as Sweden’s Ericsson “is also competing for the same procurement contracts”.
    This echoed a statement by French President Emmanuel Macron, who appears to be steering France towards a collision course with the US government despite warnings that French telecoms would be at risk of being infiltrated by Chinese intelligence, France’s national regulatory authority for electronic communications, ARCEP, has instead opted to press forward as it does not want to delay the rollout of 5G infrastructure beyond 2020.

  • Coldiretti spaventata dai dazi di Trump

    Coldiretti e Filiera Italia lamentano che i dazi (per 11miliardi di dollari) che gli Usa meditano di introdurre nei confronti dell’Unione Europea comprendono anche importanti prodotti agricoli e alimentari di interesse nazionale come i vini, tra i quali il Prosecco ed il Marsala, formaggi, ma anche l’olio di oliva, gli agrumi, l’uva, le marmellate, i succhi di frutta, l’acqua e i superalcolici tra gli alimentari e le bevande colpite.

    Nel mirino di Donald Trump in particolare è finita, secondo Coldiretti e Filiera Italia, circa la metà (50%) degli alimentari e delle bevande Made in Italy protagoniste di Tuttofood, la World Food Exibition alla Fiera di Milano dal 6 al 9 maggio.

    Gli Usa, ricorda lo studio di Filiera Italia e Coldiretti, sono il principale mercato di sbocco dei prodotti agroalimentari Made in Italy fuori dai confini comunitari. Se con un valore delle esportazioni di 1,5 miliardi di euro nel 2018 il vino è il prodotto Made in Italy più colpito, in pericolo ci sono anche altri prodotti simbolo dell’agroalimentare nazionale a partire dall’olio di oliva con le esportazioni che nel 2018 sono state pari a 436 milioni, ma ad essere minacciati sono anche i formaggi italiani che valgono 273 milioni. E’ il caso del Pecorino Romano con gli Usa che rappresentano circa i 2/3 del totale export mentre per Grana Padano e Parmigiano Reggiano gli Usa sono il secondo paese per importanza, dopo la Germania.

  • Dazi ed etichette fanno impennare le quotazioni del riso italiano

    A un anno dall’entrata in vigore dell’obbligo di indicare in etichetta l’origine del riso aumentano fino al 75% le quotazioni dei raccolti Made in Italy rilevate da una analisi della Coldiretti (che ha fortemente sostenuto la nuova normativa sull’obbligo di indicare la provenienza in etichetta entrata in vigore nel febbraio 2018). Secondo lo studio, le quotazioni nell’arco di un anno sono aumentate del 70% per la varietà Arborio che ha raggiunto i 520 euro a tonnellata, mentre per il Selenio l’incremento è stato addirittura del 75% con 490 euro a tonnellata. Variazioni positive anche per tutti gli altri risi Made in Italy: dal Roma +54% al Sant’Andrea +49%, dal Carnaroli + 55% al Vialone Nano +32% fino al Lungo B +20%.

    L’indicazione in etichetta dell’origine per il riso deve riportare le diciture “Paese di coltivazione del riso”, “Paese di lavorazione” e “Paese di confezionamento”. Qualora le fasi di coltivazione, lavorazione e confezionamento del riso avvengano nello stesso Paese, può essere recata in etichetta la dicitura “origine del riso”, seguita dal nome del Paese. In caso di riso coltivato o lavorato in più Paesi, possono essere utilizzate le diciture “UE”, “non UE”, ed “UE e non UE”.

    Alla valorizzazione della produzione nazionale ha contributo anche lo stop all’invasione di riso asiatico nell’Unione europea che da metà gennaio 2019 ha messo dazi sulle importazioni provenienti da Cambogia e Birmania, con un valore scalare dell’importo da 175 euro a tonnellata nel 2019, a 150 euro a tonnellata nel 2020 fino a 125 euro a tonnellata nel 2021 (è possibile una proroga ove sia giustificata da particolari circostanze).

    “Si tratta del risultato della mobilitazione della Coldiretti nelle piazze italiane e nelle sedi istituzionali che ha portato al via libera all’etichetta Made in Italy a  livello nazionale mentre Bruxelles ha riconosciuto il danno economico generato dai volumi di importazioni di riso, che nell’arco dal 2011/12 al 2017/18 sono aumentati del 256% giustificando l’attivazione della clausola di salvaguardia e lo stop alle agevolazioni a dazio zero” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “occorre lavorare per estenderli anche al riso non lavorato. Un obiettivo che – ha continuato Prandini – potrebbe arrivare presto a seguito della verifica in atto da parte dell’Unione Europea sul deterioramento dello stato dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori nel Myamar che potrebbe determinare l’avvio di una procedura per la sospensione del regime preferenziale EBA, come già accaduto alla Cambogia, che porterebbe al ripristino strutturale dei dazi anche per il riso non lavorato”.

    L’Italia in Europa è il primo produttore di riso con 1,40 milioni di tonnellate su un territorio coltivato da circa 4mila aziende di 219.300 ettari, che copre circa il 50 % dell’intera produzione Ue con una gamma varietale del tutto unica.Riso Coldiretti

  • Allarme giallo per Europa ed Italia

    L’attenzione che politica e stampa dedicano ai dazi alla Cina sta portando a trascurare il fatto che la maggior parte degli investimenti di Pechino in Europa non è rivolta alla realizzazione di infrastrutture ma ad acquisizioni che consentano al Paese asiatico di prendere possesso di tecnologie e know-how di cui non dispone. Sebbene la Cina si stia aprendo ad investimenti e acquisizioni sul proprio territorio da parte occidentale, il piatto della bilancia delle acquisizioni pende decisamente a favore di Pechino.

    Mentre è sempre più padrona dell’Africa, la Cina ha rafforzato la sua presenza in Europa soprattutto nei Paesi dell’Europa orientale, provocando timori di ulteriori frammentazioni all’interno dei Paesi che aderiscono all’Unione europea che fino ad ora non appaiono essere ben presenti alla stessa Commissione europea. Nel 2017, poco dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, Xi Jinping si presentò al World Economic Forum come il nuovo alfiere del libero mercato, ma dietro la difesa di quel libero scambio che invece gli Usa di Trump appaiono ripudiare in nome dell’America first si coglie sempre più il timore che Pechino stia utilizzano la libertà degli scambi come strumento egemonico e di espansione, nell’ottica della tutela anzitutto dei propri interessi piuttosto che della promozione del benessere di tutti tramite la globalizzazione.

    In questo contesto, anche l’attuale governo italiano appare ben poco consapevole dei rischi che possono prospettarsi e che devono comunque essere tenuti in conto come possibili. A dispetto del sovranismo di cui si fa portavoce, l’attuale maggioranza ha in più occasioni strizzato l’occhio a Mr Ping (come Luigi Di Maio ebbe a dire del presidente cinese Xi Jinping in occasione di una sua visita nella Repubblica Popolare) dimostrando di non saper cogliere quanto la politica commerciale sia uno strumento della politica tout court e delle relazioni internazionali.

  • Dazi dell’Ue sulle biciclette elettriche made in China

    L’Unione europea ha imposto dazi addizionali totali sulle e-bike cinesi che vanno dal 18,8% al 79,3%, come ha reso noto Moreno Fioravanti, segretario generale della European Bicycle Manufacturers Association (EBMA), da una cui denuncia nel 2017 scaturì un’indagine della Commissione europea, che ha portato alla decisione di introdurre dazi antidumping (la cui misura varia a seconda della collaborazione prestata dalle vari società di produzione cinese all’indagine di Bruxelles) ai dazi già in vigore per le importazioni dal Paese del dragone.

    Secondo l’EBMA, la crescita esponenziale della vendita di biciclette elettriche cinesi in Europa rischiava di mettere in ginocchio la produzione europea. “La Commissione ha ascoltato le richieste dei sindacati europei, dei produttori di biciclette, delle piccole imprese e dei ciclisti per fermare il dumping delle e-bike cinesi. Dopo un’indagine approfondita – spiega Fioravanti -, la Commissione europea ha stabilito che i produttori cinesi importano le biciclette elettriche a prezzi predatori per conquistare quote di mercato dell’UE e ricevere sussidi illegali dal governo cinese”.

    Secondo i calcoli di EBMA le misure dell’UE proteggeranno oltre 800 piccole e medie imprese europee e 90.000 posti di lavoro e porteranno alla creazione di oltre 4.500 nuovi posti di lavoro europei già nella prima metà del 2019 e alla fabbricazione di 900.000 e-bike quest’anno. “L’elevato numero di produttori di biciclette dell’UE – dice Fioravanti – garantirà una competitività e ambiente innovativo, che offre ai consumatori europei un portafoglio ampio e diversificato di biciclette a pedalata assistita, in tutte le fasce di prezzo”.

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